giovedì 2 gennaio 2020

"Il Vero Debito Estero" - Guaicaipuro Cuatemoc

Da: http://www.pepe-rodriguez.com/
Leggi anche: https://www.carmillaonline.com/2008/06/04/intervista-a-luis-britto-garcia

Il testo che seguirà è un'opera di finzione, ma il suo contenuto è così fortemente vero, la critica degli europei è così assolutamente giustificata e la scrittura così ingegnosa che merita di essere letta e diffusa.

Il capo Guaicaipuro esisteva poco meno di cinquecento anni fa, sebbene il suo vero nome non includesse l'ormai aggiunto Cuatemoc. L'autore della storia è Luis Britto García, che l'ha pubblicata il 6 ottobre 2003, in occasione della Giornata indigena della resistenza (12 ottobre), con il titolo di "Guaicaipuro Cuatemoc riscuote il debito con l'Europa".

L'autore: Luis Britto García (Caracas, 1940). Scrittore venezuelano. Il suo lavoro di fiction, formalmente sperimentale, elabora una critica della situazione politica e sociale del suo paese ( Rajatabla , 1970; Abrapalabra , 1980; The imaginary orgy , 1983). Si è anche dedicato al saggio, i cui titoli comprendono l'impero controculturale: dal rock al postmodernismo (1991). Premio Casa de las Américas nel 1970 e premio nazionale in letteratura nel 1980.


Lettera di un capo indio ai governi europei: "Guaicaipuro Cuatemoc riscuote il debito con l'Europa"

Così sono qua, io, Guaicaipuro Cuatemoc, sono venuto a incontrare i partecipanti a questo incontro. 
Così sono qua, io, discendente di coloro che popolarono l'America quarantamila anni fa, sono venuto a trovare coloro che la trovarono cinquecento anni fa.
Così ci troviamo tutti: sappiamo chi siamo, ed è già abbastanza. Non abbiamo bisogno di altro.
Il fratello doganiere europeo mi chiede una carta scritta con visto per scoprire coloro che mi scoprirono.
Il fratello usuraio europeo mi chiede di pagare un debito contratto da traditori che non ho mai autorizzato a vendermi.
Il fratello leguleio europeo mi spiega che ogni debito si paga con gli interessi, anche fosse vendendo esseri umani e paesi interi senza chiedere il loro consenso.
Questo è quello che sto scoprendo.
Anch'io posso pretendere pagamenti. Anch'io posso reclamare interessi. Fa fede l'Archivio delle Indie.
Foglio dopo foglio, ricevuta dopo ricevuta, firma dopo firma, risulta che solamente tra il 1503 ed il 1660 sono arrivati a San Lucar de Barrameda 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento provenienti dall'America.
Saccheggio? Non ci penso nemmeno!!!
Perché pensare che i fratelli cristiani disobbediscano al loro settimo comandamento.
Spoliazione? Tanatzin mi guardi dall'immaginare che gli europei, come Caino, uccidano e poi neghino il sangue del fratello!
Genocidio? Sarebbe dar credito a calunniatori come Bartolomeo della Casa che considerarono quella scoperta come la distruzione delle Indie, o ad oltraggiosi come il dottor Arturo Pietri che sostiene che lo sviluppo del capitalismo e dell'attuale civiltà europea sia dovuto all'inondazione di metalli preziosi.
No! Questi 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento devono essere considerati come il primo dei vari prestiti amichevoli dell'America per lo sviluppo dell'Europa. Pensare il contrario vorrebbe dire supporre crimini di guerra, il che darebbe diritto non solo a chiedere la restituzione immediata ma anche l'indennizzo per danni e truffa.
Io, Guaicaipuro Cuatemoc, preferisco credere alla meno offensiva delle ipotesi. Una così favolosa esportazione di capitali non fu altro che l'inizio del piano Mershalltezuma teso a garantire la ricostruzione della barbara Europa, rovinata dalle sue deplorabili guerre contro i culti musulmani, difensori dell'algebra, della poligamia, dell'igiene quotidiana e di altre superiori conquiste della civiltà.
Per questo, avvicinandosi il Quinto Centenario del Prestito, possiamo chiederci: i fratelli europei hanno fatto un uso razionale, responsabile, o perlomeno produttivo delle risorse così generosamente anticipate dal Fondo Indoamericano Internazionale?
Ci rincresce di dover dire di no. Dal punto di vista strategico le dilapidarono nelle battaglie di Lepanto, nelle armate invincibili, nei terzi Reich ed in altre forme di reciproco sterminio, per poi finire occupati dalle truppe yankee della Nato, come Panama (ma senza canale).
Dal punto di vista finanziario sono stati incapaci " dopo una moratoria di 500 anni " sia di restituire capitale ed interessi che di rendersi indipendenti dalle rendite liquide, dalle materie prime e dall'energia a basso costo che gli esporta il Terzo Mondo. Questo deplorevole quadro conferma l'affermazione di Milton Friedman secondo il quale un economia assistita non potrà mai funzionare e ci obbliga a chiedere " per il loro stesso bene " la restituzione del capitale e degli interessi che abbiamo così generosamente aspettato a richiedere per tutti questi secoli.
Detto questo, vorremmo precisare che non ci abbasseremo a chiedere ai fratelli europei quei vili e sanguinari tassi d'interesse variabile del 20 fino al 30% che i fratelli europei chiedono ai paesi del Terzo Mondo. Ci limiteremo a esigere la restituzione dei materiali preziosi prestati, più il modico interesse fisso del 10% annuale accumulato negli ultimi trecento anni. Su questa base, applicando la formula europea dell'interesse composto, informiamo gli scopritori che ci devono, come primo pagamento del loro debito, soltanto 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento ambedue elevati alla potenza di trecento. Come dire, un numero per la cui espressione sarebbero necessarie più di trecento cifre, e il cui peso supera ampiamente quello della terra.
Com'è pesante questa mole d'oro e d'argento! Quanto peserebbe calcolata in sangue? Addurre che l'Europa in mezzo millennio non ha saputo generare ricchezze sufficienti a cancellare questo modico interesse sarebbe come ammettere il suo assoluto disastro finanziario e/o la demenziale irrazionalità delle basi del capitalismo.
Tuttavia queste questioni metafisiche non affliggono noi indoamericani. Però chiediamo la firma immediata di una carta d'intenti che disciplini i popoli debitori del vecchio continente e li obblighi a far fede al loro impegno tramite un immediata privatizzazione o riconversione dell'Europa perché ci venga consegnata per intero come primo pagamento di questo debito storico.
Dicono i pessimisti del Vecchio Mondo che la loro civiltà versa in una bancarotta tale che gli impedisce di tener fede ai loro impegni finanziari o morali. In tal caso ci accontenteremo che ci paghino con la pallottola che uccise il poeta.
Ma non potranno. Perché quella pallottola è il cuore dell'Europa..."

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