Leggi anche: https://www.carmillaonline.com/2008/06/04/intervista-a-luis-britto-garcia
Il testo che seguirà è un'opera di finzione, ma il suo contenuto è così fortemente vero, la critica degli europei è così assolutamente giustificata e la scrittura così ingegnosa che merita di essere letta e diffusa.
Il capo Guaicaipuro esisteva poco meno di cinquecento anni fa, sebbene il suo vero nome non includesse l'ormai aggiunto Cuatemoc. L'autore della storia è Luis Britto García, che l'ha pubblicata il 6 ottobre 2003, in occasione della Giornata indigena della resistenza (12 ottobre), con il titolo di "Guaicaipuro Cuatemoc riscuote il debito con l'Europa".
L'autore: Luis Britto García (Caracas, 1940). Scrittore venezuelano. Il suo lavoro di fiction, formalmente sperimentale, elabora una critica della situazione politica e sociale del suo paese ( Rajatabla , 1970; Abrapalabra , 1980; The imaginary orgy , 1983). Si è anche dedicato al saggio, i cui titoli comprendono l'impero controculturale: dal rock al postmodernismo (1991). Premio Casa de las Américas nel 1970 e premio nazionale in letteratura nel 1980.
Lettera di un capo indio ai governi europei: "Guaicaipuro Cuatemoc riscuote il debito con l'Europa"
Così sono qua, io, Guaicaipuro Cuatemoc, sono venuto a incontrare i partecipanti a questo incontro.
Così sono qua, io, discendente di
coloro che popolarono l'America quarantamila anni fa, sono venuto a
trovare coloro che la trovarono cinquecento anni fa.
Così
ci troviamo tutti: sappiamo chi siamo, ed è già abbastanza. Non
abbiamo bisogno di altro.
Il
fratello doganiere europeo mi chiede una carta scritta con visto per
scoprire coloro che mi scoprirono.
Il
fratello usuraio europeo mi chiede di pagare un debito contratto da
traditori che non ho mai autorizzato a vendermi.
Il
fratello leguleio europeo mi spiega che ogni debito si paga con gli
interessi, anche fosse vendendo esseri umani e paesi interi senza
chiedere il loro consenso.
Questo
è quello che sto scoprendo.
Anch'io
posso pretendere pagamenti. Anch'io posso reclamare interessi. Fa
fede l'Archivio delle Indie.
Foglio
dopo foglio, ricevuta dopo ricevuta, firma dopo firma, risulta che
solamente tra il 1503 ed il 1660 sono arrivati a San Lucar de
Barrameda 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento
provenienti dall'America.
Saccheggio?
Non ci penso nemmeno!!!
Perché
pensare che i fratelli cristiani disobbediscano al loro settimo
comandamento.
Spoliazione?
Tanatzin mi guardi dall'immaginare che gli europei, come Caino,
uccidano e poi neghino il sangue del fratello!
Genocidio?
Sarebbe dar credito a calunniatori come Bartolomeo della Casa che
considerarono quella scoperta come la distruzione delle Indie, o ad
oltraggiosi come il dottor Arturo Pietri che sostiene che lo sviluppo
del capitalismo e dell'attuale civiltà europea sia dovuto
all'inondazione di metalli preziosi.
No!
Questi 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento devono
essere considerati come il primo dei vari prestiti amichevoli
dell'America per lo sviluppo dell'Europa. Pensare il contrario
vorrebbe dire supporre crimini di guerra, il che darebbe diritto non
solo a chiedere la restituzione immediata ma anche l'indennizzo per
danni e truffa.
Io,
Guaicaipuro Cuatemoc, preferisco credere alla meno offensiva delle
ipotesi. Una così favolosa esportazione di capitali non fu altro che
l'inizio del piano Mershalltezuma teso a garantire la ricostruzione
della barbara Europa, rovinata dalle sue deplorabili guerre contro i
culti musulmani, difensori dell'algebra, della poligamia, dell'igiene
quotidiana e di altre superiori conquiste della civiltà.
Per
questo, avvicinandosi il Quinto Centenario del Prestito, possiamo
chiederci: i fratelli europei hanno fatto un uso razionale,
responsabile, o perlomeno produttivo delle risorse così
generosamente anticipate dal Fondo Indoamericano Internazionale?
Ci
rincresce di dover dire di no. Dal punto di vista strategico le
dilapidarono nelle battaglie di Lepanto, nelle armate invincibili,
nei terzi Reich ed in altre forme di reciproco sterminio, per poi
finire occupati dalle truppe yankee della Nato, come Panama (ma senza
canale).
Dal
punto di vista finanziario sono stati incapaci " dopo una
moratoria di 500 anni " sia di restituire capitale ed interessi
che di rendersi indipendenti dalle rendite liquide, dalle materie
prime e dall'energia a basso costo che gli esporta il Terzo Mondo.
Questo deplorevole quadro conferma l'affermazione di Milton Friedman
secondo il quale un economia assistita non potrà mai funzionare e ci
obbliga a chiedere " per il loro stesso bene " la
restituzione del capitale e degli interessi che abbiamo così
generosamente aspettato a richiedere per tutti questi secoli.
Detto
questo, vorremmo precisare che non ci abbasseremo a chiedere ai
fratelli europei quei vili e sanguinari tassi d'interesse variabile
del 20 fino al 30% che i fratelli europei chiedono ai paesi del Terzo
Mondo. Ci limiteremo a esigere la restituzione dei materiali preziosi
prestati, più il modico interesse fisso del 10% annuale accumulato
negli ultimi trecento anni. Su questa base, applicando la formula
europea dell'interesse composto, informiamo gli scopritori che ci
devono, come primo pagamento del loro debito, soltanto 185mila chili
di oro e 16 milioni di chili di argento ambedue elevati alla potenza
di trecento. Come dire, un numero per la cui espressione sarebbero
necessarie più di trecento cifre, e il cui peso supera ampiamente
quello della terra.
Com'è
pesante questa mole d'oro e d'argento! Quanto peserebbe calcolata in
sangue? Addurre che l'Europa in mezzo millennio non ha saputo
generare ricchezze sufficienti a cancellare questo modico interesse
sarebbe come ammettere il suo assoluto disastro finanziario e/o la
demenziale irrazionalità delle basi del capitalismo.
Tuttavia
queste questioni metafisiche non affliggono noi indoamericani. Però
chiediamo la firma immediata di una carta d'intenti che disciplini i
popoli debitori del vecchio continente e li obblighi a far fede al
loro impegno tramite un immediata privatizzazione o riconversione
dell'Europa perché ci venga consegnata per intero come primo
pagamento di questo debito storico.
Dicono
i pessimisti del Vecchio Mondo che la loro civiltà versa in una
bancarotta tale che gli impedisce di tener fede ai loro impegni
finanziari o morali. In tal caso ci accontenteremo che ci paghino con
la pallottola che uccise il poeta.
Ma
non potranno. Perché quella pallottola è il cuore dell'Europa..."
Nessun commento:
Posta un commento