venerdì 30 novembre 2018

Il secondo e terzo volume del Capitale di Marx - Rosa Luxemburg (1919)

Da: https://www.marxists.org - Pubblicato nel capitolo 12 della Vita di Marx di Franz Mehring. Traduzione di Fausto Codino e Mario Alighiero Manacorda. Trascritto da Leonardo Maria Battisti, giugno 2018.
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    Il secondo e il terzo volume del Capitale subirono le stesse vicende che erano toccate al primo: Marx sperava di poterli pubblicare subito dopo che era uscito il primo, ma passarono lunghi anni, e non gli riuscì più portarli al punto da poter essere stampati.

Studi sempre nuovi e sempre più profondi, malattie penose e infine la morte gli impedirono di terminare tutta l’opera, e così Engels mise insieme i due volumi dei manoscritti incompiuti che il suo amico aveva lasciato. Erano minute, abbozzi, appunti, ora parti estese e continue, ora brevi annotazioni, quali uno studioso fa per proprio uso: un lavoro teorico immenso che si estese, con prolungate interruzioni, per il lungo periodo di tempo fra il 1861 e il 1878.

Queste circostanze ci fanno capire che nei due ultimi volumi del Capitale dobbiamo cercare non una soluzione pronta e compiuta di tutti i più importanti problemi di economia politica, ma in parte soltanto l’impostazione di questi problemi, e inoltre indicazioni sulla direzione da seguire per cercarne la soluzione. Come tutta la concezione del mondo di Marx, anche la sua opera principale non è una Bibbia, con verità inappellabili pronte e valide una volta per sempre, ma una fonte inesauribile di incitamento ad ulteriore lavoro teorico, a ulteriori ricerche e lotte per la verità.

Quelle stesse circostanze ci spiegano come mai anche esteriormente, nella forma letteraria, il secondo e terzo volume non sono così compiuti come il primo, non hanno lo stesso spirito lampeggiante e scintillante. Eppure proprio come nuda elaborazione di pensiero, incurante di ogni forma, essi offrono a molti lettori un godimento ancora più alto del primo volume. Nonostante che fino ad ora, purtroppo, non si sia tenuto conto di essi in nessuna opera di divulgazione, e quindi siano rimasti sconosciuti alla grande massa degli operai colti, per il loro contenuto questi due volumi costituiscono un’integrazione essenziale e un ulteriore sviluppo del primo volume, indispensabile per la comprensione di tutto il sistema. 

giovedì 29 novembre 2018

La fatuità della cultura - Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Da: Hegel, Fenomenologia dello spirito, (trad. E. De Negri) 


    Il contenuto del discorso che lo spirito tiene di se stesso e intorno a se stesso è dunque l’inversione di tutti i concetti e di tutte le realtà; è il generale inganno di se medesimi e degli altri; e l’impidenza di enunciare questo inganno è appunto perciò la suprema verità. Tale discorso è la frenesia di quel musico “che ammucchiava e mescolava trenta arie, italiane e francesi, tragiche e comiche, di ogni risma; ora scendeva con nota da basso profondo sino all’inferno; ora, contraendo l’ugola, lacerava col suo falsetto le altezze dell’aria, a volta a volta furente e mansueto, imperioso e schernitore”. – Alla coscienza posata, la quale fa onestamente consistere la melodia del bene e del vero nell’eguaglianza dei toni, cioè nell’unisono, siffatto discorso appare come “un guazzabuglio di saggezza e di demenza, una miscela di capacità e istrioneria, di idee giuste e di false, di completa perversione del sentimento, di completa sfrontatezza, e insieme di piena sincerità, di piena verità. Non si potrà fare a meno di passare per tutti questi toni, di percorrere su e giù l’intera gamma dei sentimenti, dal più profondo dispregio e dalla più profonda abiezione fino alla suprema ammirazione e alla suprema commozione. In questi ultimi sentimenti si diffonderà un che di ridicolo a caratterizzare la loro natura”; i primi invece avranno nella loro sincerità perfino un                                                                                                                che di conciliante; avranno nella loro sconvolgente profondità quella nota che tutto domina e che                                                                                                                  restituisce lo spirito a se stesso.

    Se di fronte al discorso di questa confusione chiara a se stessa, noi consideriamo il discorso di quella coscienza semplice del vero e del bene, ecco che, rispetto all’aperta eloquenza, e di sé consapevole, dello spirito della cultura, tale discorso può essere soltanto un monosillabo; siffatta coscienza non può infatti dire niente a quello spirito, qualora esso non lo sappia e non lo dica da sé. Se questa coscienza va oltre al suo monosillabo essa dice allora quella stessa cosa che anche quello spirito dice; ma con ciò commette inoltre la pazzia di credere di dire qualcosa di nuovo e di diverso. Già le sue scempie e spregevoli sillabe sono questa pazzia; quello spirito infatti le dice di se stesso. Se nel suo discorso esso inverte tutto ciò che ha un tono solo, poiché questa identità con se stesso è mera astrazione, mentre nella sua effettualità è invece l’inversione in se stessa; e se per contro la coscienza retta prende sotto la sua egida il buono e il nobile, - vale a dire ciò che nella sua estrinsecazione si mantiene eguale, - nell’unico modo che qui è possibile, in modo cioè ch’esso non perda il proprio valore per quanto sia congiunto o mischiato al male (questa è infatti la sua condizione e necessità, questa è la saggezza della natura); - allora tale coscienza credendo di contraddire, altro non ha fatto che costringere il contenuto del discorso dello spirito entro una forma triviale; questa forma senza pensiero, rendendo il contrario del nobile e del buono condizione e necessità del nobile e del buono, crede di dire qualcos’altro da ciò: che il cosiddetto nobile e buono è nella sua essenza l’inverso di se medesimo, al modo stesso che, per contro, il cattivo è l’eccellente.

mercoledì 28 novembre 2018

STORIA DEL SESSANTOTTO - Michele Brambilla

Da Storia del Sessantotto, Rizzoli, Milano 1994 - https://www.autistici.org/operaismo/Autonomi3/index.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/04/1978-la-svolta-delleur.html

      Una interpretazione tra altre... (Il collettivo)


"Quando il cielo si svuota di Dio, la terra si popola di idoli"
Karl Barth

XIII - VERSO LA FINE

Il 1976 è l'anno in cui il Sessantotto entra in agonia. Certo, gran parte delle battaglie cominciate otto anni prima erano state vinte: il divorzio era diventato legge dello Stato, già dal 1970 era stato varato lo Statuto dei lavoratori, nel 1975 era stato riformato il diritto di famiglia, la scuola e l'università erano state sensibilmente modificate. E certo molti degli stili di vita e delle idee dei sessantottini si erano ormai radicati nella mentalità comune: dai comportamenti sessuali al linguaggio all'atteggiamento verso l'autorità. Persino il cosiddetto apparato era stato intaccato dalla «rivoluzione» sessantottina, e di questo l'esempio forse più rilevante è costituito dalla forte influenza, nel sistema giudiziario, della corrente di sinistra dei giudici, Magistratura democratica, e del fenomeno dei «pretori d'assalto». Di tutti questi cambiamenti nei costumi, del resto, è rimasta fino ai giorni nostri una traccia che appare indelebile. Ma per quanto riguarda il suo obiettivo principale, il Sessantotto è stato innegabilmente sconfitto. Il fine dichiarato dei contestatori, soprattutto dopo l'incanalamento ideologico della protesta, era una radicale trasformazione del sistema politico ed economico; un rinnegamento del capitalismo, l'instaurazione di una democrazia «dal basso». Molti sessantottini il potere l'hanno pure preso, come si può oggi facilmente constatare dando uno sguardo a molti organigrammi: ma per farlo hanno dovuto abiurare l'antica fede, e accettare di essere strumenti di quel capitalismo che volevano distruggere.

LA CRISI DEI GRUPPI

Di questa sconfitta, nel 1976 c'era già molto più di qualche semplice segno premonitore. L'avvisaglia principale fu la crisi dei gruppi rivoluzionari organizzati, che cominciarono allora la propria dissoluzione. I gruppi avevano fallito su tutti i fronti: non erano riusciti a sottrarre la classe operaia alla fedeltà al Partito comunista e al sindacato tradizionale; e, sul versante opposto, non erano stati in grado di interpretare fino in fondo lo spirito «movimentista» dell'ultima generazione. «I gruppi» ha scritto Paul Ginsborg «erano settari, dominati da modelli rivoluzionari terzomondisti, incapaci di trarre conclusioni realistiche dai segnali che venivano dalla società italiana.»
Dicevano di combattere l'autoritarismo, ma cercarono di imporre a tutti le loro forme di lotta, i loro stili di vita e le loro idee politiche: «Il lavoratore» era scritto su un documento programmatico del Cub della Pirelli nel 1972, «deve concepire se stesso come produttore ed acquisire coscienza della sua funzione, deve aver coscienza di classe e diventare comunista, deve rendersi conto che la proprietà privata è un peso morto, è un ingombro che bisogna eliminare».
Dicevano di detestare la forma-partito, ma caddero quasi tutti nella tentazione di riprodurre in fotocopia l'organizzazione di quei partiti che volevano spazzare via. Uno degli esempi più eclatanti fu, nel 1973, la nomina di Adriano Sofri a segretario della «movimentista» Lotta continua. E fu proprio nel 1976 che Lotta continua, forse il più importante dei gruppi del Sessantotto, si sciolse.

domenica 25 novembre 2018

SULLA VORREDE HEGELIANA - Stefano Garroni

Da: mirkobe79 Collettivo di Formazione Marxista "Stefano Garroni" - Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 



 Lo scopo, che mi propongo, è mostrare come, nella prospettiva dialettica di Hegel (e di Marx, il quale, sia pure con certe modifiche, la riprende e continua), la dimensione oggettiva del movimento storico non solo non si oppone al momento della soggettività, ma addirittura fa di quest´ultimo una sua componente essenziale.

 In questo senso dobbiamo riconoscere che brevi scritti del giovane Lukàcs - come il suo Lenin e l´altro saggio intitolato Cos´è il marxismo ortodosso-, in contrapposizione a quel marxismo oggettivista e scientista, che andò progressivamente imponendosi nella Terza Internazionale, segnando -per qualche aspetto-  una sorta di rivincita di Plachanov su Lenin, son capaci ancora oggi di indicarci una prospettiva di ripresa della riflessione dialettica, particolarmente adeguata ai problemi del tempo, che viviamo.

 Per far ciò mi servo di un noto ed importante testo di Hegel, ovvero della sua Prefazione/Vorrede alla Fenomenologia dello spirito; nel corso della cui analisi parziale, cercherò di mostrarne anche essenziali consonanze con le posizioni di Marx. Due ultime precisazioni.

 In realtà, non esamineremo la totalità del testo hegeliano, né quindi tutta la ricchezza dei temi, in esso trattati: ci limiteremo piuttosto a chiarire (a cercar di chiarire) cosa qui Hegel intenda per comprensione della filosofia e come quest´atto -questo comprendere- impliciti la mediazione di logica e storia, di soggettivo ed oggettivo.

sabato 24 novembre 2018

La vera emergenza non è il “populismo” ma una normalizzazione di tipo moderato - Federico Caffè

Da: “Il Manifesto”, 7 dicembre 1978 - Federico Caffè, La solitudine del riformista. A cura di Nicola Acocella e Maurizio Franzini. Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 129. - http://gondrano.blogspot.com - Federico_Caffè è stato un economista italiano.



Che spregiudicato quell’economista, ha scoperto la legge della giungla... 


Vedere nel sindacato la forza dirompente sia degli equilibri del mercato che delle potenzialità della programmazione è l’approdo più recente, e fuorviante, della saggezza convenzionale.

La riscoperta del mercato, che non è fenomeno esclusivamente italiano anche se nel nostro paese ha trovato conturbanti consensi perfino nelle forze politicamente progressiste, lascia sconcertati, in quanto appare immune da ogni ripensamento critico che sia frutto della imponente documentazione teorica ed empirica disponibile sui fallimenti del mercato: dalla sua incapacità di tutelare efficacemente il consumatore che dovrebbe esserne il sovrano, al suo assoggettamento alle forze che dovrebbero dipendere dalle sue indicazioni, al riconoscimento delle carenze che esso manifesta nella segnalazione di esigenze vitali,  ma non paganti, della collettività.

I propositi di programmazione, d’altro canto, non si discostano ancora oggi dall’antica riserva mentale, di stampo einaudiano, che esorcizzava, a suo tempo, lo stesso termine di piano, sfumandolo in quello più blando di schema, o svuotandolo di una connotazione specifica, in quanto “tutti fanno piani”.

Questo arretramento culturale si traduce, fatalmente, in una deformazione nell’attribuzione delle responsabilità di una situazione che si conviene definire meramente di emergenza.

Che di arretramento culturale si tratti non dipende meramente dal ritorno all’antico: il ricupero di idee del passato che siano state a torto trascurate o che non siano state adeguatamente comprese a tempo debito, risulta generalmente valido.

Ma allorché Hayek ha, del tutto recentemente, scritto che “la causa della disoccupazione risiede in una deviazione dai prezzi e dai salari di equilibrio che si stabilirebbero automaticamente, in presenza di un mercato libero e di una moneta stabile”, si è di fronte non a una fruttuosa rielaborazione di idee che abbiano radici lontane, ma all’ennesima attestazione dell’atteggiamento del ritorno retrivo di chi non ha saputo niente apprendere e niente dimenticare.

venerdì 23 novembre 2018

"La fedeltà ai principi dei comunisti cinesi”. Il giudizio dei comunisti russi - Dmitrij Novikov

Da:  kprf.ru - Dmitrij Novikov, vicepresidente del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa. -  Traduzione dal russo di Mauro Gemma per marx21.it



Di fronte alla crescente pressione degli Stati Uniti, il Partito comunista cinese presta maggiore attenzione allo stato ideologico, morale e psicologico della società. A tale questione, è stata dedicata la Conferenza cinese sul lavoro ideologico e di propaganda.


La leadership del paese e del partito ha riaffermato il proprio orientamento marxista e ha sottolineato la necessità di intensificare il lavoro con le masse.

La linea centrale delle relazioni internazionali è rappresentata dal confronto tra Stati Uniti e Cina.

Gli eventi più importanti che si svolgono non solo nella regione Asia-Pacifico, ma anche in Africa, America Latina, Medio Oriente, ecc., sono in un modo o nell'altro associati all'approfondimento di queste contraddizioni.

Non c'è dubbio che questa tendenza continuerà a manifestarsi nei prossimi anni, se non per decenni. La ragione principale risiede nella riluttanza degli Stati Uniti a perdere lo status di unica superpotenza, che acquisita dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Lo Stato che sfida l'egemonia mondiale politica, economica e ideologico-culturale statunitense è diventato la Cina.

Nel periodo delle riforme, che quest'anno compiono 40 anni, il paese ha assunto le posizione di leader in una serie di indicatori economici e tecnologici. La Cina di oggi è una grandissima potenza industriale e commerciale. Ma non è tanto questo che spaventa la leadership del capitale statunitense, quanto le due tendenze emerse dopo l'ascesa al potere dell'attuale presidente del PCC Xi Jinping e della sua squadra.

giovedì 22 novembre 2018

Lode dell’imparare - Bertolt Brecht (1933)

Da: Bertolt Brecht, Poesie e Canzoni. A cura di Ruth Leiser e Franco Fortini.
Giulio Einaudi editore, Torino 1971, p.60. - https://www.facebook.com/unigramsci/?tn-str=k*F


Impara quel che è più semplice! Per quelli
il cui tempo è venuto
non è mai troppo tardi!
Impara l’a b c; non basta, ma
imparalo! E non ti venga a noia!
Comincia! Devi saper tutto, tu!
Tu devi prendere il potere.

Impara, uomo all’ospizio!
Impara, uomo in prigione!
Impara, donna in cucina!
Impara, sessantenne!
Tu devi prendere il potere.

Frequenta la scuola, senzatetto!
Acquista il sapere, tu che hai freddo!
Affamato, afferra il libro: è un arma.
Tu devi prendere il potere.

Non aver paura di chiedere, compagno!
Non lasciarti influenzare,
verifica tu stesso!
Quel che non sai tu stesso,
non lo saprai.

Controlla il conto,
sei tu che lo devi pagare.
Punta il dito su ogni voce,
chiedi: e questo, perché?
Tu devi prendere il potere.


mercoledì 21 novembre 2018

Cadaveri e idioti - Antonio Gramsci

Da: Avanti!, 17 gennaio 1917, edizione torinese.- Ripubblicato in Antonio Gramsci, Sotto la Mole 1916-1920, Giulio Einaudi editore, Torino 1971, pp. 281-282. - http://gondrano.blogspot.com


E’ corsa voce – ed è certo uno scherzo malizioso, ma uno scherzo significativo – che la Sezione torinese del partito [socialista] abbia stabilito nei giorni scorsi di non ammettere d’ora in poi soci che abbiano superato ne’ loro studi la terza elementare.

Il «Corriere della Sera» si diverte a incrociare su questo spunto le solite spiritose frasi che piacciono tanto ai suoi lettori, anche quando se le son sentite ripetere per la centesima volta.

Socialisti: idioti e nefandi; socialisti: proletari dell’intelligenza; socialisti: protozoi che si rivoltano alla superiore specie dei mammiferi; socialismo: manovali contro intellettuali; socialismo: analfabeti di tutto il mondo unitevi, perinde ac idiotus (come un solo idiota, traduzione ad uso dei nostri soci).

Pesiamo le parole.

Idiota: parola nobilissima di origine greca. Idiota significa prima di tutto soldato semplice, soldato che non ha nessun gallone. Significa in seguito: chi pensa con la propria testa, chi è proprio, chi non si è ancora assoggettato alla disciplina sociale vigente. 
Quando questa mancanza di disciplina all’ordinamento sociale diventa una colpa, la parola incomincia ad assumere un significato offensivo. Ma in sé e per sé non racchiude nessuna offesa. Ha un significato sociale, non individuale. Idiota è chi è diverso, chi pensa e parla diversamente dalla maggioranza. Idiotismo è la parola o il modo di dire proprio di una regione, e non usato nella lingua letteraria o nazionale. Idiota, insomma, corrisponde a refrattario, per ciò che riguarda le relazioni sociali.

Nefando: parola altrettanto nobile, di origine latina. Significa: chi parla come la divinità ha proibito di parlare, chi fa affermazioni proibite dalla legge.

Due parole che hanno un valore prettamente democratico dal punto di vista sociale. Due parole che hanno acquistato un valore offensivo quando la società, la legge, la disciplina sociale erano fondate sul principio divino, su una mistica concezione del destino che presiede all’accadimento dei fatti umani.

Idioti e nefandi erano pertanto quelli che non credevano all’efficacia taumaturgica delle frasi fatte, dell’«Iddio l’ha detto», del «la patria lo vuole», del «le leggi imperscrutabili che guidano l’umanità dicono», ecc. [1], e pertanto operavano e parlavano con la loro testa, sbagliando talvolta senza dubbio, ma pronti a riconoscere lo sbaglio e a correggerlo, lieti se riuscivano a raggiungere un fine anche minuscolo, purché, anche nella sua piccolezza, fosse raggiunto con mezzi loro propri, fosse figlio delle loro opere e non della loro supina obbedienza alla volontà degli altri.

Idioti e nefandi: parole classiche che esprimono l’indipendenza di un piccolo gruppo di fronte alla collettività, di un individuo rispetto all’ambiente in cui vive.
Che si contrappongono al cadaver dei gesuiti, al «credo quantunque sia assurdo, anzi appunto perché assurdo» [credo quia absurdum], all’ipse dixit (l’ho detto…, e basta, traduzione per i nostri soci) [2] e a tutte le altre formule del pecorile asservimento alla verità rivelata, alla legge, voce di Dio, allo Stato, mistica disciplina per la realizzazione della volontà di Dio sulla terra.

Intellettuali, sì, quando intellettuale vuol dire intelligente, e non tiranno per grazia del titolo di studi; seguire gli intellettuali, sì, quando seguirli vuol dire ritrovar in loro meglio chiariti, più logicamente costruiti quei concetti e quei veri che ognuno sente in sé ancora indistinti.

Ma non si vuol sacrificare l’intelligenza all’intelletto, l’indipendenza e la libertà propria all’intelletto degli altri.

Quando si proverà che non avere titoli di studi voglia dire essere stupidi, che non essere pecorinamente schiavi voglia dire essere delinquenti, allora ci copriremo i capelli di cenere e ci batteremo il petto.

Finora siamo persuasi che stupidi e cretini siano colo coloro che dànno alle parole quel significato che esse avrebbero se si riferissero a loro stessi.

Noi siamo più classici di loro, e ce ne troviamo bene.
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[1]                 Il “lo chiede l’Europa”, ad esempio, non era ancora stato inventato. 
[2]                 In realtà ipse dixit è “l’ha detto lui”: l’ha detto Aristotele, l’ha detto Tommaso d’Aquino, l’ha detto Marx, …, l’ha detto Napolitano, l’ha detto Monti, l’ha detto Renzi. Il climax recentemente è decisamente discendente: è un anticlimax.

martedì 20 novembre 2018

- Le origini filosofiche del marxismo: la filosofia di G.W.F. Hegel (5-6) - Renato Caputo

APPROFONDIMENTI TEORICI (UNIGRAMSCI) - renatocaputo insegna storia e filosofia.-





V incontro - La Scienza della logica - Struttura generale e la dottrina dell’essere:                                                                                    

                                              VI incontro - La Scienza della logica - la dottrina dell’essenza e la dottrina del concetto: https://www.youtube.com/watch?v=VZ4lSLZgb-c

lunedì 19 novembre 2018

L’Avana: intervista a Isabel Monal - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it -  Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 


Isabel Monal, direttrice di "Marx ahora", fa alcune considerazioni sulla situazione politica che si è venuta a creare in America Latina.

L’ottobre avanero è piovoso, pervaso da una calda afa e lumeggiato da momenti di sole bollente. Siamo nella cafeteríadell’Hotel Habana Libre, dove Fidel Castro, dopo esser entrato da conquistatore nell’Avana nel gennaio 1959, stabilì per un certo periodo di tempo il suo quartier generale al 24° piano. Mi incontro ancora una volta con Isabel Monal, direttrice della rivista Marx ahora; oggi è professore emerito dell’Università dell’Avana e dell’Istituto di Relazioni internazionali di Cuba e ha diretto a lungo l’Istituto di Filosofia. Isabel ha studiato negli Stati Uniti, ad Harvard, dove seguendo il corso di Filosofia della storia giunse a scoprire il pensiero di Karl Marx, che ha sempre sviluppato, non ricadendo mai del dogmatismo e nello schematismo di certo marxismo-leninismo scaturito dall’influenza sovietica sull’isola caraibica.
Si unì alla lotta contro Fulgencio Batista e i suoi mallevadori statunitensi dal 1957; fu arrestata, ma riuscì a rifugiarsi negli Stati Uniti, da dove continuò ad appoggiare il Movimento 26 di luglio, una delle anime della Rivoluzione cubana. Dopo il trionfo della Rivoluzione tornò all’Avana, dove lavorò nella direzione provinciale del Movimento 26 di luglio, insegnò Filosofia dell’educazione all’università, per andare poi a dirigere il Teatro nazionale di Cuba. Successivamente si stabilì a Parigi per lavorare per molti anni nell’ufficio centrale dell’UNESCO, occupandosi sempre dell’educazione superiore. Ha pubblicato numerosissime opere, libri, articoli, ha fatto conferenze ovunque e continua instancabile a lavorare, recandosi anche all’estero.
Le ho chiesto la gentilezza di concedermi un’intervista sull’attuale situazione latino-americana (mancavano pochi giorni alla vittoria di Bolsonaro in Brasile) e lei con lucidità e concretezza ne ha delineato i caratteri principali. 

sabato 17 novembre 2018

Rivoluzione socialista e Rivoluzione anticoloniale - Domenico Losurdo

Da: Stefano G. Azzarà - Domenico_Losurdo è stato un filosofo, saggista e storico italiano.
Vedi anche: LUCIANO CANFORA. Pensare la rivoluzione Russa  (https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/06/pensare-la-rivoluzione-russa-luciano.html)
                    DOMENICO LOSURDO: "Marx, la rivoluzione scoppiata in suo nome e il problema della libertà."  (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/01/marx-la-rivoluzione-scoppiata-in-suo.html).
                                                    Parte prima: 

                                                    Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=DrBtbVnGa9U

venerdì 16 novembre 2018

CONCETTI DI DIALETTICA (10/11/2011) - Stefano Garroni

Da: mirkobe79 Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 

                      

Il testo oggetto della discussione: J. Zimmer, Dialektik – Konzepte. Dialektik und Erfahrung.

Il problema della dialettica nasce anche della contraddittorietà e problematicità dell’esperienza del reale,  che nella mente non si  colloca in modo preciso, ma deve essere rielaborata appunto mentalmente, deve dunque esprimersi nella struttura della forma di pensiero. Il pensante, contemporaneamente, si scopre,  nella differenza e nell’unità con tutta la[-1]  realtà che lo circonda. In questo significato fondamentale non vi è ancor alcuna differenza tra la forma dialettica idealistica e  quella materialistica.

Hegel ha chiaramente elaborato la struttura speculativa fondamentale della dialettica –ovvero l’unità delle differenze. Il  suo idealismo non si basa su questa struttura speculativa, ma sul fatto che lui sviluppa, il rapporto centrale di pensiero ed essere per ogni dialettica; Hegel  ha chiaramente elaborato la struttura basilare della dialettica speculativa; il carattere speculativo del pensiero di Hegel sta nel fatto che la struttura speculativa vale per ogni tipo di dialettica. il carattere idealistico si estende ad ogni tipo di dialettica, perché questa implica sempre il primato del pensiero sull’essere. La dialettica va riconosciuta come essere, che è l’altro dallo spirito, in quanto realtà prodotta dallo spirito stesso. Se si separano i presupposti dai concetti di ragione, svolti da Hegel nella Fenomenologia dello spirito – la ragione è coscienza, che lo spirito ha di essere ogni realtà; è per questo che ogni problema immanente di questa costruzione dialettica giunge, alla fine, ad un felice compimento.

Lo spirito muta mano a mano l’altro di sé stesso nella realtà di se stesso. (11-2).

Ciò che, all’inizio della Fenomenogia è solo presupposto –lo spirito è la realtà-, alla fine del movimento del pensiero dialettico, si rivela come realtà pensata dello spirito, perché l’esistenza dell’uomo, interamente esteriore e sviluppatasi storicamente  nel pensiero, diviene la realtà autocosciente. In primo luogo dobbiamo comprendere (ripercorrere) l’ andamento del pensiero hegeliano a proposito della struttura logica dell’ esperienza,  che la coscienza fa di sé, allo scopo di poter indagare quale sia l’esperienza costitutiva sia della dialettica materialistica che di quella idealistica.

martedì 13 novembre 2018

lunedì 12 novembre 2018

Le illusioni del postmodernismo (1) - Alessandra Ciattini

Da: Università Popolare Antonio Gramsci - https://www.unigramsci.it -https://www.facebook.com/unigramsci -
Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 

Le illusioni del postmodernismoa cura di Alessandra Ciattini 
Gli incontri saranno dedicati a un noto pamphlet del filosofo britannico Terry Eagleton intitolato appunto “Le illusioni del postmodernismo”, in cui si mette in evidenza come i principi cui si richiama questa corrente sono diventati una sorta di senso comune, con cui amano civettare intellettuali, giornalisti di varia estrazione.
Inoltre, Eagleton sottolinea anche come sia difficile parlare di postmodernismo come di una visione sistematica e coerente, limitandosi a puntare il dito su alcuni temi agitati per mettere all’indice alcune nozioni classiche cui è giunto il pensiero classico (quali verità, obiettività, ragione etc,). E tutto ciò per rimarcare che siamo al trapasso da un’epoca all’altra, quest’ultima apportatrice di nuove libertà.
 incontro: Caratteri della società cosiddetta postmoderna. Siamo fuori o dentro il capitalismo? Le profezie di Brezinski (1968) e di E. Cefis (1972): 
                                                                         
                                                                               

II° Incontro: Postmodernismo costituisce una temperie trasversale rispetto alle varie discipline, tocca l’architettura, la letteratura, la storia, le scienze sociali, la filosofia. È anche uno stile di vita. Passaggio ad una nuova forma sociale necessita di un cambiamento di paradigma. Nel 1979 J. F. Lyotard pubblica “La condizione postmoderna”, con cui si batte contro le “metanarrazioni”, il progressismo, la razionalità moderna che rispecchia l’organizzazione culturale occidentale. Contraddizione: una filosofia della storia contro altre filosofie della storia. 

III° Incontro: Con il poststrutturalismo (post sta sempre ad indicare un cambiamento epocale) si afferma il decostruzionismo (Derrida, Guattari), presente nella filosofia europea almeno dall’empirismo, ma appare ai più una scoperta. Smantellamento della metafisica occidentale. L’Essere non è comprensibile con il Logos, è una entità irraggiungibile e non rappresentabile. Misticismo. Ansia dell’assoluto. 

IV° Incontro: Crisi del concetto di verità e di quello di corrispondenza enunciato / fatto. Falsificazione. Criterio pragmatico della verità. Impossibilità di distinguere tra oggetto e soggetto. Ogni esistenza ha la sua verità. Varie sfumature di relativismo. Ruolo costitutivo del linguaggio e della cultura. 

Incontro: I problemi posti dal postmodernismo hanno un senso? Come dobbiamo rispondergli? Riproponendo lo scientismo e il dogmatismo positivista? Sicuramente esprimono una grave crisi della nostra civiltà, cui dobbiamo trovare il modo di uscire, evitando passi indietro ed avventurosi passi avanti.
Bibliografia
Ciattini A., Il radicamento del pensiero antropologico postmoderno nella società contemporanea (http://www.marxismo-oggi.it/%E2%80%A6/197-il-radicamento-del-pensie%E2%80%A6). 
Eagleton T., Le illusioni del postmodernismo, Editori Riuniti, Roma 1998.

domenica 11 novembre 2018

Uccellacci e uccellini (1966) - Pier Paolo Pasolini

Da: Film d'essay 97 - http://musicasognata.blogspot.com/



Il film completo: https://www.youtube.com/watch?v=9fDtjZnc3gc



Una presentazione di Salvatore Tinè

Al cinema Iris di Messina, nel quadro di una splendida “Settimana Pasoliniana” presento “Uccellacci e uccellini”. La prima didascalia del film che leggiamo sulla sua prima inquadratura riassume uno dei suoi temi: è una sintesi ironica di una celebre intervista a Mao, ovvero a una delle icone  e a uno dei principali riferimenti ideologici di quel ’68 che esploderà appena due anni dopo Uccellacci e uccellini. Un’intervista riassunta in questi termini: “dove va l’umanità? Boh!”.

Il film ci indica quindi sin dal suo inizio il tema del futuro, ovvero del senso del cammino o della storia dell’umanità. Non a caso la didascalia è sovrapposta all’immagine in campo lungo di una strada sul cui orizzonte scorgiamo appena, piccolissimi, i due protagonisti del film che conosceremo qualche attimo dopo. La strada è appunto la metafora visiva, chapliniana della storia come cammino dell’umanità. Subito dopo conosciamo i due personaggi del film, finalmente inquadrati da vicino: un padre e un figlio, interpretati da Totò e Ninetto Davoli, in realtà interpreti di se stessi, i quali percorrono quella strada di periferia, apparentemente senza un motivo o una precisa direzione: di nuovo un tema che precorre il ’68, quello del conflitto tra le generazioni, tra la vecchia Italia cattolica e contadina, quella appunto dei padri, e la nuova Italia dei giovani, uscita profondamente trasformata dal boom economico e dai radicali processi di modernizzazione che lo hanno accompagnato.

sabato 10 novembre 2018

Epoca, fasi storiche, Capitalismi - Roberto Fineschi

Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - http://www.retedeicomunisti.org - Roberto_Fineschi è un filosofo ed economista italiano. 
Leggi anche: Alessandro Mazzone, https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/09/modo-di-produzione-capitalistico.html 



Relazione al Forum Nazionale della Rete dei Comunisti, Roma 17/18 dicembre 2016 (Si ringrazia la compagna Rosalba Scinardo Ratto per aver sbobinato la registrazione, sulla cui base questo testo è stato redatto. https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/12/epoca-fasi-storiche-capitalismi-forme-e.html) - 


Con questo intervento cercherò, sulla base dei miei studi1, di precisare che cosa significa per Marx "storia" e "fase storica" Quando in altre occasioni ho presentato questo stesso tema, ho spesso preso come punto di riferimento i miei studenti, ai quali chiedo che cosa intendano per storia; loro guardano l'orologio e dicono che, partendo da ieri e andando all'indietro, più o meno tutto è storia, non facendo molte distinzioni in questo lungo lasso di tempo, cioè non riuscendo sostanzialmente ad andare oltre una definizione generica e non strutturata di che cosa storia significhi.



Dialettica di continuità e discontinuità storica

Marx, l'autore del quale mi sono interessato e in base al quale cercherò di argomentare questa tesi, si è impegnato per tutta la vita nel tentativo di elaborare un'idea di storia molto più strutturata e complessa, che tenesse insieme non un generico "prima", rispetto ad un altrettanto generico "presente", ma che dimostrasse come questo "prima” e questo "presente" avessero delle leggi di funzionamento, potessero essere strutturati in periodi. Si trattava di tenere insieme due aspetti, che poi nel dibattito successivo avrebbero prodotto tendenze conflittuali: la continuità e la discontinuità storica. Elaborare una teoria della storia che parlasse della storia degli uomini, per cui si potesse dire che tutto quello che è successo possa essere riferito in qualche modo agli esseri umani che lavorano insieme, ma al tempo stesso come questa non fosse una storia indefinita di uomini, ma si articolasse in periodi con dei punti di rottura, di discontinuità, per cui esse fossero diverse fasi di una stessa cosa.

Le due derive che si determinano se non teniamo insieme le due cose sono, da una parte, teorie della storia essenzialiste, cioè teorie della storia in cui sostanzialmente c'è un'essenza umana o in origine, in un tempo non meglio definito, o delle caratteristiche intrinseche dell'uomo, che non cambiano mai e che poi vengono più o meno traviate negli eventi successivi. In questa prospettiva in realtà abbiamo una lunga storia di una non meglio definita alienazione, dalla quale alla fine si può venir fuori ristabilendo quella condizione originaria. È una teoria per cui l'uomo in fondo è sempre se stesso e nel tempo cambia fino ad un certo punto. Cambia nella misura in cui le sue qualità essenziali sono negate, quindi l'obiettivo politico sarà quello di riconciliare essenza ed esistenza.

L'altra deriva è lo "storicismo invertebrato", come lo definiva Luporini negli anni 70, cioè una teoria della storia per cui i vari periodi non "dialogano" tra di sé: ogni epoca ha una sua essenza irriducibile che non comunica con le altre. Il compito della ricerca storica è quindi quello di "rivivere" lo spirito del tempo. Non è però possibile dire che una fase è superiore o inferiore ad un'altra fase, perché l'idea di fondo è che queste fasi tra di sé non comunichino; sono modelli, ciascuno dei quali ha una sua irriducibile, intrinseca natura, che lo rende incomparabile agli altri. La deriva di questo approccio è che non esistono argomenti contro lo schiavismo, contro il nazismo, contro il fascismo, contro niente, perché non c'è un modo razionale argomentativo per dire che i principi fondanti di una certa concezione del mondo sono sbagliati, perché si risponderebbe "e beh quelli sono i miei principi fondanti". Qui, tra l’altro, si vede la deriva potenziale del "ritorno alle radici" di tutte quei movimenti che ancora oggi si appellano all'idea di queste radici fondamentali da sostenere e riproporre come valore regolativo del vivere sociale. Marx, secondo me, cerca di evitare queste due cose e cerca di mettere insieme continuità e discontinuità, cioè una teoria della storia in cui tutte le fasi siano umane e quindi comparabili tra di sé in quanto fasi della stessa cosa, cioè della riproduzione umana, ma allo stesso tempo abbiano delle rotture, ogni periodo abbia una sua specificità che permetta di identificarlo come tale. 

mercoledì 7 novembre 2018

I PRESOCRATICI - Gabriella Giudici

Da: https://gabriellagiudici.it - Gabriella Giudici insegna Filosofia e Scienze umane al Liceo Statale di Scienze umane "A. Pieralli" di Perugia. 




4:17
1. Che cos'è la filosofia?

6:25
2. La natura come problema

3:40
3. I milesi. Talete

6:18
4. I milesi. Anassimandro e Anassimene

6:52
6. Eraclito di Efeso

6:35
7. Parmenide

6:44
8. Anassagora