sabato 22 aprile 2023

Filippine: gli USA rafforzano la tenaglia militare contro la Cina - Marco Santopadre

Da: https://pagineesteri.it - Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. 



La competizione economica e geopolitica tra Stati Uniti e Cina sta scivolando sempre più velocemente verso il confronto sul piano militare.
Mentre la tensione si alza soprattutto intorno a Taiwan – la provincia ribelle di cui Pechino pretende la reintegrazione nel territorio nazionale – Washington rafforza le sue posizioni nel quadrante Indo-Pacifico dando vita ad una vera e propria tenaglia che accerchia la Repubblica Popolare dal Giappone fino all’Australia, passando per la Corea del Sud e le Filippine.
Al di fuori del proprio territorio nazionale Washington possiede, caso unico al mondo, circa 700 installazioni militari distribuite in 80 diversi paesi nei cinque continenti. Solo in Corea del Sud gli Stati Uniti possono contare su 56 mila soldati, ai quali occorre aggiungere i 25 mila dispiegati in Giappone. 

Nelle ultime settimane, poi, gli Stati Uniti hanno rafforzato in maniera consistente la propria presenza nelle Filippine, suscitando la dura reazione di Pechino.

Per Washington quattro nuove basi militari nelle Filippine
All’inizio di aprile, il governo di Manila ha formalizzato l’ubicazione di altre quattro basi militari sul proprio territorio nelle quali le forze armate statunitensi potranno schierare le proprie truppe sulla base dell’Accordo di cooperazione militare rafforzata (Enhanced Defence Cooperation Agreement, Edca) siglato con Washington nel 2014 e dell’Accordo sulle forze in visita (Vfa) del 1998.

L’Edca, che i due paesi hanno informato di voler ulteriormente potenziare, consentiva già a un elevato numero di militari statunitensi di utilizzare cinque basi filippine per portare avanti varie attività e per realizzare piste di decollo, magazzini, alloggi ed altre infrastrutture. Washington, tra l’altro, aveva già annunciato lo stanziamento di 82 milioni di dollari per potenziare le infrastrutture nelle cinque basi già utilizzate, che formalmente rimangono sotto il controllo di Manila.
Poi, lo scorso 2 febbraio, i due governi hanno annunciato l’estensione dell’accordo dopo un incontro nella capitale filippina tra il presidente Ferdinando Marcos Jr e il segretario americano alla Difesa, Lloyd Austin.

mercoledì 19 aprile 2023

Alessandro Mazzone, Per una teoria del conflitto - Roberto Fineschi, Tommaso Redolfi Riva e Salvatore Tinè

Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels. - 
Tommaso Redolfi Riva ha studiato filosofia e storia del pensiero economico presso le università di Pisa e Firenze. Attualmente impegnato in una ricerca su marxismo ed economia politica in Italia negli anni Settanta, si occupa di temi afferenti al pensiero marxiano e alla teoria critica. Ha pubblicato saggi e articoli su riviste italiane e straniere. - 

                                                                           

lunedì 10 aprile 2023

La responsabilità dello storico - Alessandro Barbero

 Da: Festival della Mente Sarzana - Alessandro Barbero è uno storico, scrittore e accademico italiano, specializzato in storia del Medioevo e in storia militare.  

Vedi anche: "Quid deinde fit?" - Alessandro Barbero




martedì 4 aprile 2023

Chi siamo e che vogliamo? - Alessandra Ciattini

Da: la citta futura - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia alla Sapienza, è Docente UniGramsci (https://www.unigramsci.it) ed è editorialista de la citta futura. 


Prima di impegnarci in alleanze più elettorali che politiche, sarebbe opportuno chiederci chi siamo e che vogliamo 

Se siamo convinti che esiste un’unica strada per uscire dal capitalismo e dalla sua disumanità, dato che esso appare sempre più irriformabile e avvitato in una spirale devastante, dato che le terze vie sono tutte fallite, occorre riconquistare la nostra identità sbriciolatasi in numerose e debolissime varianti, che si fanno genericamente paladine del popolo, degli sfruttati, degli umili. Nonostante il marxismo abbia una storia complessa e contraddittoria, che bisognerebbe apprendere a fondo, il suo nucleo centrale sembra costituire ancora oggi, in un orizzonte alquanto diverso da quello ottocentesco, un’adeguata chiave interpretativa della società contemporanea: il concetto di classe e il suo derivato la lotta di classe. Basti un esempio. Numerosi marxisti hanno interpretato la fase neoliberale come il tentativo riuscito di una restaurazione di classe dinanzi alla crisi dell’accumulazione, che non poteva più tollerare il compromesso keynesiano tra capitale e lavoro del dopoguerra. E hanno anche collegato tale impresa socio-economica all’imposizione di ideologie elogiative dell’individualismo identitario, miranti alla frammentazione dei lavoratori, del resto già divisi e separati da barriere quali il sesso, l’appartenenza etnica, religiosa ecc. Ideologie che purtroppo hanno profondamente colonizzato la cosiddetta nuova sinistra, che le ha fatte proprie soprattutto dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e il ripudio dello stalinismo, facendosi affascinare dal culturalismo contrapposto in maniera binaria e semplicistica al volgare economicismo.

Due osservazioni su questi temi. Le barriere cui ho fatto cenno sono ovviamente superabili, se si recupera un elemento unificante e questo non può che essere l’appartenenza di classe, la cui “scoperta” non può che funzionare come punto di partenza per la costruzione di nuova coscienza senza la quale non si possono stabilire obiettivi e modalità di lotta comune. Seconda osservazione relativa al fallimento del socialismo sovietico, seppure a mio parere e di quello più autorevole del Che Guevara, si trattasse di un socialismo non compiuto e con inevitabili aspetti problematici. La fine dell’Unione Sovietica fu dovuta – come scrive lo storico Luciano Beolchi  (La de-modernizzazione della Russia, p. 6, in “Alternative per il socialismo”, n. 64, 2022)  – alla “crisi della transizione dal sistema socialista a quello di mercato non pianificato”; quindi non crisi del socialismo in sé, ma disarticolazione voluta e eterodiretta di un sistema economico sicuramente da riformare, ma certamente da non distruggere.

domenica 2 aprile 2023

LA CINA E LA FORMAZIONE DI UN FRONTE DEL SUD GLOBALE INCRINANO L’EGEMONIA USA - Domenico Moro

 Da: http://www.laboratorio-21.it - Domenico Moro è ricercatore presso l’Istat, dove si occupa di indagini economiche strutturali sulle imprese. Ha lavorato nel settore commerciale di uno dei maggiori gruppi multinazionali mondiali ed è stato consulente della Commissione Difesa della Camera dei deputati.

Vedi anche: Stagflazione e crisi del dollaro - Domenico Moro


La guerra in Ucraina, per quanto sia importante, è solo un aspetto del confronto a livello globale tra la Russia e l’Occidente, cioè gli Usa e i loro alleati più stretti dell’Europa occidentale e del Giappone. All’interno di questo confronto acquista, inoltre, un ruolo sempre più importante la Cina, che si sta ritagliando una posizione di mediatore internazionale. La competizione si gioca su diversi ambiti: la de-dollarizzazione, cioè la sostituzione del dollaro come moneta di scambio globale, la conquista delle materie prime, e, a livello geostrategico, la costruzione di un fronte del Sud globale, che si sta sottraendo all’influenza statunitense e occidentale e sta stabilendo rapporti sempre più stretti con Cina e Russia. Quest’ultimo aspetto è di primaria importanza, perché la costruzione di un unico fronte, il Sud globale, disallineato se non contrapposto all’Occidente, sancisce una modifica, epocale e dalle conseguenze inedite, dei rapporti di forza e degli equilibri mondiali. Ovviamente tutti i cambiamenti storici hanno una incubazione di lungo periodo, ma subiscono accelerazioni improvvise che li rendono evidenti. Così è stato per la guerra in Ucraina che sta diventando il banco di prova della costruzione di un fronte globale che può mettere in crisi l’egemonia mondiale statunitense, che dura ininterrottamente dalla fine della Seconda guerra mondiale.

La formazione di un fronte del Sud globale appare visibile in sede Onu in occasione delle votazioni sulle risoluzioni di condanna della Russia per quanto sta accadendo in Ucraina. Già il 2 marzo del 2022, poco dopo l’inizio delle ostilità, 35 paesi si erano astenuti. Apparentemente si tratta di un numero piccolo in confronto a quello dell’insieme degli stati mondiali. In realtà questi 35 Paesi, insieme a quelli che hanno votato contro la risoluzione, rappresentano un po’ più della metà della popolazione mondiale, comprendendo giganti come la Cina, l’India, il Pakistan, il Bangladesh, l’Etiopia, il Vietnam e l’Iran che da soli arrivano a quasi 3,6 miliardi di abitanti. È da notare che tra i 35 astenuti ci sono 17 Paesi africani, che altri 8 paesi del continente sono stati assenti durante la votazione e che l’Eritrea ha votato contro. Di recente, alla votazione della fine di febbraio 2023, che chiedeva il ritiro delle Forze armate della Russia dall’Ucraina, gli astenuti sono stati 32, e i contrari 7, tra cui per la prima volta lo stato africano del Mali.

sabato 1 aprile 2023

“Netanyahu non ha cercato di distruggere la “democrazia israeliana”, ne ha ampiamente sfruttato la mancanza” - Jonathan Cook

Da: https://contropiano.or - Jonathan Cook è autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese e vincitore del Premio speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. Il suo sito Web e il suo blog sono disponibili all’indirizzo https://www.jonathan-cook.net

Israele si è avvicinata alla guerra civile durante il fine settimana come mai avvenuto in qualsiasi momento della sua storia. Lunedì sera, nel tentativo di evitare il caos, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha accettato di sospendere temporaneamente i suoi piani per neutralizzare i tribunali israeliani.

A quel punto, i centri cittadini erano stati bloccati da rabbiose proteste di massa. Il procuratore generale del paese aveva dichiarato che Netanyahu agiva illegamente . La folla aveva assediato l’edificio del Parlamento a Gerusalemme. Le istituzioni pubbliche sono state chiuse, compreso l’aeroporto internazionale di Israele e le sue ambasciate all’estero, in uno sciopero generale. A questo si è aggiunto a un quasi ammutinamento nelle ultime settimane da parte di gruppi militari d’élite, come piloti da combattimento e riservisti.

La crisi è culminata domenica sera con il licenziamento del ministro della Difesa da parte di Netanyahu, dopo che Yoav Gallant aveva avvertito che la legislazione stava facendo a pezzi i militari e minacciava la prontezza al combattimento di Israele. Il licenziamento di Gallant ha solo intensificato la furia dei manifestanti .

I disordini stavano crescendo da settimane mentre la cosiddetta “revisione giudiziaria” di Netanyahu si avvicinava ad essere scritta nei libri di legge.