giovedì 26 febbraio 2015

IL "PROBLEMA" MACCHINA. CENNI STORICI* - Stefano Garroni



*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa




"Nella critica al sillogismo, quindi, è presente non solo il rifiuto di certe regole logiche come le uniche, si anche un'enfatizzazione nuova della 'cultura' (intuizione, percezione, evidenza), come elemento costitutivo della trama logica."

mercoledì 25 febbraio 2015

Corso sul "Capitale" (6/7) - Riccardo Bellofiore



    Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).




https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL

LA LOTTA DI CLASSE DOPO LA LOTTA DI CLASSE - Luciano Gallino

1. ESISTONO ANCORA LE CLASSI SOCIALI?


 D. Top manager e leader politici, anche da sinistra, sono di recente tornati ripetutamente sull’idea che parlare degli operai, ovvero dei lavoratori dipendenti in genere, come se fossero una classe sociale sia un ritornello frusto e che la lotta di classe sia un residuo arcaico della rivoluzione industriale. Occorre dunque ragionare sulla società italiana e sulla società globale in termini del tutto nuovi, prendendo atto del fatto che le classi sociali, con riferimento alle quali sono state descritte e analizzate le società sin dalla metà dell’Ottocento, non esistono più?

 R. Bisogna cominciare con una distinzione. Chi afferma che le classi sociali non esistono più muove in genere dalla constatazione che non si vedono più manifestazioni di massa che siano chiaramente attribuibili ad una data classe. Oppure intende dire che non vi sono più partiti di un certo peso elettorale che per il loro statuto o programma si rifanno chiaramente all’idea di classe sociale. In questi casi si può convenire che negli ultimi decenni le classi sociali, e con esse la lotta di classe, sono diventate assai meno visibili. Il che pare dar ragione a chi arriva a concludere che, non essendo le classi visibili e la lotta di classe chiaramente discernibile, non esistono più le classi.
 Però una classe sociale, come disse qualcuno tempo fa, distinguendo tra la classe in sé e la classe per sé, non è delimitata o costituita soltanto dal fatto di dar forma ad azioni collettive in quanto espressioni di un conflitto, o da una forte presenza pubblica di partiti che fanno delle classi e magari della lotta di classe la loro bandiera. Una classe sociale esiste indipendentemente dalle formazioni politiche che ne riconoscono o meno l’esistenza, e perfino da ciò che i suoi componenti pensano o credono di essa. Ricorrendo ad un’espressione che risale anch’essa a parecchio tempo addietro, far parte di una classe sociale significa appartenere, volenti o nolenti, ad una comunità di destino, e subire tutte le conseguenze di tale appartenenza. Significa avere maggiori o minori possibilità di passare, nella piramide sociale, da una classe più bassa ad una classe più alta; avere maggiori o minori possibilità di fruire di una quantità di risorse, di beni materiali e immateriali, sufficienti a rendere la vita più gradevole e magari più lunga; disporre oppure no, in qualche modo, del potere di decidere il proprio destino, di poterlo scegliere. Per definire una classe, insomma, è necessario ma non basta dire che è una comunità di destino: rientra nella definizione anche la possibilità per chi vi appartiene di poter influire sul destino stesso, di poterlo in qualche misura cambiare.
 Ci sono poi altri motivi che inducono molti, da tempo, ad affermare che le classi sociali non esistono più. Uno di essi è la relativa omogenizzazione dei consumi e dello stile di vita della classe operaia, o classe lavoratrice, e delle classi medie. Le famiglie degli operai e dei muratori, dei magazzinieri e dei conducenti di autobus hanno in molti casi l’automobile, la tv a schermo piatto, il telefono cellulare, la lavatrice, vivono in un alloggio di proprietà, mandano i figli a scuola almeno sino alla fine delle superiori e fanno le vacanze al mare: proprio come le famiglie dei dirigenti d’azienda, dei professionisti, dei funzionari della pubblica amministrazione, dei commercianti, dei piccoli imprenditori che formano la classe media ovvero la piccola e media borghesia, come si chiamava una volta. Qui occorre naturalmente precisare: un conto è lo stile di vita o il consumo di massa visivamente osservabile; altra cosa è la qualità del lavoro che un individuo svolge, la possibilità di crescita professionale, la probabilità di salire nella scala sociale, il fatto di avere o non avere qualcuno sulla testa che dice ad ogni momento che cosa devi fare. In questa prospettiva le differenze di classe rimangono cospicue, anche se a causa della Grande Crisi esplosa nel 2007, e diventata una Grande Recessione che durerà forse molti anni, una parte della classe media ha subito una sorta di processo di proletarizzazione.
 Un altro motivo per affermare che le classi sociali non esistono, che risale ancor più lontano nel tempo, ma che anche oggi si sente riproporre da politici di destra non meno che di centro-sinistra, è grezzamente ideologico. Esso suona così: operai, dirigenti e proprietari hanno tutti interesse a che un’impresa funzioni bene e faccia buoni utili. Sono, si dice, nella stessa barca. Asserire che hanno interessi diversi e quindi appartengono a classi obiettivamente contrapposte è un’idea priva di senso, si sostiene, e anzi dannosa per tutte le parti in causa. Perciò operai e sindacati devono essere “complici” dei manager e dei proprietari: è arrivato a dirlo nientemeno che un ministro del Lavoro italiano, Maurizio Sacconi, rompendo una tradizione che ha visto succedersi in tale carica politici dediti a trovare i modi per regolare il conflitto strutturale tra le due parti, non a camuffarlo. Quasi due secoli e mezzo fa, Adam Smith aveva spiegato perfettamente perché l’idea che operai e padroni possano o debbano essere “complici” non sta in piedi: gli operai, per la posizione che occupano, vorrebbero sempre ottenere salari più alti; i padroni, per i mezzi di produzione che controllano, vorrebbero pagare sempre salari più bassi.

Freud e l'analogia Psichico-Statuale* - Stefano Garroni

*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore 


"Il corpo politico, considerato nella sua individualità, può essere considerato come un corpo organizzato, vivente e simile a quello dell'uomo... La vita dell'uno e dell'altro è l'io comune al tutto, la reciproca sensibilità, la corrispondenza interna di tutte le parti. Se questa comunicazione viene a cessare, se viene meno l'unità formale, se le parti contigue mantengono unicamente un rapporto di giustapposizione, l'uomo è morto e lo stato dissolto"     (J:J:Rousseau, Scritti politici, 1, Laterza 1971, pp280-281)


giovedì 19 febbraio 2015

HEGEL - IL SISTEMA - Antonio Gargano

Il mondo fino alla Rivoluzione francese si è retto su meccanismi automatici, che sostanzialmente implicano la prevalenza del più forte, la prevalenza di chi riesce a raccogliere più potere. Hegel vede il carattere nuovo della nostra epoca nata con la Rivoluzione francese nel fatto che l’uomo prende nelle proprie mani il processo di sviluppo dei rapporti sociali e si mette a dirigerlo secondo una progettualità, cioè secondo la ragione: «Dacché il sole è nel firmamento e i pianeti gli ruotano intorno, non si era visto che l’uomo poggia sulla testa, cioè sul pensiero, e, in base ad esso, edifica la realtà [...]. Ora solo l’uomo è arrivato a  conoscere che il pensiero deve governare la realtà spirituale. Fu una splendida aurora. Tutti gli esseri pensanti hanno festeggiato quest’epoca». L’età contemporanea non si è ancora chiusa, noi viviamo ancora nell’età aperta dalla Rivoluzione francese. Il processo che Hegel ha visto iniziare con la Rivoluzione francese non si è ancora compiuto: il mondo umano non è ancora plasmato, anzi purtroppo è ben lungi dall’essere plasmato dalle forze della ragione, dalla progettualità razionale. In una filosofia così forte l’uomo può conoscere tutta la realtà, l’uomo crea una seconda natura, questa seconda natura può essere modellata pienamente dalla progettualità razionale: è chiaro che si tratta di una filosofia ottimistica, possibile in un momento di grande espansione degli orizzonti umani. Quando, nel 1830’48, tutto questo fulgore viene meno, si manifesta chiaramente che la grande speranza dell’emancipazione complessiva dell’umanità non è stata realizzata; nelle barricate del ’48 per la prima volta la borghesia si vede con disappunto contrapposta un’altra classe sociale che le è ostile, il proletariato, e perde la convinzione di poter essere la classe che ha emancipato l’umanità e l’ha liberata definitivamente, inizia un ripiegamento che dà luogo a forme di irrazionalismo, all’esistenzialismo, da cui non si è ancora usciti. [...]

L’Illuminismo ha fallito perché pretendeva di calare ideali dalla mente dei filosofi nella realtà, invece gli ideali li partorisce la storia stessa: la storia è autocontraddittoria e genera da sé il nuovo. Questo è l’aspetto che verrà sviluppato in particolare da Marx. «Ma la separazione della realtà dall’idea è specialmente cara all’intelletto». La tendenza a separare reale da razionale è una delle funzioni dell’intelletto, cioè della facoltà non pienamente matura dell’uomo che tende a vedere le cose come separate, razionale da una parte e reale dall’altra: la mentalità illuministica. [...]

lo spirito è l’autoconsapevolezza di sé che la natura acquisisce nell’uomo, lo spirito è l’uomo razionale. «Questo possesso di sé dello spirito, questo suo venire a se stesso può dirsi il suo scopo supremo, assoluto, questo soltanto è il suo ruolo e nient’altro. Tutto ciò che avviene in cielo ed in terra, che eternamente avviene, la vita di Dio e tutto ciò che si opera nel tempo, tende soltanto a far sì che lo spirito riconosca se stesso, che si oggettivi a se stesso, che trovi se stesso, che divenga per sé, che si ricongiunga con sé. Lo spirito è sdoppiamento, è estraniamento, ma soltanto per poter ritrovare se stesso». [...]


l’assoluto si rivela nella storia della filosofia, la storia della filosofia culmina nel pensiero hegeliano, Hegel quindi ha la pretesa di essere il momento di autorivelazione dell’assoluto. Hegel in qualche modo questa pretesa l’aveva: lo spirito assoluto culmina nella filosofia e con Hegel l’assoluto arriva all’autocomprensione di sé, quindi il circolo in qualche modo si chiude, il sistema hegeliano ha una sua chiusura. Però Hegel non era ignaro del fatto che altri materiali empirici, altri elementi vitali sarebbero emersi e avrebbero avuto bisogno di una sintesi ulteriore: si può dire 170 anni dopo la sua morte che una sintesi ulteriore poi non c’è stata, quindi finora la filosofia hegeliana rimane la filosofia suprema, cioè la filosofia che è riuscita meglio a sintetizzare in una strutturazione logica coerente tutto il pensiero precedente, tutta la comprensione che l’umanità ha avuto della realtà e del corso storico stesso. Ma si deve rilevare che, se il sistema hegeliano si può considerare una sintesi, è pur vero che il metodo dialettico implica che ogni sintesi si riproduce sempre come tesi e dà luogo a un ulteriore sviluppo storico: Hegel, che è il filosofo del divenire, non pretende di chiudere col proprio pensiero il divenire, Hegel è un filosofo aperto invece sullo sviluppo ulteriore della realtà.

mercoledì 18 febbraio 2015

Una risposta alle "Confessioni di un marxista eccentrico" - Aristide Bellacicco


Confesso – ammetto, è meglio dire – di non aver letto integralmente, fino ad oggi, le “Confessioni” del ministro Varoufakis. Oggi ho avuto tempo e l’ho fatto. In effetti, queste pagine in cui Varoufakis pone se stesso al centro di una vicenda storico-esistenziale con risonanze epocali mi hanno fatto sorgere più di una perplessità.
Le sintetizzo – parzialmente e per punti - qui di seguito.
- 1 Scrive Varoufakis: “Marx aveva fatto una ‘scoperta’ che deve restare al centro di ogni analisi utile del capitalismo. Era, ovviamente, la scoperta di un’…opposizione binaria profonda nel lavoro umano. Tra due ‘nature’ molto diverse del lavoro: (i) lavoro come attività di creazione di un valore che non può mai essere specificato o quantificato in anticipo (e perciò è impossibile da mercificare) e (ii) lavoro come una quantità (ad esempio il numero di ore lavorate) che è in vendita e si ottiene a un certo prezzo. E’ questo che distingue il lavoro da altri fattori della produzione, come l’elettricità: la sua natura doppia, contraddittoria.”
Ora, per quanto mi è noto, la doppia natura del lavoro in Marx oppone il lavoro in quanto produttore di “ricchezza” (valori d’uso) al lavoro in quanto produttore di “valore” (rintracciabile nel valore di scambio). E’ chiaro che il “lavoro come attività di creazione di un valore” non può mai essere quantificato in anticipo, perché è solo nella realizzazione del plusvalore (e non nella sua produzione) che viene in chiaro quanto profitto il capitale sia riuscito o meno a realizzare. D’altra parte, è proprio nella riduzione del “lavoro” (ma sarebbe meglio dire della “forza- lavoro”) ad una entità quantificabile che trova la sua ragion d’essere la produzione di valore (e di plusvalore). E ciò, in Marx, è vero sia sotto il profilo logico che sotto il profilo storico. Risparmio a tutti, e al buon Varoufakis soprattutto, le citazioni arcinote in cui questa affermazione trova riscontro.

martedì 17 febbraio 2015

L'ILLUMINISMO DI FREUD* (2)** - Stefano Garroni



*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore 





**Prima parte:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/02/lilluminismo-di-freud-stefano-garroni.html

HEGEL - LA FILOSOFIA DEL DIRITTO - Antonio Gargano

«Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale. Ogni coscienza ingenua, del pari che la filosofia, riposa in questa persuasione; e di qui appunto procede alla considerazione dell’universo spirituale, in quanto universo naturale. Se la riflessione, il sentimento o qualsiasi aspetto assuma la coscienza soggettiva, riguarda il presente come cosa vana, lo oltrepassa e conosce di meglio, allora essa si ritrova nel vuoto e, poichè soltanto nel presente v’è realtà, essa è soltanto vanità. Se, viceversa, l’idea passa per essere soltanto un’idea, una rappresentazione in un’opinione, la filosofia al contrario garantisce il giudizio che nulla è reale se non l’idea. Si tratta allora di riconoscere nell’apparenza del temporaneo e del transitorio, la sostanza che è immanente e l’eterno che è attuale. Invero il razionale, il quale è sinonimo di idea, realizzandosi nell’esistenza esterna, si presenta in un’infinita ricchezza di forme, fenomeni e figure; e circonda il suo nucleo della spoglia variegata, alla quale la coscienza si sofferma dapprima e che il concetto trapassa, per trovare il polso interno e per sentirlo appunto ancora palpitante nelle figure esterne».

«Nella prefazione alla mia Filosofia del diritto, p. XIX si trovano queste proposizioni. Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale. Queste semplici proposizioni son sembrate strane a parecchi, e han trovato opposizioni anche da tali che non vogliono si metta in dubbio che essi posseggano filosofia, e di certo, almeno, religione. Per ciò che concerne la religione, non è necessario tirarla in mezzo in questo dibattito, giacché le sue dottrine sul divino reggimento del mondo esprimono quelle proposizioni in modo ben determinato. Per ciò che riguarda il significato filosofico, è da presupporre tanta coltura che si sappia non solo che Dio è reale,  – che è la cosa più reale e che è la cosa veramente reale, –  ma anche, nel rispetto formale, che l’esistenza è, in parte, apparizione, e solo in parte realtà. Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà ogni capriccio, l’errore, il male e ciò che è su questa linea, come pure ogni qualsiasi difettiva e passeggiera esistenza. Ma già anche per l’ordinario modo di pensare, un’esistenza accidentale non meriterà l’enfatico nome di reale: – l’accidentale è un’esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile, che può non essere allo stesso modo che è. Ma, quando io ho parlato di realtà, si sarebbe pur dovuto pensare al senso nel quale adopero quest’espressione, giacché in una mia estesa Logica ho trattato anche della realtà, e l’ho accuratamente distinta non solo dall’accidentale, che pure ha esistenza, ma altresì dall’essere determinato, dall’esistenza e da altri concetti. – Alla realtà del razionale si contrappone, da una parte, la veduta che le idee e gli ideali non siano se non chimere, e la filosofia un sistema di questi fantasmi cerebrali; e dall’altra, che le idee e gli ideali siano alcunché di troppo eccellente per avere realtà, o anche di troppo impotente per procacciarsela. Ma la separazione della realtà dall’idea è specialmente cara all’intelletto, che tiene i sogni delle sue astrazioni per alcunché di verace, ed è tutto gonfio del suo dover essere, che anche nel campo politico va predicando assai volentieri; quasi che il mondo aspettasse quei dettami per apprendere come dev’essere, ma non è: che, se poi fosse come dev’essere, dove se n’andrebbe la saccenteria di quel dover essere? Allorché l’intelletto, col suo dover essere, si rivolge contro cose, istituzioni, condizioni, ecc., triviali, estrinseche e passeggiere, che possono anche serbare per un certo tempo e per certe particolari classi d’uomini una grande importanza relativa, avrà anche ragione, e troverà in quel caso molte cose che non rispondono ad esigenze giuste ed universali: chi non possederebbe la pazienza di scoprire, in ciò che lo circonda, molte cose che in fatto non sono come debbono essere? Ma questa sapienza ha torto quando immagina di aggirarsi, con siffatti oggetti e col loro dover essere, nella cerchia degli interessi della scienza filosofica. Questa ha da fare solo con l’idea, che non è tanto impotente da restringersi a dover essere solo, e non essere poi effettivamente: ha da fare perciò con una realtà, di cui quegli oggetti, istituzioni, condizioni, ecc., sono solo il lato esterno e superficiale».

«Così dunque questo trattato in quanto contiene la scienza dello Stato, deve essere null’altro se non il tentativo di intendere e presentare lo Stato come cosa razionale in sé. In quanto scritto filosofico esso deve restare molto lontano dal dover costruire uno Stato come deve essere. L’ammaestramento che può trovarsi in esso non può giungere ad insegnare allo Stato come deve essere, ma piuttosto in qual modo esso deve essere riconosciuto come universo etico. Intendere ciò che è, è il compito della filosofia, quindi non dare il dover essere, ma intendere ciò che è, poichè ciò che è è la ragione, del resto, per quel che si riferisce all’individuo ciascuno è senz’altro figlio del suo tempo ed anche la filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero. È altrettanto folle pensare che una qualche filosofia precorra il suo mondo attuale, quanto che ogni individuo si lasci indietro il suo tempo e salti oltre su Rodi. Se la sua teoria nel fatto oltrepassa questo, se si costruisce un mondo come deve essere, esso esiste bensí, ma soltanto nella sua intenzione, in un elemento duttile col quale si lascia plasmare ogni qualsiasi cosa».

«Ma il bene, che qui è il fine universale, deve non restare semplicemente nel mio interno, cioè puramente soggettivo e interiore come nella morale, ma deve anche realizzarsi. La volontà soggettiva cioè esige che il suo interno, ossia il suo fine, consegua esistenza esterna, che quindi il bene debba essere compiuto nell’esistenza esterna».


«Non c’è alcun pretore, arbitro supremo e mediatore fra gli Stati, e anche questi sono soltanto in modo accidentale, cioé secondo la volontà particolare. La concezione kantiana d’una pace perpetua, mediante una lega degli Stati, la quale appiani ogni controversia, e, in quanto potere riconosciuto da ogni singolo Stato, componga ogni dissenzione, e quindi renda impossibile la decisione per mezzo della guerra, presuppone l’umanità degli Stati, che dipende da ragioni e riguardi morali, religiosi o di qualsiasi natura, in generale, sempre da una volontà sovrana particolare, e, quindi, resta affetta da accidentalità». (Hegel, Lineamenti, par. 333, aggiunta).

venerdì 13 febbraio 2015

Sigmund Freud - Antonio Gargano





Il pensiero freudiano può essere interpretato come una «mappa delle interferenze che deformano la coscienza» (come afferma il filosofo Remo Bodei). La psicanalisi, cioè, è un tentativo di prendere in considerazione le stratificazioni, le interferenze, le intermittenze, i piani di frattura del pensiero logico. Il concetto di razionalità deve essere ampliato, fino a comprendere anche ciò che apparentemente è refrattario alla logica e alla coscienza: le credenze, le superstizioni, ma anche i sogni, i contenuti fantastici dell’arte, i quali non presentano verosimiglianza, devono essere sottoposti ad analisi per scoprirvi i nuclei di verità che contengono. La razionalità cui siamo abituati è quella cartesiana, fondata sul principio di evidenza e sulla “chiarezza” e “distinzione” delle idee, che viene articolata mediante il ragionamento e la rigorosa deduzione. Emblema della razionalità occidentale è l’atteggiamento illuministico: la ragione è equiparata alla luce, che si diffonde sulle tenebre dell’ignoranza e della superstizione e le dissipa. Per Freud invece anche all’interno delle tenebre si celano nuclei di verità, anche se di una verità deformata, che si può manifestare nella fantasia o nella patologia, e che va decodificata, trasponendola dal linguaggio dell’inconscio in quello della coscienza. Per Freud la verità non è qualcosa che si presenta con evidenza, bensí qualcosa che «nasce da forze in lotta e da forme di compromesso: non vi è una evidenza puntuale della verità, bensí questa viene sagomata in un processo non lineare, si profila al termine di un tragitto tortuoso», come afferma ancora Remo Bodei.



http://www.iisf.it/scuola/freud/freud.htm

giovedì 12 febbraio 2015

Confessioni di un marxista eccentrico - Yanis Varoufakis

...Se la mia prognosi è corretta e la crisi europea non è soltanto un altro crollo ciclico che sarà superato presto con la ricrescita dei profitti conseguente all’inevitabile stretta sui salari, la domanda che sorge per i radicali è la seguente: dovremmo accogliere questo vasto cedimento del capitalismo europeo come un’occasione per sostituire il capitalismo con un sistema migliore? O dovremmo essere così preoccupati al riguardo da imbarcarci in una campagna per stabilizzare il capitalismo europeo? La mia risposta negli ultimi tre anni è stata inequivocabile ed è disattesa dalla lista citata più sopra dei diversi uditori che ho cercato di influenzare. La crisi dell’Europa è, a mio parere, gravida non solo di un’alternativa progressista, ma anche di forze radicalmente regressive che hanno la capacità di causare un bagno di sangue umanitario cancellando la speranza di un qualsiasi passo avanti progressiste per generazioni a venire.
Per queste idee sono stato accusato, da voci radicali benintenzionate, di essere un ‘disfattista’, un menscevico dell’ultimo giorno che instancabilmente si batte a favore di piani lo scopo dei quali è salvare l’attuale indifendibile sistema socio-economico europeo. Un sistema che rappresenta tutto ciò che contro cui un radicale dovrebbe ammonire e lottare: un’Unione Europa antidemocratica, irreversibilmente neoliberista, fortemente irrazionale, transnazionale che non ha quasi alcuna capacità di evolvere in una comunità genuinamente umanistica in cui le nazioni dell’Europa possano respirare, vivere e svilupparsi. Questa critica, lo confesso, ferisce. E ferisce perché contiene più di un nocciolo di verità.
In verità io condivido la visione di questa Unione Europea come cartello fondamentalmente antidemocratico e irrazionale che ha posto i popoli dell’Europa su un sentiero di misantropia, conflitti e recessione permanente. E mi inchino anche alla critica di aver condotto una campagna fondata sul presupposto che la Sinistra sia, e rimanga, francamente sconfitta. Dunque sì, in questo senso mi sento obbligato a riconoscere che desidererei che la mia campagna fosse di un genere diverso; che promuoverei molto più volentieri un’agenda radicale la cui raison d’etre fosse sostituire il capitalismo europeo con un sistema diverso, più razionale, piuttosto che limitarmi a promuovere la stabilizzazione del capitalismo europeo, in contrasto con la mia definizione di Buona Società.
A questo punto è forse pertinente una confessione di secondo ordine: confessare che … le confessioni tendono a essere interessate. In effetti le confessioni sono sempre sull’orlo di quanto disse una volta John von Neumann a proposito di Robert Oppenheimer, dopo aver sentito che il suo ex direttore al Progetto Manhattan era diventato un attivista antinucleare e si era confessato colpevole del suo contributo alla carneficina di Hiroshima e Nagasaki. Le caustiche parole di Von Neumann furono:
“Confessa il peccato per reclamare la gloria”.
Fortunatamente io non sono un Oppenheimer  e perciò non sarà troppo difficile confessare vari peccati come mezzo di autopromozione bensì, piuttosto, come finestra da cui osservare un capitalismo europeo devastato dalla crisi, profondamente irrazionale e ripugnante la cui implosione, nonostante i suoi molti mali, andrebbe evitata a ogni costo. E’ una confessione mediante la quale convincere i radicali che abbiamo una missione contraddittoria: arrestare la caduta libera del capitalismo europeo al fine di guadagnare il tempo che ci è necessario per formulare l’alternativa a esso.

A proposito di certe tendenze della letteratura psicoanalitica* - Stefano Garroni



*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa


mercoledì 11 febbraio 2015

La scuola di Francoforte - Antonio Gargano

Vedi anche:   http://www.sitocomunista.it/marxismo/altri/scuolafrancoforte.html



Max Horkheimer Intervista 1968:
http://www.filosofia.it/multimedia/gilles-deleuze-l-abecedario-filosofico


Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda - Manlio Dinucci

Il colpo di stato in Ucraina
L’operazione condotta dalla Nato in Ucraina inizia quando nel 1991, dopo il Patto di Varsavia, si disgrega anche l’Unione Sovietica di cui essa faceva parte. Gli Stati Uniti e gli alleati europei si muovono subito per trarre il massimo vantaggio dalla nuova situazione geopolitica. L’Ucraina – il cui territorio di oltre 600mila km2 fa da cuscinetto tra Nato e Russia ed è attraversato dai corridoi energetici tra Russia e Ue – non entra nella Nato, come hanno fatto altri paesi dell’ex Urss ed ex Patto di Varsavia. Entra però a far parte del «Consiglio di cooperazione nord-atlantica» e, nel 1994, della «Partnership per la pace», contribuendo alle operazioni di «peacekeeping» nei Balcani.
Nel 2002 viene adottato il «Piano di azione Nato-Ucraina» e il presidente Kuchma annuncia l’intenzione di aderire alla Nato. Nel 2005, sulla scia della «rivoluzione arancione» (orchestrata e finanziata agli Usa e dalle potenze europee), il presidente Yushchenko viene invitato al summit Nato a Bruxelles. Subito dopo viene lanciato un «dialogo intensificato sull’aspirazione dell’Ucraina a divenire membro della Nato» e nel 2008 il summit di Bucarest dà luce verde al suo ingresso. Nel 2009 Kiev firma un accordo che permette il transito terrestre in Ucraina di rifornimenti per le forze Nato in Afghanistan. Ormai l’adesione alla Nato sembra certa ma, nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovych annuncia che, pur continuando la cooperazione, l’adesione alla Nato non è nell’agenda del suo governo.
Nel frattempo però la Nato tesse una rete di legami all’interno delle forze armate ucraine. Alti ufficiali partecipano per anni a corsi del Nato Defense College a Roma e a Oberammergau (Germania), su temi riguardanti l’integrazione delle forze armate ucraine con quelle Nato. Nello stesso quadro si inserisce l’istituzione, presso l’Accademia militare ucraina, di una nuova «facoltà multinazionale» con docenti Nato. Notevolmente sviluppata anche la cooperazione tecnico-scientifica nel campo degli armamenti per facilitare, attraverso una maggiore interoperabilità, la partecipazione delle forze armate ucraine a «operazioni congiunte per la pace» a guida Nato.
Inoltre, dato che «molti ucraini mancano di informazioni sul ruolo e gli scopi dell’Alleanza e conservano nella propria mente sorpassati stereotipi della guerra fredda», la Nato istituisce a Kiev un Centro di informazione che organizza incontri e seminari e anche visite di «rappresentanti della società civile» al quartier generale di Bruxelles. E poiché non esiste solo ciò che si vede, è evidente che la Nato costruisce una rete di collegamenti negli ambienti militari e civili molto più estesa di quella che appare.
Sotto regia Usa/Nato, attraverso la Cia e altri servizi segreti vengono per anni reclutati, finanziati, addestrati e armati militanti neonazisti. Una documentazione fotografica mostra giovani militanti neonazisti ucraini di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato, che insegnano loro tecniche di combattimento urbano ed uso di esplosivi per sabotaggi e attentati. Lo stesso fece la Nato durante la guerra fredda per formare la struttura paramilitare segreta di tipo «stay-behind», col nome in codice «Gladio». Attiva anche in Italia dove, a Camp Darby e in altre basi, vennero addestrati gruppi neofascisti preparandoli ad attentati e a un eventuale colpo di stato.
È questa struttura paramilitare che entra in azione a piazza Maidan, trasformandola in campo di battaglia: mentre gruppi armati danno l’assalto ai palazzi di governo, «ignoti»  cecchini sparano con gli stessi fucili di precisione sia sui dimostranti che sui poliziotti (quasi tutti colpiti alla testa). Il 20 febbraio 2014 il segretario generale della Nato si rivolge, con tono di comando, alle forze armate ucraine, avvertendole di «restare neutrali», pena «gravi conseguenze negative per le nostre relazioni». Abbandonato dai vertici delle forze armate e da gran parte dell’apparato governativo, il presidente Viktor Yanukovych è costretto alla fuga. La direzione delle forze armate viene assunta da Andriy Parubiy, cofondatore del partito socialnazionalista ridenominato Svoboda, divenuto segretario del Comitato di difesa nazionale, e, in veste di ministro della difesa, da Igor Tenjukh, legato a Svoboda.

La Nato si sente ormai sicura di poter compiere un altro passo nella sua espansione ad Est, inglobando l’Ucraina. Lo conferma la riunione dei ministri Nato della difesa, che si svolge il 26-27 febbraio 2014 al quartier generale di Bruxelles. Primo punto all’ordine del giorno l’Ucraina, con la quale –  sottolineano i ministri nella loro dichiarazione – la Nato ha una «distintiva partnership» nel cui quadro continua ad «assisterla per la realizzazione delle riforme». Prioritaria «la cooperazione militare» (grimaldello con cui la Nato è penetrata in Ucraina). I ministri «lodano le forze armate ucraine per non essere intervenute nella crisi politica» (lasciando così mano libera ai gruppi armati) e ribadiscono che per «la sicurezza euro-atlantica» è fondamentale una «Ucraina stabile» (ossia stabilmente sotto la Nato).

martedì 10 febbraio 2015

Psicologismo e negazione. Freud e Frege* - Stefano Garroni


*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa

L'operazione compiuta da Freud è duplice; da un lato, riprende modalità di pensiero fregeane - almeno nell'ispirazione - per segnare i limiti della mente rispetto alla più vasta dimensione dello psichico; dall'altro, in particolare con la seconda parte della sua "Verneinung", punta a svolgere i motivi 'fregeani' in una rinnovata psicologistica.

Il mondo - Mirko Bertasi




Il mondo ultimamente, è così furibondo
Ma il guaio grosso è che molti si stanno abituando
Troppi se ne stanno fregando
Gli stessi che poi vanno piangendo
Quando cominciano a vivere affannando
Dicono:“Io non mi occupo di politica, sai, ho tanti problemi… sono un po’ ansiolitica”
Ma chi si occupa di te però è proprio la politica
E quindi poco conviene essere apatica
Secondo me converrebbe prendere una bella pertica
Mettersi nelle condizioni di saper fare seria critica
Ma anche un po’ di autocritica.
Certo che per far questo, bisognerebbe capire qual è la linea del movimento
Che ci porta a tanto imbarbarimento
Che ci spinge all’accaparramento
Che naturalizza lo sfruttamento
Lasciandoti poi addirittura contento!
“Sono sfruttato? Lo acconsento!
L’importante è che formalmente libero mi sento!
Vado avanti a stento?
L’importante è che la partita me l’ascolto!”
Ma guai … a renderti un po’ più colto!!
Certo, per capire meglio questo movimento che dicevamo
Ci vuole qualcosa che ancora non abbiamo
Come un’organizzazione seria alla quale in tanti aderiamo
Perché solo attraverso di essa possiamo pensare che ci rialzeremo
Perché dobbiamo capire dove siamo e dove andremo
Ma se i lavoratori stessi non comprendono i loro interessi?
E’ per questo che l’organizzazione deve lavorare costantemente con essi
Per evitare che cadano negli abissi
Per mostrar loro che non sono fessi
Per indicargli dove sono i cessi
E fargli vedere che se vogliono hanno i contro cazzi.
E sai … quanti non darebbero più retta a Bossi!!
Siamo nel mondo dell’inganno
Dove le cose si fanno sempre di qualcun altro a danno
Ma se lavoriamo bene, molti prima o poi lo capiranno
E questo sistema lo ripudieranno, lo combatteranno e lo abbatteranno
E magari uno diverso ne applicheranno
Ma intanto, cominciamo a lavorà, per quest’anno!!
Mirko Bertasi

venerdì 6 febbraio 2015

Le principali teorie economiche - Riccardo Bellofiore




La lezione fa parte del Corso di Macroeconomia, a cura di R. Mapelli, R. Romano, M. Lepratti, per la Associazione Culturale Punto Rosso. 

martedì 3 febbraio 2015

FREUD E LA MASSENPSYCHOLOGIE* (2) - Stefano Garroni

*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore - Parte seconda




 "...ripensare Freud all'interno della tradizione scientifica e morale classica, nella situazione presente, ha un certo senso salutarmente -inattuale-"


"La centralità del tema 'Personalità', in autori come Nietzsche e J. S. Mill (entrambi significativi per Freud), è motivato dalla critica al conformismo prodotto dalla società politica borghese ed al conseguente imperio dell'opinione pubblica (che entrambi gli autori descrivono come forza tirannica, invasiva e restia ad adeguarsi a condizioni e realtà nuove). Questa 'scoperta' del conformismo moderno - e, quindi, dei pesanti limiti della 'democrazia' borghese - è uno dei motivi, per cui il XIX secolo si volge a studiare la psicologia delle folle."


Prima parte:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/freud-e-la-massenpsychologie-stefano.html