mercoledì 30 maggio 2018

Sui limiti della prospettiva dialettica di Hegel e di Marx - Stefano Garroni

Dal sito Dialegesthai ! (19 luglio 2002).  - Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - https://www.facebook.com/groups 

Negli anni Venti del nostro secolo, il neopositivista Moritz Schlick sottolineava come conoscere (erkennen) sia propriamente un ri-conoscere (wieder-erkennen). 

Com’è noto, questo tema del conoscere come riconoscere già lo abbiamo incontrato in Hegel; dunque, può destare qualche meraviglia ritrovarlo in un ambiente (quello neo-positivista), che di solito considera Hegel il campione del pensiero speculativo e metafisico, contro cui si indirizza l’analisi linguistica, proposta, a partire dal Wienerkreis (Circolo di Vienna, 1929), quale strumento terapeutico contro gli abusi linguistici [1] e di pensiero.

La stessa puntualizzazione, che chiarisce come per Hegel non si tratti esattamente di erkennen/wiedererkennen (riconoscere), ma sì di erkennen/anerkennen (riconoscere, ma nel senso di legittimare), non ci toglie dall’imbarazzo, dato che M. Schlick usa wiedererkennen, intendendo dire che <conoscere X> equivale a ritrovare in X la possibilità di ricondurlo a una certa forma o regola, nella quale la ragione ritrova o riconosce se stessa; dunque, per Schlick, affermare che la ragione conoscendo, riconosce X, significa dire che la ragione legittima X, testimonia della sua razionalità, lo accetta nel dominio del razionale. 

A questo punto wiedererkennen vale esattamente anerkennen. [2]

Da quanto detto, si possono ricavare due conseguenza: 

(i) comune a due grandi momenti del razionalismo moderno (pensiero di Hegel e Wienerkreis [3]) è la concezione del conoscere (che ha nella scienza la sua espressione più compiuta [4]) come riconoscere/legittimare; 

(ii) ciò posto, possiamo esaminare il tema nel solo Hegel, pur avendo lo scopo di mettere in evidenza come conoscere/riconoscere implichi certe condizioni, che valgono probabilmente per qualunque razionalismo moderno.

In Hegel, anerkennen (riconoscere/legittimare) gioca -non per caso- un ruolo importante sia in ambito epistemologico [5], sia in ambito etico-politico. 

Perché? Rispondere ci obbliga ad un breve détour. 

lunedì 28 maggio 2018

"La multinazionale ecumenica" - Eugenio Cefis

E' proprio vero... Oggi in rete si può trovare di tutto. Dalle più insignificanti banalità a qualche notiziola niente male e molto poco conosciuta. Quando, un po' per fortuna e un po' per cocciutaggine, ci si incappa nella notiziola, si rimane stupiti del fatto che nessuno ne abbia parlato in modo adeguato e per così lungo tempo...   E' il caso di questo scritto, datato 1972 eppure così attuale, che riporta fedelmente, con qualche breve commento, il discorso ufficiale tenuto alla Accademia Militare di Modena da un grande burocrate/imprenditore/e altro ancora dell'epoca, sicuramente tra i maggiori in importanza: Eugenio Cefis. Dell'importanza delle parole e delle idee enunciate non c'è bisogno di aggiungere alcunchè in più di quello che si legge. Piuttosto c'è da chiedersi come mai gli eventi seguenti fino ai nostri giorni abbiano rigorosamente rispettato le aspettative e le certezze di chi parlava e, nonostante fosse cosa di dominio pubblico, nessuno abbia saputo (o voluto?) contrastarne gli esiti. La lettura di questo stupefacente discorso, che potrebbe essere affiancato, per la grandiosità del processo tratteggiato se non per gli effettivi contenuti, all’orwelliano “1984”, apre il campo a una domanda che non può essere elusa: qual era, in quegli anni, la consapevolezza che le organizzazioni storiche del movimento operaio avevano della grande trasformazione in atto? O meglio: poiché è impossibile pensare che il PCI o la CGIL non si rendessero conto di ciò che stava avvenendo, quali furono le conseguenze politiche e strategiche che ne trassero? Chi ha vissuto quegli anni - che per molti di noi coincidono con la terribile vicenda cilena e, successivamente, con la sconfitta dei minatori in Inghilterra- ricorda senz’altro le due principali parole d’ordine che ispiravano la politica comunista di allora: la difesa della democrazia e la strategia del compromesso storico, strettamente e reciprocamente connesse. Da parte sindacale, CGIL in testa, furono gli anni della politica dei sacrifici e della cosiddetta “svolta dell’EUR”(https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/04/1978-la-svolta-delleur.html), che insieme censì e rafforzò l’ideologia del salario come variabile dipendente dal profitto e quella dell’”impresa al primo posto”, di cui il “patto fra i produttori” fu la trascrizione nel linguaggio neo-corporativo che in quell’epoca prese ad affermarsi. Oggi, dopo quasi un cinquantennio, è fin troppo facile prendere atto dell’inveramento della lucida e spaventosa profezia di Cefis; e, sciaguratamente, è altrettanto facile comprendere come i tentativi di governare “da sinistra” il capitalismo italiano abbiano portato, in ultima analisi, ad uno spietato e totalitario governo “da destra” dei processi produttivi e del destino stesso della classe operaia. 
Riprendendo il commento finale di Giorgio Radice: "...quando in un gioco (nella lotta di classe) si cambiano le poste, si rialzano, cambiano anche tutte le regole: inevitabilmente. Cefis, ai suoi amici militari, ha cominciato a spiegare quali possano essere le nuove". 
Ai lavoratori d'allora e a quelli di oggi nessuno ha mai spiegato nulla... (Il collettivo) 

venerdì 25 maggio 2018

Riflessioni 14... - Stefano Garroni



Hegel e Feuerbach.


Nelle parti fin qui svolte della nostra ricerca, ci siamo imbattuti in alcune difficoltà, in qualche punto, che abbisognano di maggior chiarezza. Ad es., abbiamo visto accostare la critica, che Marx muove allo Hegel a quella, che lo stesso muove a Feuerbach, in relazione al tema (religione e) feticismo. Il risultato di ciò è che rischia di falsarsi il senso di quelle pagine giovanili, in cui Marx fa i conti sia con la Fenomenologia hegeliana, che col pensiero di Feuerbach appunto. Entriamo nel merito.

L’impegno con i contenuti del vecchio mondo ci distrae dal porci la domanda – solo apparentemente formale, ma in realtà essenziale: <che rapporto stabiliamo con la dialettica hegeliana?>

Feuerbach – nelle sue Tesi e nella Filosofia dell’avvenire - ha rovesciato dalla radice la vecchia dialettica e la vecchia filosofia (Marx, 1702: 108).(1) Feuerbach è l’unico, che abbia un serio rapporto critico con la dialettica hegeliana e che, in questo ambito, abbia fatto autentiche scoperte: Feuerbach è l’autentico trionfatore sulla vecchia filosofia. (Marx, 1702: 109). 

In proposito, è interessante richiamare una pagina di Gramsci(2):

“Nelle Lezioni di filosofia della storia, Hegel spiega che il principio della volontà formale, della libertà astratta, secondo cui <la semplice unità dell’autocoscienza, l’Io, è la libertà assolutamente indipendente e la fonte di tutte le determinazioni universali>, <rimane presso i Tedeschi una tranquilla teoria, ma i Francesi vollero eseguirlo praticamente>. Il passo di Hegel pare assai … importante come ‘fonte’ del pensiero espresso nelle tesi su Feuerbach che “i filosofi hanno spiegato il mondo e di tratta ora di mutarlo”.

Come si vede, anche Gramsci è ben convinto che, nelle Tesi, il nucleo teorico fondamentale (se si vuole, il messaggio filosofico da accogliere) è quel nesso filosofia-praxis(3). 

---------------

(1) - E’ “talmente privo di coscienza il rapporto del nuovo movimento critico con la dialettica e filosofia di Hegel, che critici suoi, come Strauss e B. Bauer, in realtà restano del tutto prigionieri della logica hegeliana.” (Kritik der Hegelschen dialektik und Philosophie überhaupt, in K. Marx, „Texte zu Methode und Praxis II. Pariser Manuskripte 1844, Rororo 1966: 107). La si noti bene questa osservazione, perché in realtà gran parte della critica di Marx sarà rivolta, appunto, contro l’hegelismo’ – in particolare ‚di sinistra’ -, più che contro Hegel propriamente.

(2) - A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Torino 1952: 66.

(3) - Nel senso non di un generico <fare>, ma di un agire capace di modificare il rapporto dell’ uomo con la società e la natura. Uno dei presupposti essenziali della hegeliana <realizzazione della filosofia> è che esteriorizzarsi è essenziale alla realtà - … “Lo spirito/Geist è attività nel senso, in cui gli Scolastici dicevano di dio che è assoluta attuosità. Ma poiché lo spirito è attivo, allora si esteriorizza. Non bisogna, dunque, esaminare lo spirito come un ente senza processo, come avveniva nella metafisica antica, la quale divideva l’interiorità di dio aprocessuale dalla sua processualità. Lo spirito/Geist va esaminato essenzialmente nella sua concreta realtà, nella sua energia e le sue esteriorizzazioni vanno riconosciute come determinate dalla sua interiorità.” (Hegel,Enzyklopödie der philosophischen Wissenschaften.1: 101). L’attività (Tätigkeit), scrive Hegel in Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie.2 Suhrkamp 1971), è anche cambiamento, ma cambiamento che resta identico a sé; è cambiamento, ma posto all’interno dell’universale, come il cambiamento che è uguale a sé; è, insomma, un determinare che è un determinar se stesso.”; “nel semplice cambiamento non è contenuto il fatto di mantenersi nel movimento. L’universale è attivo, si determina; e lo scopo è l’autodeterminarsi e, così, realizzarsi. Questa è la determinazione fondamentale, che l’universale si vede riconosciuta con Aristotele.” (op.cit..2). A questo proposito torna utile anche richiamare un altro testo: “Marx non è stato mai rigorosamente feuerbachiano – leggiamo in L. Goldmann: l’evoluzione del suo pensiero si è compiuta tuttavia all'interno di una corrente intellettuale precisa ed abbastanza ben definita: i radicali tedeschi, per la maggior parte neo-hegeliani, movimento per la cui evoluzione l'apporto feuerbachiano ha costituito una delle svolte più importanti. Questo contributo potrebbe essere schematizzato in due idee fondamentali: I. La critica del pensiero religioso e della speculazione filosofica, e l'esigenza di ricondurre queste due forme di coscienza e di rappresentazione del mondo alla loro essenza reale e terrena: la sensibilità, il bisogno e le aspirazioni dell'uomo concreto. 2. La definizione di quest'uomo concreto come avente bisogno dell'Altro e non esistente che nella relazione tra l'I0 e il Tu, relazione che Feuerbach concepiva fondamentalmente sul modello familiare, basata sull'amore nella sua autenticità.” (Goldmann, L'Ideologia tedesca e le Tesi su Feuerbach. 1969: 16).

venerdì 18 maggio 2018

GLI INIZI DELLA "NUOVA LETTURA" DI KARL MARX - R. Bellofiore, M. Cingoli, V. Morfino, F. Ranchetti

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - GLI INIZI DELLA "NUOVA LETTURA" DI KARL MARX IN GERMANIA: HANS-GEORG BACKAUS E ALFRED SCHMIDT
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/sulla-nuova-lettura-di-marx-riccardo.html

Presentazione dei volumi:
Hans-Georg Backhaus, Ricerche sulla critica marxiana dell'economia a cura di Riccardo Bellofiore e Tommaso Redolfi Riva, (Punto Rosso, 2018).
e
Alfred Schmidt, Sul concetto di natura in Marx a cura di Riccardo Bellofiore, (Punto Rosso, 2018)

giovedì 17 maggio 2018

Il Partito comunista del Venezuela e le prossime elezioni - Alessandra Ciattini


Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.




Il Partito comunista del Venezuela e il Partito socialista unito del Venezuela hanno stipulato un patto per rispondere alla crisi del paese.


I nostri media dedicano spazio alla crisi venezuelana demonizzando il successore di Chávez, Nicolás Maduro, e descrivendo l’attuale situazione sociale come catastrofica e provocata dalle misure prese dal chavismo. Eppure, se si prestasse attenzione a quello che sostengono alcuni tra i fautori della Rivoluzione bolivariana, come il Partito comunista del Venezuela, si avrebbero idee più chiare sul paese che è stato dichiarato da Obama una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti e che continua ad essere la bestia nera per il potente vicino. E ciò forse perché – come ricorda sempre nei suoi programmi televisivi Walter Martínez – le sue riserve petrolifere sono molto vicine agli Stati Uniti.

Si potrebbe certo affermare che i nostri media non si preoccupano di approfondire e si limitano a seguire ossequiosamente e a divulgare le opinioni di Washington al riguardo, dal momento che mai metteranno in discussione – come Di Maio insegna – il filo doppio che ci lega all'Alleanza atlantica, anche se in questo modo finiremo prima o poi con lo strozzarci.

martedì 15 maggio 2018

Riflessioni 13... - Stefano Garroni

Da: Da: mirko.bertasi Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - https://www.facebook.com/groups
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/05/riflessioni-12-stefano-garroni.html


ANALOGIA TRA RUSSELL E MARX

Così leggiamo nella Introduzione alla filosofia matematica di Betrand Russell:

“La matematica è una disciplina che può essere sviluppata, partendo dai suoi aspetti più familiari in due opposte direzioni. La direzione più comune è costruttiva e procede verso una complessità gradualmente crescente: dai numeri interi alle frazioni, ai numeri reali e ai numeri complessi; dall’addizione e dalla moltiplicazione al  calcolo differenziale e integrale, e avanti ancora verso l’alta matematica.

L’altra direzione, che è meno comune, procede per analisi verso una sempre maggiore astrazione e semplicità logica; invece di chiederci cosa possiamo stabilire e dedurre servendoci dei concetti iniziali, ci chiediamo quali idee e principi più generali possiamo trovare basandoci su quello che era il nostro punto di partenza  La filosofia della matematica segue la seconda strada.”

Dunque, il primo metodo matematico è quello che costruisce ‘edifici’ complessi avendo alla base gli elementi più conosciuti e famigliari.

Il secondo metodo – che è quello dell’alta matematica - assume gli elementi più comuni e conosciuti quali oggetto di una analisi logica sempre più sottile, fino ad arrivare ad elementi semplicissimi, da cui ripartire.

Nell’Introduzione del 1857 alla sua “Critica dell’economia politica” (Marx) critica la procedura tipicamente illuministica di iniziare l’analisi economica, partendo del dato immediato dell’individuo che,  novello Robinson Crosuè, costruisce mano a mano la propria vita economica.
L’economia politica borghese, dunque, prende le mosse dal dato semplice e famigliare dell’individuo  che, con le sue scelte, si costruisce una vita economica, un sistema complessivo di rapporti economici (per es. assoggettando Venerdì).

L’analogia con il primo metodo della matematica sembra lampante, indubbia anche nel caso dell’economia politica, infatti, il dato di partenza è il più comune e famigliare e funge da base per indirizzarsi verso complessità crescenti.

Senonché Marx critica questo metodo, proponendo al suo posto l’analisi del dato famigliare e comune, fino a arrivare ad astrazioni sempre più semplici che, riannodandosi tra loro, non solo costruiscono l’intero edificio economico, ma anche permettono di coglierne la determinatezza, il suo esser quell’ edificio economico e non un altro (storicamente).

E’ questo un caso di analogia tra Russell  e Marx (mediato da Hegel, autore, che Russell riconobbe di aver equivocato a prima lettura)?

giugno 2012 

giovedì 10 maggio 2018

Karl Marx: Il capitalismo e la crisi - Vladimiro Giacchè

Da: https://independent.academia.edu/VladimiroGiacch%C3%A9 - vladimiro-giacche è un filosofo ed economista italiano.


Premessa

Immaginiamo di incontrare un tipo che fa discorsi strani. Che dice che la crisi non è un’eccezione, ma la norma. Che questa crisi non è stata causata né da qualche speculatore troppo avido, né da qualche proprietario di casa troppo credulone. E neppure dalla nuova casta dei banchieri, dai governatori delle banche centrali e dagli analisti delle società di rating. E non perché tutti costoro siano innocenti,ma per un motivo più profondo. Perché la crisi non è un infortunio del nostro sistema economico, ma il prodotto delle sue leggi di funzionamento più elementari. Del modo in cui nella nostra società sono ripartite la proprietà e la ricchezza, si scambiano le merci e si adopera il denaro. 

Immaginiamo che questo tizio, sfruttando il nostro sconcerto,si faccia sempre più insolente. E affermi che la crisi non solo non è un problema per il sistema, ma è il solo modo attraverso cui il sistema può risolvere i propri problemi, e riprendere a funzionare senza intoppi. Anche se comunque il suo funzionamento regolare è soltanto una tregua, più o meno breve, prima della prossima crisi. 

Immaginiamo di superare il fastidio e l’imbarazzo, e di chiedergli chi gli dia il diritto di raccontarci tutte queste sciocchezze. E che lui ci risponda che tutto questo l’ha inteso, dimostrato e scritto in prima persona. Osservando le crisi di 150 anni fa e scrivendone su un quotidiano degli Stati Uniti, dopo essere stato espulso per attività sovversive da Germania, Belgio e Francia. E poi chiuso a studiare nella British Library di Londra, o a scrivere nella sua casa traboccante di libri e assediata dai creditori. 

Chiunque non dia per scontato che questo tipo sia un folle potrà trovare qualcosa di interessante in questo libro.


Karl Marx e le crisi del XXI secolo

A quanto pare non è proprio possibile liberarsi di Marx. E dire che sembrava fatta. Appena venti anni fa, con il crollo dei regimi dell’est europeo e la vittoria del capitalismo in salsa thatcheriano-rea-ganiana, anche su Marx e le sue teorie sembrava calato definitivamente il sipario. L’ennesima «crisi del marxismo» era in scena già dai primi anni Ottanta, ma ora, con la fine ingloriosa dell’Unione Sovietica, sembrava che non sarebbe andata come tutte le altre volte. La pagina del marxismo sembrava definitivamente voltata, egli scritti di Marx destinati agli storici e a un pugno di nostalgici fuori dal tempo. I volumi dell’edizione delle opere di Marx ed Engels che nella ex Berlino Est dei primi anni Novanta affollavano le bancarelle dei libri usati tra il disinteresse dei passanti sembravano la riprova più chiara di questo destino.Purtroppo, però, per risolvere ed eliminare le contraddizioni del reale non basta sostenere che esse non esistono. E questo vale per gli individui come per le società. La società capitalistica dei nostri tempi non fa eccezione.

E così, nel 2007, è arrivata la crisi: la peggiore dal 1929 in avanti. Il capitalismo tronfio e trionfante degli ultimi decenni, con il suo sano egoismo generatore e dispensatore di ricchezza per tutti, con le sue capacità auto regolative superiori a ogni goffa imposizione di regole dall’esterno, ha così ceduto il passo a un insieme di meccanismi inceppati, che hanno bisogno di fiumi di denaro degli Stati per tornare malamente a funzionare. Risultato: l’immagine che oggi il capitalismo dà di sé è quella di un sistema in cui ingiustizie intollerabili vanno di pari passo con una drammatica inefficienza nell’allocazione delle risorse.Si capisce, quindi, il disorientamento nelle folte schiere dei suoi seguaci, sia nel mondo dell’economia che in quello della politica e dell’informazione. Ma quanto sta accadendo non è un fatto che riguardi soltanto le cerchie ristrette degli addetti ai lavori.

Molte delle certezze su cui erano state edificate la visione del mondo e la filosofia della storia diffuse a livello di massa negli ultimi decenni sembrano oggi – se non proprio in frantumi – quantomeno incrinate. Per capire i motivi del rinnovato interesse nei confronti di Marx bi-sogna partire da qui: da queste certezze che non sono più tali. [...]

Leggi tutto: https://www.academia.edu/36567619/Karl_Marx_Il_capitalismo_e_la_crisi._Scritti_scelti_a_cura_di_Vladimiro_Giacch%C3%A9_Roma_DeriveApprodi_2009.pdf

mercoledì 9 maggio 2018

Riflessioni 12... - Stefano Garroni

Da: Da: mirko.bertasi Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - https://www.facebook.com/groups 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/04/riflessioni-11-stefano-garroni.html


La nazionalizzazione delle banche, secondo Lenin.

Nel 1917, ma prima dell’ottobre, in un articolo Lenin illustra la sua proposta di nazionalizzazione delle banche. Esaminare la ‘logica’ di tale proposta serve, pare a me, per comprendere la natura degli obiettivi politici, delle parole d’ordine, che Lenin propone al proletariato ed ai suoi alleati (contadini e piccola borghesia).

In primo luogo, Lenin  sottolinea che la nazionalizzazione delle banche – ovvero la loro espropriazione e unificazione in un’unica banca di Stato - consentirebbe a quest’ultimo effettivamente di regolare e controllare la vita economica, sapere esattamente quali sono le risorse del paese e come e quanti profitti vengono ottenuti.

Ottenuti da chi?

E qui la parola d’ordine della nazionalizzazione delle banche comincia ad apparire tutt’affatto diversa da una proposta neutra, interclassistica.

Certamente, infatti, la nazionalizzazione delle banche renderebbe più fluida la vita economica, pur non togliendo “neanche un copeco” ai capitalisti (ed in questo senso potrebbe anche non essere avversata da questi ultimi); ma appunto consentirebbe allo Stato un controllo dell’attività bancaria (anche attraverso i soviet degli impiegati e dei funzionari di Banca) e, dunque, sarebbe uno strumento essenziale per un’economia pianificata e non orientata verso il profitto individuale.

La ‘logica’, dunque, di questa parola d’ordine, a tutta prima motivata da semplici motivi di efficienza, si mostra legata all’ottenimento di un altro obiettivo, ovvero, il centrale ruolo dello Stato in sede economico-sociale; se dunque la nazionalizzazione di cui parliamo sarebbe una riforma, profonda ma che non costerebbe “neanche un copeco”, avrebbe tuttavia in sé la necessità di ampliarsi, ad es. richiedendo la nazionalizzazione degli istituti assicurativi e perfino delle coalizioni ed intrecci fra grandi gruppi economici.

Dunque, nazionalizzazione delle banche come obiettivo, immediatamente accettabile anche da parte borghese (per motivi di efficienza), ma che, per sua stessa natura, ha la necessità di invadere altri campi – appunto, la nazionalizzazione degli istituti assicurativi ed il ruolo decisivo dello Stato nell’organizzazione, regolamentazione e controllo della vita economica.

Dunque la parola d’ordine leninista, per un verso corrisponde a una necessità obiettiva, ad un bisogno reale di tutti coloro che hanno a che fare con le banche (in questo senso non è una parola d’ordine immediatamente anticapitalistica), per un altro verso, si tratta di una parola d’ordine, che è sollecitata dalla sua stessa natura ad allargarsi ad altri ambiti, fino ad assumere un carattere certamente anticapitalistico.

E’ proprio questo tipo di parola d’ordine, che riceve il nome di obiettivo transitorio e non di obiettivo intermedio.

novembre 2012 

lunedì 7 maggio 2018

Ma il “popolo” ha sempre ragione? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.



Non è sufficiente affidarci alle opinioni del “popolo” per intraprendere una politica trasformatrice. 


Credo che si debba rispondere in maniera negativa a questa domanda e cercherò di argomentare brevemente le mie ragioni.
Prima di tutto tentiamo di chiarire cos’è il “popolo”, concetto i cui contenuti non sono mai indicati da chi si riempie la bocca di questa parola e che invece bisogna specificare, se non vogliamo proclamare soltanto degli slogan, magari ad effetto ma assai poco incisivi sullo stato delle cose.
Nella tradizione marxista classica il popolo è sempre stato considerato un conglomerato di gruppi sociali assai differenti tra loro (operai, contadini, piccoli borghesi, intellettuali etc.) e talvolta addirittura in contrasto, che tuttavia, in talune occasioni, si è potuto agglutinare ed orientare verso obiettivi unificanti. Ma per essere tali, questi ultimi sono spesso risultati vaghi e non specificati, altrimenti come si potrebbero unire gruppi così disparati, se non con una complessa operazione che individui un decisivo tratto unificante? In questa direzione andava la determinazione di classe.
Non è un caso che il termine “popolo” è ampiamente usato in maniera retorica da uomini politici che hanno idee assai diverse sul come organizzare la vita sociale, o da coloro che si rifiutano di specificare il loro orientamento [1], dichiarandosi estranei sia alla destra che alla sinistra. In effetti, in quest’ultimo caso, quanto mai attuale, il popolo si presenta e viene presentato come un’entità interclassista, che mette insieme i sottomessi, gli scontenti, gli underdog(perdenti), come li chiama Ernesto Laclau, il più celebre teorico del populismo. Anche quest’ultimo ritiene che il popolo abbia alle sue spalle gruppi diversi (lavoratori, disoccupati, donne, omosessuali etc.), portatori di domandeinsoddisfatte, che vengono raccolte in un insieme senza che una di queste sia determinante e che, per questa ragione, è complicato concretare in maniera dettagliata. A suo parere da questo processo di congiunzione – direi posticcia scaturirebbe il popolo che si troverebbe immediatamente collocato in posizione antagonistica rispetto ai detentori dell’ordine vigente, i quali non danno risposta alle domande dei sottomessi. 

mercoledì 2 maggio 2018

Le realtà imperialiste e i miti di David Harvey - John Smith

Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com - Link al post originale in inglese roape.net
John Smith insegna politica economica internazionale alla Kingston University di Londra. 
David Harvey è  Distinguished Professor di antropologia e geografia presso il  Graduate Center della City University of New York.


2017_0312p_2
John Smith

Quando David Harvey afferma “Lo storico drenaggio di ricchezza dall’oriente verso l’Occidente, protrattosi per oltre due secoli, ad esempio, è stato in larga parte invertito negli ultimi trent’anni”, i suoi lettori supporranno ragionevolmente che egli si riferisca ad un tratto caratteristico dell’imperialismo, vale a dire il saccheggio del lavoro vivo, nonché delle ricchezze naturali, nelle colonie e semicolonie da parte delle potenze capitaliste in ascesa in Nord America ed Europa. In effetti, egli non lascia dubbi in merito, dato che fa precedere a queste parole il riferimento alle “vecchie categorie dell’imperialismo”. Ma qui incontriamo il primo di tanti offuscamenti. Per oltre due secoli, l’Europa ed il Nord America imperialisti hanno drenato anche ricchezze dall’America Latina e dall’Africa, così come da tutte le parti dell’Asia… eccetto il Giappone, il quale a sua volta è emerso come potenza imperialista durante il XIX secolo. “Oriente-Occidente”, dunque, costituisce un sostituto imperfetto per “Nord-Sud”, ed è per questo che ho osato adeguare i punti della bussola di Harvey, attirandomi una risposta petulante
David Harvey


Come David Harvey ben sa, tutte le parti coinvolte nel dibattito su imperialismo, modernizzazione e sviluppo capitalistico riconoscono una divisione primaria tra paesi definiti, variamente, come “sviluppati e in via di sviluppo”, “imperialisti e oppressi”, “del centro e della periferia”, ecc., persino laddove non vi è accordo su come tale divisione si stia evolvendo. Inoltre, i criteri per determinare l’appartenenza a questi gruppi di paesi possono validamente includere politica, economia, storia, cultura e molto altro, ma non la collocazione geografica – “Nord-Sud” non essendo altro che una scorciatoia descrittiva per altri criteri, come indicato dal fatto, generalmente riconosciuto, che il “Nord” comprende Australia e Nuova Zelanda. Eppure, nella sua replica alla mia critica, Harvey eleva la geografia al di sopra di tutto, gettando la Cina, il cui PIL pro capite nel 2017 era situato tra Thailandia e Repubblica Dominicana, nello stesso calderone di Corea del Sud, Taiwan e Giappone imperialista, all’interno di uno specifico “potente blocco [sic] nel contesto dell’economia globale”, relativo all’Asia orientale. Considerato lo stato moribondo dell’economa giapponese, con un PIL cresciuto in media meno dell’1% all’anno dal 1990, e nella consapevolezza dell’esplosiva rivalità economica, politica e militare del Giappone con la Cina, interrogarsi se tale “blocco” stia ora drenando ricchezza da Europa e Nord America capitalisti significa porsi la domanda sbagliata. 

martedì 1 maggio 2018

ECONOMIA PER I CITTADINI - RICCARDO BELLOFIORE

Da: M Epici - riccardo.bellofiore è docente di "Analisi Economica", "Economia Monetaria" e "International Monetary Economics" e "Dimensione Storica in Economia: le Teorie" presso il Dipartimento di Scienze Economiche "Hyman P. Minsky" dell'Università di Bergamo. (Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova)

1. - Come è nata la sua Passione per l'Economia?


2. - Su Karl Marx e Rosa Luxemburghttps://www.youtube.com/watch?v=NMHl2XZ3DSg
3. - Sulla Scuola Austriaca: Schumpeter, Mises e Hayek: https://www.youtube.com/watch?v=cNiEB23NLQs
4. - Augusto Graziani e la Teoria Monetaria della Produzionehttps://www.youtube.com/watch?v=oBksvfN7WKY
5. - Hyman Minsky e il Datore di Lavoro di Ultima Istanza (ELR)https://www.youtube.com/watch?v=WGMzu3M4b4U
6. - Neo-Liberismo e Social-Liberismohttps://www.youtube.com/watch?v=FV2ibIKW2Gs
7. - Capitalismo e Finanziarizzazionehttps://www.youtube.com/watch?v=EPJ03woJ5jk
8. - Neo-Mercantilismo e Moneta Unica Europeahttps://www.youtube.com/watch?v=42NPfSdNs5A
9. - Crisi Economica e Teoria Marxianahttps://www.youtube.com/watch?v=pqVe6ftt8as
10. - Ambiente, Genere e Tradizione Economica Italianahttps://www.youtube.com/watch?v=8FgIeCoY4WE