sabato 30 marzo 2019

L’evoluzione delle vie della seta: un mito passato indenne attraverso le globalizzazioni.- Andrea Dugo

Da: http://www.aldogiannuli.it - Andrea Dugo, classe 1997, è studente triennale di Politics and Economics all'Università degli Studi di Milano
Leggi anche:  L’economia reale è sulla Via della seta - Pino Arlacchi - 
     "         "       La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina - Alessandra Ciattini 
     "         "       La trappola di Tucidide - Andrea Muratore

Le origini 
Qualcuno ha definito la globalizzazione come l’incontro tra l’Oriente e l’Occidente: in quest’ottica, le vie della seta hanno sicuramente rappresentato, per la storia umana, un primo, embrionale tentativo di integrazione economica, tecnologica e culturale tra civiltà radicalmente differenti.

Sviluppatesi a partire dal II secolo a.C. e per oltre quindici secoli, queste lunghissime tratte commerciali consolidarono precedenti itinerari regionali in un’unica, interminabile rotta eurasiatica, dando vita, per la prima volta nella storia, ad un collegamento permanente tra la Cina e l’Europa. Questi intensi traffici traevano la loro origine dal florido impero cinese che, sotto la dinastia Han, uscì finalmente dal suo secolare isolamento per rivolgere lo sguardo verso Ovest: l’intraprendenza della casata Han spinse i mercanti cinesi a valicare le imponenti montagne dell’Himalaya e del Karakorum, da sempre ostacolo geografico per la Cina, e a raggiungere percorsi preesistenti nella steppa centrasiatica. Le vie carovaniere, dall’Estremo Oriente, infatti, trovarono terreno fertile per gli scambi economici in Asia centrale, un’immensa area abitata da un variegato insieme di popoli, dalle tribù nomadi delle praterie eurasiatiche ai grandi imperi stanziali di Iran e Afghanistan, tutti accomunati da una grande vocazione al commercio. Di fondamentale importanza fu, indubbiamente, l’intermediazione di queste popolazioni per l’avvento delle merci cinesi in Europa: i mercanti romani poterono, proprio in virtù delle interazioni commerciali con le civiltà centrasiatiche, garantire l’arrivo, nella regione del Mediterraneo orientale, e da lì, nel resto del continente, di prodotti cinesi, primo su tutti la seta, di cui l’impero romano divenne uno dei principali mercati. Va ricordato che, parallelamente alle rotte terrestri, esistevano delle rotte marittime altrettanto essenziali che, partendo dai porti del mar Rosso, ai confini sudorientali dell’impero romano, giungevano in India: i traffici lungo queste tratte crebbero, nei secoli successivi, a tal punto da soppiantare gli itinerari terrestri, integrando, persino, rotte provenienti dalla Cina e dal Sud-Est asiatico. 

venerdì 29 marzo 2019

L’economia reale è sulla Via della seta - Pino Arlacchi

Da: https://www.lantidiplomatico.it  - Il Fatto Quotidiano - Pino_Arlacchi è un sociologo e politico italiano. 
Leggi anche: https://www.lacittafutura.it/editoriali/il-memorandum-italia-cina?fbclid=IwAR0bt1FM-SKJWUFR9CZprovbPPmjW7Y8quTyL2K9Q9CEPllmqQVOFEJTRoE 

È inutile minimizzare, e ridurre quanto accaduto nei rapporti tra Italia e Cina a un semplice scambio di cortesie commerciali e di finezze su Marco Polo e Matteo Ricci (il gesuita del 500 divenuto mandarino cinese). Una volta tanto, i governanti italiani l’hanno azzeccata in pieno, entrando per primi nel più grande gioco geopolitico messo in piedi dai tempi della Conferenza di Bretton Woods del 1944 in poi, e dalla fondazione delle Nazioni Unite l’anno dopo. Il progetto della Via della seta è l’impresa economica di maggiore respiro della storia umana. Per dimensione finanziaria (oltre 5 trilioni di dollari), impatto politico e ricadute culturali, esso incenerisce il Piano Marshall, che fu un affare da soli 130 miliardi di dollari tra Stati Uniti e un gruppo di 16 Paesi europei distrutti dalla guerra. L’esito dell’operazione lanciata da Pechino nel 2013 è scontato. La crescita della spina dorsale del mondo postamericano poggia infatti su forze di lungo periodo, quelle dell’integrazione eurasiatica, che è pressoché impossibile arrestare dopo il tramonto dei destini euroamericani. Le nuove forze superano di molto quelle che sono riuscite finora a bloccare l’apertura dell’Europa verso l’Iran e la Russia. La Via della seta è un gioco a somma zero solo per la parte perdente, rappresentata a) dalla finanza occidentale protetta dalla potenza americana e dai vertici dell’Ue, b) dal dollaro come valuta di riserva degli scambi mondiali, c) dalla concezione unipolare del governo del pianeta. Per i quasi 100 partecipanti (su 192 Stati membri dell’Onu), il progetto cinese offre vantaggi schiaccianti.

È la rivincita dell’economia reale, della produzione e del commercio di beni tangibili contro lo strapotere finanziario che lungo gli ultimi 50 anni ha condannato l’Occidente alla stagnazione e al regresso degli standard di vita del 90% della sua popolazione. Solo i banchieri che governano l’Unione europea attraverso Macron (banca Rothschild), Junker (lobby fiscale lussemburghese) e vari altri soggetti – commentatori di Repubblica inclusi – possono ignorare l’immensa opportunità che la Via della seta offre a nazioni manifatturiere come l’Italia e la Germania collegando direttamente l’Europa alla zona economica più vasta e dinamica del mondo, che produce la metà del Pil globale. Non si tratta infatti solo di Cina, ma di Asia Centrale, India, Indonesia, Vietnam, Corea del sud, e molti altri.  Paesi di industria e di commercio, non succubi della finanza privata, dove la potenza del risparmio e dei mercati viene messa al servizio della produzione e della società, generando tassi di crescita impensabili nell’Europa di oggi.

La Via della seta è la proiezione estera di una formula vincente del rapporto Stato-mercato che a ben guardare non è affatto estranea né all’Italia né all’Europa. I miracoli economici realizzati durante l’età d’oro del capitalismo europeo – tra il 1945 e il 1970 – furono basati sugli stessi ingredienti dei successi orientali odierni: sottomissione della finanza all’industria e guida dei mercati da parte dell’ autorità pubblica. Il capitalismo finanziario che impoverisce l’Occidente non può tollerare un progetto che non può controllare e dal quale non può trarre che benefici marginali.

La Via della seta è un’entità autosufficiente dal punto di vista finanziario, potendo contare su una banca creata ad hoc nel 2015 assieme a tutti i principali Paesi europei – l’Aiib, Asian Infrastructure Investment Bank – e su un’altra banca multilaterale – l’Ndb, New Development Bank – partecipata dal gruppo dei paesi Brics. Il capitale di entrambe è di oltre 200 miliardi di euro ed eguaglia già quello della Banca Mondiale. E a questi erogatori di credito vanno aggiunti gli istituti finanziari interni alla Cina, che traboccano di disponibilità ancora più rilevanti. Ma l’incubo più inquietante dei padroni dell’Occidente è una Via della seta che diventa nel giro di una ventina di anni l’asse portante di un commercio mondiale che avviene in euro, renminbi, rubli, rupie, yen e non più in dollari. Accelerando il crollo del pilastro fondamentale della supremazia americana sul pianeta. Il dollaro è la risorsa che ha consentito agli Stati Uniti di vivere al di sopra dei propri mezzi per almeno mezzo secolo, stampando moneta a volontà e inviando il conto al resto del mondo.

Un pianeta de-finanziarizzato, de-dollarizzato e multivalutario, sarà anche un pianeta politicamente multipolare, con almeno 6 diversi centri di influenza, e nessuna potenza egemone. Ma dotato di un sistema di regole comuni che già esiste. Centrato sull’Onu e sullo scarso appetito per le armi e per le guerre da parte dei suoi partecipanti, con in primis l’Europa e la Cina. E nonostante l’ eccezione americana. La Via della seta, perciò, non è solo la strada verso una benefica integrazione eurasiatica. È un passo cruciale verso un mondo più prospero, pacifico e inclusivo, che va intrapreso senza esitazione.

giovedì 28 marzo 2019

Natura e Artificicio - Remo Bodei

Da: Cristian Fantuzi -  Remo Bodei è un filosofo italiano. 

    "[...]lo spirito universale non riposa mai [...] E ciò che in tal modo ogni generazione ha fatto nel campo della scienza, della produzione spirituale, è un'eredità, cui ha contribuito con i suoi risparmi tutto il mondo anteriore, è un santuario, alle cui pareti gli uomini d'ogni stirpe, grati e felici, hanno appeso ciò che li ha aiutati nella vita, ciò che essi hanno attinto alle profondità della natura e dello spirito. E quest'eredità è a un tempo un ricevere e far fruttare l'eredità. Questa plasma l'anima di ogni generazione seguente, ne forma la sostanza spirituale sotto forma d'abitudine, ne determina le massime, i pregiudizi, la ricchezza; e nello stesso tempo il patrimonio ricevuto diventa a sua volta materiale disponibile, che viene trasformato dallo spirito. In guisa che ciò che si è ricevuto viene mutato, e la materia elaborata grazie appunto all'elaborazione s'arricchisce e al tempo stesso si conserva. Questa è precisamente la posizione e la funzione dell'età nostra, come di ogni altra: impadronirsi della scienza già esistente, assimilarla, e in tal modo appunto svolgerla e portarla a grado più elevato. Nell'appropriarcela, noi ne facciamo qualche cosa di nostro in confronto a ciò ch'essa era precedentemente." 
(Hegel, Vorleisungen uber die Geschichte der Philosophie)   
                                                                                               

martedì 26 marzo 2019

Quale attualità di Claudio Napoleoni: il contributo di Politica Economica

Da: Riccardo Bellofiore - Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info -
Leggi anche: Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e la teoria marxiana del valore - CLAUDIO NAPOLEONI - (Testo a cura di Riccardo Bellofiore)
    "         "      CLAUDIO NAPOLEONI: SMITH, RICARDO, MARX* - Marco Palazzotto

" Il luogo in cui cerco come posso di stare e da cui provo come posso a parlare è la politica, è una dimensione politica. Non avrei in vita mia mai affrontato una questione teoretica se non fossi stato spinto a farlo da un interesse politico. Ho cominciato ad occuparmi di politica nel momento in cui ho cominciato a ragionare ed ho affrontato determinate questioni, anche all'interno di una determinata disciplina, solo perché queste questioni mi consentivano di capire meglio la politica. 
Posso dire, mi arrischio a dire, che questa forza che ha avuto la politica come luogo in cui stare e da cui parlare è naturalmente derivata dal fatto che la politica era qui concepita come lo strumento di una liberazione."  (C. Napoleoni, 1986)

                                                                             
-Intro: Riccardo Bellofiore 
-Chair: Giovanna Vertova 

1. Giancarlo Beltrame (Università degli studi di Bergamo): Teoria e Politica Economica in Claudio Napoleoni. Dalla ricostruzione al "Dizionario di Economia Politica" 08:45 
2. Nicolò Bellanca (Università di Firenze): Le rendite improduttive e parassitarie: Claudio Napoleoni sul capitalismo italiano 43:10 
3. Marcello Messori (Luiss, Roma): Napoleoni e la lotta alle rendite 1:07:20 
4. Riccardo Bellofiore (Università degli studi di Bergamo): Una lezione, non un'eredità. Napoleoni e la Politica Economica 1:38:50 

-Discussants: 
1. Piotr Zygulski (Rethinking Economics Genova) 2:10:50 
2. Nicolò Geri (Rethinking Economics Bologna) 2:18:50 
3. Gianluca Sala (Rethinking Economics Bologna) 2:22:40 
4. Mehdi Shoghi (Rethinking Economics Bergamo) 2:25:20 

-Interventi 
1. Nadia Garbellini 2:32:57 
2. Anna Maria Variato 2:36:20 

-Repliche: 
1. Riccardo Bellofiore 2:44:05 
2. Marcello Messori 3:00:30 
3. Nicolò Bellanca 3:17:28

lunedì 25 marzo 2019

AFFOSSAMENTO USA DEL TRATTATO INF E COMPLICITA’ EUROPEE - Manlio Dinucci

Da: Margherita Furlan - manlio-dinucci è un pacifista, giornalista e geografo italiano.
Leggi ancheChi viola i trattati sull’armamento nucleare? - Alessandra Ciattini

                                                                              

La «sospensione» del Trattato Inf, annunciata il 1° febbraio dal segretario di stato americano Mike Pompeo, avvia il conto alla rovescia che, entro sei mesi, porterà gli Stati Uniti a uscire definitivamente dal Trattato. Già da oggi, comunque, Washington si ritiene libera di testare e schierare armi della categoria proibita dal Trattato: missili nucleari a gittata intermedia (tra 500 e 5500 km), con base a terra. Il Trattato sulle Forze nucleari intermedie, firmato nel 1987 dai presidenti Gorbaciov e Reagan,  eliminava tutti i missili di tale categoria, compresi quelli schierati a Comiso. Il Trattato Inf è stato messo in discussione da Washington quando gli Stati uniti hanno visto diminuire il loro vantaggio strategico su Russia e Cina.

sabato 23 marzo 2019

"Le nuove forme di controllo sociale nella società artificiale" - Renato Curcio

Da: SARDEGNANOTIZIE - Renato Curcio è un saggista e sociologo italiano.
Vedi anche: La società della rete e i media (2014) - Umberto Eco

                                                             Renato Curcio, incontro alla Comunità La Collina di Serdiana su istituzioni totali. 
                                                                                         Nuovi studi e ricerche di socioanalisi pubblicati nelle edizionisensibiliallefoglie”.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

venerdì 22 marzo 2019

La teodicea di Leibnitz - Gianfranco Mormino

Da: Società.filosofica.italiana.Bergamo - gianfranco-mormino, Filosofia Morale, Università degli Studi di Milano.
Leggi anche: Critica alla religione e realizzazione della filosofia, nella tradizione dialettica. Stefano Garroni

                                               "La teodicea è il problema di come mettere insieme queste tre frasi:  
                                           dio è buono, dio è giusto, il male esiste..." 
                                                                           

Rimane che la tesi del "migliore dei mondi possibile" è insostenibile, essendo una mescolanza di determinismo meccanicista e di teologia. Anzi, dio può anche essere eliminato da questa prospettiva, rimanendo un determinismo puro, senza tante altre spiegazioni che sembrano un "arrampicarsi sugli specchi" per includere l'esistenza di dio... (il collettivo)

                                                

giovedì 21 marzo 2019

Marxismo e cambiamento climatico - Carla Filosa

Da:  https://rivistacontraddizione.wordpress.com/ - Carla Filosa insegna dialettica hegeliana e marxismo.


A chi si spende per esporre e condividere – divulgare forse sarebbe pretendere troppo date le forze limitate – l’analisi di Marx in quanto tuttora l’unica in grado di far emergere una realtà continuamente operante, ma nascosta all’evidenza di ciò che appare, giunge immancabile la richiesta del “che fare”. L’urgenza di agire in qualche modo viene espressa soprattutto da parte di coloro che intendono la teoria come una ricettina immediata della pratica, e non la sua premessa propedeutica su una realtà sociale collettiva, di cui individualmente si è sempre parte, ma la cui gestione efficace per i fini propostisi dipende da un insieme di fattori storici, che inevitabilmente sfuggono anche alla migliore volontà dei singoli.  Oggi l’unico movimento veramente internazionale che sta scuotendo – almeno si spera – le politiche mondiali è quello dei giovani e giovanissimi per il ripristino degli ecosistemi, gravemente minacciati dal cambiamento climatico in atto. A un primo sguardo sembrerebbe che quest’aggregazione immediata e spontanea non abbia niente a che fare con “Il Capitale” e le sue leggi, con l’interesse per la sua conoscenza ostracizzata e denigrata sin dai tempi della sua stesura in quanto ostacolo teorico al potere costituito, che temeva soprattutto la sua efficacia pratica potenziale al tranquillo e contraddittorio avanzare del modo di produzione capitalistico. Attualmente c’è chi sostiene ancora che quell’analisi della storia, tuttora presente, sia stata scavalcata da altre (generiche, non si sa bene quali!) dinamiche, e soprattutto che la realtà sociale sia mossa prioritariamente dai gravi, quasi indipendenti problemi ecologici. 


Per sostenere quindi che una difesa della natura e dell’ambiente, creato dalla società umana che nella progressività produttiva dominante determina parallelamente la contraddittoria distruzione sociale e ambientale, non può prescindere dalla conoscenza del modo di produzione capitalistico e dalle forze sociali accumulate per superare questo sistema, proviamo a mostrarne alcuni meccanismi fissati del suo funzionamento. Qui non serve citare gli ultimi report sul disastro ambientale, evidenziati da ogni organo d’informazione disponibile sui dati preoccupanti divulgati dagli scienziati, in quanto si ritiene che la conoscenza di questo presente si può trovare con facilità, ma che non può accontentarsi di cifre e date, pur utilissime, che prevedono il collasso del nostro pianeta. Tutto ciò che Marx aveva scritto sulla natura diventa infatti la base per capire che solo il sistema di capitale ha trasformato la concezione della natura da forza in sé, indipendente e includente gli esseri umani, in un oggetto utile da sfruttare senza limiti. Gli unici limiti riconoscibili, infatti, sono quelli imposti da questo modo di produzione, finalizzato alla produzione di valore e plusvalore, ovvero allo sfruttamento illimitato dell’attività lavorativa umana parzialmente obbligata alla erogazione di lavoro gratuito per sopravvivere, così come delle risorse naturali da accaparrare in forma privatizzata, con la violenza quando necessario. La utilizzazione delle risorse naturali nel sistema di capitale non prevede ripristino delle stesse in quanto rientrerebbe nel calcolo di un costo da evitare, così come non è prevista l’eliminazione o la riduzione nell’u­so di sostanze differentemente inquinanti – in aria, acqua, terreni – se queste risultano funzionali al processo produttivo meno caro da far procedere a oltranza, finché possibile. I vari problemi emersi, eufemisticamente denominati “criticità” sempre non si sa a danno di chi o da chi causati in ogni parte del mondo – dall’eccidio di Bhopal (casuale riferimento indietro nel tempo, come testimonianza della continuità dei fini dominanti) agli ultimi cicloni, tsunami, tempeste tropicali, smottamenti, inquinamenti d’ogni genere e in ogni dove, ecc. – sono continuamente indicati come calamità o naturali o comunque senza conseguenze civili o penali se riconosciuti di natura sociale quali cause e responsabili ad opera del sistema. 

mercoledì 20 marzo 2019

Critica alla religione e realizzazione della filosofia, nella tradizione dialettica. Stefano Garroni

Da: Stefano Garroni, Dialettica riproposta, a cura di Alessandra Ciattini, (Dialettica riproposta - Stefano Garroni - lacittadelsole).
Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 



    Indice:


Nota dell’editore 












                                                              ---------------------------------------------------


Lo scopo di questo mio intervento è mostrare, sia pure rapidamente, come la critica, che il Marx giovane muove alla religione, faccia intimamente corpo con un altro motivo – quello della realizzazione della filosofia-, anch’esso espresso in epoca giovanile, ma che ha costituito un orientamento costante per l’intera vita di Marx. Mi interessa, inoltre, suggerire le radici certamente hegeliane di entrambi i temi, i quali contemporaneamente (e nonostante una consolidata tradizione di lettura) allontanano Marx dalla prospettiva feuerbachiana1.

1)
Come sappiamo, la concezione sistematica, che Hegel ha della storia, è, per così dire, legata al rispetto di due condizioni:
(a) mostrare la necessità logico-storica del passaggio da un momento all’altro dell’«insieme»;
(b) mostrare l’intima relazione tra essenza/Wesen ed apparenza/Erscheinung.

Ciò naturalmente significa che l’«insieme» hegeliano (dialettico) è una totalità, che non si contrappone alle parti, sì piuttosto che in tanto esiste, in quanto si articola in parti. Da ciò deriva, anche, il significato specifico che, nel linguaggio hegeliano o dialettico, acquistano un termine come «esteriore» ed il suo correlato «apparente».

Esteriore, ad es., è il rapporto fra A e B, quando questi due semplicemente stanno l’uno accanto all’altro, senza che risulti evidente la necessità (logico-storica) e, dunque, l’intimità della loro relazione.

Si badi, tuttavia: – che A e B stiano l’uno con l’altro in una relazione di esteriorità implica una difficoltà non solo logica, ma anche reale, la cui soluzione sollecita, almeno, ad uno sviluppo ulteriore, che conduca a rapporti non più esteriori tra A e B. Non è pre-determinato che ciò di fatto avvenga, ma post festum (dunque, una volta che sia avvenuto) sarà possibile mostrare la necessità del passaggio dall’esteriorità all’interiorità nella relazione tra A e B.

Una breve pagina hegeliana, citata quasi letteralmente, ci aiuterà a capire. 

martedì 19 marzo 2019

La società della rete e i media (2014) - Umberto Eco

Da: Andrea Cirla Umberto_Eco è stato un semiologo, filosofo, scrittore, traduttore, accademico, bibliofilo e medievista italiano.
Leggi anche: Ur-Fascismo, il fascismo perenne* - Umberto Eco
Vedi anche: Sulla Comunicazione (Soft e Hard) - Umberto Eco*
   "      "     : Perché i classici - Umberto Eco (https://www.youtube.com/watch?v=EJnbpWnMbD0)
                                                        
                                         

lunedì 18 marzo 2019

Chi viola i trattati sull’armamento nucleare? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it -Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.
Vedi anche: "L' arte della Guerra"* - Manlio Dinucci

Come al solito gli Stati Uniti accusano e gli fanno eco i mass media, ma sono sempre i primi a violare i trattati.

Chi avesse voglia di leggere di tanto in tanto il Bulletin of the Atomic Scientists, che si può ricevere nella propria posta elettronica, potrà scoprire che, se la Russia ha violato il Trattato sulle Forze nucleari intermedie (INF) [1] (fatto finora non provato), è assai probabile che gli Stati Uniti abbiano fatto altrettanto. Naturalmente il primo aspetto è stato sottolineato con forza dai mass media occidentali dopo la dichiarazione di Pence e poi di Trump di non voler più rispettare tale trattato, mentre - mi pare - in Italia solo Manlio Dinucci, profondo esperto nell’ambito degli armamenti, ha analizzato a fondo la questione, ma il video della sua intervista è stato ad oggi visualizzato solo da 3.997 persone. 

Per questa ragione, pur non essendo specialista della materia, mi sembra importante tornare su questo tema, riportando i contenuti dell’articolo pubblicato dal su menzionato bollettino e il cui autore ha tutti i requisiti per trattare con competenza questi argomenti, ed inoltre, non può essere accusato di pregiudizi anti-americani. 

L’articolo cui mi riferisco è intitolato “Russia may have violated the INF Treaty. Here’s how the United States appears have done the same” (La Russia potrebbe aver violato il trattato INF. Ecco come gli Stati Uniti avrebbero fatto lo stesso),ed è stato pubblicato il 14 febbraio 2019. Il suo autore è Theodore A. Postol, fisico, professore emerito al MIT (Massachusetts Institute of Technology); il Bulletin of the Atomic Scientists costituisce una pubblicazione digitale, certo di non facile lettura, elaborata all’Università di Chicago con lo scopo di “fornire informazioni a sostegno di politiche che contrastino le minacce alla vita umana prodotte dallo stesso uomo” (io direi dall’imperialismo) come la guerra nucleare, il cambio climatico, lo sviluppo di tecnologie distruttive. Minacce che ahimè si sono fatte sempre più incombenti. 

sabato 16 marzo 2019

Comunisti, fascisti e questione nazionale

Da: ThePetitePlaisance - https://materialismostorico.blogspot.com - 
Relatori: Stefano Azzarà (Università di Urbino), Alessandro Monchietto (ANPPIA), Bruno Segre (presidente ANPPIA) 
                          
       
                                                                            
                            Il revisionismo storico*- Luciano Canfora
                                       Internazionalismo e questione nazionale nel pensiero di Gramsci - Salvatore Tinè


Dopo decenni di entusiasmo per la globalizzazione e l’unificazione europea, l’emergere dei movimenti sovranisti e populisti sembra rendere di nuovo attuale la questione nazionale ed evoca la suggestione di un blocco trasversale di contestazione del capitalismo neoliberale che unisca tutti i “ribelli”, lasciandosi alle spalle l’alternativa tra destra e sinistra.

Anche nella Germania degli anni Venti, ai tempi delle riparazioni di guerra e dell’occupazione della Ruhr, questi temi erano all’ordine del giorno.
                                                                         
Il libro di Stefano G. Azzarà Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d’ egemonia? affronta il problema da un punto di vista storico, confrontandosi con una situazione che presenta forti parallelismi con l’attualità e che, più di altre, può dunque fornire chiavi di lettura per un’analisi consapevole della fase storica presente.
                           I Parte: 

                             II Parte: https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=TuRKJagR-l8

                               III Parte: https://www.youtube.com/watch?v=wmOs09peTfw

venerdì 15 marzo 2019

- Internazionalismo e questione nazionale nel pensiero di Gramsci - Salvatore Tinè

Da: http://www.marx21.it - http://www.marxismo-oggi.it/ -
salvatoregiuseppe.tine, Università di Catania - http://musicasognata.blogspot.com/

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Quello del rapporto tra internazionalismo e questione nazionale è uno dei temi fondamentali del pensiero gramsciano in tutto l’arco della sua evoluzione. Già in alcuni articoli del 1918, il giovane Gramsci sottolineava la permanente vocazione cosmopolitica del sistema di produzione capitalistico. Una vocazione che gli appariva particolarmente evidente nei settori più avanzati del capitalismo mondiale, ovvero nei grandi gruppi industriali e finanziari inglesi e americani. Sono questi gruppi infatti a sostenere, secondo Gramsci, il disegno wilsoniano di un nuovo ordine mondiale fondato insieme sul principio della libertà e dell’indipendenza dei popoli e delle nazioni e su quello della libertà degli scambi internazionali. Libero da ogni residuo di particolarismo feudale così come dalle varie forme di statalismo e di protezionismo burocratico e corporativo, caratteristiche dei grandi paesi dell’Europa continentale, il modello capitalistico anglosassone si presenta come l’espressione più matura della logica internazionalistica e liberoscambista propria della moderna economia borghese. Scrive Gramsci in un articolo intitolato La Lega della Nazioni, pubblicato su Il Grido del popolo, il 19 gennaio 1918

L’economia borghese ha così suscitato le grandi nazioni moderne. Nei paesi anglosassoni è andata oltre: all’interno la pratica liberale ha creato meravigliose individualità, energie sicure, agguerrite alla lotta e alla concorrenza, ha discentrati gli Stati, li ha sburocratizzati: la produzione, non insidiata continuamente da forze non economiche, si è sviluppata con un respiro d’ampiezza mondiale, ha rovesciato sui mercati mondiali cumuli di merce e di ricchezza. Continua ad operare; si sente soffocata dalla sopravvivenza del protezionismo in molti dei mercati europei e del mondo.1

Di qui l’interesse della “borghesia liberista anglosassone” al superamento delle divisioni nazionali e dei contrasti politici e militari tra i vari stati in cui pure continuava ad articolarsi la struttura della politica e dell’economia mondiali.

Rappresenta, la Lega delle Nazioni, un superamento del periodo storico delle alleanze e degli accordi militari: rappresenta un conguagliamento della politica con l’economia, una saldatura delle classi borghesi nazionali in ciò che le affratella al di sopra delle differenziazioni politiche: l’interesse economico. Ecco perché l’ideologia si è affermata vittoriosamente nei due grandi Stati anglosassoni, liberisti e liberali.2

Si comprende allora la dura polemica del giovane Gramsci contro il “nazionalismo”: quest’ultimo rappresenta infatti per il pensatore sardo un fenomeno ideologico e politico caratteristico di borghesie deboli e arretrate ovvero di piccole borghesie retrive e reazionarie. 

La classe borghese, sul piano economico, è internazionale; deve, necessariamente, saldarsi, attraverso le differenziazioni nazionali; la sua dottrina di classe è il liberalismo in politica e il liberismo in economia. [...] Il nazionalismo, come dottrina politica e come dottrina economica, si restringe necessariamente agli interessi di categorie singole di produttori, sceglie, nella classe, i nuclei già formati e consolidati, e tenta perpetuarne il dominio e il privilegio.