L’analisi della merce, come lavoro in doppia forma,
di valore d’uso -quale risultato di un lavoro reale o di una
attività <produttiva> finalizzata- e di valore di scambio,
o tempo lavoro o lavoro sociale indifferenziato, è il risultato critico finale
della ricerca quasi secolare dell’economia politica classica, che in
Inghilterra inizia con W. Petty, in Francia, con Boisguillebert e si chiude, in
Inghilterra, con Ricardo, in Francia con Sismondi.
Solo apparentemente la pagina di Marx è chiara: che
significa, infatti, lavoro produttivo o finalizzato? Non è questa la
caratteristica di ogni lavoro, che non sia un mero passatempo?
In un senso
generalissimo, certamente le cose stanno così, ma appunto alla condizione di
attenersi ad un senso generalissimo dei termini, dunque, ad un senso impreciso,
vago ed in questo senso estraneo ad un linguaggio, che si voglia almeno
comprensibile, se non addirittura scientifico.
Ed allora cominciamo a notare che il lavoro,
produttore di valore d’uso, è finalizzato a realizzare una situazione di jouissance
o di Nutznißung, ovvero di piacere, godimento o utilità.
Mentre il lavoro produttore di valore di scambio,
sia pure en principe, ha lo scopo, mediante lo scambio, di realizzare profitto
– ed alla nozione di profitto, si badi, non appartengono di necessità logica né
quella di godimento/jouissance né quella di utilizzabilità immediata/Nutznißung.
Dunque, la distinzione a cui
l’economia politica è giunta, appunto, è quella tra lavoro come produttore di
jouisance o Nutznißung (lavoro concreto, reale, finalizzato) e lavoro
come lavoro sociale indifferenziato[1],
il quale, almeno en principe, è produttore di profitto (e, ripeto, nel
concetto di profitto né è compreso quello di jouissance, né quello di utilità).
Passiamo ora ad un’altra interessante notazione.