*Da: http://figuredellimmaginario.altervista.org/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/la-filosofia-francese-contemporanea.html
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Con questo articolo si
ripercorrere una tappa fondamentale della storia della storiografia moderna: la
reazione contro il positivismo del tardo XIX sec. fino all’elaborazione di
nuovi metodi e nuovi oggetti della ricerca storica novecentesca. Si propone
un’analisi del dibattito storiografico francese novecentesco, dalla storia totale di Marc Bloch
e Lucien Febvre alle riflessioni di Le Goff e altri storici sulla antropologia storica e
sulla, tanto celebrata quanto criticata, dilatazione dell’ambito della ricerca
storica. Si sostiene la necessità di riscoprire quegli strumenti intellettuali
di analisi e di sintesi, ravvisabili certamente nell’opera di Bloch, coi quali
elaborare non solo nuove sintesi della conoscenza storica, ma anche una
interpretazione complessiva delle nostre società, che è condizione necessaria
per il loro miglioramento.
Gli ultimi decenni del XIX sec. furono caratterizzati da una
vera e propria “rivolta contro il positivismo”;1 come ha scritto lo studioso
italiano Angelo D’Orsi, dall’«avvento di una nuova epistéme, ossia l’insieme delle concezioni e dei modi di
considerare e organizzare i processi della conoscenza»,2 ponendo così le basi
per il salto qualitativo della storiografia novecentesca.
La nuova storia si
proponeva di accogliere i migliori risultati della storiografia positivista e
le innovazioni metodologiche e interpretative apportate dalle altre scienze
sociali. Influenzati dal marxismo, gli storici statunitensi furono i primi a
parlare di new history3 e a dare
nuova enfasi ai fattori socio-economici nella spiegazione storica. Cominciarono
a occuparsi di intellectual history e
respinsero le divisioni disciplinari per concentrarsi sui legami che le diverse
attività umane intrattengono con la storia delle società. E così, nel corso del
Novecento si affermò in Europa e negli Stati Uniti l’attenzione verso la storia
della cultura in senso generale, delle idee e delle abitudini mentali degli
uomini in una data epoca e in un dato ambiente. Si trattò di una trasformazione
complessiva della scienza storica, dei suoi oggetti e del suo metodo, che avrà
esiti diversi nei diversi ambienti intellettuali. A questo proposito D'Orsi ha
osservato che:
Una dilatazione dell’ambito disciplinare appare insomma
l’asse su cui si indirizza prevalentemente la storiografia della prima metà del
Novecento, a partire da suggestioni ottocentesche. Il cinquantennio seguente
non farà che sviluppare questa tendenza, portandola talora all’estremo, sino,
in qualche caso, a far perdere a taluna disciplina storiografica il proprio
baricentro.4
In Francia i padri fondatori della nouvelle histoire furono,
come è noto, Marc Bloch (1886-1944) e Lucien Febvre (1878-1956), che fondarono
nel 1929 la celebre rivista Annales
d’histoire économique et sociale. Come dichiararono nell’editoriale del
primo numero del 15 gennaio, scopo della pubblicazione era difendere
innanzitutto l’unità sostanziale del sapere storico, promuovere la
collaborazione tra gli studiosi di diverse discipline e la formazione di una
cultura militante che incoraggiasse l’impegno civile degli intellettuali.
Si noti, infatti, che, in seguito all’esperienza tragica
della Grande guerra, gli intellettuali, a cui i due giovani storici si
rivolgevano, guardavano, in genere, con sempre maggiore disincanto alla società
contemporanea e alle sue drammatiche contraddizioni apparentemente insanabili.
Nel 1927 ebbe grande risonanza in Francia l'opera di Julien Benda,5 Il tradimento dei chierici, in cui si
accusavano gli intellettuali di aver abdicato al loro ruolo di guida della
società, non interessandosi agli accadimenti contemporanei, e, in alcuni casi,
addirittura di aver appoggiato gli odi razziali e l'intolleranza politica, che
erano esplosi nella prima guerra mondiale. Secondo quanto sostenuto dallo
storico francese P. Ariès,6 la storia
delle mentalità nata con Febvre e Bloch,
era in realtà solo un aspetto, una faccia di una storia più
estesa che veniva chiamata storia sociale, o anche storia economica e sociale,
e che si presentava già come storia totale: soltanto che la totalità era allora
costruita nella e dall’economia. Era questa storia a contrapporsi in blocco
alla storia politica, evenemenziale.7
Il progetto delle Annales
mirava a inserire gli studi particolari in una precisa prospettiva di storia
globale.8 Come scrive lo studioso italiano Francesco Pitocco,
Bloch considerava la storia globale alla stregua di un
limite matematico, una grandezza a cui tendere pur sapendola irraggiungibile. E
allo stesso modo è doveroso riconoscerle il merito di aver messo a disposizione
dell’indagine storica un clima di apertura e di libertà mentale di estrema
efficacia. Così come è doveroso riconoscerle la capacità di dar “senso” ai
singoli campi di ricerca, ai singoli oggetti storici altrimenti isolati e
dispersi.9
Tali posizioni teoriche erano alla base di importanti
tentativi di sintesi storica, come I re
taumaturghi (1924), la Società
feudale (1938-39) di Marc Bloch e Un
destino. Martin Lutero (1928), Studi su Riforma e Rinascimento (I ed.
italiana 1966) di Febvre. L’unità della storia era data dall’uomo e dal suo
rapporto scambievole con il mondo, come ha sottolineato Pitocco: «Gli uomini,
costruiti dai mille legami sociali che li tengono insieme, risultato di mille
realtà sociali che li alimentano. Gli uomini che nel loro essere sociali
fondano la loro unità, perché nella società tutto si tiene».10 Secondo questa
prospettiva, la storia economica, così come la storia della mentalità, sono
particolari punti di vista, particolari prospettive della storia globale: I re taumaturghi, capolavoro di storia
della mentalità, e i Caratteri originali
della storia rurale francese, capolavoro di storia economica, sono entrambi
parti integranti della storia globale blochiana. La storia della mentalità, la
storia religiosa, la storia economica, la storia politica non sono scomparti
distinti della storia, non solo perché sono tutte espressioni dalla creativa
operosità degli uomini, ma anche perché comunicano l’una con l’altra in uno
scambievole, e a volte contraddittorio, rapporto. E, in questo senso, la storia
era per i due studiosi francesi, in ultima istanza, psicologia. Le condizioni
sociali appaiono essenzialmente mentali, perché sono il risultato del personale
rapporto creativo che gli uomini, nelle loro particolari condizioni di vita,
instaurano con il mondo fisico, economico e politico, da cui sono allo stesso
tempo trasformati e condizionati. Secondo Bloch, nella loro storia i gruppi
umani vivono in condizioni materiali più o meno simili, con le quali però
interagiscono in modi diversi. È dovere dello storico è rintracciare proprio
quell’intricarsi di condizioni, materiali e spirituali, che hanno reso
possibile quel particolare rapporto
degli uomini con quella società e quell’ambiente. A questo proposito, è
innegabile il rapporto proficuo, che è intercorso negli anni, tra molti storici
delle Annales e il marxismo. Michel
Focault notava:
Mentre è evidente che le Annales, nonostante abbiano
modificato di continuo il loro metodo, i propri problemi e così via, pur
tuttavia si radicavano in una forma di storia profondamente legata al marxismo
… una storia dell’economia e della società.11
Seppur con accenti diversi, sia Bloch che Febvre hanno
sempre sottolineato nei loro tentativi di analisi storica il rapporto
dialettico intercorrente tra fenomeni storici diversi, tra le condizioni
materiali e la cultura degli uomini. Come ha scritto Lucien Febvre,
L’ambiente sociale prima di tutto compenetra l’autore di
un’azione storica, lo inquadra e in larga misura ne determina la creazione. E,
quando questa è compiuta, o muore, oppure, perché sussista, bisogna che subisca
la collaborazione attiva, la pericolosa collaborazione delle masse, il peso
dell’ambiente, irresistibile e determinante.12
Il peso preponderante della dimensione sociale sui singoli
fenomeni storici è ben illustrato in numerosissimi scritti di Bloch, oltre che
dalle sue opere di sintesi, dedicati alle invenzioni tecniche del Medioevo o ai
fenomeni economici, come la coniazione di monete d’oro. Nel saggio dedicato
all’invenzione e alla diffusione del mulino ad acqua nel Medioevo,13 per
esempio, Marc Bloch ha messo in risalto quelle esigenze sociali che ne spiegano
l’uso e la diffusione: anche se l’invenzione del mulino ad acqua risalirebbe al
I sec. a. C., esso fu largamente utilizzato nell’Europa latina soltanto nei
secoli medievali, ossia in società in cui, al contrario di quella romana che ne
vide solo un parziale utilizzo, mancava quella immensa manodopera a bassissimo
costo che erano stati gli schiavi.
Nel dopoguerra le Annales
diventeranno un punto di riferimento per l’ambiente universitario e culturale
sia francese che internazionale. Nel 1956, in seguito alla morte di Febvre,
Ferdinand Braudel, autore de Il Mediterraneo
e il mondo mediterraneo all’epoca di Filippo II (1949), divenne il
direttore della rivista. In questi anni verranno introdotti nuovi temi della
ricerca storiografica, come la vita quotidiana, e nuovi metodi, come quelli
quantitativi, che saranno utilizzati nelle ricerche per esempio di demografia
storica. Sul finire degli anni ’60 Braudel fece entrare nella redazione del
periodico alcuni storici più giovani e promettenti, come Jacques Le Goff e
Emmanuel Le RoyLadurie. In questi anni la fisionomia intellettuale e
redazionale della rivista cambiò notevolmente, inaugurando un vero e proprio
processo di demolizione del paradigma originario elaborato dai padri fondatori
della nuova storia francese. L’interesse per i temi socioeconomici diminuì
fortemente, a vantaggio degli studi su tematiche particolari della dimensione
quotidiana, quali la morte, la sessualità, la criminalità, l’infanzia, ecc. Con
la sempre più maggiore influenza dell’antropologia strutturalista di
Lévi-Strauss, gli storici delle Annales
si dedicarono con nuovo entusiasmo ai temi della storia intellettuale e delle
mentalità, della psicologia collettiva e dell’antropologia simbolica,
sottolineando quindi le componenti inconsapevoli e irrazionali del senso
comune.
In questo modo si fece sempre più chiara la distanza tra le
prime Annales e gli storici della
cosiddetta terza generazione. Insieme a M. Vovelle, Le Goff individuava,
infatti, nella seconda metà del Novecento l’inizio della vera e propria storia
delle mentalità e indicava in Bloch, Febvre e Braudel, fino a Michelet e
Voltaire, soltanto la sua «lunga e solida tradizione».14 Addirittura, secondo
Vovelle, gli anni precedenti alla sua generazione «erano anni pressoché
deserti, per i quali si potrebbe parlare al più di preistoria della storia
della mentalità: una identità storiografica non organizzata, priva di un
preciso progetto storiografico, segnata da alcuni libri grandi ma isolati, come
la Grande paura di Georges Lefebvre,
o l’Autunno del Medioevo di Johan
Huizinga».15
Un giudizio simile ha espresso lo studioso Traian
Stoianovich16 , secondo cui soltanto nel corso degli anni 1946-72 venne
definendosi appieno il paradigma storiografico della nouvelle histoire francese. E, secondo François Dosse17 , la fase
di maggiore riconoscimento istituzionale della rivista e dei suoi storici
coincise con il graduale sbriciolamento culturale e degli intenti spirituali
che avevano dato vita al rinnovamento scientifico della disciplina.
Numerose sono state le critiche rivolte a questo nuovo
sviluppo della nouvelle histoire:
molti hanno denunciato un processo di «autonomizzazione dei fattori mentali».18 Secondo Pitocco, Le Goff favorì l’uscita dalla «storia globale» delle prime Annales verso «oggetti particolari».19
col proposito di promuovere la nuova disciplina dell’antropologia storica, che
sarebbe «una concezione che, in nome dell’apertura interdisciplinare, di fatto
scioglieva la storia nella sociologia e soprattutto nell’antropologia,
attenuandone fortemente l’identità disciplinare»20 e dando scarso peso al
rapporto tra storia e economia o linguistica, discipline tenute invece in gran
conto sia da Bloch che da Febvre.
Negli anni ’70-’80 Le Goff e A. Burguière sostenevano che
l’antropologia storica fosse il compimento naturale della storia della
mentalità di Bloch. L’antropologia storica, enfatizzando il legame
storia-sociologia-antropologia, si volgeva al contenuto impersonale del
pensiero, che accomunava i grandi uomini ai più umili, tentando - scrive
Pitocco - di «estrarre dalla storia le strutture e i loro tempi più o meno
immobili» e assegnando loro «il compito di portare il senso della storia
purificato e privato dal groviglio umano che lo produce costantemente e
costantemente lo modifica».21 Tale disciplina rifiutava così una delle lezioni
più importanti di Bloch e Febvre:
la storia non è storia delle società, ma storia dell’uomo
che vive in società mutevoli nel tempo. […] Ma soprattutto protagonisti della
storia sono gli uomini nella infinita pluralità e varietà delle loro vite, pur
vissute all’interno di strutture sociali, strutture sociali esse stesse.22
Le Goff ed i suoi colleghi francesi accettarono la lezione
di Foucault, che diede la prima definizione di storia seriale nel suo Archéologie du savoir (1969):
rinunciando a qualsiasi pretesa di interpretazione sintetica del proprio
oggetto di studio, ossia la grande Storia, lo storico doveva volgersi ora alle
storie con la s minuscola e al
plurale. Il suo compito era ricostruire un evento unico, irripetibile, un
piccolo frammento, geograficamente e temporalmente determinato, senza cercare
nella storia degli uomini una supposta continuità e unità. Ecco qui la
cosiddetta storia in briciole di
Pierre Nora. Insomma, la terza generazione delle Annales rifiutava l’unità della società, concetto-chiave che
caratterizzava, invece, il rapporto di scambio tra storia e scienze sociali in
Bloch e Febvre, a vantaggio della discontinuità, della frammentarietà: si
studiavano così oggetti particolari secondo procedure scientifiche specifiche.
Secondo Pitocco,
rotta l’unità e la globalità del sociale quello slancio ha
messo capo, di fatto, a una esplosione di ‘campi’, di ‘territori’ che ha
alimentato una tendenza alla dispersione, al descrittivismo storico. […] che
non a torto i critici delle Annales tendono a considerare come uno
sminuzzamento della storia, produttore di una secca perdita di senso.23
In questo contesto si è andata affermando la dizione di
storia delle mentalità, a partire dal giudizio negativo espresso da Le Goff in
un celebre articolo,24 in cui definì mentalità un concetto ambiguo per il suo
riferirsi allo stesso tempo ai fattori razionali e irrazionali propri del
pensiero e della sensibilità comune di una data società. Verso la fine del
Novecento si è affermata, non solo in Francia, ma anche nell’ambito della
storiografia anglo-sassone, una «vera e propria tendenza disciplinare, fondata
su un rapporto privilegiato, e persino esclusivo, con la psicologia e la
psicanalisi».
Ricordiamo, tra i critici della nuova storiografia francese,
importanti storici italiani del secondo Novecento, come Delio Cantimori che,
influenzati dallo storicismo e dediti alla storia delle idee e alla storia
politica, accolsero in gran parte con diffidenza la nouvelle histoire, che appariva come un insieme confuso di temi,
problemi e metodi e priva di una rigorosa concezione della storia.
Significativo il giudizio di Arnaldo Momigliano25 , secondo cui nemmeno
l’indubbio influsso del marxismo sugli storici francesi aveva instillato in
loro lo spirito teorico. A proposito
della diffidenza della storiografia italiana, Pitocco scrive:
Assorbita com’era nei problemi posti dal dibattito sullo
storicismo, e quasi soffocata dalla densità dei rapporti ‘teorici’ che esso
postulava tra storia, politica e filosofia, quella storiografia le appariva
‘artigianale’, un po’ confusa e approssimativa, tutta presa nella concretezza
empirica di un lavoro da laboratorio e lontana da ogni interesse per
quell’astrazione che è propria della teoresi filosofica e scientifica.26
Solo nel corso del secondo Novecento, negli anni ‘70-‘80, la
storiografia italiana accolse dei metodi e dei temi della nouvelle histoire,
dandone una originale interpretazione, per esempio con le riviste Quaderni storici e Storia e società.
Appare chiaro che tali nuove tendenze storiografiche della
cultura europea e statunitense abbiano intrattenuto uno stretto rapporto con le
tendenze filosofiche del secondo Novecento, cosiddette postmoderne,27 e con la
loro critica radicale alla razionalità sistematica, rappresentata dalla cultura
filosofica e scientifica moderna.28 Si tratta, in generale, di correnti di
pensiero, dal neopragmatismo anglosassone all’esistenzialismo francese e allo
storicismo tedesco, che hanno elaborato, secondo il filosofo italiano Aldo
Giorgio Gargani, «una concezione indebolita di razionalità» e «una concezione
deflazionista della verità».29
Come denunciato anche dai grandi nomi della letteratura
europea e statunitense, da Mann a Kafka, da Steinbeck a Orwell, nel mondo
contemporaneo l’uomo si sente sempre più solo davanti a un mondo estraneo,
fatto di ingranaggi e leggi che non conosce e non sa dominare. Si è verificato
in questo contesto non solo il diffondersi di atteggiamenti di distacco del
cittadino dallo stato e dall’impegno civile; ma anche la polemica radicale contro
le pretese universalizzanti della scienza e della filosofia.
Nel corso della metà del Novecento si radicalizzano
posizioni già sviluppatesi nei primi decenni del secolo, quando gli
intellettuali prendevano di mira il positivismo: la scienza è incapace di penetrare
la realtà degli uomini, fatta in ultima istanza dalle coscienze individuali e
dalle singole esperienze vissute. Riprendendo le parole dello studioso A.
Touraine,30 Paolo Favilli ha sottolineato che nella seconda metà del XX sec.
si è affermata «la definitiva sfiducia della possibilità della ragione di dare
senso ad un’esperienza di vita individuale e collettiva, ad un’esperienza di
storia, fondata sulla “totale accettazione della caducità, della
frammentazione, della discontinuità e del caos”».31 A ciò si aggiunge:
la negazione della possibilità di arrivare, sia pure
attraverso l’uso di strumenti razionali molteplici, a dare senso allo
svolgimento di complessi processi di realtà. Qualsiasi ricerca di senso viene
derubricata al livello di ‘grande narrazione’. Viene negato, in particolare,
che macroprocessi storici (e l’ampiezza del macro tende progressivamente a
ridursi) abbiano al loro interno un qualsiasi sistema di relazioni, anche se
molto labile, e soprattutto che tale sistema di relazioni possa avere capacità
esplicative del processo stesso.32
Ad esempio di ciò potremo prendere lo storico e filosofo
francese Foucault, che abbiamo citato in precedenza, il quale è stato
influenzato dalla cosiddetta Nietzsche-renaissance, che caratterizzò la Francia
degli anni ’60 e dal cosiddetto post-strutturalismo. Non solo egli non vedeva
nella storia e nel progresso delle scienze un processo di emancipazione umana,
come invece avevano fatto sia l’illuminismo sia il marxismo, né accordava
legittimità alle ricerche di un fondamento ultimo della nostra conoscenza.
È interessante notare che alcuni studiosi hanno messo in
relazione la nascita del pensiero e dell’ideologia postmoderna con il
drammatico fallimento delle promesse emancipatrici e di pace del pensiero
politico liberale. La tragedia delle guerre mondiali e le sempre crescenti
contraddizioni del mondo capitalistico avrebbero contribuito al disfacimento
dei sistemi filosofici forti (come l’hegelismo), che avevano tentato di fondare
e difendere la razionalità della storia.33 Secondo A. Ciattini, la nozione di
alterità e la conseguente enfasi sulle differenze, che sono caratteristiche del
pensiero postmoderno, sono nate «dalla crisi del modello unitario della ragione
[…], la cui origine dovrebbe essere rintracciata nelle trasformazioni della
società capitalistica realizzatesi a partire dagli ultimi decenni del
Novecento».34 Molti autori hanno inoltre denunciato la debolezza del pensiero postmoderno, in quanto non produce una
visione complessiva e critica della società e delle sue drammatiche
contraddizioni.35 Infatti gli intellettuali sono tutti presi dalla «perenne
decostruzione dei loro oggetti, i quali sono stati frantumati in una miriade di
tratti irrelati e sottoposti a procedimenti ermeneutici mai conchiusi e sempre
revocabili e invalidabili».36 Risulta, perciò, impossibile proporre prospettive
di trasformazione e miglioramento delle nostre società. Come ha scritto
Ciattini: nel postmoderno si concretizzano
il disegno del nuovo capitalismo di frammentare la società
in individui isolati […], la negazione che sia possibile elaborare una lettura
complessiva e totalizzante di quanto ci circonda, perché tale pretesa
annienterebbe la specificità e l’irriducibilità del singolo o delle diverse
culture che costellano il nostro universo disomogeneo e salutarmente
frammentato.37
In conclusione, ciò che mi preme sottolineare in questo
articolo è che la concezione dialettica
della storia di Marc Bloch si legava all’idea della sua utilità civile e quindi
del ruolo militante dello studioso. Uomo di grande cultura e di grande passione
civile, Bloch era convinto che scopo ultimo della conoscenza del passato è la
comprensione delle condizioni storiche, sociali ed economiche che hanno portato
al nostro presente, rendendo così possibile la sua trasformazione. Questo
atteggiamento fortemente critico e propositivo spinse Bloch verso la militanza
politica, non solo come intellettuale impegnato nella diffusione della cultura
storica; ma anche come uomo, che ha dato il suo contributo alla lotta contro il
nazismo, aderendo in ultimo alla Resistenza francese38 . Come ha scritto
Maurice Aymard, la riflessione storiografica prende nel caso di Bloch «una
dimensione del tutto personale, e nello stesso tempo emblematica, che fonda
l'unità della sua opera e della sua vita. La storia del passato non può essere
scritta se non da chi assume il ruolo di testimone, attivo e impegnato, del
presente».39
L’attività storiografica di Bloch si fondava sul tentativo
di legare strettamente il presente al passato e «di applicare
nell’interpretazione delle manifestazioni sociali dei nostri tempi le facoltà
di analisi che lo storico ha esercitato nella critica dei documenti dei tempi
lontani»40 . Studiare criticamente i fenomeni storici, saper coglierne le
differenze e le analogie, le continue interrelazioni con l’ambiente materiale e
le condizioni culturali che caratterizzano una società significava per il
grande storico francese tentare di penetrare l’avvenire: «Esaminando come e
perché l’ieri è stato diverso dall’altro ieri, essa [la storia] trova, in
questo accostamento, il modo di prevedere in che senso il domani, a sua volta,
si opporrà all’ieri».41
In armonia con le posizioni dello storico francese, lo
studioso inglese Edward H. Carr42 ha scritto: «la storia […] è un processo di
carattere sociale, a cui gli individui partecipano in quanto esseri sociali; e
l’immaginaria antitesi tra società e individuo non è altro che un cartello
sviante messo lì apposta per confonderci». E aggiunge, sottolineando il
rapporto che la storia intrattiene con la cultura e le esigenze delle società
presenti: «Il passato è comprensibile per noi soltanto alla luce del presente,
e possiamo comprendere pienamente il presente unicamente alla luce del passato.
Far sì che l’uomo possa comprendere la società del passato e accrescere il
proprio dominio sulla società presente: questa la duplice funzione della
storia».43
Studiare oggi, per esempio, le opere di Marc Bloch non
significa soltanto riscoprire le intenzioni originarie dell’innovazione
metodologica della storia e, più in generale delle scienze umane, che fu
elaborata nel corso del Novecento. Ma, soprattutto, significa dare nuovo
risalto ad una concezione dialettica della storia e dell’attività umana,
propria di Bloch e di tanti altri studiosi a lui contemporanei, che sottolinei
i rapporti reciproci e ambivalenti tra la dimensione materiale e la dimensione
ideologica e culturale, che individui le condizioni concrete in cui determinate
società e mentalità si sono sviluppate, superando quei limiti temporali e
geografici tanto comodi nello studio, ma fuorvianti nell’analisi della realtà.
È questa concezione della storia che ci insegna a vedere uno sviluppo continuo,
seppur contraddittorio, nell’attività umana e ci permette di comprendere le
ragioni d’essere della società attuale per migliorarla. Perché solo l’impegno
civile può dar significato all’attività conoscitiva dello studioso.
Note.
1 H. S. Hughes, Coscienza
e società. Storia delle idee in Europa dal 1890 al 1930, Einaudi, Torino
1967, pp. 40 ss. (ed. or. inglese 1958).
2 A. D’Orsi, Piccolo
manuale di storiografia, Mondadori, Milano 2002, p. 94.
3 Cfr. J. H. Robinson, The newhistory, Macmillan, New York 1912, cit. in A. D’Orsi, Piccolo
manuale di storiografia, cit., p. 95.
4 A. D’Orsi, Cit.,
p. 103
5 Julien Benda (1867-1956), filosofo e scrittore francese, è
l'autore del celebre pamphlet La trahison
des clercs (1927), edito in Italia da Einaudi nel 1976, in cui denunciò il
crescente impoverimento culturale delle società occidentali e il servilismo nei
confronti del potere politico di tanti intellettuali, che tradivano così il
loro ruolo di custodi di valori universali come quelli di giustizia e di
ragione.
6 P. Ariès, Storia
delle mentalità, in F. Pitocco (a cura di), Storia delle mentalità, Bulzoni, Roma 1996, pp. 223-249 (ed. or. francese
1979).
7 P. Ariès, Cit.,
p. 228.
8 «L’armatura di istituzioni che regge una società si può
spiegare, in ultima istanza, solo con la conoscenza dell’intero ambiente umano.
La finzione di lavoro che, nell’essere di carne e di sangue, ci costringe a ritagliare
questi fantasmi: homo oeconomicus,
philosophicus, iuridicus, è certo necessaria; ma sopportabile solo se ci si
ricusa di esserne vittime», M. Bloch, La
società feudale, Einaudi, Torino 1959, p. 107, cit. in F. Pitocco, Storia
delle mentalità, cit., p. 47, nota 67.
9 F. Pitocco, Cit.,
p. 48.
10 F. Pitocco, Storia
delle mentalità, cit., p. 55.
11 M. Focault, Lo stile
della storia, in Il discorso, la
storia, la verità. Interventi 1969-1984, Einaudi, Torino 2001, cit. in P.
Favilli, Marxismo e storia: saggio sulla
innovazione storiografica in Italia (1945-1970), ed. Franco Angeli, Milano,
2006, p. 170.
12 L. Febvre, Storia e
psicologia, in F. Pitocco (a cura di), Cit., p. 107 (I ed. italiana 1966).
13 M. Bloch, in Lavoro
e Tecnica nel Medioevo, a cura di G. Luzzato, Laterza, Roma-Bari 2004 ( I
ed. italiana 1969).
14 F. Pitocco, Storia
delle mentalità, cit., p. 33.
15 F. Pitocco, Cit.,
p. 35.
16 T. Stoianovich, La
storia francese. Il paradigma delle “Annales”, Torino, ISEDI, 1978.
17 F. Dosse, L’histoire
en miettes, Parigi, Editions de la Découverte, 1987.
18 A. D’Orsi, Cit.,
p. 108.
19 F. Pitocco, Cit.,
p. 50.
20 F. Pitocco, Cit.,
p. 73.
21 F. Pitocco, Cit.,
p. 99.
22 F. Pitocco, Cit.,
p. 99.
23 F. Pitocco, Cit.,
p. 45.
24 J. Le Goff, La
mentalità: una storia ambigua, in F. Pitocco, Cit. (ed. or. in Faire de l’histoire, Editions Gallimard, Paris
1974).
25 A. Momigliano, Lo
storicismo nel pensiero contemporaneo, in Rivista storica italiana, 1961, n. 1, p. 115.
26 F. Pitocco, Cit.,
p. 20.
27 Il termine postmoderno è entrato nel dibattito filosofico
in seguito alla pubblicazione nel 1979 di La
condizione postmoderna di J. F. Lyotard.
28 A questo proposito vedi, per esempio, il volume
collettaneo curato da A. G. Gargani, Crisi
della ragione. Nuovi modelli del rapporto tra sapere e attività umane (1979).
29 A. G. Gargani, Crisi
della ragione, voce dell’Enciclopedia Treccani online.
30 A. Touraine, Critica
della modernità, Milano, Il saggiatore, 1997, p. 222.
31 P. Favilli, Cit.,
Franco Angeli, p. 22.
32 P. Favilli, Cit.,
Franco Angeli, p. 23.
33 Faccio riferimento, per esempio, a S. Garroni, Dialettica e socialità, Roma, Bulzoni
2000.
34 A. Ciattini, Il
radicamento del pensiero antropologico post-moderno nella società contemporanea,
p. 3, in via di pubblicazione.
35 T. Egleton, Ideologia. Storia e critica di un’idea
pericolosa, 2007.
36 A. Ciattini, Cit.,
p. 4.
37 A. Ciattini, Cit.,
p. 5.
38 Nel 1943 Bloch entrò a far parte del gruppo clandestino
Franc-Tireur e lavorò come redattore-capo a Les
Cahiers politiques de la France combattante. Divenne ben presto membro del
direttivo regionale della Resistenza francese e contribuì all’organizzazione
delle insurrezioni di dieci départements
che dipendevano da Lione. Fu arrestato dalla Gestapo l’8 marzo 1944 e fucilato
il 16 giugno successivo.
39 M. Aymard, Introduzione,
in M. Bloch, La guerra e le false
notizie. Ricordi (1914-1915) e Riflessioni
(1921), Donzelli, Roma 1994, p. XVI-XVII.
40 G. Luzzato, Prefazione,
in M. Bloch, Lavoro e tecnica nel
Medioevo, Cit.
41 M. Bloch, La strana
disfatta, Einaudi, Torino 1995, p. 110 (ed. or. francese 1946).
42 E. H. Carr (1892-1982), storico e diplomatico inglese,
celebre per la suo opera monumentale Storia
dell’Unione Sovietica
(14 voll.). Di orientamento marxista, si oppose all’empirismo storiografico.
43 E. H. Carr, Sei
lezioni sulla storia, Torino, Einaudi 2000, pp. 60-61 (ed. or. London
1961).
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