venerdì 28 febbraio 2020

Hegel: Fenomenologia dello spirito. Dialettica "servo/padrone" - Remo Bodei

Da: Festivalfilosofia - Remo Bodei (Cagliari, 3 agosto 1938 – Pisa, 7 novembre 2019) è stato un filosofo e accademico italiano.
                       Hegel: "Fenomenologia dello spirito" - Antonio Gargano 
"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/)

                                                                           

giovedì 27 febbraio 2020

Un dialogo sull’imperialismo: David Harvey e Utsa e Prabhat Patnaik. - Alessandro Visalli

Da: https://tempofertile.blogspot.com - 
Alessandro Visalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica; si occupa di ambiente ed energie rinnovabili. https://www.facebook.com/alessandro.visalli. 
Leggi anche: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2019/07/08/intervista-a-utsa-patnaik-storia-agraria-e-imperialismo
                      La migrazione come rivolta contro il capitale*- Prabhat Patnaik** 
                       "Il Vero Debito Estero" - Guaicaipuro Cuatemoc 


Nel libro che Utsa Patnaik e Prabhat Patnaik, scrivono nel 2017 sull’imperialismo[1] c’è un’ultima parte nella quale è riportato un dialogo a distanza con David Harvey. Il notissimo geografo marxista americano svolge diverse critiche molto serrate ai due economisti indiani e questi replicano in modo altrettanto deciso. Si tratta di un confronto tra discipline e tra culture, ma anche tra posizioni interiorizzate. Sembra di leggere tra le righe il fantasma dell’oggetto stesso della contesa, la dualità centro-periferia e quella occidente-oriente e la memoria del colonialismo. L’uno scrive da britannico e da New York, gli altri da indiani e da Nuova Delhi. Ma soprattutto, pur essendo tutti critici del capitalismo e quasi coetanei, a separarli ci sono le tracce della storia. In fondo, e la lettura del libro lo mostra molto bene, i due marxisti indiani si sentono parte di una storia di oppressione e hanno qualcosa da chiedere come risarcimento.

È vero, l’India è una potenza regionale con grande proiezione di potenza economica, commerciale, tecnologica e persino militare, e Harvey di passaggio lo ricorderà. È un paese di oltre un miliardo e trecento milioni di persone e la dodicesima potenza economica mondiale. Ma è anche un paese nel quale permangono enormi differenze tra i diversi gruppi sociali, le regioni, le aree rurali ed urbane. Un quarto della popolazione vive sotto la soglia di povertà, secondo i canoni indiani, mentre secondo quelli internazionali è oltre la metà.

In india il governo Modi è sfidato dalla mobilitazione dei contadini che impegna a fondo il Partito Comunista Indiano chiedendo la cancellazione dei debiti, la possibilità di accedere alla proprietà delle terre e l’aumento del prezzo dei prodotti agricoli. Del resto era una promessa elettorale disattesa dello stesso Bharatiya Janata Party al potere: raddoppiare il reddito degli agricoltori entro il 2022. Oggi il settore copre il 17 per cento del Pil a causa della crescita del settore dei servizi, ma tra il 50 ed il 70 per cento della popolazione dipende dal settore agricolo. E questa situazione pone, appunto, oltre la metà della popolazione in condizioni di povertà, in quanto i prezzi al consumo dei prodotti agricoli continuano a scendere e in venticinque anni si sono suicidati oltre trecentomila contadini a causa dell’endemica condizione di estrema povertà.

La All India Kisan Sangharsh Coordination Committee (AIKSCC)[2], organizzazione che unisce duecento organizzazioni contadine in tutto il paese lamenta il mancato rispetto delle indicazioni della Swaminathan Commission (aumentare della remunerazione agricola oltre il costo di produzione) ma soprattutto denuncia il degrado delle condizioni degli agricoltori da quando, negli anni novanta, furono introdotte le riforme neoliberali. Dal 2014, infatti, una tenaglia strangola le famiglie contadine, da una parte gli aumenti del prezzo del carburante e dei fertilizzanti, dall’altro la riduzione dei prezzi agricoli. Inoltre sta calando la terra adibita all’agricoltura, a causa della competizione delle sempre maggiori infrastrutture e ormai il 40 per cento dei contadini sono senza terra; si parla di circa sessanta milioni di persone che sono state espropriate, spesso senza nessun risarcimento, da società internazionali concessionarie dello stato.

Tutto questo mostra la rilevanza della sovrappopolazione relativa (ovvero dell’esercito di riserva) nel settore: circa duecentocinquanta milioni direttamente impiegati nei lavori della terra e, appunto, altri cinquecento milioni comunque connessi e dipendenti dal settore.

David Harvey è una notissima e rispettabile personalità, uno studioso di grande valore e sensibilità, una guida per molta parte del pensiero critico occidentale. Ma è britannico, laureato a Cambridge in geografia, sin dagli anni settanta si converte al materialismo dialettico ed al marxismo, se pur letto in chiave autonoma ed originale.

Utsa Patnaik e suo marito, Prabhat Patnaik, sono due economisti che hanno studiato in India, e che hanno lavorato per lo più al Center of Economic Studies and Planning nella School of Social Sciences dell’Università Jawaharlal Nehru di Nuova Delhi, dall’inizio degli anni settanta. Il loro perfezionamento è tuttavia avvenuto in Inghilterra, entrambi ad Oxford ma Utsa in economia e Prabhat in filosofia, da cui ha passato un periodo a Cambridge.

Per quando David Harvey abbia dieci anni più di loro si tratta di studiosi esperti e stimati, con decine di libri e centinaia di articoli alle spalle. Ma questo confronto, riportato in calce al libro dei Patnaik, è insolitamente aspro. L’uno parla di leggerezza, imprecisione e infondatezza e di “ossessione”, gli altri di subalternità ad una cultura che oscura la verità perché scomoda, quasi di complicità.

La durezza dello scontro dice qualcosa. Parla del portato degli scontri di classe e di radicamento che attraversano i secoli per riproporsi. Sono di fronte, in effetti, colonizzatori e colonizzati. I secondi non lo hanno dimenticato.

mercoledì 26 febbraio 2020

Da Wittgenstein a Marx via Rossi-Landi - Roberto Fineschi

Da: http://www.ilsileno.it/filosofiesemiotiche - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. (Marx. Dialectical Studies) -
Leggi anche   Wittgenstein e la filosofia del linguaggio – Piergiorgio Odifreddi 
                            TEMI WITTGENSTEINIANI - Stefano Garroni 
                             L. WITTGENSTEIN - LA CULTURA MEDIA CONTEMPORANEA - NOTE AL RAMO D'ORO DI FRAZER - Stefano Garroni - 09-01-97


Introduzione 

Quando sono stato invitato a scrivere un contributo sul rapporto Marx-Wittgenstein sono stato un po’ esitante. In primo luogo non sono certo un esperto di Wittgenstein, anzi, sono un modesto lettore delle sue opere più importanti e non ho molto di significativo da dire in proposito. In secondo luogo, come esperto di Marx, solo tangenzialmente mi sono occupato di temi legati alla filosofia del linguaggio o alla semiotica. Ho però cominciato a leggere un po’ di letteratura ed ho trovato diversi spunti interessanti, soprattutto nel semiologo marxista italiano Ferruccio Rossi-Landi (ROSSI-LANDI 1968, 1977, 1983) e in altri interpreti (ABREU 2008; GAKIS 2015; KITCHING & PLEASANTS 2002; READ 2000; RUBINSTEIN 1981). Alla luce di questi studi ho forse inteso meglio come trattare il tema e deciso di contribuire. 

La prima parte di questo saggio è dedicata alla lettura di Wittgenstein proposta da Rossi-Landi, la seconda all’analisi di come Rossi-Landi cerchi di risolvere attraverso Marx quelle che reputa aporie di Wittgenstein, la terza, infine, a una valutazione critica della questione e al senso di un possibile rapporto Marx-Wittgenstein. 


1. Il Wittgenstein di Rossi-Landi 

La lettura di Wittgenstein da parte di Rossi-Landi è chiaramente influenzata dalla sua intenzione di sviluppare una teoria marxista della linguistica. Il suo scopo non è una ricostruzione critica del suo pensiero, ma fornire un solido fondamento al suo progetto nella stessa tradizione della filosofia del linguaggio (la stessa cosa che cerca di fare nel suo dialogo con Saussure). 

Quello di Rossi-Landi è un approccio marxista(1), in cui la componente storico-sociale è assolutamente decisiva; da questo presupposto, la sua valutazione del Tractatus non può che essere estremamente critica, in quanto lo si considera addirittura «pre-kantiano» proprio per l’assenza dell’elemento storico-sociale (ROSSI-LANDI 1968: 22). Questo Wittgenstein è sostanzialmente ignorato e considerato inadeguato non solo per un confronto con Marx, ma come contributo al pensiero occidentale moderno. Tutta cambia invece con le Ricerche, dove invece si percepisce il «flusso della vita» (ROSSI-LANDI 1968: 23). 

Sulla base della nota 583 delle Ricerche(2), Rossi-Landi può affermare che, secondo Wittgenstein, l’ambiente [Umgebung] dà rilevanza al significato. Il significato di una parola è dato dal suo uso nel linguaggio, dice Wittgenstein nella nota 43(3), e Rossi-Landi commenta che il linguaggio acquisisce significato in un contesto, vale a dire quello pubblico nel quale impariamo a parlare (ROSSI-LANDI 1968: 24). Il gioco linguistico come tale non si riferisce solo all’uso linguistico, ma include elementi extra-linguistici, una prassi sociale che implica un uso linguistico dell’azione extralinguistica. Secondo Rossi-Landi si può derivare questa conclusione dalla nota 7 delle Ricerche(4). 

Se il significato sta nell’uso di una parola, in una prassi che ha luogo in un contesto pubblico, Rossi-Landi assume, traendo queste conclusioni dalle note 199(5) e 242(6), che ci sono regole in ciò implicate. Queste regole vanno pensate come condivise, debbono corrispondere a comportamenti sociali determinati e accettati, a una prassi sociale. Questa ulteriore conclusione è implicita nelle note 200-202(7) (ROSSI-LANDI 1968: 25 s.). 

Rossi-Landi cerca di mostrare come per Wittgenstein almeno implicitamente, il linguaggio, con i suoi presupposti sociali, sia una prassi condivisa. A questo proposito, passando dal Trattato alle Ricerche, egli fa qualcosa di molto simile a quanto Marx e Feuerbach avevano fatto con Hegel: avevano individuato la chiave dell’alienazione intellettuale e filosofica (un uso distorto del linguaggio) nella prassi sociale. L’incoerenza del linguaggio filosofico è una conseguenza di una prassi determinata e ha origine in una prassi linguistica sbagliata. 

lunedì 24 febbraio 2020

IRAN / USA. Un futuro incerto - Orazio Di Mauro

Da: https://www.lacittafutura.it - Orazio Di Mauro insegna Storia e Filosofia.
Vedi anche: Perchè l'uccisione di Soleimani è un "omicidio di stato"? - Intervista a Alberto Bradanini

L’ascesa iraniana da potenza regionale a potenza sovraregionale.

Qualche giorno fa la CNN ha aggiornato il bilancio ufficiale" dei feriti causati dell'attacco missilistico dell'Iran sulla base americana di Ein Al Assad, in Iraq il 9 gennaio 2020 portandolo a 64 [0]. Come tutti ricorderete l’attacco fu effettuato come risposta al proditorio assassinio di Suleiman Qassem
La notizia sarebbe poco significativa se non fosse che dal primo momento si negò che vi fossero stati feriti e poi il comando americano ammise man mano 11, 16,37, 50 ed ora 64 feriti. Se si pensa che gli iraniani al momento degli attacchi dissero di aver causato 80 feriti [1], le due cifre sono significativamente molto vicine e non è escluso che in futuro coincideranno. Si aggiunga che questi attacchi missilistici sono stati preannunciati dagli iraniani tramite i canali ufficiali dell’ambasciata svizzera di Berna che cura gli interessi degli USA in Iran. Non è escluso che si siano seguiti altri canali non ufficiali, ma più rapidi ed efficaci. 

La risposta iraniana ci dice però due cose. La prima che la missilistica iraniana è molto avanzata. La precisione del tiro iraniano non è una vanteria del paese mediorientale, ma un timore, non infondato degli occidentali, in primis gli USA [2]. Specialmente se l’accuratezza deriva da un sistema russo molto temuto in occidente denominato Glonass. [3] Ciò spiega la proposta di Trump di un negoziato con l’Iran che oltre al nucleare iraniano dovrebbe interessare anche la potenza missilistica di Teheran, con l’ovvia risposta negativa iraniana. Nelle università scientifiche di Teheran da sempre si sviluppa una formidabile conoscenza della Fisica applicata. Si ricordi che l’ex presidente Amadinejad era docente di Fisica all’università di Teheran [5]. 

Appare chiaro che il confronto tra la superpotenza, (sia pur declinante, con modi e velocità di difficile comprensione), e il paese governato dagli Ayatollah si sia incanalato, dopo l’uccisione del Generale Suleiman Qassem,[5] verso nuovi rapporti e non tutti chiari. Cercheremo di coglierne almeno le linee essenziali.

mercoledì 19 febbraio 2020

"I nomi e le cose" - Carlo Sini

Da: Festivalfilosofia - Carlo Sini è un filosofo italiano.- CarloSiniNoema 
Vedi anche:   LA SCRITTURA - Carlo Sini 
                       Il linguaggio nel pensiero di Aristotele - Enrico Berti 
                       CONOSCENZA,SAPIENZA,SAGGEZZA: il triangolo che non c'è più - Silvano Tagliagambe 
                       Il relativismo - Carlo Sini
Ascolta anche: https://www.raiplayradio.it/audio/2020/02/RADIO3-SCIENZA---La-rivincita-del-pensiero

"Tutti i filosofi hanno il comune difetto di partire dall’uomo attuale e di credere di giungere allo scopo attraverso un’analisi dello stesso. Inavvertitamente «l’Uomo» si configura alla loro mente come una æterna veritatis, come un’identità fissa in ogni vortice, come una misura certa delle cose. Ma tutto ciò che il filosofo enuncia sull’uomo, non è in fondo altro che una testimonianza sull’uomo di un periodo molto limitato.

La mancanza di senso storico è il difetto ereditario di tutti i filosofi; molti addirittura pendono di punto in bianco la più recente configurazione dell’uomo, quale essa si è venuta delineando sotto la pressione di determinate religioni, anzi di determinati avvenimenti politici, come la forma fissa dalla quale si debba partire. Non vogliono capire che l’uomo è divenuto e che anche la facoltà di conoscere è divenuta; mentre alcuni di loro si fanno addirittura fabbricare, da questa facoltà di conoscere, l’intero mondo. 

Ora tutto l’essenziale dell’evoluzione umana è avvenuto in tempi remotissimi, assai prima di quei quattromila anni che all’incirca conosciamo e durante i quali l’uomo non può essere gran che cambiato. Ma nell’uomo attuale il filosofo vede «istinti» suppone che essi appartengano ai fatti immutabili dell’uomo e possano quindi fornire una chiave alla comprensione del mondo in generale: tutta la teologia è basata sul fatto che dell’uomo degli ultimi quattro millenni si parla come di un uomo eterno, al quale tendono naturalmente tutte le cose del mondo. Ma tutto è divenuto; non ci sono fatti eterni: così come non ci sono verità assolute. 

Per conseguenza il filosofare storico è da ora in poi necessario, e con esso la virtù della modestia."
Friedrich Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches Umano troppo umano, Adelphi, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. I, parte prima, § 2                                                                                                             

lunedì 17 febbraio 2020

"Quid deinde fit?" - Alessandro Barbero

Da: nimal4 - https://www.logosfest.org/ - https://www.facebook.com/logosfest.org/ -
Alessandro_Barbero è uno storico, scrittore e accademico italiano, specializzato in storia del Medioevo e in storia militare.
Vedi anche: Democrazia - Alessandro Barbero
                        Marc Bloch - Alessandro Barbero 


                                   Quid deinde fit? (Cic.) “Che accade poi?”  

                                                                             

giovedì 13 febbraio 2020

L’occupazione italiana nei Balcani - Angelo Del Boca

Da: https://volerelaluna.it - Angelo_Del_Boca è uno storico, giornalista e scrittore italiano, considerato il maggiore storico del colonialismo italiano.
Leggi anche: Jugoslavia, memorie del Paese che non c’è più. - Angelo D’Orsi

                   E allora, le foibe?!” - Angelo D’Orsi

                       https://cambiailmondo.org/2019/02/22/sulle-foibe-2-sergio-bologna-von-banditen-erschossen-su-mattarella-e-le-foibe/?
                        https://ilmanifesto.it/monsieur-le-president-lettera-a-sergio-mattarella/?
Vedi anche: Alessandra Kersevan su fascismo e foibe (Prima parte: https://www.youtube.com/watch?v=5l59zDt3VmY) -
                                                                                       (Seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=5l59zDt3VmY) -             

- Dedichiamo queste pagine tratte dal libro di un grande storico, Angelo Del Boca, Italiani brava gente, al presidente Mattarella – che nel giorno del ricordo, nell’escludere ogni nesso, fosse anche di contesto, tra l’orrore delle foibe e i “torti del fascismo” ha insinuato l’accusa di “negazionismo” e “riduzionismo” verso gli storici che quel nesso invece hanno indagato –  con l’augurio che gli possano in futuro evitare simili scivoloni storiografici.  Qui sono documentate le atroci sofferenze inflitte  dall’esercito fascista e dagli italiani alla popolazione slovena all’inizio degli anni ’40, senza considerare le quali  i successivi orrori delle foibe – che pur colpirono anche degli innocenti – non troverebbero altra spiegazione che la naturale barbarie slava e il delirante odio ideologico. Rimuovere le “nostre” colpe (le colpe dell’Italia fascista) come a suo tempo furono rimosse le responsabilità penali dei criminali di guerra che le ordinarono e compirono, significa attizzare nuovi odii tra popoli che invece dovrebbero e potrebbero convivere nel rispetto reciproco. https://volerelaluna.it -


Oltre che sulle regioni dell’intero Corno d’Africa e sulla Libia, Vittorio Emanuele III regnava sull’Egeo, l’Albania, il Kosovo, il Dibrano, lo Struga, la provincia slovena di Lubiana, la Dalmazia, parte della provincia di Fiume … Ma truppe italiane presidiavano anche il Montenegro, parte della Bosnia e della Croazia, la Grecia, parte della Francia meridionale e la Corsica, alcune zone dell’Unione Sovietica. Alla fine del 1942, quando l’Africa Orientale Italiana era ormai persa, erano dislocati sui vari fronti all’estero oltre 1.200.000 uomini. Nei soli Balcani, sui quali si appunta maggiormente la nostra attenzione, erano presenti 650.000 soldati, suddivisi in dieci corpi d’armata, mediocremente equipaggiati (Posizione 3636). 

Militari e funzionari civili miravano anzitutto a una fascistizzazione accelerata della regione, anche se, in cambio, non offrivano alla popolazione neppure la cittadinanza italiana a pieno titolo, ma soltanto l’ambigua qualifica di «cittadino per annessione» . E quando in Slovenia, come del resto in Dalmazia, in Montenegro, in Croazia, cominciavano ad accendersi i primi fuochi della rivolta, la repressione era immediata e inesorabile . D’altronde molti dei militari e dei funzionari impiegati nei Balcani si erano già fatti le ossa in Libia, in Etiopia, in Spagna. Essi consideravano le popolazioni slave appena un gradino più in su di quelle africane. Uno di essi, il generale Alessandro Pirzio Biroli, era riuscito, in qualità di governatore dell’Amhara, a riscuotere l’ammirazione dello stesso Graziani per aver ordinato l’impiccagione di 20 paesani di Quoratà e la fucilazione di quattro preti. Il 27 luglio 1937, il viceré così lo elogiava : «Ben ha fatto Sua Eccellenza Pirzio Biroli ad imitare l’esempio di Debrà Libanòs, che per il clero dell’ex Scioa è stato assai salutare, perché preti e monaci adesso filano che è una bellezza». Pirzio Biroli aveva anche coperto l’eliminazione segreta di alcuni capi villaggio, che erano stati gettati, con una pietra al collo, nelle acque del lago Tana (Posizione 3646).

Un bilancio terribile 

mercoledì 12 febbraio 2020

Antisemitismo e antisionismo sono collegati tra loro? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - (Unigramsci) - https://www.facebook.com/unigramsci/ - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 
Leggi anche: La definizione di antisemitismo dell’IHRA - Ugo Giannangeli
                        PALESTINA. Economia e occupazione: dal Protocollo di Parigi ad oggi. - Francesca  Merz 
                      Chiarezza - Shlomo Sand 







Secondo la vulgata, chi condanna la politica dello Stato di Israele è equiparato ai fascisti e ai nazisti; si macchia dunque del crimine dell’antisemitismo e non è autorizzato a muovere nessuna critica. 



Siamo in un’epoca in cui la storia la fanno i politici [1] e gli storici con i loro polverosi archivi e le loro sottili ricerche sono bruscamente accantonati. Naturalmente questa storia è eminentemente politica ed ha semplicemente lo scopo di legittimare obiettivi che, dal punto di vista storico, non hanno alcun fondamento e che sono anche il risultato di un atteggiamento aggressivo e arrogante volto a misconoscere i diritti degli avversari. Qualcuno potrebbe dire che è sempre stato così, dato che per evidenti motivi, come dice un antico proverbio africano: “la storia della caccia, come attività entusiasmante, l’hanno fatta sempre i cacciatori”. 

Lo scorso 23 gennaio a Gerusalemme, alla presenza di molti grandi della terra (Putin, Macron, Mike Pence, il Principe Carlo, rappresentanti del Vaticano etc.) è stato celebrato The Fifth World Holocaust Forum con il titolo Remembering Holocaust: Fighting Anti-Semitism, in collaborazione con l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah e con il patrocinio del presidente dello Stato d’Israele Reuven Rivlin.

lunedì 10 febbraio 2020

È IL CAPITALISMO CHE STA UCCIDENDO LA NATURA, NON L’UMANITÀ - ANNA PIGOTT

Da: https://thevision.com - Questo articolo è stato tradotto da The Conversation. - 
Leggi anche:Natura, lavoro e ascesa del capitalismo*- Martin Empson**
                     Abitudini linguistiche e mistificazione - Alessandra Ciattini 


L’ultimo rapporto Living planet del WWF è una lettura piuttosto dura: la fauna selvatica è diminuita del 60% dal 1970, alcuni ecosistemi stanno collassando e c’è una buona possibilità che la specie umana non abbia vita lunga. La relazione sottolinea continuamente come la colpa di questa estinzione di massa sia da attribuire all’uomo e a ciò che consuma, e i giornalisti si sono precipitati a diffondere questo messaggio. Il Guardian ha titolato: “L’umanità ha distrutto il 60% delle specie animali”, mentre la Bbc ha scelto: “Il consumismo ha causato una grossa perdita di fauna selvatica”. Non c’è di che stupirsi: nelle 148 pagine del rapporto la parola “umanità” appare 14 volte, e “consumismo” 54 volte. 

C’è un termine, però, che non compare nemmeno una volta: capitalismo. Si potrebbe dire che, ora che l’83% degli ecosistemi di acqua dolce stanno collassando (un’altra delle statistiche inquietanti del rapporto), non abbiamo tempo di disquisire di semantica. Eppure, come ha scritto l’ecologista Robin Wall Kimmerer, “trovare le parole giuste è il primo passo per iniziare a capire.” 

Nonostante il rapporto del WWF si avvicini al concetto, parlando del problema come di una questione culturale, economica e di modello produttivo insostenibile, non riesce a identificare il capitalismo come ciò che lega in maniera cruciale (e a volte casuale) tutte queste cose. In questo modo ci impedisce di vedere la reale natura del problema e, se non lo nominiamo, non possiamo affrontarlo perché è come puntare verso un obiettivo invisibile.

Il rapporto del WWF fa bene a evidenziare “il crescente consumo da parte dell’uomo”, e non la crescita della popolazione, come la causa primaria dell’estinzione di massa, e si sforza in maniera particolare di illustrare il legame tra la perdita di biodiversità e il consumismo. Però si ferma lì, non dice che è il capitalismo a imporre questo modello sconsiderato di consumo. Questo –  in particolar modo nella sua forma neoliberista – è un’ideologia fondata sull’idea di una costante e perenne crescita economica, spinta proprio dai consumi: un assunto semplicemente fallace.

L’agricoltura industriale, il settore che il rapporto identifica come il responsabile primario della perdita di specie animali, è stata marcatamente costruita su principi capitalisti. Prima di tutto perché impone che abbiano valore solo quelle specie “mercificabili”, e secondo perché, nel cercare solo il profitto e la crescita, ignora tutte le conseguenze – come l’inquinamento o la perdita di biodiversità. Il rapporto, invece di richiamare l’attenzione sull’irrazionalità del capitalismo, che considera priva di valore la maggior parte della vita su questo pianeta, non fa altro che supportare la logica capitalista usando termini come “beni naturali” e “servizi dell’ecosistema” per riferirsi al pianeta vivente.

Il rapporto del WWF sceglie l’umanità come unità di analisi e questo monopolizza il linguaggio della stampa. Il Guardian, per esempio, riporta che “la popolazione globale sta distruggendo la rete della vita.” Questa frase è totalmente fuorviante: il rapporto del WWF riporta effettivamente che non è tutta l’umanità ad essere consumista, ma non sottolinea abbastanza che è solo una piccola minoranza della popolazione mondiale a causare la maggior parte dei danni.

Dalle emissioni di anidride carbonica all’impronta ambientale, è il 10% più ricco della popolazione ad avere l’impatto maggiore. Inoltre, non si dice che gli effetti del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità abbiano maggiore impatto sulle persone più povere – le persone che contribuiscono al problema in maniera minore. Sottolineare queste differenze è importante perché sono queste il problema, e non l’umanità per sé, e perché le disuguaglianze sono endemiche nei sistemi capitalisti, specialmente per via della sua eredità razzista e colonialista.

“Umanità” è una parola ombrello che tende a coprire tutte queste crepe, impedendoci di vedere la situazione per come è. Inoltre, diffonde l’idea che gli esseri umani siano intrinsecamente “cattivi”, e che sia in qualche modo parte della nostra natura consumare fin quando non è rimasto niente. Un tweet postato in risposta alla pubblicazione della relazione del WWF suggeriva che fossimo “dei virus con le scarpe”: un atteggiamento che spinge solo verso una crescente apatia. 

Ma cosa succederebbe se questa sorta di auto-critica la rigirassimo verso il capitalismo? Non solo sarebbe un target più corretto, ma potrebbe anche darci la forza di vedere l’umanità come una forza benevola.

Le parole fanno ben altro rispetto ad assegnare responsabilità diverse a diverse cause. Le parole possono costruire o distruggere le narrazioni che abbiamo diffuso sul mondo, e queste narrazioni sono importanti perché ci aiutano a gestire la crisi ambientale. Usare riferimenti generalizzati all’umanità o al consumismo per parlare dei fattori preponderanti nella perdita di biodiversità non è solo sbagliato, ma contribuisce a diffondere una visione distorta su chi siamo e chi siamo in grado di diventare.

Parlare del capitalismo come di una causa fondamentale del cambiamento climatico, al contrario, ci aiuta a identificare tutta una serie di idee e abitudini che non sono né permanenti né fanno parte del nostro essere umani. Così facendo possiamo imparare che le cose non devono andare necessariamente così. Abbiamo il potere di indicare un colpevole ed esporlo. Come ha detto la scrittrice e ambientalista Rebecca Solnit, “Chiamare le cose con il loro nome distrugge le bugie che scusano, tamponano, smorzano, camuffano, eludono e incoraggiano all’inazione, all’indifferenza, alla noncuranza. Non basterà per cambiare il mondo, ma è un inizio.”

Il rapporto del WWF lancia un appello a trovare una “voce collettiva, cruciale se vogliamo invertire il trend della perdita di biodiversità”. Ma una voce collettiva è inutile se non usa le parole giuste. Fin quando noi, e organizzazioni come il WWF, non riusciremo a nominare il capitalismo come la causa principale dell’estinzione di massa, saremo incapaci di contrastare questa tragedia.

domenica 9 febbraio 2020

MESà che è una fregatura...

Da: la Città Futura - https://www.lacittafutura.it -
Vedi anche:  MES, l'intervento di Vladimiro Giacché in audizione alla Commissione Bilancio. 
Leggi anche: Crisi, Mes e conflittualità interimperialistica. - Francesco Schettino
                     Il problema tedesco - Heiner Flassbeck
                                                        Se ne è parlato con:

Francesco Schettino (Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli) è un economista italiano. (http://www.contraddizione.it/Contraddizioneonline.htm)

Bruno Steri è membro della Segreteria nazionale del Partito Comunista Italiano (https://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/).

Franco Russo, ex parlamentare, piattaforma sociale Eurostop (http://www.eurostop.info/).

venerdì 7 febbraio 2020

Il voto alle donne e la lotta di classe (1912) - Rosa Luxemburg

Da: http://www.rifondazione.it/formazione - a cura di Maria Grazia Suriano - Il testo originale in lingua tedesca è stato pubblicato nell’opera Ausgewählte Reden und Schriften (vol. 2) nel 1951. Questa traduzione si basa sul testo inglese edito nei Selected Political Writings, Rosa Luxemburg, a cura di Dick Howard, Monthly Review Press 1971.
La versione inglese è disponibile dal 2003 sul sito Marxists Internet Archive (https://www.marxists.org/archive/luxemburg). Verifica sull’originale tedesco di Serena Tiepolato.


Il discorso fu pronunciato da Rosa Luxemburg il 12 maggio 1912 al secondo raduno internazionale delle donne socialdemocratiche, riunito a Stoccarda. Si tratta di un testo importante, che permette di cogliere la peculiare riflessione di Rosa Luxemburg sul voto alle donne e sul ruolo che l’acquisizione di questo diritto avrebbe svolto nel processo di liberazione generale del proletariato. 

Soprattutto evidenzia la distanza fra la visione rivoluzionaria di Rosa Luxemburg e l’ortodossia della socialdemocrazia tedesca e della Seconda internazionale.


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“Perché non ci sono organizzazioni di lavoratrici in Germania? Perché sentiamo così poco riguardo al movimento delle donne lavoratrici?” Con queste domande, Emma Ihrer, una delle fondatrici del movimento delle donne proletarie in Germania, introduceva nel 1898 il suo saggio, Die Arbeiterinnen im Klassenkampf (Le lavoratrici nella lotta di classe). Da allora sono passati appena quattordici anni, ed oggi il movimento delle donne proletarie è una realtà ampiamente sviluppata. Oltre cento cinquantamila donne organizzate in leghe sono tra le più attive truppe nella lotta economica del proletariato. Decine di migliaia di donne politicamente organizzate si sono mobilitate per la bandiera della socialdemocrazia: il giornale delle donne socialdemocratiche (“Die Gleichheit”, diretto da Clara Zetkin) conta più di centomila sottoscrizioni; il voto alle donne è all’ordine del giorno della vita politica della socialdemocrazia.

mercoledì 5 febbraio 2020

TRASFORMAZIONI NEL PARTITO E NELLO STATO [SOVIETICO] (1921-1924) - Antonio Moscato

Da: [CRONOLOGIA RAGIONATA] Antonio Moscato, Intellettuali e potere in URSS (1917 - 1991). Bilancio di una crisi -
Antonio Moscato Ha insegnato Storia del Movimento operaio e Storia contemporanea presso l’università di Lecce (per alcuni anni anche Storia e istituzioni dei paesi afroasiatici) (https://antoniomoscato.altervista.org/index.php).
Leggi anche: Edward Hallett Carr, storia e rivoluzione*- Matthijs Krul
                   

Il X Congresso del Partito comunista (bolscevico) di Russia, tenutosi tra 18 e il 16 marzo del 1921, segna una svolta radicale, che avrà ripercussioni di grande rilievo nel futuro assetto dello Stato sovietico. Svoltosi sotto l’impressione della rivolta di Kronštadt, che impone una sospensione dei lavori per consentire ai delegati di partecipare all’offensiva per piegare la fortezza ribelle (partecipazione non puramente simbolica: parecchi delegati cadono nella difficile battaglia sui ghiacci della Neva), il congresso decide di sopprimere il cosiddetto «comunismo di guerra»; la «Nuova politica economica» (NEP) permette il rilancio dell’iniziativa privata nelle campagne, nel commercio e nella piccola industria, consentendo l’arricchimento dei più intraprendenti. Per sbloccare il malcontento nelle campagne (di cui era un riflesso indiretto la stessa rivolta di Kronštadt ma che si manifestava anche con sommosse nel governatorato di Tambov e in altre importanti zone agricole), viene abolito il sistema delle requisizioni di prodotti agricoli, sostituito da un’imposta fissa in natura.

Tuttavia, se in questo modo si cerca di tenere conto sul terreno dell’economia dei problemi sottesi al malcontento popolare rivelatosi a Kronštadt, non si risponde alle ansie di ritorno a una piena democrazia sovietica basata sul pluripartitismo, sulla libertà di stampa per tutte le tendenze del movimento operaio, sulla fine delle misure poliziesche, che si erano andate infittendo per iniziativa della Čeka, sempre meno controllata dal partito. Al contrario, mentre la repressione a Kronštadt è sproporzionata alla reale portata dell’episodio e conosce nuovi eccessi cekisti anche dopo il ristabilimento dell’ordine, lo stesso Partito comunista bolscevico di Russia modifica le sue norme interne di funzionamento, irrigidendole gravemente con decisioni che dovrebbero avere una durata provvisoria, ma che non verranno mai eliminate e, al contrario, saranno in epoca staliniana rafforzate e codificate. In particolare, di fronte al rischio che i nemici del potere sovietico possano inserirsi nelle contraddizioni interne al partito, il X Congresso limita drasticamente il diritto di organizzare frazioni che nella consuetudine dei bolscevichi, come di tutto il movimento operaio europeo, comportavano anche la pubblicità del dissenso attraverso la stampa. Il pericolo, in quel momento, è rappresentato dall’ «Opposizione operaia» di Šljapnikov, S. Medvedev e Aleksandra Kollontaj che vengono criticati per l’irresponsabilità con cui si sono mossi, ma a cui viene comunque assicurata una rappresentanza nel Comitato centrale.

Il settimo punto della risoluzione, che prevedeva «persino, come misura estrema, l’espulsione dal partito» dei membri del Comitato centrale che avessero continuato a violare la disciplina (ad esempio, attraverso discussioni preventive in strutture diverse da quelle normali del partito), fu mantenuto segreto, tanto più in quanto si riteneva di fatto non applicabile se non in casi veramente eccezionali. Tuttavia, rispondendo a Rjazanov che proponeva di vietare esplicitamente che si votasse su «piattaforme», cioè su documenti politici contrapposti, Lenin precisava: «Non possiamo privare il partito e i membri del CC del diritto di rivolgersi al partito se un problema fondamentale suscita divergenze. Non riesco a immaginare come potremmo farlo». Dopo avere ricordato le differenziazioni sulla pace di Brest Litovsk, Lenin concludeva che «se le circostanze susciteranno divergenze radicali», il desiderio di «proibire di sottoporle al giudizio di tutto il partito» gli appariva «eccessivo, irrealizzabile», sicché proponeva di respingerlo.

Purtroppo, quel desiderio non era «irrealizzabile» e, per giunta, dopo la morte di Lenin, non solo divenne pratica corrente, ma fu inserito tra i sacri «principi del leninismo» e consolidato al punto che rimane un dogma ancora oggi per tutti i partiti comunisti, compresi quelli che hanno cominciato a prendere le distanze, almeno per quanto riguarda gli aspetti più respingenti, dallo stalinismo e dall’attuale società sovietica.

I compiti che si pongono davanti al Partito comunista in quel cruciale 1921 sono così complessi, che le implicazioni di quella svolta non vengono percepite subito. In primo luogo, l’attenzione si concentra sulla realizzazione della NEP, che richiede misure delicate e comporta pericoli di restaurazione strisciante del capitalismo, attraverso una nuova accumulazione di capitali, consentita soprattutto dall’affitto a privati di piccole e medie imprese nazionalizzate. Una grave carestia colpisce molti governatorati e impone misure drastiche, compresa la creazione di un Comitato panrusso per gli aiuti alle vittime della carestia, affidato a personalità non comuniste e, a volte, anticomuniste, che vengono autorizzate a stabilire rapporti con società filantropiche americane (ma pagheranno poi con il carcere questi contatti, che cominciano a diventare sospetti anche quando sono inizialmente autorizzati).

Le dimensioni della penuria sono fornite dai dati ufficiali della Direzione centrale di statistica: nella carestia del 1921-1922 morirono 5.053.000 persone.

martedì 4 febbraio 2020

Perchè l'uccisione di Soleimani è un "omicidio di stato"? - Intervista a Alberto Bradanini

Da: PandoraTV - http://www.marx21.it - Alberto Bradanini, ex ambasciatore italiano in Iran.
Ascolta anche: Alberto Negri, 'L’assassinio di Soleimani ha aperto il vaso di Pandora. Sarà difficile rinchiuderlo' (https://www.spreaker.com/user/agenzia_ansa/20200108).

                                                                             

lunedì 3 febbraio 2020

Perché il Partito Laburista ha subito questa sconfitta elettorale? - Víctor Taibo

Da: https://www.lacittafutura.it/ - Pubblicato da Izquierda Revolucionaria il 19 dicembre 2019. Traduzione per la Città Futura a cura di Simone Rossi.
Víctor Taibo de la Comisión Ejecutiva de Izquierda Revolucionaria en el Estado Español. 
Leggi anche: Intervista a Joseph Halevi sull’esito delle elezioni in Gran Bretagna.

Le circostanze oggettive per una vittoria di Corbyn sono state presenti negli ultimi quattro anni, ma gli errori politici si pagano, ed a volte sono molto costosi. 
Le elezioni in Gran Bretagna hanno stabilito un’impattante vittoria di Boris Johnson e del Partito Conservatore. Con 13.966.565 voti, il 43,6%, i Tory hanno raggiunto una comoda maggioranza assoluta di 365 deputati, ottenendo 47 nuovi scranni rispetto alle elezioni del 2017. Nonostante il fatto che l’incremento di consenso sia stato abbastanza limitato, di solo 329.881 voti (l’1,2%), la notizia del forte arretramento del Partito Laburista capeggiato da Jeremy Corbyn ha sconvolto le fila della sinistra, di ampi settori della classe operaia e della gioventù britannica, e di attivisti in tutto il mondo. 
Capire cosa è successo è un compito primario per preparare le future battaglie di lotta di classe che, inevitabilmente, scoppieranno con forza sotto il mandato di questo sciovinista reazionario. E questo esige, senza dubbio, un serio esame delle cause di questa sconfitta, non solo per rispondere alle menzogne della classe dominante e dei suoi mezzi di comunicazione – infangati fino al collo in una campagna di falsificazioni e calunnie contro il candidato laburista -, ma anche per non cadere in spiegazioni superficiali che cercano di nascondere le responsabilità di Corbyn, dei dirigenti di Momentum e dei vertici sindacali in quanto accaduto. Solo traendo lezioni politiche da questi eventi, per amare che siano, si potrà rinforzare e costruire un’alternativa capace di superare l’incubo dei governi Tory.