giovedì 30 aprile 2020

Comanda il governo o comandano le classi dominanti? - Stefano G. Azzarà

Da: https://www.facebook.com/stefano.azzara - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica presso il Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Urbino ed è direttore della rivista "Materialismo Storico" (materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com).


È stupefacente come l'egemonia liberale abbia prodotto un senso comune indiscusso a proposito della fenomenologia del potere.

Anche a sinistra, persino tra chi si professa marxista, si ritiene che la linea del potere divida ciò che è in alto da ciò che sta in basso e che il potere costituito e materializzato nelle istituzioni sia il potere reale e che dunque il governo comandi.

Si incalza perciò il governo a fare questo o quello e lo si deplora o loda come se dal governo dipendesse ogni male e dunque anche ogni bene, come se tutto dipendesse dalla sua volontà o mancanza di volontà o cattiva volontà.

Ma nel vostro paese, - per indicare una scala di misura che rende più riconoscibili le cose - comanda il sindaco o le forze e gli interessi che lo hanno portato all'elezione, e solo in seconda battuta il sindaco in quanto tale? E quanto dura questo sindaco quando comincia a pestare i piedi a qualche pezzo grosso?

Un governo comanda finché lo lasciano comandare e finché ne ha la forza, che gli viene da qualche forma di legittimazione.

Un governo, tanto più in una società capitalistica, è sempre prevalentemente espressione dei rapporti di potere che nascono nell'articolazione disuguale della società civile ed è a questo livello che si genera il potere veramente efficiente.

Un governo comanda nella misura in cui e fino a quando è espressione di questo potere, o meglio del patto federato che le parti di questo potere riconosciutesi come pari contraggono mediante un contratto.

La democrazia moderna, in questo senso, è stata esattamente lo sforzo di sottrarre il governo a questo arbitrio delle particolarità, che ancora nel XIX secolo esprimevano quasi direttamente il proprio comitato d'affari, esaltando l'universalita della sua forma e facendo sì che questa forma avesse la meglio sugli interessi privati dei grandi conglomerati sociali.

La forma dell'universalita che è comunque propria delle istituzioni, infatti, obbliga queste ultime a tener conto dell'interesse generale.

Da quel momento, governo è ciò che risulta dall'equilibrio relativo tra quella forma e gli interessi particolari espressi dal patto, una continua ed estenuante prova di forze.

Quando però questo conflitto permanente supera il livello di guardia, essa entra in contraddizione con questo potere reale o con gli elementi prevalenti di questo potere reale, da quel momento ogni governo è un governo che alla lunga è morto.

A meno che non riesca a mobilitare in chiave giacobina quell'interesse generale o quella alleanza di interessi che più gli si avvicina, cosa che non è facile e avviene raramente. Molto più facile è che questa alleanza venga mobilitata in chiave populistica, contro i propri stessi interessi, da quei poteri reali che voglio riprendersi la loro libertà d'azione e condizionamento ponendo limiti all'universalità.

È anche in questo modo che la democrazia moderna è stata smantellata, ormai diversi anni fa.

Guardiamo alle classi sociali, guardiamo alle classi dominanti, guardiamo a chi realmente comanda.

mercoledì 29 aprile 2020

" Hegel "- Vittorio Hosle

Da: Maria Teresa de Vito - Vittorio Hosle è un filosofo, saggista e traduttore.
Leggi anche: Studio su Hegel: LA LOGICA - Stefano Garroni 
                       https://ilmanifesto.it/hegel-contro-il-pensiero-che-proietta-lesistenza-umana-oltre-il-logos-nel-mistero
Vedi anche:  La dialettica di Hegel. Origine, struttura, significato... - Roberto Finelli
                   "Il boccio, il fiore, il frutto" - Carlo Sini
                    Hegel e la dialettica - Remo Bodei 


Il video ha inizio al secondo 0,50. La prima e la seconda parte della lezione sono collegate automaticamente.

                                                      Prima parte:
                                                                                

                                                     Seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=JpOgpJQla6w&list=TLPQMjkwNDIwMjC5KHLeaiLI_A&index=2


martedì 28 aprile 2020

- Giulietto Chiesa -

Da: Curioso Risveglio - Giulietto Chiesa (Acqui Terme, 4 settembre 1940 – 26 aprile 2020) è stato un giornalista e politico italiano.
Vedi anche: Ragionando di geopolitica (e non solo).. - Giulietto Chiesa e Luciano Canfora 
                     Sarà così il suicidio nucleare? - Giulietto Chiesa 

            L'ultimo intervento di Giulietto Chiesa, andato in onda via web il 25/04/2020 il giorno prima del suo decesso. 

                                                                               

                                                                    (qui il link dell'intero convegno: https://www.pandoratv.it/liberiamoci-dal-virus-della-guerra)

Giulietto Chiesa in prima linea fino all’ultimo.
Di Manlio Dinucci - Il Manifesto, 28 aprile 2020.

Giulietto Chiesa è morto poche ore dopo aver concluso, nel 75° Anniversario della Liberazione e della fine della Seconda guerra mondiale, il Convegno internazionale del 25 Aprile «Liberiamoci dal virus della guerra». Un convegno in diretta streaming, organizzato dal Comitato No Guerra No Nato, di cui era uno dei fondatori, e da Global Research (Canada), il Centro di ricerca sulla globalizzazione diretto dal professor Michel Chossudovsky.

Diversi relatori – dall’Italia ad altri paesi europei, dagli Stati uniti alla Russia, dal Canada all’Australia – hanno esaminato le ragioni di fondo per cui dal 1945 ad oggi la guerra non è mai terminata: al Secondo conflitto mondiale ha fatto seguito la Guerra fredda, quindi una serie ininterrotta di guerre e il ritorno a una situazione analoga a quella della Guerra fredda che accresce il rischio di un conflitto nucleare.

Gli economisti Michel Chossudovsky (Canada), Peter Koenig (Svizzera) e Guido Grossi hanno spiegato come potenti forze economiche e finanziarie sfruttano la crisi del coronavirus per impadronirsi delle economie nazionali e cosa dovremmo fare per sventare tale piano.
David Swanson (direttore di World Beyond War, Usa), l’economista Tim Anderson (Australia), il fotogiornalista Giorgio Bianchi e lo storico Franco Cardini hanno parlato delle guerre passate e attuali, funzionali agli interessi delle stesse potenti forze.
L’esperto di questioni politico-militari Vladimir Kozin (Russia), la saggista Diana Johnstone (Usa), la segretaria della Campagna per il disarmo nucleare Kate Hudson (Regno Unito) hanno esaminato i meccanismi che accrescono la probabilità di un catastrofico conflitto nucleare.
John Shipton (Australia), padre di Julian Assange, e Ann Wright (Usa), già colonnello dello US Army, hanno illustrato la drammatica situazione di Julian Assange, il giornalista fondatore di WikiLeaks detenuto a Londra, col rischio di essere estradato negli Stati Uniti dove lo attende la pena dell’ergastolo o quella di morte.

Su tale tema ha incentrato il suo intervento Giulietto Chiesa. Questi, in sintesi, alcuni brani:

«Il fatto che si voglia distruggere Julian Assange vuol dire che anche noi, noi tutti, saremo imbavagliati, oscurati, minacciati, impossibilitati a capire cosa succede a casa nostra e nel mondo. Questo non è il futuro, è il presente. In Italia il governo organizza una squadra di censori ufficialmente incaricata di fare pulizia di tutte le notizie che divergono da quelle ufficiali. E' la censura di stato, come altrimenti si può chiamare? Anche la Rai, la televisione pubblica, istituisce una task force contro le “fake news” per cancellare le tracce delle loro bugie quotidiane che inondano tutti i loro teleschermi. E poi ci sono, ancor peggio, i tribunali misteriosi di gran lunga più potenti di quanto non siano questi cacciatori di fake news: sono Google, Facebook, che manipolano le notizie e, con i loro algoritmi e i loro trucchi segreti, censurano senza appello. Siamo già circondati da nuovi tribunali che cancellano i nostri diritti. Vi ricordate l'articolo 21 della Costituzione italiana? C'è scritto “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”. Ma 60 milioni di italiani sono costretti ad ascoltare un solo megafono che urla da tutti i 7 canali televisivi del potere. Ecco perché Julian Assange è un simbolo, una bandiera, un invito alla riscossa, al risveglio prima che sia troppo tardi. È indispensabile unire le forze che abbiamo, che non sono tanto piccole ma hanno un difetto fondamentale: quello di essere divise, incapaci di parlare con una voce unica. Occorre uno strumento che parli ai milioni di cittadini che vogliono sapere».

Queste le ultime parole di Giulietto Chiesa. Confermate dal fatto che, subito dopo lo streaming, il video del Convegno è stato oscurato perché «il suo contenuto è stato identificato dalla Comunità YouTube inappropriato o offensivo per alcuni tipi di pubblico». 

lunedì 27 aprile 2020

sabato 25 aprile 2020

L'Internazionale socialista - Arturo Toscanini -

Da: Francesco Errante - Il 25 Maggio 1944 Arturo Toscanini diresse un concerto di beneficenza per la Croce Rossa al Madison Square Garden di New York.

                      Buon 25 aprile a tutti !!!! 

                                                                             

venerdì 24 aprile 2020

ECON-APOCALYPSE: ASPETTI ECONOMICI E SOCIALI DELLA CRISI DEL CORONAVIRUS* - Riccardo Bellofiore

Da: https://www.facebook.com/Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova - riccardo.bellofiore è professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo
* Il testo che precede è la sbobinatura di un intervento orale svolto online il 10 aprile 2020 per la Confederazione Unitaria di Base, con qualche piccola correzione e aggiunta, ma mantiene lo stile colloquiale. Mi sono giovato di alcuni commenti di Francesco Saraceno. (R.B.)

Qui sotto il video dell'incontro: introduce  per la CUB Marcelo Amendola  partecipano Giovanna Vertova, Michele Cangiani e Riccardo Bellofiore -
Da:  http://www.cub.it -  Rsaflmuniti Cub -


    1. La crisi non è ‘esogena’: natura e forma sociale.

Quello che proverò a fornire è un inizio di scrematura dell’orizzonte problematico in cui leggo questa crisi. Vado per punti, in un discorso che si articola in diversi movimenti. 

Primo movimento. Questa crisi non è, come spesso si legge, una crisi ‘esogena’, cioè qualcosa che da un esterno (la natura) investe la sfera economica. Se vogliamo, questa è una crisi ‘semi-esogena’ perché per un aspetto è indipendente dalla forma sociale, ma nella grande sostanza è invece legata a doppio filo all’organizzazione capitalistica della produzione, della circolazione delle merci, della distribuzione e dei modi di vita. Non è vero neanche che questa crisi giunga inaspettata. Una crisi del genere di quella che stiamo attraversando fu prevista, per esempio, nel 2005, sulla rivista Foreign Affairs, in un articolo preveggente sulla prossima pandemia.

Questa crisi mette in evidenza il rapporto perverso tra società e natura, che è peraltro già stato al centro della discussione, negli ultimi anni, in merito al cosiddetto ‘cambiamento climatico’, ma non è mai stato veramente preso sul serio dalla politica e dalla politica economica. Certo, si potrebbe dire che il problema non è il capitalismo, ma la struttura industriale. Le cose però non stanno proprio così. Il primato di una produzione tesa all’estremo al fine di una estrazione di profitto si è andato ad accompagnare ad un approfondimento della diseguaglianza globale, in alcuni casi in modo anch’esso estremo, dunque a malnutrizione, a forme di agricoltura e allevamento intensivi, al sovraffollamento abitativo, ad una urbanizzazione eccessiva. Tutto ciò ha fatto sì che trasmissioni virali che avrebbero altrimenti avuto una evoluzione lenta hanno visto una drammatica accelerazio ne. 

Ad una pretesa di crescita esponenziale del capitale ha risposto una crescita esponenziale nella diffusione dei virus. Questo è presumibilmente il futuro che abbiamo davanti. L’alternativa non è, ai miei occhi, una ‘decrescita’ (che sta pur sempre nell’orizzonte della crescita, solo volta in negativo), semmai uno sviluppo qualitativo radicalmente differente. È stato proprio l’orizzonte di una crescita tutta interna alla forma sociale capitalistica che ha prodotto anche le politiche cosiddette ‘neo-liberiste’ degli ultimi quarant’anni, a partire dalla privatizzazione della sanità.

Il discorso appena svolto rende problematico il ragionamento diffuso nella sinistra quando si vuole andare alla caccia di ‘colpevoli’ o si pone la questione del ‘chi’ paga la crisi. Fatemelo dire così, con una battuta: i colpevoli stanno tra un pipistrello in Cina ed il sistema sociale, quel sistema da cui si ricava reddito e lavoro, non sono la finanza cattiva o questa o quella associazione industriale. Non è una questione di persone, è una questione di sistema. 

    2. Mario Draghi: è bene che il debito pubblico aumenti
 

giovedì 23 aprile 2020

Passiamo alla fase 2? - Alessandra Ciattini , Aristide Bellacicco

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Antropologa) e Aristide Bellacicco (Medico) fanno parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni".
Leggi anche:   Covid-19 e Costituzione - Gaetano Silvestri 
                         Ipotesi sulle cause della pandemia provocata dal Coronavirus - Alessandra Ciattini 
                         Caratteristiche, origini ed effetti del nuovo Coronavirus - Ernesto Burgio



Ma stiamo veramente passando dalla fase 1 a alla fase 2? Prima di procedere è meglio capire cosa è successo.

Il passato 2 aprile il Sole 24 ore, noto organo della Confindustria, ha pubblicato un articolo firmato da 150 scienziati ed accademici che, di fronte all’ipotesi di una perdita del PIL del 10% nel primo semestre del 2020 e di altri elementi assai preoccupanti, propone di avviare in maniera graduale il passaggio alla fase 2. Nello specifico, richiamandosi all’esempio della Corea del Sud, paese dove i contagi e le morti sono state consistenti ma bloccati, i firmatari sostengono: “Occorre iniziare ad elaborare rapidamente una fase 2 che consenta di tutelare al meglio la salute dei cittadini e nel contempo rimettere in moto l’Italia, evitando tuttavia il riaccendersi virulento della pandemia”.

È abbastanza logico che questo appello appaia sul quotidiano della Confindustria, giacché – come sappiamo – nonostante molte imprese anche non essenziali non si siano fermate, gli imprenditori delle regioni più industrializzate (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) premono perché si decida quella che loro chiamano enfaticamente la “ripartenza” [1], come se alle nostre spalle non avessimo decenni di arretramento su tutti i fronti. Cautela, invece, è dimostrata dall’infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano Massimo Galli, il quale ha dichiarato alla Stampa che l’emergenza non è finita e che non è ancora il momento di riaprire, mettendo in evidenza che ci sono molte persone asintomatiche in casa che potrebbero diffondere il virus, se messe in circolazione.

Ciononostante, con un ennesimo Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, Conte ha previsto alcune parziali riaperture ed ha istituito un comitato di esperti in materia economica e sociale, in cui non è presente nessun lavoratore o suo rappresentante, diretto da Vittorio Colao, ex amministratore della Vodafone.

Prima di valutare questa ipotesi, sarà il caso di analizzare criticamente la fase 1 e la validità di tutte le misure ad essa connesse, dato che i più esposti non sono certo gli imprenditori, chiusi per lo più nei loro comodi uffici, ma i lavoratori, i vecchi senza assistenza, i precari, i senza tetto etc. [2], e che nonostante ciò non sono chiamati a decidere sul loro prossimo futuro.

Ma quando è iniziata realmente la “fase 1”? E qual è l’effettivo significato di questa dizione che, in fondo, non è altro che uno slogan? 

mercoledì 22 aprile 2020

Sul debito pubblico - Karl Marx

Da: K. Marx – il Capitale Libro I Sezione VII Cap. 24.6 -
Leggi anche:  IL CAPITALE, LIBRO I* - Karl Marx 
                        Sull'accumulazione originaria di Karl Marx , Il Capitale Libro I, Capitolo 24 - Ermanno Semprebene - 
                        IL PROBLEMA DELLO STATO IN KARL MARX - CARLA MARIA FABIANI 
                        Daniel Defoe: La vera storia di Jonathan Wilde - Ermanno Semprebene*


[…]
ll sistema del credito pubblico, cioè dei debiti dello Stato, le cui origini si possono scoprire fin dal Medioevo a Genova e a Venezia, s’impossessò di tutta l’Europa durante il periodo della manifattura, e il sistema coloniale col suo commercio marittimo e le sue guerre commerciali gli servì da serra. Così prese piede anzitutto in Olanda. Il debito pubblico, ossia l’alienazione dello Stato — dispotico, costituzionale o repubblicano che sia — imprime il suo marchio all’era capitalistica. L’unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei popoli moderni è il loro debito pubblico. Di qui, con piena coerenza, viene la dottrina moderna che un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo s’indebita. Il credito pubblico diventa il credo del capitale. E col sorgere dell’indebitamento dello Stato, al peccato contro lo spirito santo, che è quello che non trova perdono, subentra il mancar di fede al debito pubblico.

Il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria: come con un colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili dall’investimento industriale e anche da quello usurario. In realtà i creditori dello Stato non danno niente, poiché la somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare proprio come se fossero tanto denaro in contanti. Ma anche fatta astrazione dalla classe di gente oziosa, vivente di rendita, che viene cosi creata, e dalla ricchezza improvvisata dei finanzieri che fanno da intermediari fra governo e nazione, e fatta astrazione anche da quella degli appaltatori delle imposte, dei commercianti, dei fabbricanti privati, ai quali una buona parte di ogni prestito dello Stato fa il servizio di un capitale piovuto dal cielo, il debito pubblico ha fatto nascere le società per azioni, il commercio di effetti negoziabili di ogni specie, l’aggiotaggio: in una parola, ha fatto nascere il giuoco di Borsa e la bancocrazia moderna.

Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694). La Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto per cento; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. Con queste banconote essa poteva scontare cambiali, concedere anticipi su merci e acquistare metalli nobili. Non ci volle molto tempo perché questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa diventasse la moneta nella quale la Banca faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la Banca desse con una mano per aver restituito di più con l’altra, ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all’ultimo centesimo che aveva dato. A poco a poco essa divenne inevitabilmente il serbatoio dei tesori metallici del paese e il centro di gravitazione di tutto il credito commerciale. In Inghilterra, proprio mentre si smetteva di bruciare le streghe, si cominciò a impiccare i falsificatori di banconote. Gli scritti di quell’epoca, per esempio quelli del Bolingbroke, dimostrano che effetto facesse sui contemporanei l’improvviso emergere di quella genìa di bancocrati, finanzieri, rentiers, mediatori, agenti di cambio e lupi di Borsa.

Con i debiti pubblici è sorto un sistema di credito internazionale che spesso nasconde una delle fonti dell’accumulazione originaria di questo o di quel popolo. Così le bassezze del sistema di rapina veneziano sono ancora uno di tali fondamenti arcani della ricchezza di capitali dell’Olanda, alla quale Venezia in decadenza prestò forti somme di denaro. Altrettanto avviene fra l’Olanda e l’Inghilterra. Già all’inizio del secolo XVIII le manifatture olandesi sono superate di molto, e l’Olanda ha cessato di essere la nazione industriale e commerciale dominante. Quindi uno dei suoi affari più importanti diventa, dal 1701 al 1776, quello del prestito di enormi capitali, che vanno in particolare alla sua forte concorrente, l’Inghilterra. Qualcosa di simile si ha oggi fra Inghilterra e Stati Uniti: parecchi capitali che oggi si presentano negli Stati Uniti senza fede di nascita sono sangue di bambini che solo ieri è stato capitalizzato in Inghilterra.

Poiché il debito pubblico ha il suo sostegno nelle entrate dello Stato che debbono coprire i pagamenti annui d’interessi, ecc., il sistema tributario moderno è diventato l’integramento necessario del sistema dei prestiti nazionali. I prestiti mettono i governi in grado di affrontare spese straordinarie senza che il contribuente ne risenta immediatamente, ma richiedono tuttavia in seguito un aumento delle imposte. D’altra parte, l’aumento delle imposte causato dall’accumularsi di debiti contratti l’uno dopo l’altro costringe il governo a contrarre sempre nuovi prestiti quando si presentano nuove spese straordinarie. Il fiscalismo moderno, il cui perno è costituito dalle imposte sui mezzi di sussistenza di prima necessità (quindi dal rincaro di questi), porta perciò in se stesso il germe della progressione automatica. Dunque, il sovraccarico d’imposte non è un incidente, ma anzi è il principio. Questo sistema è stato inaugurato la prima volta in Olanda, e il gran patriota De Witt l’ha quindi celebrato nelle sue Massime come il miglior sistema per render l’operaio sottomesso, frugale, laborioso e... sovraccarico di lavoro. Tuttavia qui l’influsso distruttivo che questo sistema esercita sulla situazione del l’operaio salariato, qui ci interessa meno dell’espropriazione violenta del contadino, dell’artigiano, in breve di tutti gli elementi costitutivi della piccola classe media, che il sistema stesso porta con sé. Su ciò non c’è discussione, neppure fra gli economisti borghesi. E la efficacia espropriatrice del sistema è ancor rafforzata dal sistema protezionistico che è una delle parti integranti di esso.

La grande parte che il debito pubblico e il sistema fiscale ad esso corrispondente hanno nella capitalizzazione della ricchezza e nell’espropriazione delle masse, ha indotto una moltitudine di scrittori, come il Cobbett, il Doubleday e altri a vedervi a torto la causa fondamentale della miseria dei popoli moderni.

Il sistema protezionistico è stato un espediente per fabbricare fabbricanti, per espropriare lavoratori indipendenti, per capitalizzare i mezzi nazionali di produzione e di sussistenza, per abbreviare con la forza il trapasso dal modo di produzione antico a quello moderno. Gli Stati europei si sono contesi la patente di quest’invenzione e, una volta entrati al servizio dei facitori di plusvalore, non solo hanno a questo scopo imposto taglie al proprio popolo, indirettamente con i dazi protettivi, direttamente con premi sull’esportazione, ecc., ma nei paesi da essi dipendenti hanno estirpato con la forza ogni industria; come per esempio la manifattura laniera irlandese è stata estirpata dall’Inghilterra. Sul continente europeo il processo è stato molto semplificato, sull’esempio del Colbert. Quivi il capitale originario dell’industriale sgorga in parte direttamente dal tesoro dello Stato. «Perché», esclama il Mirabeau, «andar a cercar così lontano la causa dello splendore manifatturiero della Sassonia prima della guerra dei Sette anni? Centottanta milioni di debito pubblico!»


martedì 21 aprile 2020

- Breve introduzione ai Lineamenti della Filosofia del Diritto di Hegel - Carla Maria Fabiani

Da: http://www.dialetticaefilosofia.it - www.ilgiardinodeipensieri.eu - Questa Introduzione accompagna la Sintesi dei Lineamenti della Filosofia del Diritto di Hegel, condotta sulla edizione italiana curata da V. Cicero (Rusconi, Milano 1996). -
Carla Maria Fabiani, Università del Salento. Department of Humanities - dialettica.filosofia - FRANCESCO-VALENTINI
Leggi anche: Da Hegel a Marx: fenomenologia dello Stato moderno capitalistico - Carla Maria Fabiani 
                       IL PROBLEMA DELLO STATO IN KARL MARX - CARLA MARIA FABIANI 
                       La dialettica di Hegel. Origine, struttura, significato... - Roberto Finelli 


Tutta la Filosofia del diritto è Scienza del diritto. Come dice Hegel, è l’Idea del Diritto; cioè è la realtà oggettiva (i rapporti oggettivi quali la proprietà, l’azione morale, la famiglia, la società civile, lo Stato) che lo Spirito (di un popolo) produce nella Storia ed è al contempo l’esposizione adeguata di questa realtà che si mostra intimamente razionale (arrivati alla fine del suo sviluppo storico possiamo esporne tutte le tappe, cogliendo il senso di questa totalità ormai dispiegata). Il cammino dello Spirito nel mondo è un cammino di Libertà; la realizzazione e la comprensione della Libertà è il contenuto filosofico della scienza del diritto.

E’ una parte del sistema filosofico hegeliano collocata all’interno della filosofia dello Spirito (è lo spirito oggettivo); è il cammino etico intrapreso dallo Spirito oggettivo.

Si articola in tre parti: Diritto astratto, Moralità ed Eticità. Per Hegel il vero è l’intero; dunque la verità dell’eticità è tutto il percorso etico, dall’astratto al concreto, articolato in momenti, ognuno dei quali si presenta autonomo dall’altro, ma, secondo il metodo dialettico, si toglie e si conserva nell’altro.

E’ importante considerare i tre momenti della filosofia del diritto (diritto astratto, moralità, eticità) come momenti organici, i quali hanno ognuno un loro particolare diritto, che venendo a un certo punto in contraddizione con se stesso passa in quello successivo, logicamente più esplicativo e realmente più elevato.

L’ordine che Hegel dà all’esposizione d’altra parte non coincide - e ce lo dice lui fin da subito - con l’ordine che si presenta nella realtà: è anzi l’esatto opposto. I concetti (le categorie del diritto) vengono esposti a partire da quelli più astratti fino ad arrivare a quelli più concreti e organici; viceversa nella realtà le figurazioni (le forme reali che il diritto assume nella storia) più astratte e semplici esistono e sussistono solo all’interno di quelle più concrete. Il compito della filosofia del diritto è quello di comprendere l’oggettività che lo Spirito produce nella storia; comprenderla come prodotto dello Spirito e come realtà oggettiva massimamente sensata e razionale. La forma della comprensione, per così dire, percorre la strada inversa rispetto a quella della realtà. Beninteso, secondo Hegel, le due strade (una all’insù e l’altra all’ingiù) sono la stessa.

Il principio essenziale della sfera del Diritto astratto è la ‘persona’; la realtà più concreta in cui si trova ad operare la persona è il contratto di proprietà. La persona si trova in rapporto con altre persone proprio per via della proprietà esercitata sulle cose. L’arbitrio è il massimo grado di libertà presente in questa prima sfera etica, che, al dunque, si rivela fortemente contraddittoria. Così come il contratto viene stipulato arbitrariamente, così arbitrariamente può essere rotto e non rispettato da uno dei due contraenti.

Si passa dialetticamente alla Moralità (c’è una negazione del contratto rappresentata dall’arbitrio-illecito e c’è la negazione della negazione, rappresentata dalla punizione dell’illecito-delitto). Nel momento del Diritto astratto la punizione della persona piega il diritto sulla soggettività, ma lo piega in modo non completamente positivo (la punizione ristabilisce l’intero etico, però punisce proprio l’arbitrio); da questa condizione non pienamente stabile si passa a una categoria etica più alta e più comprensiva: la Moralità. La soggettività prende coscienza di sé diventando il principio motore dell’etica. L’azione morale del soggetto è il centro della discussione ed è, a questo livello, il nodo etico-kantiano fondamentale. Il giudizio morale, il rapporto tra il soggetto e il Bene, tra il soggetto e il Male, l’interiorità del soggetto, la realtà con cui quest’interiorità viene a scontrarsi, sono il contenuto fondamentale della trattazione morale del Diritto.

Come si passa e perché si passa all’Etica? E cioè perché si passa alla scienza dello Stato?

Lo Stato, secondo Hegel, è la realtà etica realizzata. E’ il rapporto dello Spirito di un popolo con sé stesso, è la produzione consapevole della vita del popolo. Il vero soggetto perciò è lo Spirito, non il soggetto morale, tutto chiuso in sé stesso ed estraniato da una realtà - quella storica - che non riesce proprio a comprendere, che lo mette anzi in difficoltà, stravolgendo la sua azione morale che tende a un Bene considerato come un dover essere, che, per definizione, non è essere.

Lo Stato è invece l’ESSERE dello Spirito oggettivo; la sua più alta produzione reale e razionale insieme.

Lo Stato è Sistema organico. E’ un’articolazione viva, nella quale sono presenti e si riproducono la famiglia (con la sua etica della riproduzione), la società civile (con la sua etica del lavoro) e lo Stato stesso con la sua etica ricomprensiva delle altre due. Un’etica che riproduce e sa di riprodurre un Bene comune reale; lo sistema, mediando le sue interne articolazioni, creando la moderna società politica (la costituzione, i rapporti fra i poteri, etc.), la quale sa e vuole essere un organismo reale, pieno di vita, ma anche un sistema, ossia una realtà razionale e sensata, una totalità concreta che abbia come principio interno la realizzazione del bene comune, saputo e voluto da tutti, in quanto cittadini.

L’etica dello Stato (singolo) però si rivolge necessariamente nei confronti dell’etica degli altri Stati, dando luogo alla storia del mondo, a un teatro etico-politico mondiale; necessariamente superiore a quello nazionale.

lunedì 20 aprile 2020

Caratteristiche, origini ed effetti del nuovo Coronavirus - Ernesto Burgio

Da: https://www.lacittafutura.it - Testo tratto dall’intervista al Dott. Ernesto #Burgio, pediatra e ricercatore, esperto di epigenetica e biologia molecolare. Presidente del comitato scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale e membro del consiglio scientifico dell’Istituto di Ricerca sul Cancro e Ambiente di Bruxelles.
L’intervista integrale di Francesco Paolo Caputo è del 05/04/2020 può essere vista qui 



Per settembre dobbiamo avere un SSN messo in sicurezza e rafforzato, corridoi sanitari specifici, operatori sanitari formati e protetti nel modo corretto, una popolazione preparata e tamponi sufficienti per fare monitoraggi massivi. Solo così i rischi saranno minori.

È giusto partire dalla storia del virus. Nonostante fosse un virus pericoloso è stato anche sottovalutato. Per capire meglio la sua natura bisogna raccontare due storie. Una storia di lungo periodo e poi invece una più recente di come è emerso e come abbiamo capito che è pericoloso.

La storia di medio-lungo periodo inizia all’incirca nel 1997, quando muore un bimbo ad Hong Kong per un virus denominato H5N1. Questo virus, tuttora in circolazione, e per il quale si è lanciato un pre-allarme pandemico, è della stessa famiglia del virus famoso della spagnola H1N1 del 1918 con il quale condivide delle caratteristiche che lo rendono molto pericoloso, cioè aveva fatto ”il salto di specie”, passando da un serbatoio animale (gli uccelli migratori) all’uomo. Tutto ciò significa acquisire delle mutazioni particolari che lo rendono particolarmente patogeno, cioè capace da un lato di agganciare le vie aeree superiori dell'uomo e dall’altro di trasmettersi da un uomo all'altro. Successivamente ci furono altri allarmi di virus con caratteristiche simili, come fu il caso della SARS del 2002 (coronavirus numero 1), oppure quello dell’influenza aviaria del 2010 (H1N1pdm09), virus che tutto sommato si sono comportati meno drammaticamente di come si temeva.

E arriviamo ad oggi. Nei primi di gennaio in Italia arriva come nel resto del mondo la notizia che nella provincia di Hubei in Cina vi erano alcune decine di casi legati all’emergere di un nuovo coronavirus e quindi si temeva la possibilità di un'estensione epidemica o addirittura pandemica. La notizia fu inizialmente sottovalutata probabilmente perché gli esperti cinesi non conoscevano quello che realmente stava succedendo. Il 20 di gennaio avvengono due eventi fondamentali, in Cina si rendono conto sia che i casi stanno aumentando esponenzialmente sia che le sequenze del virus mostrano la presenza di un gran numero di mutazioni pericolose. 

A quel punto il governo Cinese chiude l'intera provincia di Hubei, una provincia di 57 milioni di abitanti, ovvero numerosa quanto l’Italia, e costruisce ospedali cosiddetti COVID-19 (termine con cui è chiamata la patologia da SARS-COV2). A quel punto alcuni specialisti, come me, quelli che si erano occupati di epidemie di virus pandemici, capiscono che la situazione è allarmante e cercano di comunicare quello che sta accadendo. Così il 31 di gennaio anche in Italia parte una nota importante, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, in cui si dice che c'è un allarme pre-pandemico e, finalmente, cominciamo a prepararci. Purtroppo questa nota, pur essendo ufficiale, non ha avuto molto seguito. Le regioni e il governo che l’ha emessa l'hanno in qualche modo presa sottogamba e devo dire che anche molti dei miei colleghi non abituati, a differenza degli orientali, a una situazione potenzialmente drammatica come questa, probabilmente l'hanno sottovalutata. 

venerdì 17 aprile 2020

La dialettica di Hegel. Origine, struttura, significato... - Roberto Finelli

Da: Filosofia Roccella Scholé - Roberto Finelli insegna Storia della filosofia all’Università di Roma Tre e dirige la rivista on-line “Consecutio (Rerum) temporum. Hegeliana. Marxiana. Freudiana” (http://www.consecutio.org)
Leggi anche:  Per un'etica del riconoscimento*- Paolo Bartolini intervista Roberto Finelli
Vedi anche:    Hegel e la dialettica - Remo Bodei 
                           Hegel,"Filosofia e Metodo" - Carlo Sini 
                           Hegel: la ragione come mondo - Costantino Esposito 
                           La logica di Hegel "una grottesca melodia rupestre"- Paolo Vinci 

                                                 Parte prima:
                                                                        

                                                 Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=LyvMRJmQlxA

                                                 Parte terza: https://www.youtube.com/watch?v=8p1k33o7f-Y

giovedì 16 aprile 2020

Covid-19 e Costituzione - Gaetano Silvestri

Da: https://www.unicost.eu - Gaetano Silvestri, giurista, accademico e rettore italiano, presidente emerito della Corte Costituzionale.


SOMMARIO: 1. Le garanzie costituzionali non possono essere “sospese”. 2. Il ricorrente disprezzo per la democrazia parlamentare. 3. L’alterazione progressiva del sistema delle fonti. 4. Possibile sveltimento del procedimento di conversione dei decreti legge. 5. Emergenza e sistema delle autonomie. 

1 Le garanzie costituzionali non possono essere “sospese”

L’epidemia da Covid-19 ha prodotto in Italia una emergenza “vera”, che ha riattualizzato il problema – che si era posto anche negli anni del terrorismo fascista e brigatista – della compatibilità di misure eccezionali, a tutela della collettività, con i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione repubblicana, con la forma di governo parlamentare basata sulla separazione dei poteri e con il sistema costituzionale delle autonomie. Troppo spesso politici, giornalisti e tuttologi di vario genere hanno abusato del termine “emergenza”, al solo scopo di dare enfasi retorica ai propri discorsi, per ritrovarsi poi puntualmente impreparati quando si verificano autentici stati di necessità, che reclamano risposte rapide ed efficaci dalle istituzioni. Di qui una ridda di atti normativi e amministrativi, di annunci mediatici e di commenti “a caldo”, che quasi sempre aumentano la confusione, ingenerando equivoci difficili da superare perché ormai entrati nel senso comune.

Sul piano del diritto costituzionale, un primo equivoco, di carattere generale, è prodotto dall’affermazione che una situazione di emergenza richieda la sospensione, ancorché temporanea, delle garanzie, personali e istituzionali, previste dalla Costituzione. Tenterò di dimostrare che non si deve sospendere nulla, ma che invece sarebbe sufficiente, per fronteggiare lo stato di necessità, applicare quanto è scritto nella Carta costituzionale, senza vagheggiare revisioni e tirare in ballo la sempre fascinosa teoria di Carl Schmitt sulla sovranità che spetta a chi comanda nello stato di eccezione. 

mercoledì 15 aprile 2020

#iostoacasa: come la paura e la mancanza di ragione uccidono la libertà e la democrazia - Riccardo Manzotti

Da: https://www.leoniblog.it - Riccardo Manzotti è professore di filosofia teoretica (Università IULM di Milano), psicologo e ingegnere. Dalla teoria che ha elaborato sulla coscienza ha tratto vari libri, tra cui il più recente The Spread Mind, tradotto ed edito in Italia da Il Saggiatore. https://www.riccardomanzotti.com
Leggi anche: IL COVID-19 BUSSA ALLA PORTA DELLA BARBARIE, NON DEL SOCIALISMO. - Paolo Ercolani 
                        - PRIVILEGIO DI CLASSE: IN QUARANTENA A SPESE DEGLI ALTRI - 
                        - I bambini scomparsi per decreto. La sofferenza dei più piccoli nei giorni del coronavirus -



La campagna del governo #iostoacasa sarà ricordata come un esempio da scuola di come in pochissimo tempo, ignoranza e paura possono cancellare il patto di mutua ragione tra cittadino e istituzioni. Di fronte alla minaccia del virus e il rischio del collasso del sistema sanitario, il governo ha proceduto, a partire dal 21 Marzo a una campagna di quarantena basata sull’hashtag #iostoacasa convincendo milioni di italiani che stare il più a lungo possibile nel chiuso delle loro abitazioni è l’unica strada possibile per fermare la avanzata del virus.

Questo è ovviamente falso. Altri hastag, molto più precisi e dettagliati, come #iostoatremetri o #iostodasolo, sarebbero stati molto più onesti e, nella misura in cui sarebbero stati più sostenibili, sarebbero stati anche molto più efficaci. Purtroppo, il governo ha invece scelto di fondare la sua campagna su un diktat approssimativo e dannoso.

È ovvio a chiunque voglia esercitare un po’ di buon senso come stare al chiuso con la famiglia non è sostenibile e richieda per lo meno l’accesso a supermercati e altri servizi essenziali. Di per sé rendendo vana la pretesa di una applicazione del diktat. Ma è altrettanto evidente che non si tratti nemmeno di una misura necessaria, perché basterebbe stare a distanza e seguire le norme previste dalla OMS (mascherine, lavaggio mani, etc).

Tuttavia, la richiesta ai cittadini di compiere un SACRIFICIO è stata ideologicamente efficace, soprattutto in un paese con le nostre radici storico-culturali. Stare a casa è diventato subito un gesto scaramantico, che si fa per motivi tra la superstizione e l’appartenenza alla comunità. Nessuno si interroga sui meccanismi di trasmissione del virus. Sono demandati agli esperti, come in passato era demandato ai preti di interpretare le sacre scritture e agli intellettuali di sinistra di fare l’analisi del momento storico. La popolazione è contenta di affidare ad altri, esperti o autorità che siano, il proprio destino contando nel principio antico che è più importante appartenere a una comunità, sia un gregge di pecore o una torma di Lemming, il proprio destino.

Ai virologi non vengono chiesti lumi circa i meccanismi di trasmissione del virus, ovvero un trasferimento di conoscenza che richiederebbe, da parte delle persone, un atteggiamento di comprensione critico-scientifica del problema, ma regole e direttive da applicare in modo fedele salvo eccezioni (“padre ho tanto peccato, mi dia l’assoluzione”).

lunedì 13 aprile 2020

Riflessioni 18... - Stefano Garroni

Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni.
Leggi anche: CONTRO LA GUERRA! - Stefano Garroni

Pubblichiamo, in forma di "Riflessioni", un'altro breve scritto  inedito di Stefano Garroni. 
Ci sembra opportuno farlo in quanto esplicita la situazione di smarrimento in cui gli appartenenti ad una vasta area "di sinistra" si sono ritrovati all'indomani del crollo dei paesi socialisti nell'Est europeo. 
La preoccupazione di fondo descritta da Garroni relativamente all'incapacità del cosidetto marxismo italiano (e non solo) di farsi "arma critica radicale" nell'affrontare la situazione in corso, per rivolgersi, invece, ad una "oscillante nuova cultura" al contempo "rigida ed accomodante, sclerotica e disponibilissima, spocchiosa e incoerente" ma appunto incapace di leggere la gravissima fase storica, lascia intendere (profeticamente) quella che sarà poi la deriva autodistruttiva fino ai nostri giorni. 
E' una denuncia chiara della scelta di rinunciare all'analisi marxista della lettura dei fatti. 
Una scelta che s'è rivelata, lo vediamo bene oggi, l'annichilimento totale di una sinistra "perbene" pronta a credere nella possibilità di un capitalismo riformabile.

Stefano Garroni ci ha lasciato il 13 aprile 2014. Vogliamo oggi così ricordarlo. (il collettivo)
"Smarrimento" - Stefano Garroni 20/02/1990
Tentiamo una prima riflessione sulle reazioni della sinistra, in particolare della cultura di sinistra, agli eventi dell’Est europeo.
È certo, ciò che subito si nota è smarrimento (non perché sia l’unica reazione, ma sì la più visibile e diffusa).
D’altra parte contenuti, modi e ritmi di quegli eventi son tali da giustificare tale smarrimento, data la grande difficoltà di organizzare gli eventi stessi entro parametri e inferenze, che consentano valutazioni sufficientemente pacate e ragionevoli.
Tuttavia in quello stesso smarrimento c’è anche qualcosa di assai meno ovvio. Lo testimonia il linguaggio della sinistra, che si va sempre di più connotando per il ricorso a termini generici, retorici (“democrazia”, “libertà”, “valori universali”, “modernità”), quasi non fosse vero che un concetto è scientificamente attendibile, quando è internamente articolato fino al punto da specificarsi, puntualizzarsi e, quindi, divenir comprensibile ed usabile in contesti storici e politici determinati.
Ciò che preoccupa è che, di fronte ad eventi sicuramente epocali (come che vadano, poi, giudicati per la loro dinamica e il loro significato), la sinistra e la sua cultura riescano, solo, a compiere un clamoroso balzo all’indietro, riscoprendo modalità di ragionamento e di giudizio storicamente così datati (la sinistra, ad esempio, sembra a volte rilanciare perfino la dottrina sociale della Chiesa), da renderle sempre meno capaci di orientarsi nel mondo attuale.
È una preoccupazione, questa, largamente fondata. Non è infatti la prima volta (si pensi agli anni del cosiddetto miracolo economico, o agli inizi degli anni ’60, o al ‘68) che la sinistra e la sua cultura non riescono a recepire, egemonizzare, anticipare (mentre è proprio questo che dovrebbero fare) eventi grandi, che interessano la società tutta ed, in particolare, le masse del proletariato tradizionale e moderno.
In questo senso, il periodo, che iniziò col ’67-’68, è largamente significativo: è lì che abbiamo visto la sinistra oscillare smaccatamente fra i poli di un marxismo sclerotizzato ed una cultura vissuta come “nuova”, che non altro, invece, significava se non l’immediata espressione di una crisi vasta, profonda, insieme al rilancio di temi spiritualistici ed irrazionalistici.
Quell’oscillare ed il tentativo di saldare temi del marxismo sclerotizzato con pezzi interi della cosiddetta “nuova” cultura, ovviamente, testimoniavano di guasti profondi già avvenuti: in definitiva , di uno scarto apertosi fra la cultura (e la politica) di sinistra ed i processi profondi, che specificano il nostro tempo.
Questo forse è l’elemento più di fondo. Quali che ne siano i motivi (che vanno studiati puntualmente), anche il cosiddetto marxismo italiano è andato progressivamente perdendo il carattere di arma critica radicale, per trasformarsi in un pasticcio di tradizioni spurie (se non opposte addirittura) con un sostanziale esito mistificante. Il realismo proprio della grande tradizione marxista è stato sostituito da una cultura , ad un tempo, rigida ed accomodante, sclerotica e disponibilissima, spocchiosa e incoerente. L’innesto, poi, di motivi “moderni” – ma, in realtà, fortemente ideologici, addirittura nel senso dello spiritualismo e dell’irrazionalismo – certo, non potevano migliorare la situazione.
Se così stanno le cose, allora ecco il significato più vero ed allarmante di quello smarrimento, di cui dicevamo all’inizio.
E possiamo, a questo punto, anche comprendere perché proprio la sinistra non riesca a fornire degli eventi dell’Est Europa una lettura non di maniera, non ideologica, ma che tenga conto, invece, di un gioco più nascosto di fattori (militari, economici, diplomatici), che per il fatto di non essere “televisivi”, non per questo risultano meno reali e determinanti.
Insomma, se è vero – come è vero – che un’epoca è finita, sarebbe auspicabile che ne iniziasse una nuova, in cui i marxisti si mostrassero capaci di “tornare a Marx” nell’unico modo in cui ciò è possibile. Ossia, non certo mettendo tra parentesi la storia e leggendo finalmente il “vero” Marx (che in un certo senso non esiste); ma sì riprendendo del marxismo la criticità radicale e la disponibilità piena all’uso della ragione per leggere gli odierni processi contraddittori del capitalismo e costruire, su questa base, la strada per il socialismo.

venerdì 10 aprile 2020

Il marxismo e lo Stato. Un dibattito italiano 1975-1976 - Carla Maria Fabiani

Da: CARLA MARIA FABIANI. TESI DI LAUREA, A.A. 1997-1998, UNIVERSITà DEGLI STUDI DI ROMA “LASAPIENZA”, TITOLO: IL PROBLEMA DELLO STATO IN KARL MARX. - APPENDICE - http://www.dialetticaefilosofia.it - https://www.academia.edu/1424146/Il_problema_dello_stato_in_Karl_Marx?email_work_card=view-paper 
Carla Maria Fabiani, Università del Salento. Department of Humanities 

                        "DEMOCRAZIA" - Norberto Bobbio 


 Il marxismo e lo Stato.

Il dibattito aperto nella sinistra italiana sulle tesi di Norberto Bobbio1.


In questa appendice vorremmo dar conto di una polemica aperta alla fine degli anni settanta da Norberto Bobbio, a proposito della mancanza in Marx e nei marxisti contemporanei di una dottrina articolata e compiuta sullo Stato. Gli interventi in risposta a Bobbio sono numerosi e non tutti prendono direttamente in considerazione la questione teorica se e in che modo Marx abbia criticato lo Stato capitalistico e soprattutto fino a che punto nei suoi testi sia rintracciabile una costruzione positiva di uno Stato ‘altro’ da quello borghese. Tutti invece (Bobbio compreso)discutono del rapporto democrazia-socialismo, incalzati dalle “dure repliche della storia” che l’hanno reso assai problematico, anche e soprattutto in una prospettiva di modificazione politica della realtà capitalistica dell’Occidente europeo e italiano nella fattispecie2.

Certamente l’accenno marxiano - presente già nell’Ideologia tedesca, in Miseria della filosofia, poi nel Manifesto, e nel saggio sulla Comune, oltre che in misura minore nel Capitale -al necessario superamento dell’ordinamento sociale borghese, delle sue classi e quindi della sovrastruttura statale che gli corrisponde, viene da tutti citato, ma al contempo considerato solo come un accenno e non come una vera e propria teoria politica di Marx. D’altra parte il Marx del1843 – la Critica a Hegel - non viene ricordato, e nemmeno viene presa in considerazione la concezione sostanzialmente etica che quel Marx aveva del sistema statale; non viene altresì considerato il passaggio alla critica dell’economia politica, o meglio, viene visto come un’esclusione da parte di Marx di una riflessione che sia tutta incentrata sullo Stato, sulle istituzioni politiche borghesi e su quelle ad esse tendenzialmente opposte.

La critica marxiana allo Stato capitalistico borghese non si presenta perciò - secondo la tesi di Bobbio e pure secondo quei marxisti sollecitati dalla polemica - connessa a una costruzione teorica che dia conto delle diverse forme in cui si organizza il dominio della borghesia(soprattutto la forma democratica di Stato che dovrebbe poi mantenersi all’interno di quello Stato socialista che Marx non ha comunque articolato), ma prende di mira l’essenza violenta - lo Stato come “violenza concentrata e organizzata della società” - di quel sistema di dominio di una classe sull’altra, della borghesia sul proletariato, che potrà superarsi solo attraverso una rivoluzione strutturale della società, all’indomani della quale si porrà allora il problema concreto di come organizzare praticamente la transizione al comunismo. Alla nuova società senza classi esenza Stato si dovrà arrivare comunque attraverso un processo politico, rispetto al quale, dicono Bobbio e gli intellettuali marxisti, nei testi di Marx non c’è un riferimento particolareggiato, non ci sono indicazioni in proposito.

L’urgenza politica che Bobbio manifesta è quella di concentrarsi da una parte sul concetto di democrazia - rappresentativa e/o diretta - e comunque sulle forme e gli istituti democratici che l’ordinamento borghese ha prodotto, e dall’altra sulla compatibilità fra questa e il ‘socialismo’,visto al di fuori della sua realizzazione pratica nell’Unione Sovietica, ma al di dentro di una prospettiva teorico-politica vicina al marxismo italiano, che deve prendere atto però dell’insufficienza teorica marxiana sulla questione dello Stato (seppure realisticamente definito come dominio basato sulla forza di un interesse sull’altro) e tentare di riempire il vuoto lasciato dal teorico della “rivoluzione sociale”, con uno studio finalmente incentrato sui rapporti, sulle istituzioni e sulle forme alternative possibili a quelle specificamente borghesi.

Considereremo in margine anche un intervento di Antonio Negri3 sull’argomento discusso da Bobbio e i marxisti ; l’interesse che può suscitare è dato dal fatto che Negri riporta la discussione sullo stretto nesso economico-politico, individuato da Marx, fra Stato e capitale, ma,curiosamente, tende a interpretare e ricostruire il pensiero marxiano utilizzando essenzialmente i Grundrisse ed escludendo invece proprio l’opera principale di Marx, il Capitale, nella quale – già nel 24° capitolo del I libro - è rintracciabile una trattazione non accidentale di quel nesso4.

Si vuole inoltre precisare che non daremo conto di tutti gli interventi di risposta a Bobbio,ma solo di quelli che esplicitamente fanno riferimento ai testi o al pensiero di Karl Marx. 

Le Tesi di Bobbio