giovedì 31 ottobre 2019

Un nuovo Marx, conferenza inaugurale del ciclo “Officina Marx 2018” - Roberto Fineschi

Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com/ -  https://vimeo.com/pois Marx. Dialectical Studies - Roberto Fineschi è un filosofo italiano.

[Trascrizione, con revisione minima, della conferenza inaugurale del ciclo “Officina Marx 2018”, tenutosi presso Le stanze delle memoria il 22 ottobre 2018. Per una trattazione più dettagliata di molte delle questioni toccate, si veda: R. Fineschi, Un nuovo Marx. Interpretazione e prospettive dopo la nuova edizione storico-critica (MEGA2), Roma, Carocci, 2008]
Qui tutti gli interventi: 
OFFICINA MARX 


OFFICINA MARX - primo incontro 

1. Il titolo del mio intervento è “Un nuovo Marx”. Da una parte è un titolo un po’ paradossale perché Marx è un autore ben noto, molto letto, molto interpretato. Su di lui si sono scritti fiumi di inchiostro e non solo: la sua faccia era impressa su bandiere politiche, il suo nome è stato utilizzato da molti e in molte direzioni come bagaglio politico ideologico per legittimare movimenti storici, addirittura Stati. 

In questo senso, nella misura in cui lo si utilizzava politicamente, era in una certa misura inevitabile creare una ortodossia, perché i movimenti politici che diventano istituzioni hanno bisogno di una verità ufficiale, eterna che, chiaramente, per esigenze di identità e di autolegittimazione , tende irrimediabilmente ad irrigidirsi in formule che piano piano perdono appiglio alla realtà e si trasformano in un formulario da ripetere negli anniversari e nelle celebrazioni.

mercoledì 30 ottobre 2019

Giovanni Arrighi, “Adam Smith a Pechino” - Alessandro Visalli

Da: https://tempofertile.blogspot.com/
AlessandroVisalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica; si occupa di ambiente ed energie rinnovabili. https://www.facebook.com/alessandro.visalli. 
Leggi anche: Samir Amin: “La crisi” - Alessandro Visalli  
                        Gli USA e il Pacifico - Dario Fabbri



 Questo testo chiude il percorso e la trilogia di studi sui “sistemi-mondo”, a pochi mesi dalla morte dell’autore, e ne è sia un seguito sia una rielaborazione. Il tema chiave è il tentativo, compiuto dall’amministrazione Bush, di reagire alla minaccia di declino che si era presentata sin dalla crisi sistemica degli anni settanta con una forte proiezione imperiale in grado di aprire un nuovo “secolo americano”, essenzialmente tramite il controllo diretto, manu militari, delle regioni chiave per le economie industrializzate. Come si dice sinteticamente, “guerre per il petrolio”, ma in realtà “guerre per il mondo”. 

 Il primo tema è dunque il lancio, prima, ed il fallimento, poi, di questo progetto di “dominio senza egemonia”. 

 Il secondo è l’affermazione, o meglio il ritorno, della Cina in posizione centrale nel mondo.

 Questo tema, la rinascita economica dell’oriente asiatico, è l’effetto di una serie ininterrotta di “miracoli” economici: il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Singapore, la Malaysia, la Thailandia, infine la Cina.

Ma l’oriente asiatico, in ombra nella prima parte del secolo scorso (anche se il Giappone già fa eccezione), non era sempre stato considerato una parte sottosviluppata del mondo. In effetti ancora Adam Smith, nel settecento, ne aveva un’immagine altamente positiva. In particolare della Cina come del centro sviluppato del mondo e del luogo di maggiore ricchezza, se pur connotato da una forte stabilità. Questa immagine degrada molto rapidamente durante l’ottocento, e alla fine della seconda guerra mondiale la Cina era arrivata ad essere ormai una delle nazioni più povere del mondo.
Una situazione che inizia a cambiare di nuovo quando negli anni sessanta in Vietnam gli Stati Uniti alla fine sono sconfitti e devono scendere a patti; è da allora che accelera e prende sempre più forza quello che alcuni hanno chiamato “l’arcipelago capitalista” nell’oriente asiatico.

Il libro di Arrighi, come lo stesso titolo mostra, utilizza una lettura non convenzionale del capolavoro di Adam Smith “La ricchezza delle nazioni” per interpretare il particolare tipo di mercato impiantato con enorme successo in Cina come “non capitalista” e continuo alla lunga tradizione del paese. Smith, del resto, sperava che potesse impiantarsi una società di mercato globale basata su una maggiore equità e rispetto per le diverse aree mondiali di civiltà; una società non fondata sulla forma a suo dire “innaturale” di sviluppo che il mercantilismo della sua epoca stava impiantando. Secondo il modo di leggere il filosofo morale (la sua prima specializzazione) scozzese che propone Arrighi questi non è stato affatto un teorico dello sviluppo capitalistico, o il suo difensore. Smith intendeva i mercati come strumento di controllo e di governo dell’avidità e ciò riveste importanza per comprendere le economie di mercato non capitaliste, come quella cinese prima che venissero incorporate in posizione subalterna nel sistema globalizzato di stati guidato dall’Europa.

Ma cosa è “un’economia di mercato socialista”, che si vorrebbe creare in Cina, e cosa, invece, la “economia di mercato elitaria” (secondo la denuncia di Liu Guoguang nel 2006) che si rischia di creare? Tra il “socialismo con elementi cinesi” dei discorsi ufficiali e la realtà di capitalismo selvaggio che si registra spesso c’è, per Arrighi, un vasto lavoro da fare, nelle lotte del popolo cinese e nella sistemazione delle idee. Questo secondo compito, ambizioso, è quello che si dà.


Adam Smith e la nuova era asiatica

Il libro prende le parti dunque di una sorta di “marxismo neosmithiano” che lavora entro la frattura, ben ricordata nelle prime pagine, tra il marxismo de “Il Capitale”, concentrato sullo sviluppo delle forze produttive nei centri più avanzati e che assegna ai relativi lavoratori il compito di guida in quanto testimoni della maggiore contraddizione, e quello delle periferie del mondo, concentrato sulla questione del potere e della lotta nazionale di liberazione.

Come scrive Arrighi: “Non ci sono dubbi sulla distanza che separa la teoria del sistema capitalistico di Marx dal marxismo di Castro, Amilcar Cabral, Ho Chi Min, o Mao Zedong, una distanza che si poteva superare solo con un atto di fede nell’unità storica del movimento marxista” (p.32). Un tema fondamentale, recentemente ripreso con grande energia da Domenico Losurdo.

Questa frattura, continua, Arrighi:

fra marxisti essenzialmente interessati all’emancipazione del Terzo Mondo dall’eredità dell’imperialismo neocoloniale e marxisti che si preoccupavano principalmente dell’emancipazione della classe operaia. Il problema era che se Il Capitale avesse rappresentato effettivamente un’adeguata chiave di lettura del conflitto di classe, i presupposti di Marx a proposito dello sviluppo capitalistico su scala mondiale non sarebbero sembrati reggere a un’analisi empirica. I presupposti di Marx richiamano molto più la tesi del ‘mondo piatto’ che Thomas Friedman è andato diffondendo negli ultimi anni.” (p.33)

lunedì 28 ottobre 2019

"Perché faccio filosofia" - Carlo Sini

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Carlo Sini è un filosofo italiano.- CarloSiniNoema 


                  "Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta"
                                (Platone, Apologia di Socrate)

                                                                              

L’esperienza è lo svilupparsi delle relazioni soggetto/oggetto. 
Questo sta a dire che, immediatamente, il reale è una gamma di possibilità, e che il passaggio da possibile a reale implica una ‘razionalizzazione’ del reale –la quale non ha una sola forma.
Questo pensare –o riplasmare l’esperienza- fa sì che il soggetto –ovvero, il pensante- si scopra nell’unità e nella differenza con tutta la realtà, che lo circonda.
Conoscere implica socializzare, cioè riconoscersi come un riannodo di rapporti con cose e persone. Ma significa, anche, che esistono forme di rapporti con l’uomo e la natura, che favoriscono oppure immiseriscono questo processo di socializzazione. 
Hegel ha chiaramente elaborato la struttura speculativa fondamentale della dialettica, ovvero l’unità delle differenze.
La dialettica va riconosciuta come essere, che è l’altro dallo spirito, in quanto realtà prodotta dallo spirito stesso.
La ragione è coscienza, che lo spirito ha di essere ogni realtà: è per questo che ogni problema immanente di questa costruzione dialettica giunge, alla fine, ad un felice compimento. Lo spirito muta mano a mano l’altro di se stesso nella realtà di se stesso. 
Ciò che, all’inizio della Fenomenologia dello Spirito è solo presupposto –lo spirito è la realtà-, alla fine del movimento del pensiero dialettico , si rivela come realtà pensata dello spirito, perché l’esistenza  dell’uomo, interamente esteriore e sviluppatasi storicamente nel pensiero, diviene la realtà autocosciente.
L’hegeliana Fenomenologia dello Spirito descrive il processo dell’esperienza, in cui il pensiero muta la realtà estranea nella realtà propria, spirituale. Il suo scopo è rendere la realtà trasparente allo spirito. 
Hegel sviluppa la verità del rapporto con la realtà con la sua rappresentazione pensante, che egli chiama esperienza e che si sviluppa sia storicamente che individualmente. 

mercoledì 23 ottobre 2019

Gli USA e il Pacifico - Dario Fabbri

Da: Sottosopra - https://ideesottosopra.com - dario fabbri è giornalista, consigliere scientifico e coordinatore America di Limes. Esperto di America e Medio Oriente. - 

                                                                             

lunedì 21 ottobre 2019

- Cause strutturali e congiunturali della stagnazione italiana - Marco Veronese Passarella

Da: Sottosopra - https://ideesottosopra.com -
Marco Veronese Passarella è docente di economia presso l’Economics Division della Business School dell’Università di Leeds.

                                                                              

sabato 19 ottobre 2019

Il linguaggio nel pensiero di Aristotele - Enrico Berti

Da: Romanae Disputationes - Enrico Berti è un filosofo italiano, Professore emerito di Storia della filosofia presso l'Università degli Studi di Padova. 
Vedi anche: Il linguaggio nel pensiero di Platone - Francesco Fronterotta
                     LA SCRITTURA - Carlo Sini
                                                                             

venerdì 18 ottobre 2019

I falsi presupposti del Parlamento europeo - Alessandra Ciattini


L’Europa è veramente antitotalitaria, pacifica e democratica tale da condannare i supposti totalitarismi?


Per svolgere una critica radicale alla recente risoluzione del Parlamento europeo che equipara nazismo e comunismo, seguendo un ineguagliabile esempio, cercherò di “cogliere le cose alla loro radice”, pur consapevole di non poter giungere al livello intellettuale raggiunto da chi indicava questo punto di vista.
La risoluzione del Parlamento europeo, votata dalla maggioranza dei deputati europei ed italiani (tutta la destra, il PD con qualche eccezione malamente giustificata e con l’astensione dei 5 stelle), è fondata su tre presupposti impliciti del tutto falsi: 1) in quanto liberale l’UE è antitotalitaria, come invece non lo furono il regime nazista e il sistema sovietico; 2) l’Europa costituisce un’istituzione pacifica e pacificatrice; 3) l’UE e i paesi occidentali a capitalismo avanzato si fondano su regimi democratici.
In questo breve scritto cercherò ovviamente in maniera schematica di demolire queste falsità e non sulla base delle mie personali opinioni, ma richiamando a dettagliati studi storici, di cui i deputati europei ignorano persino l’esistenza, non parliamo poi dei giornalisti. Di questi Karl Kraus diceva che sono persone che, pur non avendo idee, hanno il privilegio di esprimerle, come è facile constatare tutti i giorni.
In primo luogo, comincio col dire quali sono le ragioni che hanno spinto questi ben remunerati signori a prendere questa decisione illegittima: l’opportunismo (mettere in pratica quanto viene ordinato dai loro padroni che non gradiscono l’ascesa della Russia sul piano internazionale), la malafedel’ignoranza e la totale inesperienza della ricerca storica e sociale.

giovedì 17 ottobre 2019

- "CHE GUEVARA, UN ANTIDOGMATICO PER DISCUTERE ANCORA" - Aldo Garzia

Da:"Il Manifesto" (https://ilmanifesto.it/) - https://www.facebook.com/aldo.garzia. - Aldo Garzia è un giornalista e scrittore italiano.
Ascolta anche: Che-Guevara-raccontato-da-Aldo-Garzia-
Leggi anche: Il socialismo e l'uomo a Cuba - Ernesto Che Guevara (1965)


Dopo pochi giorni da quel maledetto 9 ottobre 1967 in cui fu assassinato in Bolivia, Ernesto Guevara era già riferimento ideale dei movimenti che scuotevano l’occidente e il terzo mondo. Il 1968 italiano, con la pubblicazione da parte dell’editore Feltrinelli in anteprima mondiale del "Diario del Che in Bolivia" e di una antologia di discorsi e scritti, consacrò Guevara in questo ruolo. In quegli anni non esistevano voli aerei low cost, Cuba e Vietnam sembravano lontanissimi, eppure il Che e Ho Chi Minh ci parlavano da vicino del risveglio del terzo mondo e di liberazione.

Il fenomeno guevariano dura tuttora per le generazioni del duemila, pur se hanno letto poco i suoi scritti, conoscono altrettanto poco la sua biografia e lo riconoscono quasi solo nella famosa foto di Alberto Korda che lo ha immortalato con il basco e lo sguardo fisso nell’orizzonte. Il Che resta infatti sinonimo di ribellione e di indissolubile rapporto tra etica e politica. Una misteriosa alchimia ha infatti segnato il passaggio di testimone da una generazione all’altra. Del resto l’azione politica ha bisogno di immaginazione e di simboli in cui riconoscersi: Guevara è tra questi.

Come ha ricordato più volte lo scrittore Eduardo Galeano, lo scandalo del Che sta nell’aver fatto quello che andava dicendo non in ottusa coerenza ma cambiando posizioni quando la realtà lo imponeva. L’icona guevariana ha inoltre tutti gli ingredienti per resistere al logorio dei decenni: l’assassinio in Bolivia a soli 39 anni, l’abbandono dell’Avana quando era al culmine delle gratificazioni seppure con qualche ammaccatura politica dovuta al dibattito nel gruppo dirigente che guidava l’isola, la coerenza portata alle estreme conseguenze, il volto bello e giovane ritratto in centinaia di fotografie, l’impossibilità di invecchiare sia nel fisico sia nelle idee, un viaggio giovanile in alcuni paesi latinoamericani fatto a bordo di una moto, come farebbe un qualunque ragazzo di oggi, che si trasforma in apprendistato alla vita. Ecco così che a cinquantadue anni di distanza dal 1967 la discussione intorno a Guevara non muore. Anzi, è tra le poche immagini di rivoluzionario che non ha perso il suo smalto resistendo sia in Europa sia in America Latina, dove dell’iconografia comunista fanno fatica a sopravvivere Lenin e perfino Rosa Luxemburg che è personaggio poco letto e studiato.

martedì 15 ottobre 2019

Discorso sul debito di Thomas Sankara - Discours de Thomas Sankara sur la dette 29 juillet 1987

Da: sitethomassankaranet - https://www.africanews.it - Thomas Isidore Noël Sankara (Nascita: 21 dicembre 1949, Assassinio: 15 ottobre 1987) è stato un militare, politico e rivoluzionario burkinabé. Noto anche come Tom Sank, è stato un leader carismatico per tutta l'Africa occidentale sub-sahariana
Leggi anche: Discorso sulle donne - Thomas Sankara

Per non dimenticare, riprendiamo questo discorso che Thomas Sankara, ex presidente del Burkina Faso, ha pronunciato il 29 luglio 1987 durante la riunione dell’OUA (Organizzazione per l’unità africana) ad Addis Abeba. Con quest’intervento, Sankara ha spiegato ai suoi colleghi capi di stato e di governo perché gli stati africani non possono pagare il debito. Perché questo è ingiusto dal punto di vista morale, dal punto di vista economico, dal punto di vista politico e dal punto di vista storico.

                                                                          

Signor presidente, signori capi delle delegazioni,
vorrei che in questo istante potessimo parlare di quest’altra questione che ci preme : la questione del debito, la questione realtiva alla situazione economica dell’Africa. Poiché questa, tanto quanto la pace, è una condizione importante della nostra sopravvivenza. Ecco perché ho creduto di dovervi imporre alcuni minuti supplementari affinché ne parliamo.Il Burkina Faso vorrebbe esprimere innanzitutto il suo timore.

domenica 13 ottobre 2019

CLASSE (lotta di) - Emiliano Brancaccio

Da: l’Espresso, 7 ottobre 2018 - http://www.emilianobrancaccio.itEmiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio.
Leggi anche: Classe, lotta di classe e prostituzione - Gianfranco Pala


Credo che la cosiddetta sinistra abbia smesso di comprendere il capitalismo da quando si è lanciata in una frettolosa abiura di Marx. Un errore su cui tuttora persevera e che altri invece non commettono. Tra gli estimatori di Marx troviamo oggi, paradossalmente, le testate della grande finanza internazionale: dal Financial Times, secondo cui «Marx è più rilevante che mai», all’Economist, che si avventura a esortare «governanti di tutto il mondo: leggete Marx!».

L’interesse dei circoli finanziari per Marx riguarda soprattutto la sua “legge di tendenza” verso la centralizzazione dei capitali. La centralizzazione è l’esito di una incessante lotta tra capitali per la conquista dei mercati, che porta al fallimento dei più deboli o alla loro acquisizione da parte dei più forti, sfocia nella “espropriazione del capitalista da parte del capitalista” e alla fine determina una concentrazione del capitale in sempre meno mani. E’ il lato cannibalesco del capitalismo, che richiama l’opera bruegeliana “I pesci grandi mangiano i pesci piccoli” e che trova oggi importanti conferme empiriche. Si tratta di una tendenza cruciale, che aiuta ad afferrare i nodi politici di questa fase storica. L’orrido sovranismo piccolo-borghese non è altro, in fondo, che la reazione dei capitali nazionali in affanno contro una devastante centralizzazione trainata dai capitali più forti e ramificati a livello globale. E’ pura lotta di classe in senso marxiano ma è tutta interna alla classe capitalista, con il lavoro totalmente zittito.

La cosiddetta sinistra non capisce quasi nulla di tutto questo. Per anni si è crogiolata nella pia illusione di un capitalismo ormai pacificato, proiettato verso il sol dell’avvenire della democrazia azionaria. E oggi risulta spiazzata da una lotta tra capitali sempre più feroce, che diffonde nel resto della società i semi della barbarie. Una nuova sinistra dovrebbe in primo luogo comprendere che il silenzio a cui è stato ridotto il lavoro ha reso ingovernabile la bestia capitalista. Tra le tante minacce alla civiltà di cui si parla, questa è l’unica tangibile. 

sabato 12 ottobre 2019

- Gli affamatori accusano gli affamati di non essere capaci di sfamarsi - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.



Si parla molto della mancanza dei beni essenziali in America Latina, ma le spiegazioni di questo fenomeno non colgono volutamente le sue vere ragioni.


Se qualcuno ha voglia di documentarsi sulla supposta “crisi umanitaria” in Venezuela, per alcuni scatenata dalle misure economiche prese dalla Rivoluzione Bolivariana, si troverà di fronte a informazioni e video profondamente contraddittori. Per esempio, secondo l’emittente pubblica tedesca DW, che adotta questa linea interpretativa, quasi 4 milioni di venezuelani (fenomeno mai verificatosi in America Latina) hanno abbandonato il loro paese a causa della carestia, dell’iperinflazione, della mancanza di un’alternativa politica. A partire dal 2017 i fuggitivi si sono recati soprattutto in Messico e negli Stati Uniti (in particolare Florida), dove costituiscono il terzo gruppo etnico per consistenza numerica dopo i cinesi e i messicani. Altri si sono diretti verso il Brasile e la Colombia, per poi raggiungere da lì altri paesi latinoamericani. Queste notizie sono ribadite da Vatican News, secondo cui più dell’80% della popolazione venezuelana è povera e generalmente si reca in luoghi in cui mangiare allestiti dal clero di quel paese, in mancanza dei quali morirebbe di fame.
Altre fonti, pur non negando le difficoltà in cui si trova a vivere da tempo la maggioranza della popolazione venezuelana, in gran parte certamente povera, che non ha a disposizione beni elementari, farmaci e che spesso si trova coinvolta in episodi di violenza, cercano di mostrare che sostanzialmente la vita quotidiana si svolge nella normalità. Queste stesse fonti hanno messo in risalto l’accordo recentemente raggiunto dal Presidente Maduro e da alcuni gruppi minoritari dell’opposizione, ritenuto inaccettabile dagli altri membri di quel tanto conflittuale settore, tra i quali spicca l’ineffabile ma fallimentare per gli Stati Uniti aspirante Presidente Juan Guaidó. L’accordo, sostenuto dall’onnipresente Vaticano [1], stabilisce che 50 deputati del PSUV torneranno al Parlamento, dopo averlo abbandonato tre anni fa per far parte dell’Assemblea costituente nazionale, che sarà istituito un nuovo Consiglio nazionale elettorale, saranno liberati alcuni “prigionieri politici”, si praticherà lo scambio tra petrolio, farmaci e servizi. Il primo ad essere stato liberato è Edgard Zambrano, mano destra di Guaidó, che era stato messo in carcere per aver appoggiato il fallito sollevamento militare contro la Rivoluzione bolivariana dello scorso mese di aprile.

mercoledì 9 ottobre 2019

Sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria - LENIN

(Approvata dal II Congresso della III Internazionale comunista, Mosca 29-30 luglio 1920) - http://www.homolaicus.com - 



Il proletariato mondiale è alla vigilia di lotte decisive. L'epoca nella quale viviamo è un'epoca di dirette guerre civili. L'ora decisiva si avvicina. In quasi tutti i paesi in cui esiste un importante movimento operaio, una serie di aspre lotte armate attende la classe operaia. Essa ha più che mai bisogno di una rigida e severa organizzazione. La classe operaia deve instancabilmente prepararsi a queste lotte senza perdere un'ora sola del tempo prezioso.



Se durante la Comune di Parigi (1871), la classe operaia avesse avuto un Partito comunista rigidamente organizzato, anche se piccolo, la prima eroica insurrezione del proletariato francese sarebbe stata molto più forte, e si sarebbero potuti evitare mille errori e debolezze. Le battaglie che attendono ora il proletariato, in una diversa situazione storica, saranno molto più gravide di conseguenze avvenire di quelle del 1871.



Il II congresso mondiale dell'Internazionale comunista richiama perciò l'attenzione degli operai rivoluzionari del mondo intero su quanto segue:

1) Il Partito comunista è una parte della classe operaia, e precisamente la sua parte più avanzata, dotata di maggior coscienza di classe e quindi più rivoluzionaria. Esso si forma attraverso la selezione spontanea dei lavoratori migliori, più coscienti, con maggior spirito di abnegazione, più perspicaci. Il Partito comunista non ha interessi divergenti da quelli dell'intera classe operaia. Esso si distingue dalla massa complessiva dei lavoratori per il fatto di possedere una visione generale dell'intero cammino storico della classe operaia e di sforzarsi di difendere, in tutti gli svolti di questo cammino, gli interessi non di singoli gruppi o categorie, ma della classe operaia nel suo insieme. Il Partito comunista è la leva organizzativo-politica, mediante la quale la parte più avanzata della classe operaia dirige sulla giusta via le masse proletarie e semi-proletarie.

2) Finché il potere statale non sarà conquistato dal proletariato e questo non avrà per sempre consolidato il suo dominio salvaguardandolo da una restaurazione borghese, il Partito comunista non comprenderà nelle sue file organizzate che una minoranza degli operai. Fino alla conquista del potere e nel periodo di transizione, il Partito comunista può, in circostanze favorevoli, esercitare una influenza morale e politica incontrastata su tutti gli strati proletari e semiproletari della popolazione, ma non può riunirli organizzativamente nelle proprie file. Solo dopo che la dittatura proletaria avrà strappato dalle mani della borghesia potenti mezzi di influenza come la stampa, la scuola, il parlamento, la chiesa, l'apparato amministrativo ecc., solo dopo che il definitivo crollo del regime borghese sarà apparso chiaro a tutti; solo allora la totalità o la quasi totalità degli operai comincerà ad entrare nelle file del Partito comunista.

martedì 1 ottobre 2019

DEMOCRAZIA E RIVOLUZIONE - Bertrand Russel

Da: Bertrand Russel, Democrazia e Rivoluzione, L'Ordine Nuovo, 1920, N.15 / N.18 - http://www.centrogramsci.it/riviste/nuovo/ordine%20nuovo%20p5.pdf, - 
Vedi anche: La Rivoluzione Russa - Luciano Canfora
Bertrand Russel è uno dei più grandi pensatori del mondo moderno. Professore di matematica e di logica all'Università di Cambridge, egli occupa uno dei primi posti nel mondo della scienza e della ricerca filosofica. Fu avversario coraggioso della guerra. Il suo pacifismo militante gli valse sei mesi di carcere e l'espulsione dall'insegnamento universitario. Quando gli studenti tornarono dal fronte, l'Università fu costretta a reintegrare il Russel nella sua funzione e a distruggere le carte che negli archivi universitari registravano l'espulsione del maestro.

Il Russel è un grande pacifista liberale, uno spirito libero e superiore come pochissimi ne possiede la classe borghese; egli ha compreso il senso profondo e la necessità storica della Rivoluzione proletaria, come non hanno compreso i socialdemocratici che continuano a esaltare la democrazia borghese e a vedere in essa l'ultimo termine dello sviluppo storico.

Non è diventato bolscevico, ma ha concluso uno studio critico sulla Repubblica dei Soviet, scritto dopo un viaggio in Russia, con l'affermazione: "se abitassi in Russia, mi metterei ai servizi dello Stato operaio".                  
                                                                                                            (Antonio Gramsci) 
-----------------------------------------------------------------------------------------------

Prima di discutere il mio argomento intendo fare un rapidissimo esame del mondo dal punto di vista delle possibilità di libertà. Le ultime possibilità di libertà sono più grandi che mai, ma anche i pericoli sono grandi e molto difficile è l'avvenire immediato.
La guerra è stata una pietra di paragone che ha rivelato cosa vi era di forte e cosa di debole nelle pretese fedi degli uomini. Gran parte di ciò che apparteneva alla tradizione più a lungo ancora probabilmente avrebbe durato, senza le dure realtà che la guerra ha imposte all'attenzione del popolo. Molte cose furono spazzate via, di quelle che facevano parte di ciò che si può chiamare la urbanità; la loro esistenza dipendeva dal fatto che non si era capaci di ritornare alla culla e che non si agitavano le passioni primitive. Il mondo, dopo la guerra, è più franco, meno agile, più brutale. La separazione tra giovani e vecchi è più profonda che mai, perchè i vecchi riuscirono a idealizzare la guerra e per farlo dovettero staccarsi più del solito dalla realtà, mentre i giovani non mai come ora hanno avuto la realtà profondamente radicata entro di sè. In conseguenza di ciò la politica non è più attraente come una volta, e benchè i capi dei partiti politici ancora indulgano alla vecchia ciarlataneria, essa non fa più presa, e i motivi per cui gli uomini votano sono molto realistici.
Non solo il partito liberale ma lo stesso ideale liberale si è, in conseguenza della guerra, eclissato. Il suo fallimento fu reso manifesto dalla clamorosa sconfitta del presidente Wilson. Gli ideali liberali, dipendevano da un certo grado di tolleranza tra uomo e uomo, da una repugnanza a spingere le cose agli estremi. La tolleranza religiosa, la democrazia, la libertà di parola, la libertà di stampa e di commercio erano tutti principi i quali implicavano la non irreconciliabilità delle differenze tra i diversi gruppi. Io sono tra coloro che in conseguenza della guerra sono passati dal liberalismo al socialismo, e non perchè sia venuta meno in me l'ammirazione per molti degli ideali liberali, ma perchè non vedo per essi un avvenire prima di una completa trasformazione della struttura economica della società.
La guerra ha portato a una contrapposizione della plutocrazia e del lavoro, del capitalismo e del socialismo. Il socialismo è apparso infine come una forza quasi uguale al capitalismo per il suo potere. In Russia, esso è al potere e altrove ha la possibilità di giungervi. Che cosa possono offrire questi due opposti principi?
Il capitalismo fino a che ha lottato contro il feudalesimo ha favorito alcune idee liberali: libertà, democrazia e pace. Ha favorito pure l'aumento della produzione. La guerra ha spazzato via gli ultimi resti del feudalesimo: sono scomparsi i tre imperatori che dominavano l'Europa Orientale; nelle superstiti monarchie "i re", secondo le parole di Milton, "ancora seggono al trono, con gli occhi pieni di terrore". Ma ogni passo fatto sulla via della vitoria del capitalismo sul passato lo ha reso più ostile all'avvenire e meno liberale. Oggi mi hanno detto che in America vi è una prigione ai piedi della statua della libertà.
La maggior parte del mondo civile è soggetta al regno del terrore.