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mercoledì 22 giugno 2022

giovedì 10 febbraio 2022

Italia: una “memoria condivisa” fatta di vittimismo e negazione del conflitto Una conversazione con Davide Conti

Da: https://www.facebook.com/Odradek.edizionihttps://www.odradek.it - https://www.pane-rose.it - 

Davide Conti/, storico, è consulente dell'Archivio Storico del Senato della Repubblica, della Procura di Bologna (inchiesta sulla strage del 2 agosto 1980) e della Procura di Brescia (inchiesta sulla strage del 28 maggio 1974). È inoltre autore della ricerca sulla Guerra di Liberazione a Roma 1943-1944 che ha determinato il conferimento della Medaglia d'oro al Valor Militare alla città di Roma da parte del Presidente della Repubblica.

Leggi anche: L’occupazione italiana nei Balcani - Angelo Del Boca

Vedi anche: La narrazione intorno alle foibe. Un'ambigua verità di stato - Angelo d'Orsi


Spesso, in questi anni, come forze dell’antagonismo sociale e della sinistra di classe abbiamo realizzato iniziative volte a contrastare la rilettura ufficiale della storia italiana. Uno sforzo meritorio, che ha prodotto momenti di discussione utili, anche sul piano della formazione di chi vi ha partecipato. Mai come oggi è necessario rafforzare questo impegno, fondandolo su una piena comprensione delle ragioni che hanno spinto a definire i nuovi criteri di interpretazione della vicenda italiana. In questa intervista, Davide Conti – autore di L’occupazione italiana dei Balcani (2008) e Criminali di guerra italiani (2011) – si sofferma sulle caratteristiche di quella “memoria condivisa” che si è andata delineando a partire dalla fine della Prima Repubblica. E che negli ultimi anni è stata sancita attraverso una precisa, ragionata calendarizzazione, tesa a sottacere le verità più scomode e capace di rifunzionalizzare alle nuove esigenze antichi miti, come quello degli “italiani brava gente”. Per il suo carattere complessivo, il discorso di Conti deve essere preso in considerazione da chiunque voglia contrastare la narrazione storica oggi dominante. Anche per superare quella frammentarietà – legata alla necessità di intervenire volta per volta su singoli aspetti del dibattito pubblico sulla memoria – che ha inevitabilmente segnato la nostra azione su questo terreno.


Anzitutto, sulla base della tua ricerca sui criminali di guerra italiani, ci puoi spiegare come hanno fatto costoro ad eludere le richieste di giustizia e quali sono stati gli interessi che hanno favorito questa soluzione? 

Naturalmente le ragioni che hanno permesso una sostanziale impunità per i presunti criminali di guerra italiani (adotto questa formula proprio perché non sono stati fatti i processi), non vanno rintracciate nella dimensione giuridica.
Semmai le motivazioni sono state in primo luogo di carattere geopolitico ed in second'ordine legate a questioni interne. Dal punto di vista geopolitico - cioè dell'asse portante del paradigma dell'impunità dei criminali di guerra italiani - sicuramente la collocazione del nostro paese nell'ambito del dispositivo internazionale della NATO ha prodotto, per gli alleati, la necessità di evitare processi contro i vertici ed i quadri medio-alti e medi del Regio Esercito. Si voleva impedire quella decapitazione di fatto del nostro corpo militare, che sarebbe stata la naturale conseguenza di una seria procedura di epurazione in seno all'esercito. L'idea era invece quella di riarmarlo e di reintegrarlo in un nuovo dispositivo bellico, perciò gli alleati rinunziarono a processare quei criminali di guerra che loro stessi avevano indicato in liste apposite, consegnate alle Nazioni Unite. Parliamo della Francia, degli USA e dell'Inghilterra. Per quanto riguarda gli altri paesi, fummo aiutati dalle stesse ragioni geopolitiche: la contrapposizione col blocco orientale consentì all'Italia, appoggiata dagli alleati, di non consegnare gli accusati di pratiche e condotte militari illecite soprattutto in Unione Sovietica ed in paesi balcanici come Jugoslavia ed Albania. Un discorso a parte andrebbe fatto per la Grecia, che fa parte dell'area dei Balcani ma trovandosi nello stesso schieramento geopolitico dell'Italia, quello occidentale, rinunciò con un accordo segreto siglato nel 1948 a vedersi consegnati i presunti criminali di guerra. Di più, essa sbloccò di fatto delle procedure che permisero il progressivo rientro anche di quei militari italiani che, essendo stati già processati e condannati, stavano scontando la pena nelle carceri greche.
Questo è il quadro generale. Il risultato, sul piano interno, fu la possibilità sostanziale per i governi a maggioranza conservatrice di mantenere quella continuità dello Stato che è stato il tratto caratteristico del dopoguerra italiano.

martedì 30 novembre 2021

“Storia e Politica”: un dialogo tra Angelo d'Orsi e Alessandro Barbero

Da: Da: Angelo d'Orsi
Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. 
Alessandro Barbero è uno storico, scrittore e accademico italiano, specializzato in storia del Medioevo e in storia militare.


La storia nasce come ricostruzione e riflessione sul potere. 
Tra la storia e la politica si stabilisce subito un nesso forte, al punto che v’è chi ha definito la storia la politica del passato e la politica la storia del presente. 
In altre parole, è impossibile occuparsi di storia eliminando la sfera politica.

                                                                           

sabato 26 giugno 2021

La narrazione intorno alle foibe. Un'ambigua verità di stato - Angelo d'Orsi

Da: Angelo d'Orsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7). Direttore delle riviste "HISTORIA MAGISTRA" (https://www.historiamagistra.it) e "GRAMSCIANA" (https://www.facebook.com/gramsciana). Candidato Sindaco di Torino.
Leggi anche: E allora, le foibe?!” 
Marc Bloch oltre la nouvelle histoire: prospettive teoriche da riscoprire*- Adriana Garroni

L’incontro, organizzato dall'Associazione culturale “Tina Modotti”, si è tenuto il 10 aprile 2019 presso il Teatro dei Fabbri (Trieste). 
L'evento aveva come titolo: “La narrazione intorno alle foibe: riflessioni su un’ambigua verità di stato“. 
Per rivedere l'intero incontro: 


                                                                         

venerdì 21 maggio 2021

La Comune di Parigi (1871) - Angelo d'Orsi

Da: Angelo d'Orsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)

MARX E LA RIVOLUZIONE DEL 1848 - Irene Viparelli* 

La Comune di Parigi e gli intellettuali contemporanei - Alessandra Ciattini


"All’alba del 18 marzo, Parigi fu svegliata da un colpo di tuono: 'Vive la Commune!'. Che cos’è la Comune, questa sfinge che tanto tormenta lo spirito dei borghesi? “I proletari di Parigi,” diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo, in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari… Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del potere governativo"               (Karl Marx)

                                                                            

La Comune di Parigi durò settantuno giorni, dal 18 marzo al 28 maggio 1871. Fu il più bell’esperimento politico della storia contemporanea: finì malissimo, dopo aver illuminato cuori e menti di coloro che lo conducevano e avere acceso scintille di speranza in coloro che lo seguivano a distanza. Si trattò sicuramente del più grande avvenimento rivoluzionario della seconda metà del XIX secolo, o forse dell'intero secolo. I proletari parigini presero il potere e diedero vita ad uno Stato nello Stato, secondo i caratteri essenziali della società comunista. Il suo fallimento fu lievito teorico e pratico per la storia del movimento operaio mondiale. 

giovedì 22 aprile 2021

Viva la guerra! La seduzione bellica tra '800 e '900

Da: Angelo d'Orsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7

A contrasto con lo stato di “pace” relativa della “Belle Epoque” – dopo il 1870 – si levarono numerose voci che reclamavano la guerra, il “ritorno del cannone”. In particolare in Italia, oltre ai futuristi e a D’Annunzio, fu un pugno di letterati che nel 1910, riuniti nell’Associazione Nazionalista, iniziarono la campagna per andare in Libia, e quindi si scatenarono nella propaganda per l’intervento nella Grande guerra, iniziata nell’estate 1914 e in cui infine le autorità italiane decisero di portare il Paese nel maggio del ’15. Quella scelta, in contrasto con il sentire diffuso della popolazione, costò 600 mila morti. La diffusione di una ideologia bellicistica, ad opera degli intellettuali, ottenne il triste trionfo. 

                                                                          

“Ci voleva, alla fine un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di ottobre. È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria.” (Giovanni Papini, Amiamo la guerra!, in “Lacerba”, 1914) 

venerdì 19 marzo 2021

"I partiti e la massa"* di Antonio Gramsci – a cura di Giorgio Gattei

 Da: http://www.maggiofilosofico.it - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna.

Leggi anche: Il nostro Marx*- Antonio Gramsci

Cadaveri e idioti - Antonio Gramsci

CHE FARE? - Antonio Gramsci

«Capo» - Antonio Gramsci

L'Università popolare*- Antonio Gramsci

La via maestra*- Antonio Gramsci

Operai e contadini - Antonio Gramsci

Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi - Antonio Gramsci

Perché studiare il latino e il greco?*- Antonio Gramsci

La Rivoluzione contro il Capitale*- Antonio Gramsci

Su Gramsci e la fondazione del Pci - PIERO GOBETTI

L'egemonia borghese c'è. Ma è invincibile? - Questioni di teoria* - Alessandro Mazzone

Gramsci e gli intellettuali

GRAMSCI E LA “RIVOLUZIONE IN OCCIDENTE”* - Renato Caputo

Vedi anche: Antonio Gramsci. Ritratto di un rivoluzionario - Angelo D'Orsi 


Dopo la scissione del Partito Socialista Italiano, che a Livorno nel gennaio 1921 aveva portato alla fondazione del Partito Comunista d’Italia, Antonio Gramsci s’interroga a settembre, sulla rivista “L’Ordine Nuovo” che era passata da settimanale a quotidiano ufficiale del nuovo partito, sulle prospettive politiche che si potevano aprire ai comunisti sulla base di un ragionamento che aveva introdotto l’anno prima, e cioè la dipendenza della sorte dei partiti politici dalle classi sociali di riferimento. Allora aveva spiegato che «i partiti politici sono il riflesso e la nomenclatura delle classi sociali» e sorgono, si sviluppano e si decompongono secondo le variazioni d’esistenza che subiscono le classi rispettive quando «acquistano una maggiore e più chiara consapevolezza di sé e dei propri vitali interessi» (O.N., 9 ottobre 1920).

Le classi dunque, che sostanzialmente sono tre: la borghesia fondiaria e industriale, che detiene il controllo dello Stato; il proletariato di fabbrica e di campagna, che sta all’opposizione; e un coacervo di “ceti medi” in cui confluiscono piccoli borghesi, sia agrari che urbani, impiegati privati e pubblici e ceti professionali e intellettuali. Data la sua eterogeneità sociale, questa “classe media” è politicamente ondivaga, costantemente pencolando tra l’adesione agli interessi della borghesia oppure a quelli del proletariato.

Invece i partiti politici nelle elezioni del maggio 1921 erano stati sostanzialmente cinque: un Blocco Nazionale di diverse sigle di partiti borghesi che aveva raccolto 105 seggi; i due partiti del proletariato con il vecchio PSI che, nonostante la confusione d’indirizzo dimostrata nella convulsione del dopoguerra, aveva guadagnato 123 seggi, mentre il neonato PCdI si era fermato a 15 seggi; e infine le classi medie che si erano presentate con le due novità del Partito Popolare, d’ispirazione cattolica e d’espressione soprattutto contadina, che aveva ottenuto 108 parlamentari ed il Partito fascista, di estrazione più cittadina e d’ispirazione dichiaratamente eversiva, che aveva preso solo 35 parlamentari (peraltro eletti all’interno del Blocco Nazionale che aveva dato loro ospitalità).

martedì 2 febbraio 2021

«Il Principe» di Niccolò Machiavelli - Angelo d'Orsi

Da: Angelo d'Orsi Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7


Considerazioni sul "Principe" - Gennaro Sasso 


                                                                          

Il Principe è il classico del pensiero politico per antonomasia: un testo ripubblicato continuamente dalla prima edizione del 1532, apparsa dopo la morte di Niccolò Machiavelli, che scrisse l’opera di getto nel 1513, dopo essere stato rudemente congedato dal suo incarico nella Segreteria di Firenze, con il ritorno dei Medici, a uno dei quali, tale Lorenzino, il trattatello fu dedicato, inutilmente. Maledetto, vietato, il libro circolò segretamente e, quindi, palesemente, fino ai nostri giorni, non solo fra gli studiosi, ma tra i politici professionali, tra i manager, nelle gerarchie militari, come un manuale del potere. E in effetti Il Principe è un trattato, all’insegna di un assoluto realismo politico, indirizzato a chi voglia conquistare il potere o intenda conservarlo, e rafforzarlo. Ma il potere per Machiavelli non è un fine a sé stesso, piuttosto un mezzo per raggiungere il benessere della popolazione, la salvezza della polis. E la politica è la scienza del potere, che deve essere separata e distinta dalla morale (al tempo gli insegnamenti delle Sacre Scritture). Basterebbe questo a rendere immortale questo capolavoro teorico-politico, e letterario.

sabato 30 gennaio 2021

Introduzione a "Scritti politici di Rosa Luxemburg". La Rivoluzione - Lelio Basso

 Da: http://latradizionelibertaria.over-blog.it - Lelio Basso è stato un avvocato, giornalista, antifascista, politico e politologo italiano. [Tutti gli scritti di Lelio Basso li trovate su http://www.leliobasso.it/]

Leggi anche: Socialismo e rivoluzione nella concezione di Rosa Luxemburg - Lelio Basso  

Il voto alle donne e la lotta di classe (1912) - Rosa Luxemburg

Il secondo e terzo volume del Capitale di Marx - Rosa Luxemburg (1919) 

Che cosa vuole la Lega Spartaco - Rosa Luxemburg (1918) 


Una lettera di Rosa Luxemburg e la risposta di Karl Kraus ad una lettrice di "Die Fackel"

Vedi anche: Rosa Luxemburg - Angelo d'Orsi

Luxemburg francobollo 1974


LINK al post originale: Introduzione 


La rivoluzione 

Le difficoltà del compito non stanno nella forza dell’avversario, nella resistenza della società borghese. (...) La difficoltà sta nel proletariato stesso, nella sua immaturità, o piuttosto nell’immaturità dei suoi capi, dei partiti socialisti. ROSA LUXEMBURG


Il metodo e la strategia di Rosa Luxemburg, che abbiamo sin qui delineato, si riferiscono in generale alla lotta di classe che si combatte nel quadro della società capitalistica con lo scopo di preparare e affrettare l’urto decisivo: vediamo ora come si articolasse questa strategia nel corso della lotta rivoluzionaria vera e propria.

Abbiamo già rilevato che uno dei più importanti contributi di Rosa Luxemburg alla teoria rivoluzionaria fu il legame stabilito fra rivoluzione e guerra piuttosto che fra rivoluzione e crisi. Abbiamo pure segnalato, come un’altra importante caratteristica della posizione luxemburghiana, il suo sforzo di operare una sintesi delle esperienze russa e occidentale: se quest’ultima poteva offrire l’esempio di una classe operaia più matura, e più direttamente partecipe alla lotta politica moderna, quindi più dotata delle qualità necessarie per diventare classe dirigente, la classe operaia russa doveva invece offrire l’esempio di un maggior vigore combattivo, di un più ricco slancio rivoluzionario, soprattutto di una minore integrazione allo Stato capitalistico e quindi di una maggiore possibilità di rottura radicale con il sistema. In altre parole, pur riconoscendo alla classe operaia tedesca e al suo partito una funzione dirigente quanto a capacità politica in vista di una futura gestione del potere e quanto a metodi di lotta in una società capitalistica avanzata, Rosa Luxemburg attendeva più facilmente dalla Russia una spinta rivoluzionaria. Nelle sue tenaci polemiche con il Partito socialista polacco, che aveva nel suo programma l’obiettivo della ricostituzione dello Stato polacco, e contro i socialisti occidentali che lo sostenevano in nome dell’antica avversione al regime zarista, essa aveva sempre affermato che era ormai un errore considerare la Russia come baluardo della reazione perché, al contrario, stavano maturando in seno alle masse russe germi rivoluzionari capaci di dare frutti copiosi [165].

lunedì 25 gennaio 2021

Rosa Luxemburg - Angelo d'Orsi

Da: Angelo d'Orsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7


                                                                            

Leggi anche: Il voto alle donne e la lotta di classe (1912) - Rosa Luxemburg

Il secondo e terzo volume del Capitale di Marx - Rosa Luxemburg (1919) 

Che cosa vuole la Lega Spartaco - Rosa Luxemburg (1918)  

Una lettera di Rosa Luxemburg e la risposta di Karl Kraus ad una lettrice di "Die Fackel" 

La luxemburg, Lenin e la democrazia. - Stefano Garroni. 14/06/2006 -

ROSA LUXEMBURG: RIVOLUZIONARIA, DONNA, FEMMINISTA* - Antonella Marazzi

Rosa Luxemburg e Hannah Arendt sulla rivoluzione*

Il capitale «apre» i confini: accumulazione e crisi del globale in Rosa Luxemburg - MICHELE CENTO e ROBERTA FERRARI

Rosa Luxemburg e la Quarta Internazionale - Lev Trotsky*

Rosa Luxemburg e la teoria del capitalismo*- Una recensione di Paul M. Sweezy

Rosa Luxemburg critica dell’economia politica - Marco Palazzotto

ROSA LUXEMBURG. COSCIENZA, PASSIONE, AZIONE - Sebastiano Isaia

Vedi anche: "Rosa Luxeburg e Karl Liebknecht


domenica 17 gennaio 2021

"LA PARABOLA DEL COMUNISMO" - Angelo D'Orsi

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)

Che cosa resta del comunismo? - Luciano Canfora, Sergio Romano

"Operai, soldati, soviet, partito: chi fece la rivoluzione?"- Angelo D'Orsi, Guido Carpi

Leggi anche: STORIA DEL MARXISMO - Andras Hegedus -

Sull' URSS - Marcello Grassi

ESSERE MARXISTA, ESSERE COMUNISTA, ESSERE INTERNAZIONALISTA OGGI - Samir Amin

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923)

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni

Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz.

                                                                           

mercoledì 9 dicembre 2020

Il Futurismo - Angelo d'Orsi

Da: Angelo d'Orsi Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)


Stavolta è il turno del Futurismo, il movimento artistico e politico, nato nel 1909, grazie al talento e allo spirito imprenditivo di Filippo Tommaso Marinetti, che svolse inizialmente un ruolo importante nello svecchiamento delle arti e delle lettere italiane (e perciò fu apprezzato per esempio da Antonio Gramsci),  e nel contempo di una modernizzazione culturale adeguata allo sviluppo industriale; ma che, imbevuto di nazionalismo e di bellicismo, finì nell'abbraccio mortale con il fascismo. Questo fu il cosiddetto "Secondo Futurismo", cui dedicherò una lezione specifica. Qui parlo del Futurismo "classico", la cui stagione si chiude con lo scoppio della Prima guerra mondiale, in cui purtroppo trovarono la morte, fra gli altri, il pittore Umberto Boccioni e l'architetto Antonio Sant'Elia, due geni.   (Angelo d'Orsi) 

                                                                           


mercoledì 18 novembre 2020

Due o tre cose che so di Gramsci. Antonio Gramsci ai Giovani. - Angelo d'Orsi

Da: Angelo d'Orsi Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7


Leggi anche: Su Gramsci e la fondazione del Pci - PIERO GOBETTI


"Se si volesse sintetizzare in termini estremi il messaggio di Antonio Gramsci ai giovani del suo tempo, e del nostro - in particolare i giovani proletari ai quali egli si rivolge - esso potrebbe essere un pressante invito all'istruzione (i proletari non possono concedersi il lusso dell'ignoranza, a differenza dei padroni) e all'impegno (ossia alla lotta per l'emancipazione dal dominio borghese) . Il giovane Antonio scelse questa duplice strada quando era ancora studente liceale in Sardegna e vi rimase fedele fino alla morte dopo una lunga penosa detenzione."

                                                                       


venerdì 6 novembre 2020

La Rivoluzione d'Ottobre - Angelo d'Orsi

Da: Angelo d'Orsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)

Come funziona il Soviet*- John Reed 

LA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA 1917–1923. Il comunismo di guerra - Edward H. Carr

DEMOCRAZIA E RIVOLUZIONE - Bertrand Russel

La donna, la nuova morale sessuale e la prostituzione*- Joseph Roth

Rivoluzione d’Ottobre e democrazia*- Domenico Losurdo

Un “ponte sull’abisso”. Lenin dopo l’Ottobre*- Alexander Höbel 

La terra della rivoluzione d'Ottobre: un paese di donne in cammino verso l'emancipazione - Armağan Tulunay

Vedi anche: La Rivoluzione Russa - Luciano Canfora 

Il ricordo vivo del grande Ottobre - Andrea Catone


                                                                           

Davanti al grottesco spettacolo che ci giunge dalla patria della democrazia (già lodata da Tocqueville nel secolo XIX), davanti ai conteggi del voto, alle minacce di riconteggio, alla prospettiva di una Corte di nomina governativa che decide l'esito del "libero voto" (come del resto già accadde nello scontro fra Al Gore e Bush junior, decretato vincitore pur essendo stato sconfitto nelle urne) mi viene una nostalgia di Vladimir Ili'c, detto Lenin capace di bruciare i vascelli alle sue spalle, metttere fine alla farsa della Costituente, e ordinare l'assalto al Palazzo d'Inverno, il 7 novembre 1917. 

Del resto la rivoluzione non è un pranzo di gala (questo lo disse Mao Zedong); ma in quell'assalto praticamente non ci furono vittime, se non qualcuna fra gli assalitori. Le vittime, a centinaia di migliaia, giunsero dopo, in seguito alla guerra civile scatenata dalle forze reazionarie interne con l'aiuto delle potenze imperialistiche esterne. 

Certo, oggi è difficile pensare, in Occidente, come spiegava Gramsci, a una rivoluzione secondo il modello bolscevico, ossia l'assalto frontale; e ci si deve attrezzare per lavorare sul piano culturale e ideologico per conquistare l'egemonia, una controegemonia delle classi subalterne da contrapporre a quella delle classi borghesi. I proletari potranno così diventare prima classe dirigente, ossia egemonica ideologicamente e culturalmente, per poi diventare dominante, ossia capace di esercitare il potere nella società, avviandola al socialismo. 
 
Eppure ci sono fasi e momenti in cui una bella rivoluzione, una rivoluzione "come si deve", appare come la sola soluzione alla crisi. 

Naturalmente, non è all'ordine del giorno, mancano i soggetti, l'organizzazione, persino la cultura rivoluzionaria. Se non a chiacchiere. E proprio Lenin ci ha insegnato che è molto più dilettevole e utile provare a fare una rivoluzione che non teorizzare o discutere su di essa. Perciò chiudo qui il discorso. E invito a seguire l'ultima mia "lectio brevis" dedicata appunto alla Rivoluzione d'Ottobre.  (A. d'Orsi) 

martedì 27 ottobre 2020