giovedì 31 luglio 2014

I limiti dell’espansione del capitalismo - Rosa Luxemburg


“L’imperialismo è l’espressione politica del processo d’accumulazione capitalista che si manifesta attraverso la concorrenza tra i capitalismi nazionali intorno agli ultimi territori non capitalisti ancora liberi del mondo. Geograficamente, questo campo ancora oggi rappresenta grande parte del globo. Tuttavia, il campo di espansione offerto all’imperialismo appare come molto piccolo comparato all’alto livello raggiunto dallo sviluppo delle forze produttive capitaliste; bisogna tenere conto in effetti della enorme massa di capitale già accumulata nei vecchi paesi capitalisti e che lotta per smerciare il suo sovrapprodotto e per capitalizzare il suo plusvalore, e, inoltre, della rapidità con cui i paesi precapitalisti si trasformano in paesi capitalisti. Sulla scena internazionale, dunque, il capitale deve procedere attraverso metodi appropriati. Con l’elevato grado di evoluzione raggiunto dai paesi capitalisti e l’esasperazione della concorrenza dei paesi capitalisti per la conquista dei territori non capitalisti, la spinta imperialistica, sia nella sua aggressione contro il mondo non capitalista che nei conflitti più acuti tra i paesi capitalisti concorrenti, aumenta di energia e di violenza. Ma più aumentano la violenza e l’energia con cui il capitale procede alla distruzione delle civiltà non capitaliste, più restringe la sua base di accumulazione. L’imperialismo è al tempo stesso un metodo storico per prolungare i giorni del capitale ed il mezzo il più sicuro e più veloce di mettervi obiettivamente un termine. Ciò non significa che il punto finale abbia bisogno di essere raggiunto alla lettera. La sola tendenza verso questo scopo dell’evoluzione capitalista si manifesta già attraverso dei fenomeni che fanno della fase finale del capitalismo un periodo di catastrofi“.                                                                                             (Rosa Luxemburg - L’Accumulazione del capitale, III, 31: “Il protezionismo e l’accumulazione”)

” Quello che distingue in modo decisivo il marxismo dalla scienza borghese non è la predominanza dei motivi economici nella spiegazione della storia, ma il punto di vista della totalità. Il dominio, determinante ed in tutti i campi, del tutto sulle parti, costituisce l’essenza del metodo che Marx ha chiesto in prestito a Hegel e che ha trasformato in modo originale per farne il fondamento di una scienza interamente nuova. La separazione capitalista tra il produttore ed i processi di insieme della produzione, il frazionamento del processo del lavoro in parti che lasciano da parte il carattere umano del lavoratore, l’atomizzazione della società in individui che producono diritto davanti ad essi senza piano, senza concertarsi, ecc., tutto ciò doveva avere necessariamente anche un’influenza profonda sul pensiero, la scienza e la filosofia del capitalismo. E ciò che c’è di fondamentalmente rivoluzionario nella scienza proletaria, non è solamente che essa oppone alla società borghese dei contenuti rivoluzionari, ma è, innanzitutto, l’essenza rivoluzionaria del metodo stesso. Il regno della categoria della totalità è il portatore del principio rivoluzionario nella scienza”.                                                                                                                                                                                       Georg Lukàcs - "Storia e coscienza di classe")
http://www.controappuntoblog.org/2012/01/14/rosa-luxemburg-i-limiti-dellespansione-del-capitalismo/

giovedì 17 luglio 2014

Aspetti della "società civile" hegeliana - Francesco Valentini

DOMANDA:

Lei afferma che l'<<alienazione>> della società civile descritta da Hegel - nella Filosofia del diritto ma anche nel VI capitolo della Fenomenologia - è solo apparentemente vinta dalla corporazione e dallo Stato; ossia, il passaggio dalla logica economico-civile della società moderna a quella dello Stato politico, non risolve appieno l'estraneazione che pure Hegel aveva indicato come il carattere specifico del mondo smithiano della ricchezza, dell'utile e dell'economia politica. D'altra parte, Lei dice, Hegel si mostra consapevole non solo di questa 'mancanza' interna al passaggio (non del tutto tesaurizzatore), ma ne mostra anche il connaturato aspetto negativo, e cioè a dire, la formazione della plebe in sede civile rimane un problema aperto e un fattore di irrazionalità nella costruzione politica hegeliana, ovverosia nello Stato moderno descritto da Hegel. Alla luce di quanto si è detto, sembrerebbe che la soluzione qui avanzata da Hegel sia piuttosto una constatazione disincantata del persistere, nell'eticità civile e politica, di una contraddizione irrisolta: il 'nervo scoperto' (scoperto appunto da Hegel) della società civile, e cioè la produzione di una massa d'uomini esclusa sostanzialmente dalla possibilità economico-politica di riprodursi, è ciò che, in ultima istanza, contraddistingue la modernità di questa società e di questo Stato.

Ma è questa, o ci siamo sbagliati, la lettura che Lei dà di questo passaggio hegeliano ?
RISPOSTA:

mercoledì 16 luglio 2014

Il mito della riunificazione tedesca - Vladimiro Giacché -

"Motivo per cui questo modello (tedesco) secondo me ha dei problemi è che questa è la classica politica mercantilista, l’idea che io pago relativamente poco i miei salariati – e la Germania paga relativamente poco i suoi salariati, anche se questo può sembrare impossibile in un paese come il nostro dove la gente è pagata ancora di meno. Il calcolo va fatto tenendo conto dell’aumento di produttività. Dal 1999 al 2013 è aumentata la produttività del lavoro del 14%, ma non è stato trasferito nulla ai salari, i salari sono diminuiti in questo periodo di tempo del -1% all’incirca. In Francia la produttività è cresciuta del 12% e i guadagni sono stati maggiormente trasferiti ai salari. Per questo motivo la Francia ha una bilancia commerciale in perdita rispetto alla Germania."

http://www.sinistrainrete.info/estero/3920-vladimiro-giacche-il-mito-della-riunificazione-tedesca.html

http://www.opinione-pubblica.com/2015/06/15/dallannessione-della-ddr-alleuropa-del-rigore-in-nome-del-dogma-mercantilista/

lunedì 14 luglio 2014

Israele/Palestina. Alle radici del conflitto - Joseph Halevi

L’occupazione della Cisgiordania, della striscia di Gaza e di Gerusalemme orientale nel 1967, mentre concretizzava gli obiettivi espansionistici verso tutta la Palestina storica tenuti in serbo da Ben Gurion durante il suo regno, faceva ribollire il pentolone, mai spento, ove cuoceva tutto l’armamentario ideologico sul mantenimento della superiorità numerica degli ebrei e quindi di un sempre possibile transfer. Fu proprio uno dei maggiori artefici delle espulsioni del 1947-‘48 e teorizzatore nel 1940 del trasferimento totale della popolazione palestinese fuori dalla sua terra a porre schiettamente il problema. In un articolo pubblicato sul giornale laburista “Davar” il 29 settembre del 1967 il vicepresidente del Fondo nazionale ebraico Joseph Weitz scrisse: “Nella Guerra dei sei giorni accadde un solo grande miracolo: una tremenda vittoria territoriale ma la maggioranza della popolazione di territori liberati [sic] è rimasta ‘fissa’ al suo posto, cosa che può causare la distruzione del nostro stato”. Quindi: “È di imperativa importanza che la pace venga stabilita sulla base di uno stato ebraico indipendente con una limitata minoranza non ebraica anche se ciò richiedesse cedere territori ottenuti e liberati una volta effettuate le modificazioni concernenti i confini esistenti e di quelli afferenti a tutta Gerusalemme. Ciò con lo scopo di rafforzare la sicurezza di Israele e la sua fisionomia e non, in alcun modo, con lo scopo di formare, in una maniera o nell’altra, uno stato palestinese”.
“La sinistra politica di ‘ingegneria demografica’ costituisce un’ulteriore manifestazione del razzismo israeliano. Per mantenere il ‘carattere ebraico’ o la ‘purezza’ dello stato d’Israele, i palestinesi sono stati presentati e trattati come se fossero una ‘minaccia demografica’. I ‘rimedi’ proposti includono il controllo forzato delle nascite e la ’gestione della popolazione’, il trasferimento di intere comunità fino agli schemi razzisti e punitivi di ‘separazione’ unilaterale attualmente discussi” (Hanan Ashrawi  - Discorso alla Conferenza di Durban)
È questo, forse, il più straordinario tra i destini di esilio: il fatto di essere stati esiliati da esiliati, di rivivere nel presente lo stesso processo di sradicamento per mano di chi l'esilio lo ha già subito. (Edward W. Said)

lunedì 7 luglio 2014

Sulla stagnazione del marxismo - Stefano Garroni


Qualche decennio fa, mi fu chiesto di scrivere sulla stagnazione del marxismo: il mio scritto fu pubblicato; penso si possa dire anche che fu letto e commentato da qualcuno. Tuttavia, riconsiderandolo oggi, ci si rende conto che in quella mia riflessione (che condivido ancora) mancava un punto essenziale.

Dal marxismo – dunque, da un pensiero eminentemente dialettico -, di fatto, è scaturita una tradizione radicalmente antidialettica: mentre Marx costruisce il suo pensiero in una fitta ed insistente messa a confronto critica con altre correnti di pensiero; mentre a leggerlo con attenzione non può sfuggire quanto egli debba a quegli altri con cui polemizza e come esattamente questa aderenza ai suoi obiettivi polemici si traduca in grande capacità analitica ed in duttilità, plasticità di un pensiero, che mai produce dogmatismi e secchi riduzionismi –ebbene, nonostante tutto ciò è proprio in nome di Marx, che la tradizione comunista ufficiale si è variamente impegnata a definire le due liste (proprie di ogni religione, si badi!) degli ortodossi e degli eterodossi, dei fedeli continuatori e dei perfidi deviazionisti, insomma, dei santi e degli eretici.

La crisi del campo socialista europeo, in realtà (lo si dica o non lo si dica), è anche la crisi di questo stravolgimento scolatico-dogmatico di un pensiero che, per parte sua, si iscrive, invece, e porta avanti una prospettiva dialettica di ragionamento.

Una conseguenza della sostituzione del marxismo con la sua smorfia dogmatico-positivistica è che si è perso il senso di quanto il pensiero di Marx e l’orientamento dialettico abbiano penetrato, influenzato, formato scuole di pensiero e tentativi di rinnovamento storico-sociale, diversi l’un dall’altro, ma salutarmene diversi –dacché è da questo tipo di diversità, che la riflessione scientifica, morale, filosofica, politica, effettivamente, progrediscono.

Si pensi, per citare un solo esempio, al ruolo giocato dal marxismo nel farsi di quella grande, grandissima cosa, che fu la cultura mitteleuropea dei primi decenni del Novecento (per fare un solo esempio, come sarebbe possibile L’uomo senza qualità di Robert Musil, senza il marxismo?); ma anche a quel nucleo di scienziati, che costruirono il Wienerkreis e dette luogo a modi di concepire e di fare scienza, che segnano ancora la nostra realtà quotidiana.

Ebbene, tra quel nucleo di scienziati e filosofi vi furono persone dichiaratamente socialiste e che collaborarono ai primi numeri dell’Enciclopedia sovietica –ma che da essa poi furono allontanati, mano a mano che si evidenziavano le tragiche conseguenze della cosiddetta teoria del socialismo in un paese solo. Ed è così che il neopositivismo divenne perfino la bandiera della cultura anti-comunista, anti-operaia, favorendo un distacco, anche politicamente dannosissimo, tra marxismo (irrigidito) e scienza moderna.

Sappiamo bene come un risvolto della ‘teoria’ del socialismo in un paese solo fu la trasformazione dei grandi partiti comunisti occidentali in formazioni, più o meno duttilmente, socialdemocratiche con risvolti, però, di dogmatismo staliniano.

Naturalmente a tutto questo non poteva non accompagnarsi la messa a tacere, di fatto, del Lenin che si interrogava sui pericoli di restaurazione capitalistica in Unione Sovietica; ed al suo posto, invece, la costruzione di una mitica immagine dell’Urss come dolce paese dei soviet, del socialismo realizzato, e non per quello che era –un paese, cioè, che cercava in tutti i modi di difendersi, in quanto paese non capitalistico, anche a costo di compromessi con l’imperialismo, durissimi da accettare e che si rovesciavano in danno per il movimento rivoluzionario internazionale (come in particolare mondo arabo e Latino-America ci apprendono)..

E’ così che si giunse, anche in Italia, ad una separazione tra cultura d’avanguardia –nel senso di moderna, innovatrice e non di bohéme- e forza comunista organizzata. Ed una conseguenza fu che quando la nuova organizzazione capitalistica mise in discussione professioni e ruoli codificati, da una parte si ebbe una spontanea ribellione studentesca e di gioventù operaia e, dall’altro, l’incupirsi in un senso sempre più socialdemocratico del Pci.

La protesta, dunque, non potette dotarsi di una direzione teorico-politica adeguata e fiorirono incredibili personaggi, oscillanti tra lotta armata e codismo socialista.

E’ così che si ebbe una seconda stagione dello stravolgimento del marxismo: in realtà, infatti, la cultura della nuova sinistra andò sempre più caratterizzandosi per l’accettazione di temi, che sono –da lunga tradizione (addirittura Hegel li criticava)- i motivi salienti della disgregata coscienza della borghesia, ormai incapace di far perfino la lode di sé.

E paradossalmente, da parte ‘comunista’ (a dir così) si riscoprirono le dogmatiche staliniste o un cultura cinese, di cui non abbiamo gli strumenti effettivi per giudicare. Insomma, è così che rinacquero miti, dogmi, scomuniche, ma non certo quello che è il succo dell’analisi dialettica e che Lenin aveva saputo così profondamente far operare sul piano politico.

Che fare ora?

La domanda è troppo grossa perché un singolo compagno possa rispondere. Certo, una cosa mi sento di dirla: ma siamo sicuri di conoscere Marx? Siamo sicuri di aver capito il senso della sua critica dell’economia politica e della prospettiva dialettica, entro cui egli operò?

Abbiamo capito che la chiusura del marxismo, in quanto ideologia dei paesi socialisti e dei partiti comunisti e non, invece, in quanto fuoco dialettico continuo, che non ha barriere e che tutto aggredisce, con tutto si confronta – che questa chiusura, dicevo, va fatta saltare per riprendere, con Marx, quella strada che porta oltre Marx? Siamo sicuri di aver capito tutto ciò?                                   https://drive.google.com/folderview?id=0B-1egZyIWQXDMmFwZ1FDS05lX0U&usp=sharing

domenica 6 luglio 2014

Sullo stato, idee a confronto - F. Engels, R. Hilferding


“La Comune dovette riconoscere sin dal principio che la classe operaia, una volta giunta al potere, non può continuare a governare la vecchia macchina dello Stato, che la classe operaia, per non perdere di nuovo il potere appena conquistato, da una parte deve eliminare tutta la vecchia macchina repressiva già sfruttata contro di essa, e dall’altra deve assicurarsi contro i propri deputati e impiegati, dichiarandoli senza nessuna eccezione e in ogni momento revocabili. [...]
Questa distruzi one del potere dello Stato esistente e la sostituzione ad esso di un nuovo potere, veramente democratico, è esaurientemente descritta nel terzo capitolo della Guerra civile. Era però necessario ritornar qui brevemente sopra alcuni tratti di essa, perché precisamente in Germania la superstizione dello Stato si è trasportata dalla filosofia nella coscienza generale della borghesia e perfino di molti operai. Secondo la concezione filosofica, lo Stato è la “realizzazione dell’Idea”, ovvero il regno di Dio in terra tradotto in linguaggio filosofico, il campo nel quale la verità e la giustizia eterna si realizza o si deve realizzare. Di qui una superstiziosa idolatria dello Stato e di tutto ciò che ha relazione con lo Stato, idolatria che si fa strada tanto più facilmente in quanto si è assuefatti fin da bambini a immaginare che gli affari e gli interessi comuni a tutta la società non possano venir curati altrimenti che come sono stati curati fino ad ora, cioè per mezzo dello Stato e dei suoi bene istallati funzionari. E si crede d’aver già fatto un passo estremamente audace, quando ci si è liberati alla fede nella monarchia ereditaria e si giura nella repubblica democratica. In realtà però lo Stato non è che una macchina per l’oppressione di una classe da parte di un’altra, e ciò nella repubblica democratica non meno che nella monarchia; e nel migliore dei casi un male che viene lasciato in eredità al proletariato riuscito vittorioso nella lotta per il predominio di classe e i cui lati peggiori non potrà fare a meno, subito, di eliminare nella misura del possibile, come fece la Comune, finché una nuova generazione, cresciuta in condizioni sociali nuove, libere, non sia in grado di scrollarsi dalle spalle tutto il vecchiume dello Stato.

Il filisteo socialdemocratico recentemente si è sentito preso da un salutare terrore sentendo l’espressione: dittatura del proletariato. Ebbene, signori, volete sapere come è questa dittatura? Guardate la Comune di Parigi. Questa era la dittatura del proletariato.“
 (Engels - introduzione de “La guerra civile in Francia”) 





 

venerdì 4 luglio 2014

Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni"



- Filosofia - Storia - Politica - Economia - http://it.wikipedia.org/wiki/Stefano_Garroni

Come collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni" stiamo pubblicando degli articoli audio/video di filosofia in Marx, Engels, Lenin, Trotsky, Stalin, Wittgenstein, Feuerbach, Proudhon, Aristotele, Platone, e tanto altro ancora.

Su facebook pubblichiamo articoli di Garroni e del collettivo:

come anche su questi siti/blog:

Per partecipare ai collettivi o per avere le trascrizioni testuali di alcuni audio, o informazioni di ogni genere o anche segnalazioni per eventuali errori è possibile contattarci scrivendo a mirkob979@hotmail.it

E' disponibile anche una lista degli incontri in formato word, con relativa descrizione degli argomenti trattati, personaggi citati e domande a cui si da una risposta. Con lo strumento "trova" di word sarà possibile individuare comodamente l'argomento che vi interessa e il relativo file in cui se ne parla.

Sempre a nome del collettivo abbiamo pubblicato:

 "Riproposte dialettiche. Merce denaro partito"

 "Ricerche marxiste"

 "Ripensare Marx"

 Sono acquistabili su internet (contattateci per sapere il sito), oppure possiamo inviarli tramite posta.

Per qualsiasi informazione, siamo a vostra completa disposizione.

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"La tv non va guardata per credere a ciò che ci dicono, ma per capire cosa vorrebbero farci credere"

"Ogni sistema sociale adotta delle sue forme che racchiude entro certi limiti: così come in URSS non era possibile parlare di privatizzazione dei mezzi di produzione, alla stessa maniera in USA non è possibile parlare di statalizzazione"

"E' chiaro che se io uso l'espressione "memoria storica", quello che suggerisco è che la storia appartiene al passato, è qualcosa di cui si deve aver memoria. Il che è una falsificazione perché la storia è costitutiva del presente, quindi se io relego la storia nel passato, quello che sto facendo è impedire una comprensione del presente, perché è nel PRESENTE che vive la storia."

"La filosofia è il momento più alto di presa di coscienza da parte dell'uomo dei modi, delle forme, delle regole, della grammatica dell'esperienza storica. Quindi è il processo di COSTRUZIONE della razionalità umana come presa di coscienza delle procedure fondamentali delle regole dello svolgimento della storia. Per svolgimento della storia ovviamente intendo svolgimento del rapporto tra l'uomo, la società e la natura. "

"Ma la stragrande maggioranza della gente ovviamente è ignorante. Come si fa una cultura? Come capisce che cosa significa organizzare e dirigere, se non attraverso una esperienza organizzativa? Cioè il partito è un elemento fondamentale per un elevamento della coscienza di massa. Non può esserci una democrazia SENZA l'organizzazione dei partiti. Una democrazia che distrugge i partiti vuol dire uno Stato che prende persone ignoranti, abbandonate nel loro individualismo e poste di fronte ai grandi problemi. La politica come momento di organizzazione, di discussione, di acquisizione di esperienza; ha una funzione di mediazione tra teoria e ideologia, e quindi non c'è dubbio che più si avrà un precipitare nella miseria ideologica, e meno sarà ricca l'organizzazione politica."

"Quando quegli aristotelici discutevano della dimostrabilità o meno dell'esistenza di Dio, attenti che non stanno discutendo di Dio, ma stanno discutendo del modo di concepire la scienza, stanno discutendo di che cosa significa DIMOSTRARE ".

"Non posso parlare di diritto se non facendo astrazione dalle differenze, ma esiste un caso determinato la proprietà degli strumenti di produzione, del capitale in cui prescindere dalle differenze significa imbrogliare, significa far finta che proprietario di se stesso e proprietario di capitale siano entrambi proprietari e quindi creare una apparente uguaglianza che in realtà si rovescia nel privilegio del capitalista. E allora ecco che questo pensiero giuridico formale diventa un puntello, una legittimazione del privilegio capitalistico".

"Non è possibile, come in anni passati si cercò di fare, separare l'essere marxista in quanto persona che si serve di certi strumenti di analisi sociale dall'essere ateo, perché il succo fondamentale del marxismo è questo: non c'è un altro mondo e la partita della giustizia si gioca qua, e siamo chiamati tutti insieme a giocarla qua. Cioè l'ateismo fa parte organica del marxismo".

"Immaginiamo due oratori: un oratore che sappia parlare con il cuore in mano e riscaldare la gente, e un oratore come era Togliatti per es., molto freddo, analitico. È questo secondo che va scelto. Perché è quello analitico che non fa appello ai sentimenti ma fa appello alla capacità critica."

La negazione della proprietà capitalistica*

*Da:   http://www.international-communist-party.org


...tre distinzioni terminologiche: beni strumentali e di consumo – proprietà e impiego dei primi e dei secondi – proprietà privata, individuale, sociale.

La prima distinzione è oramai corrente anche nella economia comune. I prodotti dell’attività umana o servono al diretto consumo, come un cibo o un indumento; ovvero sono adoperati in altre operazioni lavorative, come una zappa, una macchina. Non sempre la distinzione è facile, e vi sono casi misti; comunque tutti capiscono quando distinguiamo i prodotti tra beni di consumo e beni strumentali.

La proprietà sul bene di consumo al momento del suo impiego, sarebbe bene non chiamarla col termine di proprietà, sia pure seguito dagli aggettivi: personale, individuale. Essa consiste nel rapporto per cui chi sta per sfamarsi tiene in mano il cibo e nessuno vieta che lo porti alla bocca. Anche nelle scienze legali tale rapporto non si definisce bene come proprietà, ma come possesso. Il possesso può essere di fatto e materiale, ovvero anche di diritto e legale, ma implica sempre il "tenere nel pugno", la fisica disposizione della cosa. La proprietà è il rapporto per cui si dispone di una cosa, senza che si debba tenerla nelle mani, per effetto titolare di un pezzo di carta e di una norma sociale.

La proprietà sta al possesso come in fisica l’actio in distans di Newton sta all’azione di contatto, alla diretta pressione. Siccome anche nel termine possesso entra un valore giuridico, potremmo provare, per questo concetto pratico del poter mangiare il pezzo di pane o calzare le scarpe, ad usare il termine "disponibilità" (dato che il termine "disposizione" dà 1’idea di schieramento, ordinamento, che appartiene ad altro campo).

Riserveremo il termine proprietà ai beni strumentali: utensili, macchine, opifici, casa, terra, etc.
Chiamando proprietà anche la disponibilità, ad esempio, del proprio abito o della propria matita, Il Manifesto del Partito Comunista dice che i comunisti vogliono abolire la proprietà borghese, non la proprietà personale.
Terza distinzione: privato, individuale, sociale. 

Diritto, potere privato su di una cosa, su di un bene, consumabile o strumentale (e, prima, anche sulle persone e le attività di altri uomini) significa diritto non esteso a tutti, ma riservato ad alcuni soltanto. Prevale nel termine privato, anche letteralmente, il valore negativo; non la facoltà di godere della cosa, bensì quella di privare gli altri – colla tutela della legge – del godimento di essa. Regime di proprietà privata è quello in cui sono proprietari alcuni, e moltissimi altri non lo sono. Nella lingua del tempo di Dante gli "uman privati" sono le latrine, luogo ove è norma che regni un solo occupante, buon simbolo delle olezzanti ideologie del borghese.

Proprietà individuale non ha lo stesso senso di privata. La persona, l’individuo, sono pensati dai... benpensanti come persona borghese, individuo borghese (Manifesto). Ma avremmo un regime di proprietà individuale solo quando ogni individuo potesse raggiungere la proprietà su qualche cosa, il che in tempo borghese di fatto non è, malgrado le ipocrisie legali, né per gli strumenti, né per i beni di consumo.

Proprietà sociale, socialismo, è il sistema in cui non vi è più rapporto fisso tra il bene di cui si tratta, e una determinata persona o individuo. In questo caso sarebbe bene non dire più proprietà, poiché 1’aggettivo proprio si riferisce ad un soggetto singolo e non alla universalità. Comunque, si parla ogni giorno di proprietà nazionale e statale, e noi marxisti parliamo, per farci intendere, di proprietà sociale, collettiva, comune.

Seguiamo ora le tre fasi sociali e storiche presentate in sintesi da Marx a coronamento del primo tomo de Il Capitale.
Lasciamo da parte le precedenti epoche di schiavismo e di pieno feudalesimo terriero, in cui, sul rapporto di proprietà tra uomo e cosa, prevale il rapporto personale, tra uomo e uomo.

Prima fase. Società della piccola produzione, artigiana per i manufatti, contadina per l’agricoltura. Ogni lavoratore, della bottega e della terra, in che rapporto è con i beni strumentali di cui si serve? Il contadino è padrone del suo fondicciuolo, l’artigiano dei suoi semplici attrezzi. Dunque disponibilità proprietà del lavoratore sui suoi strumenti di produzione. Ogni lavoratore in che rapporto è coi suoi prodotti, del campo o della bottega? Ne dispone liberamente, se sono beni di consumo li adopera come vuole. Allora diremo con esattezza: proprietà individuale sui beni strumentali, disponibilità personale dei prodotti.

Seconda fase. Capitalismo. Entrambe queste forme vengono negate. Il lavoratore non ha più in proprietà terra, bottega o arnesi. Gli strumenti di produzione sono divenuti proprietà privata di pochi industriali, dei borghesi. Il lavoratore non ha più alcun diritto sui prodotti, siano essi anche beni di consumo, che sono a loro volta divenuti proprietà del padrone della terra o della fabbrica.

Terza fase. Negazione della negazione. "Gli espropriatori vengono espropriati" non nel senso che si espropriano i capitalisti delle officine e delle terre per ripristinare una generale proprietà individuale dei beni strumentali. Questo non è socialismo, è la formula "tutti proprietari" dei piccoli borghesi, oggi dei piccisti. I beni strumentali diventano proprietà sociale, poiché vanno "conservate le acquisizioni dell’era capitalistica" che hanno fatto della produzione un fatto"sociale". Cessano di essere proprietà privata. Ma per i beni di consumo? Questi sono messi dalla società a disposizione generale di tutti i consumatori, ossia di qualunque individuo.

Nella prima fase dunque ogni individuo era un proprietario di piccole quantità di strumenti produttivi, e ogni individuo aveva una disponibilità di prodotti e beni di consumo. Nella terza fase ad ogni individuo è vietata la proprietà privata sui beni strumentali, che sono di natura sociale, ma gli è assicurata la possibilità – che il capitalismo gli aveva tolta – di avere sempre una disponibilità su beni di consumo. Questo significa che, con la proprietà sociale delle macchine, delle fabbriche ecc., è rinata – ma quanto diversa! – la "proprietà individuale" di ogni lavoratore su una quota di prodotti consumabili che esisteva nella società artigiano-contadina, precapitalistica, rapporto non più privato,rapporto sociale.

[Se sussistesse il minimo dubbio sulla nostra interpretazione delle parole di Marx sul "ristabilirsi della proprietà individuale", ed anche sullo stretto rigore della continuità nella terminologia marxista, basterà a disperderlo la citazione da un testo di altra data e di altro tema, Le guerre civili in Francia«... Non appena gli operai prendono decisamente la cosa nelle loro mani, ecco levarsi tutta la fraseologia apologetica dei portavoce della società presente con i suoi due poli del capitale e della schiavitù salariale, come se la società capitalistica fosse ancora nel suo stato più puro di verginale innocenza, con i suoi antagonismi non ancora sviluppati, con i suoi inganni non ancora sgonfiati, con la sua meretrice realtà non ancora messa a nudo. La Comune, essi esclamano, vuole abolire la proprietà, base di ogni civiltà! Sissignori, la Comune voleva abolire quella proprietà di classe che fa del lavoro di molti la ricchezza di pochi. Essa voleva 1’espropriazione degli espropriatori. Voleva fare della proprietà individuale una realtà, convertendo i mezzi di produzione, la terra e il capitale, che ora sono essenzialmente mezzi di asservimento e sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di lavoro libero e associato. Ma questo è il comunismo, l’“impossibile” comunismo!»].

Le due negazioni in senso inverso non ci hanno ricondotto al punto di partenza della economia, della produzione sparpagliata, molecolare, ma molto più oltre e più in alto, alla gestione comunistica di tutti i beni, in cui, alla, fine, i termini diproprietà, di bene, di quota personale non avranno più alcuna ragione di impiego. 

Leggi tutto:      http://www.international-communist-party.org/Italiano/Conoscen/50Metodo.htm 

mercoledì 2 luglio 2014