mercoledì 30 marzo 2016

Dialoghi di profughi VI.* - Bertolt Brecht




TRISTE DESTINO DELLE GRANDI IDEE. – IL PROBLEMA DELLA POPOLAZIONE CIVILE.

Ziffel osservava malinconicamente i giardinetti polverosi davanti al ministero degli Esteri, dove dovevano farsi rinnovare il permesso di soggiorno. In una vetrina aveva visto esposto un giornale svedese con le notizie dell’avanzata dei tedeschi in Francia. 

ZIFFEL     Tutte le grandi idee falliscono per colpa degli uomini.

KALLE     Mio cognato le darebbe ragione. Perso un braccio, che era finito negli organi di trasmissione di una macchina, gli era venuta l’idea di aprire un negozio di sigarette con annessa vendita dell’occorrente per cucire, aghi, filo e cotone da rammendo, perché le donne fumano, sì, volentieri, ma non entrano volentieri in una tabaccheria; ma l’idea fallì, perché non gli diedero la licenza. Non che importasse molto, tanto non sarebbe comunque riuscito a mettere insieme i soldi necessari.

ZIFFEL     Non è questo che io chiamo una grande idea. Una grande idea è la guerra totale. Ha letto che in Francia la popolazione civile ha messo i bastoni fra le ruote alla guerra totale? Ha mandato a monte tutti i piani degli stati maggiori, si dice. Ha ostacolato le operazioni militari, perché le fiumane di profughi hanno ingorgato le strade e impedito i movimenti delle truppe. I carri armati si sono impantanati nella massa umana – dopo che finalmente si era riusciti a inventare delle macchine, appunto i carri armati, che non si impantanano nemmeno nel fango altro fino al ginocchio e possono abbattere boschi interi. La gente affamata ha divorato le provviste delle truppe, cosicché la popolazione civile si è rivelata una vera piaga delle cavallette. Un esperto militare scrive con preoccupazione sui  giornali che la popolazione civile è diventata un problema serio per i militari.

KALLE     Per i tedeschi?

lunedì 28 marzo 2016

UNA RILETTURA TEORICA E POLITICA DEL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA - Riccardo Bellofiore

  «Si dissolvono tutti i rapporti stabili ed irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti». 
(Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del Partito comunista, p. 87)


LE CONDIZIONI DELLA LIBERTÀ DINAMICA CAPITALISTICA E QUESTIONE DEL SOGGETTO NELL’EPOCA DELLA “GLOBALIZZAZIONE”: UNA RILETTURA TEORICA E POLITICA DEL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA.

Introduzione.

«Lo spettro del comunismo ha cessato di inquietare l’Europa, ma il Manifesto non ha cessato di inquietare i rivoluzionari». 
Wal Suchting, What is Living and What is Dead in the Communist Manifesto?, p. 163.

Riprendere in mano, a centocinquant’anni dalla sua comparsa, il Manifesto del partito comunista può essere fatto con metodi e obiettivi diversi (1). E’ possibile, evidentemente, collocare l’opuscolo nella temperie politica e culturale degli anni in cui vide la luce; come è possibile soggiacere alla tentazione di un confronto immediato tra il testo e la realtà che abbiamo di fronte. Un approccio “storico”, il primo; un approccio “attualizzante”, il secondo.

Esemplare, in un certo senso, del primo è la riedizione della Einaudi, con la lunga e utile postfazione di Bruno Bongiovanni, mentre esemplare del secondo, è l’introduzione che Eric Hobsbawm ha premesso alla ristampa inglese della Verso, uscita anch’essa quest’anno. Entrambe, però, mettono bene in rilievo i rischi di operazioni del genere. Da una parte, la riduzione del Manifesto a “classico”, quando non a documento di un’altra epoca, con una nascosta, ma non meno efficace, sterilizzazione dell’impatto presente di quelle pagine. Dall’altra parte, all’opposto, la rivendicazione al Manifesto di una dimensione profetica, sia pure dimezzata: dove la profezia sta nell’avere anticipato - con la sola colpa di averlo fatto con troppo grande anticipo - i caratteri del capitalismo mondializzato dei nostri giorni; e il suo essere dimezzata sta nella spiacevole circostanza che, giusto quando le previsioni “analitiche” di Marx si sarebbero concretizzate, esse avrebbero al contempo distrutto il soggetto sociale che doveva farsi messaggero di una società futura, meno disumana e portatrice di una libertà più autentica nell’eguaglianza2 . Vi è qui, a me pare, un difetto dovuto a un eccesso di “empirismo”. Si ragiona quasi come se i “fatti” fossero lì, neutri, a consentire di saggiare la validità del costrutto teorico; dal che consegue un ammirato stupore nel verificare quanto lo sviluppo delle forze produttive tratteggiato da Marx nel Manifesto assomigli al nostro presente. E’ evidente, peraltro, che, visto che i fatti neutri non lo sono mai, in questo modo ci si ritrova pressoché sempre a spacciare come non problematica la ricostruzione dominante della realtà attuale, e ci si limita a rivestire l’interpretazione di senso comune di una retorica radicale - tanto più radicale, in effetti, quanto più la descrizione prevalente di come stanno le cose nega qualsiasi possibilità di intervento alle classi dominate.

Hegel e la sua Fenomenologia - Fulvio Papi

domenica 27 marzo 2016

Complessità comuniste, intervista a Stefano Garroni

Per una migliore fruizione audio/video si consiglia di modificare le impostazioni del video (velocità 1,25)



LA FILOSOFIA NON E' VANILOQUIO:    https://www.youtube.com/watch?v=E7B7JHIZuJE


sabato 26 marzo 2016

Migranti e keynesismo militare* - Guglielmo Carchedi

*Da:    http://www.sinistrainrete.info/

I. Nella discussione attuale sugli immigrati si fa una distinzione tra migranti economici e rifugiati politici. Solo i rifugiati politici dovrebbero essere accolti per ragioni umanitarie. I migranti economici dovrebbero essere messi in prigione (come proposto dal partito razzista olandese) o accolti a fucilate (come proposto dal partito razzista tedesco). La distinzione tra rifugiati politici ed economici è falsa, ipocrita e cinica. Se le guerre creano povertà, i rifugiati politici sono anche migranti economici. E se i migranti economici scappano dalla disoccupazione e dalla povertà creata dalle guerre, i migranti economici sono anche rifugiati politici. Tutti devono essere accolti per ragioni umanitarie.
Gli xenofobi e razzisti nostrani se ne fregano delle ragioni umanitarie. Per loro i migranti economici dovrebbero essere respinti perché essi ruberebbero il lavoro agli Italiani. Falso. L'Italia è un paese a forte decrescita. La presenza degli immigrati è tale che se improvvisamente domani partissero, il paese andrebbe a rotoli. Senza gli immigrati, interi settori fallirebbero e molti italiani perderebbero il loro lavoro.
Ma, proseguono i beceri difensori del patrio suolo, se non ci fossero stati gli immigrati, quei lavori sarebbero andati ai lavoratori Italiani. Questo è il tipico esempio in cui si dà la colpa alla vittima. La questione è: chi ruba il lavoro agli Italiani? Non certo gli immigrati. Sono certi imprenditori che, approfittandosi della debolezza contrattuale degli immigrati, possono assumerli illegalmente o comunque a salari inferiori a quelli che dovrebbero pagare ai lavoratori Italiani. Gli immigrati sono le vittime, non i colpevoli. I colpevoli della disoccupazione degli Italiani sono quegli imprenditori Italiani che assumono immigrati invece di Italiani. Sono gli imprenditori che rubano il lavoro agli Italiani per darlo agli immigrati, non sono gli immigrati che rubano lavoro ai lavoratori italiani. E sono gli imprenditori che rubano una parte del salario agli immigrati pagandoli salari inferiori se non infimi.

II. Queste e altre menzogne sono facilmente contestabili. Più difficile da confutare è un'altra menzogna, tanto subdola quanto insidiosa. Essa riguarda il Keynesismo militare e cioè i supposti effetti benefici, sia per il capitale che per il lavoro, delle spese militari indotte dallo stato e del loro effetto a cascata in tutta l'economia. Questo effetto a cascata è chiamato il moltiplicatore keynesiano. Quando applicato alle spese militari esso serve a razionalizzare le guerre (sul suolo altrui, ovviamente). È quindi necessario esaminare la logica della teoria del Keynesismo militare e rivelarne sia gli errori concettuali che il contenuto di classe.
È chiaro che è il capitale che ha generato l'attuale ondata migratoria creando e fomentando le guerre che sono alla sua origine. Le guerre fomentate dai paesi imperialisti richiedono armi che i suddetti paesi sono ben lieti di produrre e esportare. 

venerdì 25 marzo 2016

La nuova frontiera del precariato: i buoni lavoro* - Marta Fana

*Da:    http://www.econopoly.ilsole24ore.com/ 
Leggi la scheda:      http://www.eticaeconomia.it/la-nuova-frontiera-del-precariato-i-buoni-lavoro/ 
Leggi anche:     http://www.wikilabour.it/voucher.ashx



Marta Fana descrive l'evoluzione normativa e le evidenze disponibili sul sistema dei buoni lavoro (i voucher). Fana sottolinea che le riforme del mercato del lavoro hanno costantemente liberalizzato il lavoro accessorio fino ad estenderlo a tutti i settori e ricorda che il Jobs Act ha aumentato i massimali di reddito percepibili. Esaminando i dati Fana documenta la crescita esplosiva dell’uso dei voucher: soltanto nel 2015 ne sono stati venduti più di 71 milioni e i lavoratori, soprattutto giovani, interessati da questa nuova forma di lavoro precario, sono oltre un milione. 



Il rapporto del ministero del Lavoro e dell’Inps sull’uso dei voucher pubblicato oggi approfondisce parzialmente alcuni temi e questioni sollevate nel corso dei mesi sulla progressiva, e inarrestabile, diffusione di questo strumento di regolazione delle prestazioni di lavoro occasionali.

Eravamo rimasti al numero di voucher venduti nel 2015: 114.921.574. Oggi sappiamo che i lavoratori che hanno ricevuto almeno un voucher sono 1.392.906, erano 24.437 nel 2008, anno di introduzione dei voucher per alcune attività legate al settore dell’agricoltura. Poco più della metà sono donne, mentre nella distribuzione anagrafica continua l’ascesa degli under 25 interessati dal lavoro accessorio: rappresentavano poco più del 15% nel 2008, mentre a fine 2015 costituiscono il 31% dei percettori di voucher. Inoltre, l’importo medio percepito nell’anno dai più giovani voucheristi è di 554 euro contro i 700 degli over 65, che rappresentano solo il 3,9 percento dei percettori. Da questo primo dettaglio non è tuttavia possibile capire se il minor reddito dei giovani dipenda da un minore ammontare di ore lavorate per prestazioni occasionali oppure perché soggetti più frequentemente a lavoro irregolare.

Un dettaglio necessario, che purtroppo manca e rende difficile non soltanto la comprensione del fenomeno ma in un certo senso indebolisce “l’intenzione e la volontà del Governo e del ministero di combattere ogni forma di illegalità e di precarietà nel mercato del lavoro e di colpire tutti i comportamenti che sfruttano il lavoro ed alterano una corretta concorrenza tra le imprese”. Scorrendo gli ulteriori approfondimenti presenti nel breve rapporto, è evidente che lo sforzo sin qui fatto da Lavoro e Inps è solo parziale.

martedì 22 marzo 2016

Dialoghi di profughi V* - Bertolt Brecht



LE MEMORIE DI ZIFFEL, PARTE II. – VITA DIFFICILE DEI GRANDI UOMINI. – SE IL COMEDIAVOLOSICHIAMA POSSEGGA UN PATRIMONIO.


Quando Ziffel e Kalle si incontrarono di nuovo, Ziffel aveva pronto un altro capitolo delle sue memorie.


ZIFFEL     (Legge)  «Io sono fisico di professione. Un ramo della fisica, la meccanica, ha grande importanza nella vita moderna; eppure personalmente ho poco a che fare con i macchinari. Anche quelli tra i miei colleghi che danno qualche suggerimento agli ingegneri per la costruzione degli Stukas, e questi stessi ingegneri, lavorano circa tanto pacificamente e lontano dal mondo quanto, per esempio, un alto funzionario delle ferrovie.
«Circa dieci anni della mia vita li trascorsi in un istituto sito in una zona tranquilla e ricca di giardini. Mangiavo in un ristorante lì vicino. Una donna a ore mi teneva in ordine l’appartamento. Le mie amicizie erano tra colleghi. 
«Vivevo la vita tranquilla di un animale intellettuale. Come ho già detto, avevo frequentato una scuola decente, e in più godevo di certi privilegi, forse non grandi, ma pur sempre tali da fare una bella differenza. Essendo di «buona famiglia», ricevetti, grazie ai notevoli sacrifici finanziari dei miei genitori, un’educazione che mi procurò una vita ben diversa da quella che conducevano intorno a me milioni di poveri diavoli. Ero incontestabilmente un «signore», e come tale potevo fare pasti caldi varie volte al giorno, fumare, andare a teatro la sera e fare bagni a volontà. Le mie scarpe erano leggere; i miei pantaloni non erano sacchi di farina. Ero in grado di apprezzare un quadro, e un brano di musica non mi metteva in imbarazzo. Se mi soffermavo a parlare del tempo con la donna delle pulizie, questo era considerato prova di spirito umanitario. 
«I tempi erano relativamente tranquilli. Il governo della Repubblica non era né buono, né cattivo, e quindi in complesso piuttosto buono, dato che si occupava soltanto delle sue proprie faccende, come assegnazione di posti ecc., e lasciava più o meno in pace la gente, che aveva a che fare con esso solo indirettamente e che costituiva il popolo. In ogni modo, con le mie naturali disposizioni, quali che fossero, riuscivo più o meno a cavarmela. Naturalmente, per essere esatti,  nella mia professione e nella situazione generale non andava proprio tutto liscio. Ogni tanto qualche indispensabile cattiveria, o verso una donna,  o verso qualche collega; ogni tanto qualche debolezza; ma in fondo nulla che io non potessi facilmente superare, come ogni altro mio pari. Purtroppo, però, la Repubblica aveva i giorni contati.
«Non ho né l’intenzione né la capacità di tracciare un quadro dell’improvviso e pauroso aumento della disoccupazione e del generale impoverimento, né tanto meno di indicare quali fossero le forze che erano qui all’opera. Il lato più inquietante di questa minacciosa situazione era proprio che non si riusciva a scoprire da nessuna parte le cause di tale repentino peggioramento. 

lunedì 21 marzo 2016

DIALOGO SOPRA UN MINIMO SISTEMA DELL’ECONOMIA, a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in libris” suoi discepoli * - Gianfranco Pala e Aurelio Macchioro


Questo articolo, Dialogo sopra un minimo sistema dell’economia – a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in libris” suoi discepoli, fu messo insieme, sistemato e redatto da Gianfranco Pala, per la rivista  Marxismo oggi, 3, Milano 1993. La parafrasi del Dialogo galileiano qui scelta trae spunto da una serie di circostanze. Innanzitutto, è da considerare in maniera un po’ sarcastica l’esagerata importanza che, per seguir le mode, negli anni trascorsi fu data all’opera di Sraffa che, conseguentemente è stata qui definita come “sistema minimo” dell’economia; all’opposto, ma forse proprio per quell’esagerazione pregressa, è altrettanto ingiustificata la dimenticanza in cui essa è stata poi gettata, tanto più se la si compara con le “nuove” mode dell’economia neoliberista dai “tratti demenziali”, come la connoterebbe Brecht. Tuttavia, l’abbandono e la successiva sedimentazione del dibattito intorno a Sraffa può oggi costituire un elemento vantaggioso per riparlarne post festum (e post mortem).

In secondo luogo, per ciò che interessa maggiormente i comunisti, vi è da soppesare il ruolo, che è stato attribuito alla teoria di Sraffa e alla “sraffologia” in genere, da giocare contro il marxismo in un supponente “superamento” o “approfondimento” o “rafforzamento” o “miglioramento” di quest’ultimo; e quel ruolo, in quanto assegnato allo sraffismo nei caldi anni 1960\70 in Italia, ha da essere guardato con legittimo sospetto, in quanto l’ideologia dominante, mascherata a sinistra, cercava di accreditare così la presunta “crisi del marxismo”, epperò presentandola dal di dentro di quella che veniva suggerita come una delle possibili letture del “marxismo-senza-Marx”. Ora, in una riflessione sul marxismo in Italia nell’ultimo mezzo secolo e più, questo “dialogo” su Sraffa può contribuire a diradare le nebbie di quella confusione, risarcendo anche il marxismo italiano nella critica dell’economia politica.

Non è un caso che in quegli anni, anche nella cultura di “sinistra”, il tentativo di distinguere nettamente Marx da Sraffa (e da Ricardo, ma anche lo stesso Ricardo da Sraffa, nei termini della teoria del valore e del plusvalore) fu minoritario ed emarginato – avendo “avuto ben poca eco, sopraffatto dal miracolo sraffiano”, per dirla con Macchioro – al punto da non ricevere mai adeguata risposta dalla “sraffolalia” prevalente, adagiata nel solco del revisionismo [le “celebrazioni sraffiane”, allora pel decennale della di lui morte, non contemplano di fatto alcun possibile intervento critico marxesco sulla sua opera, venendo escluse a priori]. Quindi, la censura di quelle pochissime diverse opinioni e interpretazioni che rammenta – alla lontana e in maniera farsesca, certo, fatte le proporzioni storiche e scientifiche – toni da sant’inquisizione accademica, suggeriscono istintivamente, in terzo luogo, la loro esposizione nella forma del dialogo galileiano.

domenica 20 marzo 2016

FRANCESCO VALENTINI, SOLUZIONI HEGELIANE* - Carla Maria Fabiani

"L'assoluto è fra noi", quest'espressione significa che le concezioni che fino a Hegel si sono avute dell'assoluto come di un qualcosa di non interamente dominabile dall'uomo, ormai sono comprese e, essendo comprese, liberano l'uomo dal timore che ci possa essere un qualcosa, un assoluto che lo trascenda o addirittura in qualche modo lo minacci. L'assoluto è fra noi, ma non per questo l'assoluto è compiuto; è cioè compiuta una concezione errata dell'assoluto, ma il sapere è un sapere sempre totalmente aperto. (F. Valentini)

                                http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/la-legge-la-liberta-la-grazia-remo_29.html ù
                                    http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/hegel-e-la-dialettica-remo-bodei.html
                                        http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/la-civetta-e-la-talpa-il-concetto-di.html
                                             http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/09/hegel-la-dialettica-valerio-verra.html
                                                  http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/hegel-e-la-sua-fenomenologia-fulvio-papi.html
                                                       http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/hegel-la-comprensione-dellintero-carlo.html
                                                            http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/hegel-il-sistema-antonio-gargano.html
                                                                 http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/soggetto-oggetto-commento-hegel-remo.html
                                                                      http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/del-ragionamento-dialettico-stefano.html
                                                                           http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html
                                                                                http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/il-riconoscimento-in-hegel-carla-maria.html
                                                                                     http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/hegel-la-ragione-come-mondo-costantino.html
                                                                                           https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/07/il-senso-della-politica-francesco.html  
"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/
 




Francesco Valentini, Soluzioni hegeliane, Milano, Guerini e Associati 2001 
*Da:  www.filosofia.it

L'oggettività è così quasi soltanto un involucro sotto il quale si trova nascosto il concetto. Nel finito non possiamo vedere o esperire che il fine viene veramente raggiunto. L'attuazione del fine infinito consiste così soltanto nel superare l'illusione che ancora non sia attuato. Il bene, ciò che è assolutamente bene, si compie eternamente nel mondo, e il risultato è che esso è già compiuto in sé e per sé, e non ha bisogno di aspettare noi. È questa l'illusione in cui viviamo e, al tempo stesso, è quest'illusione soltanto la forza operante su cui riposa l'interesse del mondo. [Soluzioni...p.233n] 

Torneremo, nel corso di questa breve recensione, sull'idea hegeliana del Bene e la sua genesi, seguendo il prezioso e limpido commento di Francesco Valentini. Emergerà, in chi si appresta a leggere Soluzioni hegeliane, l'esigenza di comprendere il pensiero di Hegel a partire da Hegel, e al contempo l'esigenza sarà pienamente soddisfatta. Sarà, per es., soddisfatta l'esigenza di chi voglia comprendere il realismo hegeliano, la soluzione offerta da Hegel al problema kantiano del Bene e della sua realizzazione; il lettore interessato, perciò, sospenda inizialmente il giudizio, se accogliere o meno le soluzioni proposte da Hegel, e segua fino in fondo la traccia che F. Valentini disegna così lucidamente attraverso tutta l'opera del filosofo. 

MARX dopo MARX, da Engels a Labriola.* - Renato Caputo

*Da:      Università Gramsci


Sindacalismo rivoluzionario di Sorel- il marxismo rivoluzionario di Lenin e il dibattito sull'eredità leninista: https://www.youtube.com/watch?v=MLe_0zBB5Lw

Il dibattito sull'eredità leninista - Stalin - Trockij - il marxismo nel Terzo Mondo - Introduzione a Gramsci:    https://www.youtube.com/watch?v=BS0rMehI-Wg

Antonio Gramsci: Quaderni del carcere. Introduzione a Jean Paul Sartre:    https://www.youtube.com/watch?v=jyP5a2Rycag

J. P. Sartre: La difficile sintesi fra marxismo ed esistenzialismo; Utopia e speranza: il marxismo di Ernst Bloch:    https://www.youtube.com/watch?v=VYMnbfnmxV8

Vedi lezioni precedenti:   http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/02/il-giovane-marx-renato-caputo_28.html

giovedì 17 marzo 2016

Il significato della supremazia bianca oggi. Racconto della conferenza di Angela Davis* - Coll. Militant

*Da:   http://www.militant-blog.org/

«Non sono più iscritta al partito comunista, ma sono ancora comunista». 

Questa una delle affermazioni di Angela Davis durante la lezione magistrale che ha tenuto lunedì scorso all’Università di Roma Tre. Parole decise, prive di ipocrisia e senza toni attenuati, pronunciate in risposta all’intervento polemico del germanista Marino Freschi, che – e la frecciatina anticomunista nelle sue affermazioni era palese – evidenziava i rapporti di Davis con Erich Honecker, segretario della Sed (il partito comunista della Repubblica democratica tedesca) e poi presidente della Ddr, e l’esistenza di una foto che la ritrae con sua moglie Margot. La foto in questione, che vede anche la presenza della cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova, è del 4 agosto 1973, pochi giorni dopo la morte di Walter Ulbricht, fino ad allora presidente della Ddr con pochi poteri effettivi: Freschi non ha potuto fare a meno di fare un po’ di polemica, dicendo che Honecker aveva tenuto nascosta questa morte perché allora nella Ddr non si poteva dire la verità. La dichiarazione di Davis di essere ancora comunista e l’affermazione precedente sulla possibilità di un futuro socialista («Non solo perché non ci sono più paesi socialisti dobbiamo pensare che non ci sarà più un mondo socialista in futuro», ma andiamo a memoria) assumono, in questo contesto ufficiale, ancora più valore.

Queste parole, infatti, sono state pronunciate da Davis nell’aula magna della facoltà di Lettere dell’Università di Roma Tre, nel corso di un incontro ufficiale organizzato dall’istituzione universitaria. Le cinquecento poltrone dell’aula non sono bastate a contenere tutto il pubblico, composto in gran parte di compagne e compagne, e molti si sono seduti a terra o sono rimasti in piedi. Era la prima volta che quell’aula era così piena, come ha notato il rettore dell’Università Mario Panizza in una pantomima introduttiva in cui, probabilmente per fare bella figura con l’ospite straniera, invitava a continuare a leggere Marx.

A riempirla per la prima volta, a quanto pare, è dunque riuscita proprio Angela Davis: e ciò dimostra come la forza del suo esempio e di quello del Black Panther Party sia ancora forte tra i compagni. Militante del Partito comunista dal 1968 e, in seguito, del BPP (almeno fino a quando le pantere nere decisero che la militanza nell’organizzazione non era compatibile con quella in altri partiti e Davis scelse il partito comunista), a lungo imprigionata per “terrorismo” a causa soprattutto dei suoi rapporti con George Jackson, e poi liberata dopo una vastissima campagna internazionale, Angela Davis è oggi docente universitaria e attiva nel movimento Black Lives Matter (BLM): da molto tempo è impegnata nello studio delle interconnessioni tra classe, razza e genere e, negli ultimi anni, nella lotta per l’abolizione del carcere. Una figura di militante politica comunista importantissima, oggi come quarantacinque anni fa, a dispetto della scandalosa “breve biografia” pubblicata sul sito di Roma Tre, in cui la sua figura è stata quasi completamente depoliticizzata, la sua militanza ridotta a “coinvolgimento” (??) «nei movimenti per la giustizia sociale in tutto il mondo grazie al suo attivismo e al suo impegno decennale» e la sua persona presentata come una che «con il suo lavoro di educatrice – sia a livello universitario che nell’ambito pubblico più ampio – ha sempre sostenuto l’importanza di costruire comunità militanti per la giustizia economica, razziale e di genere» (con il suo lavoro di educatrice??). Una depoliticizzazione così ricercata che, nell’elenco delle sue pubblicazioni, è persino scomparsa la sua Autobiografia di una rivoluzionaria: forse il titolo sembrava troppo estremista. Una depoliticizzazione che fa il paio con l’intervista a Davis di Antonio Gnoli uscita su «Repubblica», che non ha saputo far meglio che chiedere alla militante afroamericana dei suoi incontri con Adorno e Marcuse, della musica, del suo giudizio sul post-moderno, della sua infanzia.

mercoledì 16 marzo 2016

Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo* - Raniero Panzieri


   "La stessa facilità del lavoro diventa un mezzo di tortura, giacché la macchina non libera dal lavoro l'operaio, ma toglie il contenuto al suo lavoro. E' fenomeno comune a tutta la produzione capitalistica in quanto non sia soltanto processo lavorativo, ma anche processo di valorizzazione del capitale, che non è l'operaio ad adoprare la condizione del lavoro ma viceversa, la condizione del lavoro ad adoperare l'operaio; ma questo capovolgimento viene ad avere soltanto con le macchine una realtà tecnicamente evidente. Mediante la sua trasformazione in macchina automatica il mezzo di lavoro si contrappone all'operaio durante lo stesso processo  lavorativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia la forza-lavoro vivente." (K. Marx, Il Capitale)


Lo sviluppo capitalistico della tecnologia comporta, attraverso le diverse fasi della razionalizzazione, di forme sempre più raffinate di integrazione ecc., un aumento crescente del controllo capitalistico. Il fattore fondamentale di questo processo è il crescente numero del capitale costante rispetto al capitale variabile. Nel capitalismo contemporaneo, come è noto, la pianificazione capitalistica si ampia smisuratamente con il passaggio a forme monopolistiche e oligopolistiche, che implicano il progressivo estendersi della pianificazione dalla fabbrica al mercato, all'area sociale esterna.

Nessun "oggettivo" occulto fattore, insito negli aspetti di sviluppo tecnologico o di programmazione nella società capitalistica di oggi, esiste, tale da garantire lì"automatica" trasformazione o il "necessario" rovesciamento dei rapporti esistenti. Le nuove "basi tecniche"via via raggiunte nella produzione costituiscono per il capitalismo nuove possibilità di consolidamento del suo potere. Ciò non significa, naturalmente, che non si accrescano nel contempo le possibilità di rovesciamento del sistema. Ma queste possibilità coincidono con il valore totalmente eversivo che, di fronte all'"ossatura oggettiva" sempre più indipendente del meccanismo capitalistico, tende ad assumere "l'insubordinazione operaia".

domenica 13 marzo 2016

La "Storia del marxismo" curata da Stefano Petrucciani* - Con una lettura di Roberto Finelli

*Da:   http://materialismostorico.blogspot.it/  


Obiettivo dei tre volumi della Storia del marxismo è tracciare una mappa delle molte avventure di pensiero che, a partire dal 1883, anno della morte di Marx, si sono dipanate prendendo le mosse dalla sua eredità. Ripercorrere quasi un secolo e mezzo di storia intellettuale, come i tre volumi cercano di fare, può essere utile anche per contestualizzare ciò che di nuovo si viene scoprendo, attorno alle questioni marxiane, nella ripresa di studi su Marx alla quale assistiamo da qualche anno. 




I. Socialdemocrazia, revisionismo, rivoluzione (1848-1945)
II. Comunismi e teorie critiche nel secondo Novecento
III.  Economia, politica, cultura: Marx oggi  




Stefano Petrucciani Manifesto 8.12.2015



   L’impatto che Karl Marx ha avuto sulla storia del XIX e del XX secolo è stato così forte da non poter essere paragonato a quello di nessun altro pensatore. Solo i fondatori delle grandi religioni hanno lasciato alla storia del mondo una eredità più grande, influente e persistente di quella che si deve al pensatore di Treviri. Ma per capire che tipo di influenza ha avuto la figura di Marx sulla storia del suo tempo e di quello successivo, bisogna mettere a fuoco un aspetto che concorre con altri a determinarne la singolarità: l’attività di Marx si è caratterizzata per il fatto che Marx è stato al tempo stesso un pensatore e un organizzatore/leader politico, e di statura straordinaria in entrambi i campi. Notevolissima è stata la ricaduta che le sue teorie hanno avuto sul pensiero sociale, filosofico e storico, ma ancor più grande, anche se non immediato, è stato l’impatto che la sua attività di dirigente politico (dalla stesura del Manifesto del Partito Comunista alla fondazione della Prima Internazionale) ha lasciato alla storia successiva. 

Certo, una duplice dimensione di questo tipo non appartiene solo a Marx: la si può anche ritrovare in grandi leader che furono suoi antagonisti, da Proudhon a Mazzini a Bakunin. Ma in Marx entrambe le dimensioni, quella della costruzione teorica e quella della visione politica, attingono una potenza che manca a questi suoi pur importanti antagonisti. Sul piano della organizzazione politica dall’attività di Marx sono infatti derivati, nel tempo e attraverso complesse mediazioni, i partiti socialdemocratici e poi quelli comunisti che hanno inciso così largamente nella storia del Novecento. Sul piano teorico, invece, Marx ha influenzato, e continua a segnare ancora oggi, una parte non trascurabile della cultura che dopo di lui si è sviluppata.

La forza degli inediti 

Un aspetto di questa duplice eredità di Marx è stato proprio quello che si suole definire «marxismo». Anche la realtà politico-culturale che si designa con questo termine è stata qualcosa di assai singolare perché ha avuto una duplice natura: da un lato è stata una corrente culturale presente in modo più o meno intenso nei vari ambiti disciplinari, dall’altro è stata anche il riferimento «statutario» di partiti e organizzazioni politiche (socialiste o comuniste): cosicché le discussioni sul marxismo per un verso si sono dipanate come un libero dibattito culturale, per altro verso sono state un elemento della lotta politica tra frazioni e gruppi all’interno del movimento operaio e dei suoi partiti. 

Ma che rapporto c’è tra il pensiero Marx e il «marxismo»? Un primo aspetto che deve essere messo a fuoco, se si vuole ragionare su questo punto, è che la conoscenza e la diffusione dell’opera di Marx è stata, durante la sua vita e nel tempo immediatamente successivo, decisamente molto limitata. Anzi si potrebbe dire che, su questo tema, viene alla luce una sorta di contraddizione. Colui che è divenuto la fonte ispiratrice di un «ismo», e cioè di qualcosa che comporta inevitabilmente una certa dogmatizzazione, aveva con la propria opera un rapporto decisamente molto critico e problematico. 

venerdì 11 marzo 2016

Dialoghi di profughi IV* - Bertolt Brecht


IL MONUMENTO AL GRANDE POETA KIVI. – I POVERACCI VENGONO EDIFICATI ALLA VIRTU’. – PORNOGRAFIA.

In una bella giornata Ziffel e Kalle fecero un po’ di strada insieme, conversando. Attraversarono la piazza della stazione e si fermarono dinanzi a un gran monumento di pietra che rappresentava un uomo seduto.

ZIFFEL         Questo è Kivi, di cui tutti dicono che bisognerebbe leggere qualcosa.

KALLE          Deve essere stato un buon poeta, però è morto di fame. Il poetare non gli ha fatto bene alla salute.

ZIFFEL         Ho sentito dire che qui fa parte dei costumi del paese che i migliori poeti muoiano di fame. C’è tuttavia qualche eccezione, visto che alcuni si dice siano morti alcolizzati.

KALLE          Vorrei sapere perché l’hanno messo lì a sedere davanti alla stazione.

ZIFFEL         Probabilmente come esempio ammonitore. Loro ottengono tutto con le minacce. Lo scultore ha il senso dell’umorismo: gli ha dato infatti uno sguardo trasognato, come se stesse sognando una crosta di pane a sua piena disposizione.

KALLE          Però ci sono anche artisti che hanno detto al pubblico quel che ne pensavano.

ZIFFEL         Si, ma per lo più in forma poetica, o comunque poco chiara. Questo mi fa ricordare la storiella, che ho letto una volta da qualche parte, dell’uomo nell’altra stanza. Una donna, dunque, aveva una relazione con un tizio che chiameremo Y e che in fondo disprezzava, e un altro uomo – chiamiamolo X – era venuto a saperlo. Ora, poiché ci teneva alla stima di costui, arrangiò le cose in  modo tale che, una volta che era a letto con Y, l’altro si trovasse nella stanza accanto e potesse sentir bene tutto. Il suo piano era basato sul fatto che X udiva, ma non vedeva. Y era ormai un po’ freddo con lei, sicché bisognava che lei lo eccitasse. Per esempio quella si aggiusta il reggicalze, e Y vede benissimo, e nello stesso tempo gli dice qualcosa di sprezzante, e X sente benissimo. E così va avanti. Gli si butta addosso, e intanto geme «giù le mani!»; gli mostra il didietro, e rantola «non mi lascio violentare», si mette prona, puntellando il corpo con le ginocchia, e grida «porco!»: e Y vede, e X sente, e la dignità della donna è salva. Un caso simile era quello di un poeta che declamava in un cabaret, e prima andava sempre in cortile a insudiciarsi le scarpe, perché il pubblico vedesse che per la sua bella faccia non si puliva nemmeno le scarpe.

mercoledì 9 marzo 2016

Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra* - Gabriella Giudici



 "Operai!
  a voi dedico un’opera nella quale mi sono sforzato di presentare ai miei compatrioti tedeschi un quadro fedele delle vostre condizioni, delle vostre sofferenze e lotte, delle vostre speranze e prospettive.

  Ho vissuto abbastanza a lungo tra voi per avere una certa conoscenza delle vostre condizioni d’esistenza, al cui studio ho dedicato la più seria attenzione, esaminando i vari documenti ufficiali e non ufficiali, nella misura in cui sono riuscito a procurarmeli. Ma non mi sono accontentato di questo: volevo qualcosa di più della semplice conoscenza astratta del mio soggetto, volevo vedervi nelle vostre stesse case, osservarvi nella vostra vita di tutti i giorni, discorrere con voi sul vostro stato e sui vostri tormenti, essere testimone delle vostre lotte contro il potere sociale e politico dei vostro oppressori.
Ho fatto così, ho rinunciato alla compagnia e ai trattenimenti, al vino di Porto e allo champagne delle classi medie, ho dedicato le mie ore libere quasi esclusivamente a frequentare semplici operai; sono insieme contento e fiero di averlo fatto. Contento, perché in tal modo sono stato indotto a trascorrere piu di un’ora felice, imparando a conoscere la realtà della vita, ore che altrimenti sarebbero state dissipate in conversazioni mondane e in tediosi cerimoniali; fiero, perché ho avuto cosi la possibilità di rendere giustizia ad una classe oppressa e calunniata di uomini che, con tutti i loro difetti e in mezzo a tutti i disagi della loro situazione, si impongono tuttavia al rispetto di chiunque non sia un affarista inglese.

  […] avendo ampia occasione di osservare le classi medie, vostre avversarie, ben presto sono giunto a concludere che voi avete ragione, perfettamente ragione, di non aspettarvi alcun appoggio da esse. I loro interessi sono diametralmente opposti ai vostri, sebbene esse cerchino sempre di sostenere il contrario e di farvi credere che nutrono la più fervida simpatia per la vostra sorte. […] Hanno fatto forse qualcosa di più che pagare le spese di una mezza dozzina di commissioni d’inchiesta, i cui voluminosi rapporti sono condannati a dormire in perpetuo tra cataste di cartacce negli scaffali del Home Office? Hanno almeno tratto da questi libri azzurri che stanno ammuffendo un solo libro leggibile, dal quale ognuno possa attingere con facilità qualche informazione sulle condizioni della grande maggioranza dei « liberi britanni »? Non son stati essi a farlo, naturalmente; queste sono cose delle quali non amano parlare.

  Hanno lasciato a uno straniero il compito di informare il mondo civile sulla situazione degradante nella quale siete costretti a vivere. Uno straniero per loro, non per voi, spero: il il mio inglese non sarà perfetto, ma spero che voi tuttavia, lo troverete chiaro. Nessun operaio in Inghilterra mi ha mai trattato da straniero. Con grande gioia ho osservato che voi siete immuni da quella terribile maledizione che sono i pregiudizi e l’orgoglio nazionali che oltretutto non sono altro che egoismo all’ingrosso. Ho osservato che voi simpatizzate seriamente con chiunque dedichi le proprie forze al progresso umano – sia o no inglese – che ammirate ogni cosa grande e buona, sia essa germogliata o no sul vostro suolo, ho trovato che siete qualcosa in più che inglesi puri e semplici, siete uomini […] i quali sanno che i propri interessi coincidono con quelli di tutto il genere umano.

  E come tali, come membri di questa famiglia dell’umanità «una e indivisibile», come esseri umani nel senso più pieno della parola, io, e molti altri sul continente, plaudiamo al vostro progresso in tutte le direzioni e vi auguriamo un rapido successo. Andate avanti come avete fatto finora. Molte cose ancora ci saranno da affrontare, siate decisi, siate impavidi, il vostro successo è certo e nessun passo da voi compiuto nella vostra marcia in avanti sarà perduto per la nostra causa comune, la causa dell’umanità!."

Barmen (Prussia renana), 15 marzo 1845 


martedì 8 marzo 2016

La storia dell'8 marzo...* - Giovanna Vertova




Mi piacerebbe qui ricordare la storia della Giornata Internazionale delle Donne (GID), affinché si impari a distinguere questa dalle cosiddette “feste” (festa della mamma, festa del papà, san valentino, ect.) che sono state inventate per puro spirito di consumismo. La GID non è una “festa” ma una  giornata di memoria. La storia della GID è legata a tutte quelle rivendicazioni per il lavoro, per il voto, per l’istruzione, per la possibilità di occupare posizioni pubbliche, per porre fine alle discriminazioni, portate avanti dalle donne agli inizi del 1900.

Ed è una storia lunga! Cercherò qui di riassumerla brevemente.

Nel 1908, 15.000 donne marciarono nella città di New York per chiedere l’accorciamento della giornata lavorativa, paghe migliori e il diritto di voto.

Nel 1909, con la Dichiarazione del Partito Socialista d’America, la prima GID venne celebrata negli Stati Uniti. La data era il 28 febbraio.

Nel 1910, a Copenhagen, durante la conferenza dell’Internazionale Socialista Clara Zetkin (figura prominente del movimento internazionale dei lavoratori, spartachista e tra i fondatori del Partito Comunista tedesco) propose che, ogni anno, in ciascun paese, si celebrasse una GID. La Conferenza, composta da donne di più di 17 paesi, che militavano attivamente in sindacati, in partiti socialisti e comunisti, in gruppi di lavoratrici, accettarono all’unanimità la proposta della Zetkin. Ma nessuna data venne proposta.
Il 19 marzo 1911, a seguito della decisione presa a Copenhagen, la prima GID venne celebrata in Austria, in Danimarca, in Germania e in Svizzera.

Meno di una settimana dopo avvenne il tragico fatto del “Triangle Fire”. Il 25 marzo 1911 scoppiò un incendio nella Triangle Shirtwaist Company di New York (che era una fabbrica di abbigliamento). Questo incendio fu un evento significativo perché portò alla ribalta le disumane condizioni di lavoro dell’industrializzazione statunitense. La Triangle Waist Company era una tipica fabbrica “del sudore” nel cuore di Manhattan dove regnavano bassi salari, ore di lavoro lunghissime, condizioni di lavoro malsane e pericolose.
Verso l’ora di chiusura scoppiò un incendio accidentale. Poiché era un periodo di agitazioni operarie, i proprietari avevano chiuso a chiave le porte, per impedire che le operaie potessero uscire a scioperare. A seguito dell’incendio morirono 146 donne (delle 500 dipendenti), quasi tutte immigrate italiane ed ebree, in parte bruciate e soffocate e in parte per essersi buttate dalle finestre nel tentativo di scappare.

Le lavoratrici sopravvissute raccontarono dei loro inutili sforzi per aprire le porte del nono piano per accedere alle scale e poter, così, sfuggire all’incendio. Altre lavoratrici aspettarono vicino alle finestre che i pompieri venissero a salvarle, solo per scoprire che le scale dei pompieri erano troppo corte e non riuscivano a raggiungere i piani dove si trovavano loro. Subito dopo l’incendio si alzarono voci di protesta, scioccate per la scarsa preoccupazione delle condizioni delle lavoratrici e per l’avidità che aveva permesso tutto ciò. Entro un mese dall’incendio, il governatore dello stato di New York designò una commissione per indagare sull’evento. Per 5 anni questa commissione condusse una serie di inchieste il cui risultato fu l’approvazione di una legislazione sulla sicurezza nelle fabbriche. 

Nonostante, quindi, non ci sia alcun rapporto tra questi fatti e l’8 marzo, questo evento attirò l’attenzione sulle condizioni di lavoro delle donne negli USA.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale delle donne russe, che manifestavano per la pace, celebrarono la loro prima GID (era il 13 febbraio).

Nell’ultima domenica di febbraio del 1917, sempre delle donne russe iniziarono uno sciopero per “il pane e la pace” come risposta ai 2 milioni di soldati russi morti in guerra. La data di inizio dello sciopero era il 23 febbraio nel calendario Giuliano, che corrisponde all’8 marzo in quello gregoriano.

Ecco fissata la data per la GID. La GID quindi non è una “festa”, ma la celebrazione delle lotte delle donne, fatte di sudore e di sangue, per la rivendicazione dei loro diritti.

Purtroppo, negli ultimi decenni, si è persa questa memoria storica.

Oggi si vive nell’illusione che le disuguaglianze tra donne e uomini siano sparite. Certo, sempre più donne entrano nel mondo del lavoro, e, certo, la legislazione per la parità ha fatto passi da gigante dai primi decenni del 1900.

Tuttavia, le disuguaglianze persistono ancora oggi. Nel mondo del lavoro, le donne subiscono una segregazione verticale (glass ceiling), cioè la difficoltà di raggiungere le posizioni apicali della carriera; una segregazione orizzontale, cioè le donne occupate sono concentrate in alcuni settori e/o professioni ritenute, socialmente e culturalmente, “femminili”; il gender pay gap, cioè differenze retributive anche a parità di lavoro; maggior flessibilità, cioè la maggior parte dei contratti atipici riguarda le donne.

Nella vita privata, ancora oggi le donne svolgono la maggior parte del lavoro di cura non pagato, rendendo difficile, per loro e solo per loro, la conciliazione tra lavoro pagato fuori casa e lavoro non pagato in casa.

Nella vita pubblica, ancora oggi le donne sono poco presenti.
Inoltre, rimane l’annoso problema della violenza sulle donne che nessuna istituzione pubblica italiana vuole cercare di risolvere.

La memoria storica dovrebbe servirci per ricordare la strada fatta dalle donne ma, soprattutto, quella che c’è ancora da fare. 

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8 marzo giornata internazionale di lotta delle donne proletarie, dovrebbe essere.

Mi sono riletta quello che scrissi anni fa sulle donne -Lecce, 9 marzo 2000 – 3 Marzo 2001 -

Che la situazione non solo delle donne ma di tutti gli esseri umani sia peggiorata mi pare inconfutabile. Intanto rispetto a quello che dicevo una cosa mi colpisce. che oggi non si è solo uomini o donne, omosessuali e lesbiche ma si è anche LGBT.

A parte il fatto, orrendo per me. di mettere i cartellini agli ESSERI UMANI, c’è il fatto che le gente (non le persone) sono orgogliose di essere stampigliate e di ridurre il loro essere in una sigla.

(Tra)lasciando considerazioni di ordine etico che potrebbero essere fatte in merito, resta il dato di fatto che si va verso ulteriori frammentazioni, che ogni categoria pensa al problema suo, e ogni categoria rivendica qualche diritto del cazzo allo Stato, diritto del cazzo, perchè nella società capitalista, tutti siamo merce : il diritto è del più forte, cioè del capitale che ha i mezzi di produzione e se ti concede un diritto te lo concede perché gli è conveniente, perché remunerativo per lui capitale, altrimenti , nisba!

Redditiva oggi e la “festa” delle donne: il mercatino dello strausato non solo delle frasi fatte e dei cioccolatari e dei fioristi, ma pure degli sproloqui della retorica del cazzo di mezzi di informazione e di politicanti di tutti i generi, almeno una volta avevamo intellettuali borghesi che parlavano senza montarsi la testa! Stamani mi sono svegliata al suono di “son la mondina son la sfruttata” bene, si sono appropriati anche di questa che era una canzone delle donne SFRUTTATE IN LOTTA, se non c’è lotta, si può anche cantare….

Rileggendo quelle notarelle e le varie esperienze di donne riportate , una cosa è chiara che la situazione è ulteriormente peggiorata e che ora i salari sono diminuiti e lo sfruttamento è peggiorato, per tutti, e quindi le donne
per la condizione di doppio sfruttamento in famiglia e nella società scontano un prezzo maggiorato di infelicità e sfruttamento : guardate i dati di violenza e uccisioni di donne come sono aumentati in modo esponenziale.


Per me questo giorno resta sempre il giorno di LOTTA INTERNAZIONALE DELLE DONNE PROLETARIE CONTRO LO SFRUTTAMENTO CAPITALISTA. ANCHE CON L’AMAREZZA CHE ORMAI NON C’E DI FATTO UN PROLETARIATO, MA UN Lumpenproletariat diffuso.
vittoria L’Avamposto degli Incompatibili 




lunedì 7 marzo 2016

RELIGIONE, FONDAMENTALISMI, VIOLENZA* - Alessandra Ciattini

*Da:       http://www.lacittafutura.it/ 


 Cominciamo con chiederci: cos'è la religione? Tale risposta ci fornirà indizi per comprendere come dalla problematica religiosa germoglino talvolta violente manifestazioni di intolleranza, assai preoccupanti perché la guerra odierna si fonda su un raffinato armamentario tecnologico altamente distruttivo. Cercheremo di illustrare, poi, le diverse forme del fondamentalismo, mostrando che non è un fenomeno esclusivamente islamico e che, se da sola la religione non può scatenare le guerre, tuttavia, può giocare in esse un ruolo importante e decisivo.


L'ascesa del cosiddetto Stato Islamico e lo spazio che esso occupa nella cultura massmediatica contemporanea rendono urgente una riflessione equilibrata e ponderata sulla relazione tra tre elementi, spesso sbrigativamente interconnessi a fini demagogici: religione, fondamentalismi, violenza. 

Questa riflessione non può non prendere le mosse da una questione di non poco conto, che la cultura massmediatica nemmeno si pone: cosa è la religione? Come la definiamo? La risposta a questa domanda non è facile, giacché in primo luogo nella nostra società e cultura la religione è tout courtidentificata con il cristianesimo e considerata la massima espressione dell'eticità e della spiritualità, come se tali aspetti non fossero anche presenti ed operanti in altre forme di attività pratica e intellettuale, come per esempio la riflessione scientifica.

Se si prendono in considerazione le varie opere, anche monumentali, dedicate al tema della riflessione sulla religione, anche scorrendo solo l'indice, ci si renderà conto che non c'è un'unanimità di punti di vista tra gli studiosi dell'argomento, e che le risposte date alla domanda sopra formulata sono assai diverse, in funzione anche degli aspetti specifici che vengono posti in risalto da questi ultimi. Questa diversità di impostazione, del resto riscontrabile nei diversi ambiti delle scienze umane, non deve impedirci di prendere posizione, chiarendo ovviamente le ragioni che stanno alla base della prospettiva teorica che si intende scegliere. Ovviamente la natura di questo breve intervento mi impedisce di approfondire in maniera soddisfacente il senso di tali ragioni e di illustrare i vantaggi interpretativi ed esplicativi della prospettiva da me proposta. Aggiungo che la mia definizione di religione non è assolutamente nuova e si limita a cercare di integrare in maniera implicita prospettive diverse tra loro, ma non contraddittorie.

sabato 5 marzo 2016

Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi


 Scritto per il convegno internazionale “Una candela che brucia dalle due parti. Rosa Luxemburg e la critica dell’economia politica” (organizzato da Riccardo Bellofiore, 16-18 dicembre 2004, Università degli studi di Bergamo). 


I rivoluzionari, specie comunisti, vengono oggi comunemente rappresentati come gente di ferro, senza anima, oppure come fanatici: comunque spietati e disumani, combattenti per principi astratti e lontani dalla concreta reale vita degli individui – i soli apparentemente privilegiati dalle ideologie correnti. Qualora si tratti di donne, ovviamente le si rappresenta prive di quanto genericamente (e spesso impropriamente) vien definito femminilità. 

Leggo sul numero dello scorso 14 ottobre della Far Eastern Economic Review una recensione, di Jason Overdorf, del romanzo autobiografico War Trash di Ha Jin, dove si dice «[Yu, il protagonista] più osserva le decisioni dei dirigenti del partito nel campo – per esempio, lotte simboliche per sventolare la bandiera cinese – più arriva a credere che la loro fede non lascia spazio all’umanità. ‘Ero ambivalente sul tentativo di recuperare la bandiera’. Yu riflette: ‘Da un lato, ammiravo il coraggio mostrato dai nostri uomini, e per un verso ero colpito da reverente timore per la loro passione e per l’audacia che – dovevo ammetterlo – io non possedevo. Dall’altro lato, mi chiedevo se valesse la pena di perdere la vita di un uomo per una bandiera che, per quanto simbolica, era solo un pezzo di stoffa.’ Rendendo esplicito il sorprendente parallelo fra fervente comunismo e fanatismo religioso, Yu conclude: ‘Avevo notato una sorta di fanatismo religioso in alcuni di quegli uomini, capaci di rinunciare alla loro vita per un’idea’». 

La mozione che nella difesa dell’individuo anche al livello minimo implica una rivendicazione di umanità contro la mistificazione delle grandi idee, religiose o laiche, ha una valenza positiva e anzi rivoluzionaria ogni qual volta quanti sono in possesso degli strumenti di dominio, valendosi strumentalmente e falsamente delle grandi idee, mirano ad assoggettare gli individui per altri fini. Un grande significato positivo ha avuto una simile mozione al tempo della prima guerra mondiale, quando le bandiere dei vari patriottismi venivano sventolate a coprire la carneficina promossa da quelli che Lenin chiamò “i briganti coronati” e gli sporchi interessi di cui erano rappresentanti. Ma allora contro il patriottismo – valido in tempi precedenti e ormai esaurito, la cui bandiera era divenuta effettivamente solo un pezzo di stoffa – la difesa degli individui si accompagnava all’affermazione di valori altri e più alti, assunti da moltitudini associate nella lotta; portatrici di nuove bandiere: di nuove idee, corrispondenti alle esigenze reali del tempo, e tali da motivare, nuovamente, anche il sacrificio dei singoli individui che in esse si riconoscevano: non una menzogna al fine della propria dipendenza ma uno strumento per la propria affermazione. 

Reddito minimo: i problemi aperti* - Antonella Stirati


L’obiettivo di un reddito di cittadinanza è non solo poco realistico, ma anche poco interessante, mentre quello di un reddito minimo garantito, inteso come una riforma di ampliamento del welfare, è auspicabile, ma difficilmente sostenibile se non si associa a politiche di pieno impiego[1]. Non a caso, i bassi tassi di occupazione che esistono in Italia rappresentano un ostacolo molto serio alla realizzazione di un reddito minimo garantito di tipo universalistico.

Esiste una grande varietà e articolazione di proposte che possiamo a grandi linee classificare a seconda del modo prevalente di concepire il reddito minimo:
– Garanzia di un reddito a chi non ha un lavoro (più ampia)
– Strumento di lotta alla povertà attraverso una rete di protezione minima che garantisca un reddito minimo ‘di sussistenza’ (più restrittiva)

Consideriamo la prima concezione. Questo strumento non dovrebbe sostituire cassa integrazione e sussidi di disoccupazione già esistenti e basati sulla contribuzione obbligatoria.[2] Il reddito garantito dovrebbe quindi rivolgersi a) a chi ha esaurito o non ha accesso a quei due strumenti; b) alle persone in cerca prima occupazione.

Questo può essere fatto:

1) in modo universalistico: tutti coloro che non hanno una occupazione con unica condizione la disponibilità ad accettare le proposte di lavoro (con regolare contratto e coerenti con il proprio profilo professionale) e che passano per appositi uffici di collocamento.

2) Non solo in base alle condizioni precedenti ma anche sulla base di condizioni di bisogno economico.
In via di principio la prima sarebbe preferibile per varie ragioni: l’universalità è garanzia contro distorsioni legate a clientelismo, corruzione o evasione fiscale, i costi di gestione sono minori; ed anche in via di principio la garanzia di un reddito dovrebbe riguardare tutti anche, ad esempio, giovani provenienti da famiglie che non sono povere ma che ambiscono ad una autonomia dalla famiglia di provenienza. Ma è sostenibile?

venerdì 4 marzo 2016

INTERPRETARE HEGEL (per) INTERPRETARE MARX - Stefano Garroni


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giovedì 3 marzo 2016

Capire un sistema monetario: Gold Standard, Dollar Standard, Euro - Marcello De Cecco

Leggi anche:   http://www.emilianobrancaccio.it/2016/03/04/marcello-de-cecco-la-lucida-eresia-di-un-protezionismo-moderato/

Moneta unica (corso dei cambi)* - Gianfranco Pala

*Da:   http://www.gianfrancopala.tk/    (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole 


Sono ormai tanti gli anni di liturgiche litanìe passati intorno all’altare di Maastricht – tra vicissitudini varie, crisi reali e bolle speculative, en­trate e uscite dal serpentesco sistema monetario europeo, e tante altre amenità che certo non dipendono dai protocolli di Maastricht, i quali ne sono semmai solo un effetto. I cosiddetti “parametri di convergenza”, scritti in tedesco dai rappresentanti del grande capitale monopolistico finanziario a base europea, costituiscono il simulacro dietro il quale si celano i governi nazionali. La real­tà è tutta un’altra cosa. Tra l’altro perché essa procede per suo conto, antici­pando scadenze e slittamenti convenuti in via istituzionale. Una delle cerimonie più seguite è quella della Uem, riguardante l’unione mo­netaria europea, che ha come rito simbolico il segno della “moneta unica”. Appunto quella moneta segno, come anche Marx intese chiamarla, che con­venzionalmente caratterizza la denominazione del denaro che circola su un mercato nazionale. Proprio di questo si tratta, e quel mercato nazionale è ora il mercato unico della “nazione” europea. E come tale la questione va consi­derata.

Il passaggio da un mercato locale a un mercato nazionale è un processo stori­co che ha i suoi tempi definiti dall’allargamento della produzione e dell’accu­mulazione in quell’area. La storia della nascita e dell’ascesa del capitalismo inglese costituisce un utile insegnamento. E così quella del passaggio dal mercato nazionale inglese al mercato mondiale dell’ottocento, per il movi­mento delle merci, prima, e dei capitali britannici, poi. In un’epoca in cui, pu­re, era più immediato il riferimento al tallone aureo (gold standard), l’affermazio­ne della sterlina come moneta rappresentativa del denaro universale sul mercato mondiale si basava unicamente sulla capacità di dominio e accentra­mento unificante del capitale inglese sulla via dell’imperialismo.

Così stanno le cose per l’euro oggi. [Occorrerebbe rammentare le determina­zioni di “denaro”, in quanto merce, valore, distinte da quelle di “moneta”, se­gno e simbolo di una misura di valore predeterminata, insieme alle forme di passaggio da moneta locale a moneta nazionale, ossia da moneta “nazionale” a moneta europea. Ma è un’analisi più lunga da svolgere in altro momento]. Se si considera l’Europa come una “nazione” il cui mercato è in formazione, conseguentemente occorre analizzarne le componenti e le forme dominanti. Dunque, serve valutarne le tendenze e i tempi di effettiva integrazione. Tali tendenze e tempi non tengono in alcun conto le vicissitudini dei compromessi politici e delle rappresentazioni ideologiche. Seguono piuttosto le fasi della crisi, in maniera che gli slittamenti e i ritardi del processo di formazione del mercato unico corrispondano alle difficoltà della ripresa del ciclo di accumu­lazione del capitale. Nel frattempo i rapporti reali della produzione si consoli­dano e fanno prevalere chi ha più forza.

mercoledì 2 marzo 2016

"Non è finita finché non inizia a cantare la cantante grassa". Di cosa dovremmo parlare quando parliamo dei paesi europei - Riccardo Bellofiore



Il teorema dell'orcio della vedova (le equazioni macroeconomiche del profitto): mentre le famiglie (o salariati) spendono ciò che guadagnano, le imprese (o capitalisti) guadagnano ciò che spendono. 

martedì 1 marzo 2016

La responsabilità sociale del filosofo* - György Lukács

*Da:    https://gyorgylukacs.wordpress.com/2016/02/21/la-responsabilita-sociale-del-filosofo/


[Die soziale Verantwortung des Philosophen, 1960 ca., inedito, trad. it. Vittoria Franco, in G. L., La responsabilità sociale del filosofo, Pacini Fazzi, Lucca 989]

Devo scusarmi subito in apertura se arriverò a rispondere alla questione solo dopo lunghi giri. Primo, [perché] mi sembra che la questione in sé non sia stata finora sufficientemente chiarita. Secondo, e più importante, perché scorgo nella situazione attuale problemi del tutto particolari, che rinviano oltre una specificazione normale della questione generale e la cui analisi soltanto consente teoricamente una risposta concreta.

I nostri ragionamenti devono dunque culminare nelle due questioni seguenti, fra di loro strettamente connesse: esiste una responsabilità specifica del filosofo, che va oltre la responsabilità normale di ogni uomo per la propria vita, per quella dei suoi simili, per la società in cui vive e il suo futuro? E inoltre: tale responsabilità nella nostra epoca ha acquistato una forma particolare? Per la teoria dell’etica, entrambe le questioni implicano il problema se la responsabilità contenga un momento storico-sociale costitutivo. È un interrogativo che va posto subito all’inizio, giacché proprio l’etica moderna, specialmente quella che si è sviluppata sotto l’influenza di Schopenhauer prima e di Kierkegaard poi, pone l’accento sul fatto che il comportamento etico dell’individuo «gettato» nella vita mira proprio a tenersi lontano da tutto ciò che è storico-sociale per pervenire all’essere ontologico, in contrapposizione netta a tutto l’essente. È ovviamente impossibile trattare qui, sia pure per grandi linee, tutto questo complesso di problemi. Possiamo occuparci solo di quegli aspetti che riguardano oggettivamente il nostro problema.