sabato 30 aprile 2022

Perchè l’Occidente odia la Russia e Putin - Fabrizio Marchi

Da: http://www.linterferenza.info - Fabrizio Marchi insegna Filosofia, è direttore della rivista "l'interferenza".

Leggi anche: Crisi russo-ucraina: facciamo un po' di chiarezza - Fabrizio Marchi - + Appendice Pablo Iglesias (Podemos) 

Annie Lacroix-Riz: "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo" 

Vedi anche: Guerra in Ucraina: aspetti regionali e prospettive di pace.https://www.youtube.com/watch?v=arRoy11YX2I

L'incontro tra Putin e Xi Jinping allontana la guerra: appunti per l'Europa


Anche se può sembrare fantapolitico, specie per chi non si occupa di politica internazionale, è importante sottolineare che l’obiettivo strategico dell’offensiva globale americana (leggi, fra le altre cose, l’espansione della NATO ad est), è la Cina, non la Russia.

L’indebolimento o addirittura la destabilizzazione della Russia sul medio-lungo periodo è “solo” (con molte virgolette…) un passaggio intermedio, anche se di enorme importanza, al fine di isolare la Cina, il vero e più importante competitor degli americani. Che ciò sia possibile è tutto da verificare, naturalmente, ma a mio parere questa è l’intenzione.

Gli Stati Uniti puntano a prolungare quanto più possibile il conflitto in Ucraina se non a renderlo permanente. In questo modo sperano di dissanguare la Russia sia dal punto di vista militare che soprattutto economico, e di logorarla con il tempo anche sul piano psicologico, minando la coesione interna. Sul medio periodo la guerra potrebbe rafforzare e sta già rafforzando molto la leadership di Putin ma sul lungo potrebbe, forse, indebolirla. Del resto, restare impantanati in una guerra di lungo periodo può essere ed è stato destabilizzante per tutti. Pensiamo al Vietnam per gli USA e all’Afghanistan sia per l’America che per l’Unione Sovietica, solo per portare alcuni esempi noti. E per quanto la leadership di Putin sia molto solida, non possiamo escludere a priori nel tempo un suo indebolimento interno. Quanto e se ciò sia possibile, come dicevo, è altro discorso ma io credo che la strategia del Pentagono sia questa.

Subito dopo il crollo dell’URSS (ma il disfacimento era iniziato già da tempo) la Russia era ridotta ad una colonia, un paese con un enorme serbatoio di materie prime da saccheggiare e una grande massa di manodopera a bassissimo costo a disposizione per le multinazionali e le aziende occidentali, più un governo di affaristi senza scrupoli in combutta con la mafia e guidato da un fantoccio ubriacone al servizio degli USA. I quali erano ormai convinti di avere il mondo in pugno. E questo è stato il loro più grave errore. Un errore che per la verità hanno commesso spesso negli ultimi trent’anni. Sono rimasti letteralmente spiazzati dalla crescita economica impetuosa, se non portentosa, della Cina e non pensavano che la Russia potesse risollevarsi e ritrovare la sua forza, il suo baricentro, la sua identità, che è quella di un grande paese, con una grande storia, una grande cultura e un grande popolo che non può accettare di essere ridotto ad una colonia dell’Occidente.

Che ci piaccia o no (questo è del tutto indifferente al fine della comprensione delle cose) Putin è stato l’uomo che ha incarnato questa rinascita. Ed è proprio questo che l’Occidente non gli perdona. Perché gli ha tolto quel grande giocattolo che pensavano di avere ormai tra le mani e così facendo gli ha tolto il sogno – che sembrava ormai raggiunto – di poter dominare sull’intero pianeta.

Che poi la crociata antirussa sia all’insegna della difesa dei valori occidentali, della libertà, dei diritti civili e della democrazia, è ovviamente scontato, ma sono chiacchiere, propaganda delle più scontate, minestrine per ingenui (non voglio infierire…). L’Occidente fa e ha fatto affari, appoggiato, finanziato, armato e spesso creato di sana pianta le più feroci dittature in tutto il mondo (così come non esita oggi a nobilitare la peggiore feccia nazifascista mai vista in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale in poi), figuriamoci se il problema possono essere i diritti e la democrazia. Se Putin fosse al suo servizio potrebbe pure mangiarsi letteralmente i bambini a colazione che non gliene importerebbe assolutamente nulla e troverebbero anche il modo di occultarlo.

Indebolire, ridimensionare drasticamente o addirittura destabilizzare la Russia e insediare un governo compiacente, significherebbe, come dicevo, isolare la Cina. Pensiamo oggi all’India, un paese formalmente collocato nella sfera di influenza occidentale ma di fatto non ad esso omogeneo, per ovvie ragioni geografiche e quindi economiche e commerciali. Venendo meno la Russia, cioè l’altro principale bastione, oltre alla Cina, del blocco (euro)asiatico, l’India verrebbe inevitabilmente risucchiata nella sfera occidentale e forse anche il Pakistan, alleato fino a poco più di un anno o due anni fa degli Stati Uniti.

Si tratta ovviamente di una strategia e di un progetto ambiziosissimi che gli americani potrebbero giocarsi sul medio e lungo periodo. Del resto, se non riescono a spezzare in qualche modo il legame fra Russia e Cina, cioè l’asse centrale del (possibile ma non ancora del tutto omogeneo) blocco asiatico, per gli Stati Uniti e per il blocco occidentale le cose si potrebbero mettere molto male.

E’ per questo che la crisi in corso è sicuramente la più grave e inquietante dal termine della seconda guerra mondiale ad oggi. Una crisi di cui obiettivamente non siamo in grado di prevedere gli sviluppi e soprattutto gli esiti, potenzialmente drammatici.

P.S. E anche quanto sta accadendo è una delle conseguenze del crollo dell’URSS e del blocco sovietico. 

Canto Notturno di un Pastore Errante dell'Asia - Giacomo Leopardi



"Canto Notturno di Un Pastore Errante Dell'Asia" di Giacomo Leopardi. 
Recita Arnoldo Foà. 
Musica: Blucobalto dei Negramaro.  
                                                                           
                                                                           

venerdì 29 aprile 2022

Note su “Il Mediterraneo” di Fernand Braudel - Andrea Baldazzini

 Da: https://www.pandorarivista.it - Fernand Braudel, Il Mediterraneo: lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, Bompiani, Milano 2008, p. 43. - Andrea Baldazzini Ricercatore Senior presso AICCON, centro di ricerca dell’Università di Bologna dedicato alla promozione della cultura della cooperazione e del non profit, dove si occupa di imprenditoria sociale, innovazione e trasformazioni dei sistemi di welfare territoriale. Svolge inoltre attività di formazione e consulenza per organizzazioni di terzo settore e pubbliche amministrazioni. Per «Pandora Rivista» è membro della Redazione. 

Leggi anche: A che serve la storia?*- Luciano Canfora  

FILOSOFIA DELLA STORIA - G. G. Federico Hegel  

Storia del pensiero scientifico e filosofico* – Ludovico Geymonat  

Marc Bloch oltre la nouvelle histoire: prospettive teoriche da riscoprire*- Adriana Garroni 

Vedi anche:  Marc Bloch - Alessandro Barbero  

"che scienza è la Storia?" - Aldo Giannuli 



Quest’opera, pubblicata per la prima volta nel 1949, ha rappresentato un vero e proprio momento di rottura nella storiografia contemporanea. Fernand Braudel è stato il principale rappresentante della cosiddetta seconda generazione dell’École des Annales, fondata da Lucien Febvre e Marc Bloch alla fine degli anni Venti a partire dalla rivista «Annales d’histoire économique et sociale», una rivista dalla quale nascerà un modo totalmente nuovo di studiare la storia, probabilmente il più rivoluzionario di tutto il Novecento.

Quali sono dunque i tratti distintivi di questo approccio storiografico? Perché il libro di Braudel sul Mediterraneo fornisce ancora oggi molti spunti imprescindibili, non solo per leggere la storia, ma anche per riflettere, ad esempio, sulla geopolitica di questo spazio? Perché la storia è necessaria a immaginare un futuro aperto e potenziale?

Andiamo con ordine, per quanto riguarda la prima domanda si può rispondere affermando che sono almeno quattro le caratteristiche peculiari dell’École des Annales:

  • L’interdisciplinarietà, ovvero, l’idea che la storia debba fuoriuscire dal suo «immobilismo accademico» aprendosi alle altre discipline, e lo stesso titolo della prima rivista Annales d’histoire économique et sociale mostra chiaramente come essa venga fin da subito pensata nelle sue strette correlazioni che la legano all’economia e al sociale. Non a caso infatti, soprattutto Febvre e Bloch guardano con interesse al marxismo e alla psicanalisi intendendoli entrambi come nuove modalità di presentare la pluralità dell’esperienza umana. Da qui poi l’interesse storico per le «dimensioni viventi della persona», come il lavoro o gli stili di vita, segni di una pratica storiografica radicalmente differente rispetto a quella ottocentesca classica.
  • Oggetto della storia può così diventare lo stesso mondo contemporaneo e non solo ciò che è temporalmente lontano. Lo storico può finalmente cominciare a occuparsi anche di fatti che lo coinvolgono in prima persona, e rispetto ai quali non vi deve essere per forza quel distacco solitamente richiesto in nome di un presunto oggettivismo epistemologico.
  • Nasce allora il desiderio di scrivere una «storia totale», non limitandosi più ai meri aspetti politici, militari o diplomatici.
  • Il racconto storiografico passa dunque dallo studio degli ‘eventi’ (l’histoire événementielle come la chiamano Bloch e Febvre che schiaccia la storia sulla storia-politica) a quello delle strutture, delle ricorrenze, delle interconnessioni, guardando al passato come ad un «flusso» e non come ad una somma di epoche o manifestazioni di qualche Spirito.

mercoledì 27 aprile 2022

Discussione intorno al senso della guerra - Roberto Fineschi

Da: https://www.facebook.com/roberto.fineschi -  Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Allievo di Alessandro Mazzone, Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.

Leggi anche: Fare la pace o fare la guerra? - Roberto Fineschi

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

Vedi anche: Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare" - R.Fineschi, M.Casadio, A.Allegra.



Sabato 9 aprile, il Centro Casa Severino e l'Associazione di Studi Emanuele Severino hanno promosso un incontro interdisciplinare sul tema della guerra. Qui sotto la trascrizione minimamente rivista del mio intervento. 

Da una parte vorrei tentare di fare un discorso più generale diciamo di quadro. Facendo questo inevitabilmente ci si presta alla critica di non cogliere la drammaticità del presente: quando muoiono persone, si distruggono città è difficile distogliere lo sguardo; ovviamente si tenta di farlo non per ignorare il dramma ma per proporre una riflessione più ampia, inquadrata in un contesto di sistema, in questo caso relativo al concetto di guerra e violenza nella modernità e, a fortiori, anche al caso ucraino. 

La guerra non è certo una novità contemporanea; da quando esistono società complesse l'uomo ha sempre fatto guerre; da sempre i filosofi se ne sono occupati, ma più recentemente è nata una disciplina che in modo più politically correct ha cercato di affrontarla in maniera ancora più esplicita: le relazioni internazionali. In esse si cerca di sciogliere il nodo della guerra non per giustificarla da un punto di vista morale, ma per spiegarne la necessità fattuale nel mondo politico (i rapporti di potere producono degli equilibri che non si tratta di giudicare perché belli o brutti, ma semplicemente in quanto instaurano un ordine) o nel tentativo di evitarla proprio per le caratteristiche che ha. 

Tanto gli approcci realisti e neorealisti, quanto quelli che hanno invece cercato una via diplomatica, non violenta alla soluzione delle controversie internazionali di stampo liberale o neoliberale (Bobbio ad esempio), a mio modo di vedere hanno una questione filosofica di fondo che consiste nel partire da una concezione che dal punto di vista di Marx è criticabile, vale a dire il contrattualismo: considerare la formazione dell'istituzione statuale come un contratto sociale, che naturalmente si risolve poi diversamente in diversi filosofi. Il tratto comune è che se si instaura una società che in qualche modo argina la violenza anarchica dello stato di natura a livello interno, il problema si ripropone a livello esterno nelle relazioni internazionali in cui, di nuovo, i singoli funzionano come atomi anarchici. Secondo alcuni la loro interazione porta naturalmente a un equilibrio tra forze contrapposte e, alla fine, stabilisce un ordine che non è necessariamente giusto o bello, ma è un ordine. Invece secondo altri quest'ordine va costruito in qualche modo replicando la dimensione contrattualistica attraverso istituzioni terze che riescano, da una posizione super partes, a riconciliare e ricomporre il dissidio atomico dell'anarchia. 

lunedì 25 aprile 2022

Pandemia covid-19 oggi - Paolo Massucci

Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni. 


Faccio alcune brevi considerazioni sulla pandemia. Siamo in una situazione ancora molto incerta e non risolta per tanti versi. Intanto appare assurdo che tra una settimana cadono altre restrizioni in particolare riguardo all'obbligo della mascherina, nel momento in cui i livelli di contagio, già altissimi, stabili per settimane, sono ora in nuovo chiaro aumento (si tratta del 16% di positivi su 500 mila tamponi, di cui il 70% antigenici con il 50% di falsi negativi). 

Certo la gravità della malattia è molto ridotta rispetto a quando, con solo 8 mila positivi registrati, avevamo 800 decessi al giorno e gli ospedali pieni. Tuttavia abbiamo oggi ben 150-200 morti covid al giorno, o almeno positivi al covid: siamo in grado di dire quanti di questi sono morti per o con covid19? Se stimiamo che il 2,5% della popolazione generale sia positiva al covid (un dato possibile, ipotizzabile), allora 50 persone al giorno muoiono positive al covid (calcolo basato su 780 mila morti l'anno in Italia), di cui 4 per covid (rapporto tra decessi giornalieri totali e decessi covid) e 46 con covid. Ma gli altri 120 (dato che muoiono almeno 170 persone al giorno per covid, dati SSN) allora muoiono effettivamente per covid.

Insomma tra 100 e 150 persone muoiono per covid ogni giorno ed è un numero spaventoso. Poi si consideri che ci sono persone che muoiono per le complicazioni del covid, ma dopo essersi negativizzate.

Posso ipotizzare, ed esiste un dibattito in merito, che alcuni epidemiologi di riferimento, ma non tutti, concordano, che le nuove decisioni di "rilassamento" sulle restrizioni sociali (mascherina in particolare), abbiano lo scopo, a parte gli ovvi benefici psicologici ed economici, di far circolare il virus e costruire una immunità di massa robusta, per prevenire la prossima ondata autunnale più che probabile.

La cosa è sensata? Non saprei, ma, a parte i 150 morti covid suddetti, tutt'ora gli ospedali funzionano male, in quanto alle carenze strutturali di organico ed investimenti (grazie alla riduzione dello stato sociale compiuto e tuttora in corso da parte delle politiche neoliberiste imposte dagli interessi dei capitalisti) si aggiungono gli oneri organizzativi ed economici della suddivisione dei reparti ospedalieri in aree covid e non covid. Gli interventi non urgenti continuano ad essere procrastinati per carenze di strutture e sale operatorie covid free disponibili; senza contare che se prima di un intervento il paziente, sempre sottoposto a tamponi, viene riscontrato positivo, l'intervento viene rimandato. La sanità sta funzionando decisamente peggio e ciò ormai da oltre due anni: ci stanno facendo abituare ad una sanità di serie B? Forse se ne avvantaggia il debito pubblico, in quanto si devono pagare meno pensioni, perché si vive meno (dati INPS noti) ma l'età pensionabile non diminuisce (può solo aumentare, mai ridursi, come stabilito dalla legge Fornero).

Green pass. Il green pass a mio avviso non serve più: basta semmai un certificato vaccinale. Io sono a favore dell'obbligo vaccinale (allorché i dati delle istituzioni scientifiche del farmaco ne intravedano l'utilità); ma il green pass, che comporta anche una eventuale temporanea esclusione di validità in caso di positività o di quarantena o isolamento, non ha più senso in quanto i contatti stretti non producono più quarantena e i tamponi effettuati sono ormai pochissimi: è saltata in pratica ogni possibilità di tracciamento. Inoltre lo stesso vaccino, che fornisce il green pass, impedisce troppo poco l'infezione e la possibilità di trasmetterla ad altri. A mio avviso il green pass oggi è solo una inutile complicazione, che produce falsa sicurezza. Da abolire subito.

Tamponi: se non li aggiorniamo sono quasi inutili, almeno quelli rapidi, con tanti falsi negativi.

Vaccino. Il vaccino ad oggi, a mio avviso, ha salvato da decessi che in Italia sarebbero potuti arrivare a un milione. E non dimentichiamoci inoltre che esiste anche il long covid. Tuttavia oggi ci troviamo in una situazione problematica. Infatti, mentre nei primi 12-18 mesi dall'inizio della pandemia il virus è mutato poco e si è potuto preparare un eccellente vaccino, a un certo punto il virus, a causa della pressione selettiva dovuta alla immunità acquisita con guarigione o vaccino (cambia poco), ha iniziato a mutare rapidamente, acquisendo forme estremamente contagiose e che "bucano" il vaccino (che comunque rimane protettivo per le forme gravi, quindi salvifico).

Il problema è che il virus muta rapidamente e non si fa in tempo a starci dietro con l'aggiornamento dei vaccini. La quarta dose serve a poco. Si parla di possibile vaccino aggiornato per settembre, che però dovrebbe essere progettato sin d'ora: ma su quale virus? Quale variante di Omicron, dato che si avvicendano l'un l'altra ogni mese? E a settembre avremo ancora omicron e simili? Nessuno può dirlo. C'è quindi preoccupazione a livello OMS, perché non si vede una strada chiara sul vaccino futuro per controllare la pandemia.

Mascherine. Sostengo che, purtroppo, sia assolutamente necessario l'obbligo delle mascherine in tutti i luoghi chiusi e per strada in caso di affollamento o tra persone che si parlano vicine. Altro che eliminarle! Bisogna inoltre lavarsi le mani e tenere aperte finestre e finestrini nei luoghi chiusi, scuole ed ospedali (ove possibile) compreso.

La questione dei filtri e della ventilazione nelle scuole etc. C'è una lettera di un ingegnere di Torino che appunto chiede questo e che in altri paesi tipo Canada è stato fatto. Inoltre tutte le misure ragionevoli (ridurre numero scolari per es.) non sono state prese. 

Nessun ampliamento della rete e frequenza dei mezzi pubblici è stata attuata ed oggi si viaggia di nuovo come nei carri bestiame.

In sostanza: - se si tengono aperte le scuole - se si tengono in funzione le fabbriche e gli uffici a pieno regime - se si tengono in attività le discoteche e i ristoranti - se si aprono i cinema ecc. e così via, non c'è niente da fare, il virus continuerà a diffondersi. 

Poiché è evidentemente impossibile che, almeno per ora, si restringa di nuovo e con decisione la circolazione delle persone, ebbene, l'epidemia continuerà.

Ormai al primo posto c'è la guerra. Del resto se ne fottono... 

domenica 24 aprile 2022

Il 25 aprile, la Resistenza italiana e la guerra in Ucraina. Antifascismo reale e antifascistismo liberale - Stefano G. Azzarà

Da: https://www.facebook.com/stefano.azzara - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.



Andiamo al cuore del problema.
 


L'equiparazione tra la guerra in Ucraina e la Resistenza, con la conseguente assimilazione dell'esercito e delle formazioni paramilitari ucraine (nazisti di Azov compresi) ai partigiani, è la narrazione che costituisce il nucleo dell'operazione ideologica con la quale soprattutto il Pd ma in generale tutte le forze liberali, con i loro apparati egemonici, intendono affrontare l'imminente 25 aprile, al fine di spazzare via definitivamente ogni lettura alternativa e ogni alternativa culturale. 


Questa assimilazione è sbagliata sul piano storico ed è pericolosa sul piano politico e va perciò respinta senza tentennamenti, respingendo al mittente al contempo il ricatto morale che le è sotteso. 

Sono decenni, ormai, che il paradigma politico antifascista classico, nato dall'alleanza tra paesi capitalistici e Urss e corroborato dalla teoria storiografica del cosiddetto "fascismo internazionale", è stato soppiantato dal paradigma del "totalitarismo": un dispositivo che serve ad affermare il primato ontologico della democrazia liberale occidentale, intesa come l'unica immanenza politica possibile ovvero come la realtà politica in quanto tale, e a delegittimare ogni forma politica diversa, in primo luogo quella socialista, assimilandola alla minaccia nazifascista. 

Tutto ciò che non è liberalismo, viene detto, è giocoforza totalitario e dunque è il male assoluto. Ragion per cui le differenze tra i diversi tipo di "totalitarismo" - nazismo, fascismo, comunismo, fondamentalismo islamico, per un certo periodo persino il populismo... -, pur se in apparenza macroscopiche, sono secondarie e irrilevanti rispetto al comune peccato mortale di sacrilegio verso il liberalismo. 

sabato 23 aprile 2022

La conflittualità valutaria e l’enigma del gas valutato in rubli - Francesco Schettino

Da: https://www.lantidiplomatico.it - Francesco Schettino è un economista, docente All’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli e all’Università Popolare Antonio Gramsci di Roma. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni ed è stato uno dei maggiori collaboratori della pregevole rivista marxista La Contraddizione (https://rivistacontraddizione.wordpress.com).

Vedi anche: "CRISI DISUGUAGLIANZE E POVERTÀ" - Sergio Cararo intervista Francesco Schettino

L'attualità più stringente ci induce a pensare che la questione valutaria sia di nuovo al centro dell'attenzione. Non è un caso che essa venga adoperata come arma all’interno di un conflitto esplicito e che sembri essere la reazione più forte e più evidente che il governo russo ha messo in piedi per contrastare le sanzioni che nel frattempo continuano a mutare forma e divenire sempre più coercitive nei confronti della Russia e del popolo russo. Se ne è parlato tanto però sembra opportuno specificare alcuni elementi innanzitutto semplificando all'osso la questione. È pertanto importante tornare un po’ indietro e cercare di delineare dal punto di vista concettuale che cosa è una valuta internazionale e perché appunto il governo russo abbia pensato di attuare una mossa del genere per agire da contrappeso alle sanzioni internazionali. 

Innanzitutto, è importante districarci da quel nodo teorico perlopiù inventato dal mainstream - in altri termini la scuola liberale, conosciuta in dottrina come neoclassica o marginalista - per cui la moneta non possa influenzare le variabili reali come disoccupazione e reddito (il famoso “velo”). A livello capitalistico la moneta è una merce a tutti gli effetti disponendo di tutte le caratteristiche degli altri beni prodotti capitalisticamente e cioè di un valore d’uso, un valore di scambio. Solo le banche centrali hanno l’autorità per emetterle e dunque si può dire che esista un monopolio nella sua produzione.

Semplificando al massimo, dunque, quando si parla di due elementi fondamentali ossia delle riserve internazionali di valuta pregiata e al contempo della valutazione di alcune risorse, come per esempio il caso del gas - o potrebbe essere anche quello del petrolio -, in valute diverse si toccano questioni di un certo rilievo che vanno a far vacillare i gangli del sistema stesso. In sostanza, le riserve internazionali - che quasi tutte le banche centrali del mondo detengono - servono principalmente per tre ragioni 1) Acquistare merci straniere; 2) Agire da potenziale contrappeso (anche come deterrente) per eventuali ondate speculative al ribasso sulla valuta nazionale; 3) Onorare contratti (anche debiti) denominati in valuta pregiata straniera.

giovedì 21 aprile 2022

Dalle OLIGARCHIE alla VOLONTÀ di POTENZA - dialogo con Luciano CANFORA

Da: DARSI PACE · MARCO GUZZI - Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni) 


DALLE OLIGARCHIE ALLA VOLONTÀ DI POTENZA - DAVIDE SABATINO IN DIALOGO CON LUCIANO CANFORA


Una delle parole che è stata sdoganata in questi giorni dai giornali mainstream è la parola “oligarchie”. Peccato però che con questo termine si è voluto indicare esclusivamente i ricchi affaristi russi, i quali - dicono i giornaloni - sono rei non solo di essere nababbi, ma anche di essere di nazionalità russa. Una discriminazione razziale che non sembra avere eguali nel resto d’Europa. 

Insieme al noto Professor Luciano Canfora abbiamo voluto scavare a fondo su questo tema del “governo dei pochi” (“oligoi” = pochi e “archè” = governo), perché siamo convinti che solo comprendendo la differenza fra democrazia e oligarchia anche il nostro orizzonte contemporaneo potrà risultare meno oscuro e ambiguo. Infatti, è inutile continuare a credere di essere i paladini della democrazia quando - di fatto - molti diritti fondamentali stanno progressivamente venendo meno. E non basta neppure paragonare il nostro sistema di relativa libertà di stampa con quello di censura più o meno dichiarata che vige da anni in Russia per poterci sentire migliori. Al massimo possono essere magre consolazioni, ma niente di più. 


L’ultimo libro di Luciano Canfora si intitola “La democrazia dei signori”, ed è proprio partendo da questo testo che abbiamo deciso di attraversare le criticità del nostro tempo, evitando in ogni modo di scadere in commenti di bassa propaganda politica che tanto vanno di moda sui quotidiani e nelle televisioni generaliste. Il quadro disegnato dal pensiero di Canfora durante il nostro dialogo mostra linee di carattere filologico fondamentali per capire la storia di oggi, senza le quali tutte le contraddizioni che questa guerra sta facendo emergere non possono che insabbiarsi. 

Per comprendere lo scenario geopolitico attuale non possiamo solo impressionarci di fronte alle immagini criminali e di devastazione che vengono trasmesse ventiquattro ore su ventiquattro da tutte le reti televisive. Occorre saper leggere quelle immagini con le lenti d’ingrandimento della filosofia e della storia politica. Ciò che fa da sfondo alle raffigurazioni drammatiche della tragedia in atto sono infatti le (in)coscienze delle classi dirigenti globali che - come insegna Luciano Canfora - oltre ad essere molto più “internazionalistiche” e “solidaristiche” del popolo che vorrebbe insorgere, sono anche governate da quella “volontà di potenza” rispetto alla quale ci mise in guardia nel secolo scorso la filosofia del profetico Friedrich Nietzsche. 


Chissà se in queste ore turbolente e vertiginose riusciremo, come popolo, a recuperare la lezione del secolo appena trascorso, provando ad affrontare il futuro con un’ottica meno bellica e più serenamente relazionale. Noi siamo qui per provarci. 
Davide Sabatino - L'Indispensabile 

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martedì 19 aprile 2022

La situazione militare in Ucraina - Jacques Baud

 Da: https://www.orazero.org - https://www.thepostil.com/the-military-situation-in-the-ukraine - Questo articolo appare per gentile concessione del Centre Français de Recherche sur le Renseignement , Parigi. Tradotto dal francese da N. Dass. - Jacques Baud è un ex colonnello di stato maggiore, ex membro dell'intelligence strategica svizzera, specialista dei paesi dell'est.


Parte prima: La strada per la guerra 

Per anni, dal Mali all’Afghanistan, ho lavorato per la pace e rischiato la vita per essa. Non si tratta quindi di giustificare la guerra, ma di capire cosa ci ha portato ad essa. Noto che gli “esperti” che si alternano in televisione analizzano la situazione sulla base di informazioni dubbie, il più delle volte ipotesi erette a fatti, e poi non si riesce più a capire cosa sta succedendo. È così che si crea il panico. 

Il problema non è tanto sapere chi ha ragione in questo conflitto, ma mettere in discussione il modo in cui i nostri leader prendono le loro decisioni.

Cerchiamo di esaminare le radici del conflitto. Si comincia da quelli che negli ultimi otto anni sono identificati come “separatisti” o “indipendentisti” del Donbass. Questo non è vero. I referendum condotti dalle due repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk nel maggio 2014, non erano referendum di “indipendenza” (независимость), come alcuni giornalisti senza scrupoli hanno sostenuto, ma referendum di “autodeterminazione” o “autonomia” (самостоятельность). La qualifica “filorusso” suggerisce che la Russia era una parte del conflitto, ma non è corretto, e sarebbe stato più giusto utilizzare il termine “russofoni”. Inoltre, questi referendum sono stati condotti contro il consiglio di Vladimir Putin. 

Infatti, queste repubbliche non cercavano di separarsi dall’Ucraina, ma di avere uno status di autonomia, garantendo loro l’uso della lingua russa come lingua ufficiale. Infatti il primo atto legislativo del nuovo governo nato dal rovesciamento del presidente Yanukovych, è stata l’abolizione, il 23 febbraio 2014, della legge Kivalov-Kolesnichenko del 2012 che rendeva il russo una lingua ufficiale. Un po’ come se i golpisti decidessero che il francese e l’italiano non sono più lingue ufficiali in Svizzera.
Questa decisione ha provocato una tempesta nella popolazione russofona. Il risultato è stata una repressione feroce contro le regioni russofone (Odessa, Dnepropetrovsk, Kharkov, Lugansk e Donetsk) che è stata attuata a partire dal febbraio 2014 e ha portato a una militarizzazione della zona e ad alcuni massacri (a Odessa e Marioupol, i più famosi). Alla fine dell’estate 2014, rimanevano solo le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk.