Da: http://www.consecutio.org/ - Roberto_Fineschi è
un filosofo ed economista italiano.- Siena School for Liberal Arts - r.fineschi@sienaschool.com
Vedi anche:Epoca, fasi storiche, Capitalismi. ("Forme" e "figure" nella teoria della Storia di Marx)*- Roberto Fineschi
Marx e la dialettica - Roberto Fineschi, Carlo Galli
L’accumulazione
nella struttura teorica del capitale costituisce uno snodo
fondamentale, senza il quale l’intero sistema non starebbe in
piedi. Non a caso è una delle parti che è stata soggetta ai
rimaneggiamenti più consistenti man mano che l’intelaiatura andava
definendosi, seconda in questo forse solo alla forma di valore.
Rispetto a questa, tuttavia, sempre collocata all’inizio
dell’opera, l’accumulazione ha via via cambiato posizione, si è
articolata in più passaggi e sezioni nei tre libri, fino a diventare
la vera cifra dello sviluppo della teoria di Marx e dei suoi
cambiamenti tra le varie redazioni.
La
ragione per cui questa parte della teoria è così importante è
legata alla metodologia marxiana,
in questo eminentemente dialettica. In tale prospettiva, nella
propria articolazione interna essa deve produrre come propri
risultati quelli che inizialmente erano dei presupposti da essa
stessa non posti. Realizzare ciò significa produrre dei
“presupposti-posti”: solo grazie a questo il capitale può
effettivamente essere un processo, ovvero muovere da se stesso per
porre se stesso. Questo modo di procedere per cui la teoria, come
dire, ritorna su se stessa autofondandosi è, nell’ottica di Marx,
connesso a un’altra tematica che potrebbe sembrare muovere in
direzione opposta; vale a dire esso solleva il tema dei “limiti
della dialettica” e, più in generale, della concezione
materialistica della storia. Infatti, Marx intende mostrare come il
modo di produzione capitalistico abbia un punto di partenza non posto
da esso stesso, per sostenere come non sia
possibile un corso storico universale a
priori;
le leggi della dialettica teorizzano i rapporti di produzione via via
correnti in virtù della loro logica intrinseca che è storicamente
determinata e non è generalizzabile in astratto: non la si può
estendere come tale ad altri modi di produzione, i quali vanno invece
ricostruiti sulla base della logica loro propria. Se questo pone in
termini radicali la discontinuità, d’altra parte presenta il
rischio teorico di avere una teoria sempre deficitaria in quanto
dipendente da elementi esogeni per cui in ogni istante la sua
coerenza potrebbe venir meno venendo a mancare tale elemento esogeno.
Il
presupposto-posto di cui sopra ovvia a questo problema: grazie a esso
la teoria può muoversi sulle proprie gambe. La posta in gioco,
dunque, oltre che strutturale nel contesto della teoria del modo di
produzione capitalistico, investe un valore metodologico non
indifferente. Non a caso è quella che ha subito più rimaneggiamenti
e sviluppi in questa doppia ottica.
Tornando
alla questione strutturale,
la prima cosa a cambiare è stata la sua posizione e la sua
articolazione su diversi livelli di astrazione. La risposta a questa
domanda è anche la chiave per comprendere come dai Grundrisse si
passi a Il
capitale, vexata
quaestio del
dibattito marxiano[1].
Muovo
dal presupposto, che in questa sede non è possibile discutere[2],
che solo a partire dai Grundrisse Marx
inizi effettivamente a sviluppare una teoria complessiva del
capitale. Nei piani che redige in quel periodo, i tre livelli di
astrazione di cui parla sono Universalità, Particolarità e
Singolarità (U-P-S) che, evidentemente, rimandano alla teoria
hegeliana del giudizio e del sillogismo. Questo modo di procedere un
po’ schematico, per il quale si cerca di organizzare il discorso
“economico” sulla base di un’articolazione esterna, mostra sia
dei limiti che dei pregi. I limiti sono legati proprio a questa
esteriorità un po’ meccanica che alcuni vorrebbero dialettica solo
in virtù del fatto che Marx menzioni categorie hegeliane. In realtà,
l’applicazione esterna è quanto di meno dialettico si possa
concepire, non essendo il metodo dialettico altro che lo svolgimento
della cosa stessa. Il pregio è che Marx usa queste categorie perché
in quel momento solo intuisce la struttura dialettica del capitale e
cerca di ordinarla in qualche modo per adesso inadeguato. Non è
un’intuizione campata in aria, ma proprio per adeguare la struttura
al contenuto da esporre procederà ai cambiamenti che poi si
verificheranno e che renderanno la teoria dialetticamente più
coerente[3].
Che
cosa si intende con U-P-S? Il «capitale in generale» –
l’Universalità –, uno e tutto al tempo stesso, si sviluppa fino
a porre il profitto, per il quale si sdoppia in più sé stessi –
genera il proprio figlio –, si moltiplica in molti particolari
(concorrenza). La Particolarità studia la dinamica di questi molti
capitali che, ciascuno individualizzato, nella propria azione
particolare dà esistenza alle leggi universali prima sviluppate. La
Singolarità è il particolare che funge da universale, vale e dire
un capitale particolare, la banca, si colloca come rappresentante
della forma più astratta e universale del capitale, il denaro che
genera denaro di per sé, di fronte ai capitali particolari operanti,
valorizzatori del capitale in un settore determinato. Questa dinamica
si articola nella sezione su Credito e Capitale fittizio.
In
questo contesto brevemente schizzato, dove sta l’accumulazione?
Marx la pone inizialmente nella Particolarità, vale a dire dopo che
il capitale ha posto il profitto, dopo che ha “fatto il giro” ed
è tornato al proprio fondamento, vale a dire addirittura dopo la
circolazione. A lui pare qui possibile pensare “il giro” senza
porre le condizioni di riproduzione del capitale, senza mostrare come
esso crei materialmente e formalmente i propri presupposti non una
volta (il che potrebbe essere casuale dato che muove da presupposti
non posti), ma sistematicamente. Vale a dire: crede di poter far
questo senza includere l’accumulazione.
La
trattazione nei Grundrisse non
va oltre l’Universalità o Capitale in generale. Altri temi sono
ovviamente presenti, ma non fanno parte dell’esposizione organica e
stanno magmaticamente, per così dire, accanto alla linea
argomentativa generale che non travalica i limiti suddetti. Posto
quanto detto, la domanda che sorge spontanea è se il capitale possa
porre i propri presupposti senza la teoria dell’accumulazione. La
risposta credo non possa essere che no, in quanto se non si pensano
le condizioni non solo della produzione, ma anche della riproduzione
del capitale, non è possibile determinarlo come processo, come
qualcosa che non abbia regolarmente bisogno di elementi esterni per
fondarsi. Marx in realtà aveva parlato di accumulazione
nei Grundrisse,
ma di quella «originaria», cioè quella che poneva i presupposti
non posti dal capitale; evidentemente, essa non poteva bastare alla
teoresi del processo. Proprio per questa ragione, progressivamente,
Marx inizia a distinguere l’accumulazione originaria da quella
capitalistica vera e propria e ad inserire, prima in modo occasionale
e poi sempre più consapevole, elementi di essa al punto giusto,
ovvero prima del rapporto capitale-profitto, risultato del Capitale
in generale. Come accennato, il tema è collegato a un dibattito
classico del passaggio dai Grundrisse al Capitale e
dal Capitale in generale alla Concorrenza e che si è poi sviluppato
con Rosdolsky ed altri al quale non è possibile qui far cenno. Mi
permetto di rimandare ad altre mie trattazioni al proposito[4].
Vediamo
alcuni dei piani di Marx cui si faceva riferimento in precedenza. È
bene tenerli sott’occhio.
|
||||||
C. Grundrisse (Marx 1976-81, 199; trad. it. 256-257) | ||||||
Capitale: I. Generalità 1) a) Origine del capitale dal denaro b) Capitale e lavoro (che si media attraverso il lavoro altrui) c) Gli elementi del capitale, analizzato secondo il rapporto col lavoro (prodotto, materia prima. Strumento di lavoro). 2) Particolarizzazione del capitale: a) capitale circolante, capitale fisso. Circolazione del capitale 3) Singolarità del capitale: capitale e profitto. Capitale e interesse. Il capitale come valore, distinto da se stesso in quanto interesse e profitto. II. Particolarità 1) Accumulazione dei capitali. 2) Concorrenza dei capitali. 3) Concentrazione dei capitali (differenza quantitativa del capitale che è nello stesso tempo differenza qualitativa, in quanto misura della sua grandezza e del suo effetto). III. Singolarità 1) Il capitale come credito. 2) Il capitale come capitale azionario. 3) Il capitale come mercato monetario. Il capitale come mercato monetario è posto nella sua totalità; ivi esso è determinatore dei prezzi, datore di lavoro, regolatore della produzione, in una parola: fonte di produzione |
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D. Lettera a Lassalle del 22 febbraio 1858 (Marx, Engels 1973, 550-551) |
1) Il capitale (contiene alcuni capitali introduttivi)[5] 2) Rendita fondiaria 3) Lavoro salariato 4) Lo Stato 5) Mercato internazionale 6) Mercato mondiale |
E. Lettera a Lassalle dell’11 marzo 1858 (Marx, Engels 1973, 553-554) |
1) Il valore 2) Denaro 3) Il capitale in generale (processo di produzione di capitale, processo di circolazione di capitale, unità si entrambi o capitale e profitto, interesse). |
F. Lettera ad Engels del 2 aprile del 1858 (Marx, Engels 1973, 312 ss.) |
Suddivisione del libro I sul capitale: a) Capitale in generale b) La concorrenza, ossia l’azione reciproca dei molti capitali. c) Credito, dove, di fronte ai singoli capitali, il capitale figura come elemento universale. d) Il capitale azionario, come la forma più perfetta (che trapassa nel comunismo), insieme a tutte le sue contraddizioni. |
G. Indice dell’Urtext (Marx 1980, 3 ss.) |
I) Valore II) Denaro III) Il capitale in generale Passaggio dal denaro al capitale: 1) Processo di produzione del capitale: a) Scambio del capitale con la capacità di lavorare b) Il plusvalore assoluto c) Il plusvalore relativo d) L’accumulazione originaria (presupposto del rapporto di capitale e lavoro salariato) e) Rovesciamento della legge di appropriazione 2) Il processo di circolazione del capitale [indice interrotto] |
H. Indice del 1859 (o 1861) (Marx 1980, 256 ss.) |
Il processo di produzione del capitale: 1) Trasformazione del denaro in capitale: a) Passaggio b) Scambio tra capitale e forza-lavoro c) Il processo di lavoro d) Il processo di valorizzazione 2) Il plusvalore assoluto: a) Tempo di lavoro assoluto e tempo di lavoro necessario b) Pluslavoro. Sovrappopolazione. Tempo di lavoro supplementare c) Plusvalore e lavoro necessario 3) Il plusvalore relativo a) Cooperazione di masse b) Divisione del lavoro c) Macchine 4) Accumulazione originaria a) Plusprodotto. Pluscapitale b) Il capitale produce il lavoro salariato c) L’accumulazione originaria d) Concentrazione di forza-lavoro e) Plusvalore nelle diverse forme e mediante mezzi diversi f) Nesso tra plusvalore relativo e assoluto g) Moltiplicazione delle branche della produzione h) Popolazione 5) Lavoro salariato e capitale a) Capitale forza collettiva, civilizzazione b) Riproduzione del lavoratore mediante il salario c) Superamento spontaneo dei lmiti della produzione capitalistica. Tempo disponibile. Il lavoro stesso trasformato in lavoro sociale d) Economia effettiva. Risparmio del tempo di lavoro ma non in forma opposizionale. e) Manifestarsi fenomenico [Erscheinung] della legge dell’appropriazione nella circolazione semplice di merci. f) Rovesciamento di questa legge. |
I. Lettera a Kugelmann del 13 ottobre del 1866 (Marx, Engels 1974, 534) |
Libro I: Il processo di produzione del capitale Libro II: Il processo di circolazione del capitale Libro III: Configurazione del processo complessivo Libro IV: Per la storia della teoria |
Nel
piano più elaborato dei Grundrisse (schema
C), l’esposizione della concorrenza (“particolarità del
capitale”) fa parte dello stesso ambito dell’accumulazione.
Nel Capitale,
concorrenza e accumulazione non fanno parte della stessa trattazione.
Nel
piano dei Grundrisse,
l’accumulazione si trova, dunque, dopo la
circolazione e dopo la
trasformazione del capitale in capitale e profitto. Nel Capitale essa
si colloca prima sia
della circolazione che della trasformazione del capitale in capitale
e profitto. Per comprendere lo sviluppo della teoria è necessario
dar ragione di questi cambiamenti.
Una
fondamentale clausola di astrazione che caratterizza il Capitale in
generale, senza capire la quale non si riesce ad intendere affatto
l’articolazione della teoria generale del capitale e delle sue
problematiche, riguarda il rapporto fra domanda e offerta. Si
presuppone qui infatti che tutti gli scambi possibili si verifichino,
vale a dire che il problema della realizzazione sia semplicemente
messo tra parentesi. Questo è il significato della frase «le merci
si scambiano ai loro valori». Lo scopo di questo assunto è studiare
la pura dinamica formale della struttura del capitale, anche se in
realtà si sa benissimo che prima o poi esso dovrà cadere.
Cominciamo
a ripercorrere gli spostamenti e le trasformazioni del concetto di
«accumulazione». Già nel piano del ’59 (o del ’61 a seconda
delle interpretazioni) troviamo all’interno del “capitale in
generale” un IV capitolo dal titolo L’accumulazione
originaria con
una serie di sottocapitoli dedicati a Surplusprodotto.
Surpluscapitale, Il
capitale produce il lavoro salariato, L’accumulazione
originaria, Concentrazione
di capacità lavorativa, Plusvalore
nelle diverse forme e con diversi mezzi, Popolazione (cfr.
schema H). È qui evidente come Marx cominciasse a pensare a una
collocazione del concetto di «accumulazione» prima di giungere al
rapporto capitale-profitto. Già nei Grundrisse si
riscontrava tuttavia una prima esposizione dell’accumulazione
subito dopo quella del concetto di «plusvalore relativo», in quanto
Marx, seppur indirettamente, studiava qui gli effetti del reimpiego
del plusvalore prodotto dal precedente processo di produzione (cfr.
Marx (1976-1981, 294 ss.; trad. it. 397 ss.). Una seconda ampia
ripresa si ha all’interno del capitolo sulla circolazione del
capitale: qui si distingue fra accumulazione capitalistica vera e
propria ed accumulazione originaria (Marx 1976-1981, 367 ss.; trad.
it. 79 ss.) e fra Pluscapitale I e Pluscapitale II (Marx 1976-1981,
365 ss.; trad. it. 76 ss.). Tutto ciò era stato preceduto da una
prima formulazione della legge della popolazione (Marx 1976-1981, 306
ss.; trad. it. 414 ss.). Si tratta chiaramente del contesto teorico
della futura settima sezione del I libro sulla «accumulazione». Se,
in base al piano di allora, tutto ciò avrebbe dovuto essere trattato
più in avanti, nella particolarità (cfr. schema C) l’esposizione
concettuale, ovvero lo sviluppo coerente della teoria in base alla
sua logica intrinseca, mostrava a Marx il carattere preliminare
dell’accumulazione per teorizzare il passaggio a “capitale e
profitto”: Marx capisce qui che senza l’accumulazione non si può
avere il presupposto/posto.
Quanto
anticipato in questo manoscritto, viene ripreso nell’ultima parte
del Manoscritto
1861/63 (Marx
1976-80, 2243 ss.). Qui si ha per la prima volta la trattazione
combinata dell’accumulazione
del singolo capitale con la riproduzione
sociale complessiva;
essa la segue direttamente senza la circolazione in mezzo. Questo
passaggio è decisivo, perché impone una nuova articolazione del
rapporto «uno-molti»;
la riproduzione sociale complessiva implica una pluralità di
capitali prima che si possa porre il rapporto capitale/profitto,
prima che i presupposti siano posti. Ciò impone di ripensare la
struttura del Capitale in generale come mero uno/tutto, prima della
sua articolazione in molti particolari. I molti paiono stare già
dentro l’uno/tutto (“capitale in generale”). Procediamo con
ordine.
La
struttura che riscontriamo nel Capitale (l’opera)
rappresenta la soluzione finale di questa serie di ripensamenti. Qui
Marx giunge alla conclusione che non basta pensare la semplice
produzione del capitale e riproduzione del singolo capitale
(il genus uno
e tutto al tempo stesso), come pareva inizialmente, ma anche le
condizioni della riproduzione dei molti. Si tratta di esporre le
forme della continuità di questo processo di produzione del valore
d’uso tramite il valore e del valore tramite il valore d’uso (la
contraddizione immanente alla merce). La produzione non può essere
altro che un processo che si ripete di continuo, quindi riproduzione
(Marx 1991, 506; trad. it. 621; Marx 1976-80, 2243)[6].
Marx
inizia studiando le determinazioni formali che si sviluppano nella
semplice ripetizione del processo sulla stessa scala (il plusvalore
realizzato dal capitale viene consumato integralmente come reddito
dal capitalista, non viene reinvestito). Da questa semplice analisi
emergono due punti fondamentali per la logica del processo: 1) nel
giro di un certo periodo il capitale è interamente costituito da
plusvalore accumulato (cfr. Marx 1991, 509-510; trad. it.
624-625)[7];
b) la separazione della forza-lavoro e delle condizioni oggettive del
processo lavorativo, condizione di partenza non posta dal modo di
produzione capitalistico stesso nel suo inizio ideale, è adesso
prodotta dal sistema stesso. Non solo si realizza “prodotto”, non
solo si realizza “merce”, ma si produce “capitale”, ovvero il
rapporto di produzione capitalistico stesso: capitale vs.
lavoro salariato (cfr. Marx 1991, 510 ss.; trad. it. 625 ss.)[8].
Il lavoratore appartiene al capitale ancora prima che egli abbia
venduto la forza-lavoro.
La
“scala allargata” prevede che parte del plusvalore prodotto venga
trasformata in nuovo capitale; ciò viene chiamato «accumulazione».
Il plusvalore esiste da principio come valore di una parte
determinata di prodotto lordo, appena trasformato in denaro è
indistinguibile da altro valore in forma di denaro. Perché però
possa essere trasformato in capitale è richiesto che sul mercato
siano disponibili gli elementi materiali necessari (Marx 1991, 520;
trad. it. 637)[9].
Oltre agli elementi materiali è tuttavia necessaria la disponibilità
di nuova forza-lavoro; vedremo come anche questa condizione venga
posta dal capitale stesso. Il processo di produzione pone tutte
queste condizioni con modalità che non è qui possibile ripercorrere
in dettaglio. Con ciò il capitale sembrerebbe presupposto/posto:
tutto ciò che gli era presupposto adesso è suo risultato. In
realtà, per adesso, si è fatta astrazione non solo dai problemi di
realizzazione, ma anche dalla relazione con gli “altri” attori
della riproduzione sociale. Questa appare qui però una questione
diversa e anteriore a quella della realizzazione: il capitale in
realtà non è ancora posto, perché neppure le condizioni astratte
della sua sussistenza lo sono. Gli “altri” con cui il singolo
capitale entra in relazione non sono infatti stati ancora inclusi
nella trattazione ed essi sono essenziali alla riproduzione del
singolo che finora si è considerato.
3.
Il rapporto capitale/capitali ed i suoi livelli di astrazione
Chi
sono gli «altri» e perché non possono non esserci? Ci sono due
argomenti fondamentali:
a)
siamo nel mondo della produzione di “merci”, la cellula
economica del capitale (la forma che il prodotto assume in questo
specifico modo di produzione). Ciò implica produttori autonomi e
indipendenti (la molteplicità la abbiamo quindi fin dall’inizio,
è la condizione della società mercantile). Anche se essi non
fossero capitalisti, tenderanno a diventarlo per la dinamica
dell’accumulazione: 1. il modo di produzione capitalistico si
allarga a più sfere; 2. crea nuove sfere di produzione; 3. man mano
che esso si allarga si passa dalla sussunzione formale a quella
reale; 4. in ogni sfera della produzione la creazione di capitale
procede da diversi punti della superficie della società. Sono i
possessori di merce e di denaro, diversi e indipendenti l’uno
dall’altro, che trasformano questo denaro in capitale attraverso
lo scambio con la capacità di lavorare, e così ritrasformano il
plusvalore in capitale, cioè accumulano capitale. Ha luogo così la
creazione di diversi capitali: il numero dei capitalisti e dei
capitali autonomi aumenta;
b)
in secondo luogo si ricordi che se la produzione avviene tutta in
forma capitalistica ciò non significa che avvenga tutta ad opera
di un solo capitale, anzi proprio ciò è impossibile, sempre per
il carattere fondamentale della categoria «merce», che implica
produttori autonomi e indipendenti. Questo rapporto
capitale/capitali è esplicitamente riportato da Marx alla dinamica
uno/molti ed alle categorie di «attrazione» e «repulsione»
evidentemente reminiscenti della logica hegeliana dell’essere
(cfr. Marx 1976-1981, 353 ss.; trad. it. 59-60)[10]
.
I
molti sono quindi necessari alla teorizzazione della riproduzione del
singolo. La loro interazione può essere formalizzata prima di
entrare nel mondo della concorrenza, ovvero studiando le pure
proporzionalità formali e materiali per cui la loro produzione e
riproduzione può avvenire. In sostanza, prima di capitale e
profitto. Senza questa parte della teoria, il capitale non può
ancora porre i propri presupposti in maniera adeguata e completa. Di
conseguenza, l’accumulazione non solo è collocata adesso prima del
profitto, ma si scinde in due parti: (I) quella del singolo capitale
nel primo libro, (II) quella della società nel suo complesso alla
fine del secondo.
Si
è detto più volte che Marx aveva inizialmente previsto
l’esposizione del capitolo sull’accumulazione solo dopo la
trattazione della circolazione e della trasformazione del plusvalore
in profitto; in quel piano essa si trovava al di fuori della
dimensione “generale/universale” del capitale; essa già
riguardava la “particolarità”. L’esposizione della
particolarità prevedeva che l’accumulazione fosse seguita proprio
dalla concorrenza e dalla centralizzazione (ancora chiamata
“concentrazione di capitali”)[11].
I nessi logici tuttavia cambiano evidentemente se l’accumulazione
precede il profitto e se si scinde l’esposizione di essa in due
parti, una che precede la circolazione (Accumulazione I) ed una che
la segue (Accumulazione II) (cfr. Marx 1976-81, 326; trad. it. 17
ss.).
Alla
luce di questi due aspetti risulta che il processo complessivo di
produzione e circolazione del capitale è conditio
sine qua non perché
l’accumulazione come tale possa avvenire in forma propriamente
capitalistica. Questo non è in contraddizione con la nozione di
«generalità»: con l’Accumulazione I si ha il processo di
capitale che si muove partendo da se stesso ed al contempo il suo
porsi come particolare; in realtà, perché ciò possa avvenire, fin
dall’inizio il capitale deve mediarsi con altri soggetti della
produzione a cui si trova accanto (si producono merci!) e che
tendenzialmente diventano anch’essi capitale: tutti sono momento
costitutivo di una totalità (tutti sono fine a sé nella misura in
cui costituiscono il mezzi di valorizzazione per un altro) (cfr. Marx
1963, 353; trad. it. 370). La totalità del concetto di «generalità
del capitale» presuppone quindi questo movimento complessivo,
inclusa l’esposizione pura delle interdipendenze quantitative
materiali dei capitali (cfr. Marx 1963, 393; trad. it. 413). La
concorrenza realizza la tendenza immanente al capitale, non la crea;
il contenuto del suo movimento consiste a questo punto nelle forme
pure della riproduzione sociale complessiva. I molti capitali perciò,
nel loro puro nesso formale/materiale, si collocano all’interno del
capitale in generale, perché senza di essi non è possibile pensare
l’accumulazione e quindi il divenire se stesso del capitale come
totalità (considerando cioè tutta la riproduzione sociale in forma
capitalistica).
Del
carattere preliminare della Accumulazione II Marx diviene
perfettamente consapevole nel Manoscritto
1861/63,
dove afferma:
Qui
inoltre va notato che noi dobbiamo esporre il processo di
circolazione o il processo di riproduzione prima di
aver esposto il capitale finito – capitale
e profitto –,
perché abbiamo da esporre non solo come il capitale produce, ma come
il capitale viene prodotto. Il movimento reale, però, parte dal
capitale esistente – il movimento reale vale a dire, quello in base
alla produzione capitalistica sviluppata, che comincia da se stessa,
che presuppone se stessa. (Marx 1976-80, 1134; trad. it. 561)
Pur
tralasciando la questione della ridefinizione del piano complessivo
della teoria del capitale, si è tuttavia visto come ciò in realtà
lo renda più coerente, più strutturato,
proprio in virtù di una migliore articolazione del concetto di
«accumulazione». L’esposizione continuerebbe nell’ulteriore
livello di astrazione della teoria, la Singolarità, o Credito e
capitale fittizio, dove all’accumulazione reale, già inquadrata in
una dinamica, abbozzata, della teoria del ciclo, si ha in parallelo
la dinamica dell’accumulazione fittizia. Di questo non ci si potrà
qui occupare per ovvi motivi di spazio.
4.
L’accumulazione nel primo libro del “Capitale”
Per
attenerci alla parte dell’accumulazione che, nella struttura
finale, resta di pertinenza del primo libro del Capitale,
si hanno delle nuove modifiche di rilievo, in particolare tra la
seconda edizione tedesca e quella francese. Nella prima edizione
tedesca del 1867, numerosi erano i limiti espositivi o, almeno, le
parti che Marx non avrebbe successivamente considerato adeguatamente
sviluppate: a partire dal primo capitolo per giungere appunto alla
teoria dell’accumulazione.
In
un manoscritto preparatorio alla seconda edizione tedesca, egli
sviluppò soprattutto le modifiche relative ai primi tre capitoli ed
al primo in modo particolare[12].
La parte successiva non subisce però modifiche sostanziali. Ciò
avverrà con l’edizione francese, che proprio per questa ragione
sarà indicata da Marx come un’edizione dal valore indipendente.
Essa vede delle modifiche anche nella divisione generale dell’opera
ed esse riguardano in particolar modo la sezione dell’accumulazione.
Tutta una serie di categorie fondamentali di questa parte compaiono
per la prima volta solo qui.
Che
Marx non abbia fatto in tempo a dare alle stampe una terza edizione
tedesca rivista ha fatto sì che si creassero tutta una serie di
malintesi che ancora gravano sulla ricezione. Infatti, il valore
attribuito all’edizione francese da Marx stesso ha spinto alcuni a
ritenere questo testo l’ultimo di Marx. Ciò non è però
sostenibile, soprattutto a causa della assai deficitaria traduzione,
che, nel senso corrente del termine, è difficile definire
scientifica. Tuttavia, per varie parti, il contenuto è
teoreticamente superiore. Se, quindi, da un lato non ha senso
prendere la francese come ultima edizione marxiana, non ha neppure
senso, anzi ne ha meno, considerare tale la seconda edizione tedesca,
dove tutta una serie di categorie mancano proprio. Engels,
nell’approntare prima la terza e poi la quarta edizione tedesca, ha
tenuto conto solo in parte di varie indicazioni marxiane lasciate
nelle sue copie personali ed in altri manoscritti contenenti una
lista di passi da modificare con le relative pagine dell’edizione
francese. Insomma, la soluzione è confrontare le varie edizioni
tenendo presente questo retroterra[13].
È quanto si cercherà di fare qui in particolare per quanto riguarda
l’accumulazione.
Le
modifiche più importanti che concernono l’accumulazione sono le
seguenti:
-
L’inserimento del concetto di «composizione organica del capitale»
-
La distinzione tra concentrazione e centralizzazione del capitale.
-
La suddivisione del capitolo.
Iniziamo
dal primo. Esso è notoriamente articolato in due parti: da un lato
la composizione di valore del capitale, vale a dire il rapporto in
cui il capitale viene investito in capitale costante e capitale
variabile, il valore dei mezzi di produzione ed il valore della
forza-lavoro. Dall’altro la composizione tecnica, vale a dire dal
lato della materialità del processo di produzione, la suddivisione
in mezzi di produzione e forza-lavoro nel processo lavorativo, fra la
massa dei mezzi di produzione e la massa della forza-lavoro. La
complessa dinamica delle due composizioni è cruciale sia nel calcolo
del saggio del plusvalore (e quindi del profitto poi), sia nella
comprensione di come il ricambio materiale organico possa avvenire (o
bloccarsi) nella forma specificamente capitalistica della
valorizzazione. Esso non compariva nella seconda edizione tedesca ed
è una novità della francese (Marx 1989a, 534; trad. it. 1281),
aggiunto da Engels nella terza edizione tedesca, mantenuta nella
quarta (Marx 1989b, 574; trad. it. 679).
In
questo contesto, Marx ribadisce che però si considera solo la media
ideale, quindi due cose rimangono fuori, 1) i molti, 2) la loro
«libera» interazione. I molti senza libera
interazione saranno analizzati in quella che nell’edizione
engelsiana sarà la terza sezione del secondo libro, i
molti in libera
interazione saranno analizzati a partire dal capitolo decimo del
terzo libro (sempre nell’edizione engelsiana)[14].
Questo sarà cruciale per varie questioni, come ad esempio quella
della “trasformazione” o della caduta tendenziale del saggio di
profitto di cui qui non ci si potrà occupare.
L’altro
cambiamento di rilievo, documentabile sistematicamente dalla seconda
edizione tedesca a quella francese, è la distinzione fra
concentrazione e centralizzazione. Il secondo termine è introdotto a
partire dall’edizione francese ed indica l’assorbimento
competitivo e/o l’unione volontaria di più capitali. Questo
modifica chiaramente la dinamica di accumulazione potenziando il
singolo capitale in maniera istantanea rispetto al necessariamente
più lento processo di concentrazione, ovvero di mera accumulazione.
Anche questo in qualche modo anticipa la futura analisi della
«concorrenza», dove questi processi avranno effettivamente luogo.
Qui se ne pongono le condizioni di pensabilità, si definisce la
categoria senza che però se ne sviluppi la dinamica specifica
(«libera concorrenza») (Marx 1989a, 546; trad. it. 1286 e 1989b,
588; trad. it. 692).
La
terza questione è relativa al cambiamento della struttura. Ora
l’accumulazione originaria è distinta da quella capitalistica vera
e propria e posta in una sezione a parte, l’ottava. Poiché Engels
non seguì questo cambiamento, pur indicato nei manoscritti lasciati
di Marx, ai lettori tedeschi e a tutti coloro che hanno letto
traduzioni dal tedesco era necessariamente sfuggito questo decisivo
passaggio. Qui, esplicitamente Marx distingue e separa la
“storia” fattuale della formazione dei presupposti esogeni del
modo di produzione capitalistico in una parte del mondo storicamente
e geograficamente determinata, dalla storicità
specifica del
modo di produzione capitalistico, della sua logica intrinseca
immanente che alla fattualità storica non può né deve
corrispondere (Marx 1989a, 631 ss.; trad. it. 1303 e 1989b, 667;
trad. it. 787). Egli dimostra come la ricostruzione teorica abbia
solo una relazione mediata, non immediatamente corrispondente, alla
fattualità storica e alla contingenza. La distinzione fra logico e
storico ha qui chiaramente un riconoscimento ufficiale, purtroppo
depotenziato nella ricezione per il fatto che Engels non tenne conto
di questo importante cambiamento[15].
5.
… e la storia continuerebbe
Per
i limiti posti a questo saggio (I libro del Capitale),
non si entrerà né nella più complessa articolazione degli schemi
generali della riproduzione sociale complessiva, né nell’indagine
più sviluppata del concetto di «accumulazione» che si ha una volta
che si abbandoni la rarefatta sfera dell’Universalità. Questo
livello di maggiore complessità ridefinisce la struttura generale
finora indicata inserendo una serie di variabili molto complesse. La
teoria del ciclo per es. include i problemi di realizzazione (o
mancata realizzazione) di quanto prodotto, quindi lascia cadere la
clausola di astrazione per cui domanda ed offerta automaticamente
combaciano. La teoria dell’accumulazione in questo contesto non può
eludere la questione cruciale della crisi. Il discorso si fa poi
ancora più complicato quando, con il “credito e capitale
azionario”, l’accumulazione si sdoppia in reale e fittizia.
L’apparente indipendenza, e la dipendenza di fatto, di questi due
cicli è ciò di cui Marx iniziò a occuparsi nella parte finale
del Manoscritto
1864/65[16] esponendo
il livello di astrazione più basso della teoria generale del
capitale[17].
Nel
modo di produzione capitalistico l’accumulazione si configura come
valorizzazione del capitale. Ricostruire il nesso contenuto
materiale/forma sociale a tutti i livelli di astrazione attraverso
cui quel nesso si sviluppa è un’operazione che Marx ha fondato ma
non portato a termine. A noi procedere su questa strada.
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