giovedì 30 agosto 2018

Che cosa vuole la Lega Spartaco - Rosa Luxemburg (1918)

Tratto da Rivoluzione e controrivoluzione in Germania pubblicato dalle edizioni Pantarei nel 2001. https://www.marxists.org - http://www.sitocomunista.it

Leggi anche: Rosa Luxemburg 
                    ROSA LUXEMBURG: RIVOLUZIONARIA, DONNA, FEMMINISTA

Vedi anche: ROSA L.- Margarethe Von Trotta
                    
                                                 Pubblicato per la prima volta su Rote Fahne, 14 dicembre 1918. 
                                                        
                                                                         I 
                                                                                                              
        Il 9 novembre gli operai e i soldati hanno rovesciato il regime che regnava in Germania. Sui campi di battaglia della Francia si è spenta la follia assassina del militarismo prussiano. La banda criminale che ha appiccato l'incendio al mondo sommergendo la Germania in un mare di sangue è finita in un vicolo cieco. Il popolo è stato vittima di un inganno che per quattro interi anni lo ha asservito al moloc della guerra, facendogli dimenticare il suo dovere civile, il senso dell'onore e dell'umanità, e che lo ha trascinato a ogni genere di scelleratezza. Ora, sull'orlo del precipizio, si è risvegliato dal quadriennale torpore.

Il 9 novembre il proletariato tedesco si è ribellato al giogo infame che lo opprimeva. Gli Hohenzollern sono stati cacciati e al loro posto sono stati eletti i consigli degli operai e dei soldati.

Ma gli Hohenzollern non erano altro che gli amministratori della borghesia imperialista e degli junker. Il dominio di classe della borghesia: ecco il vero responsabile della guerra mondiale sia in Germania che in Francia, sia in Russia che in Inghilterra, sia in Europa che in America. I veri artefici dello sterminio dei popoli di cui siamo stati testimoni sono i capitalisti di tutte le nazioni. Il capitale internazionale è l'insaziabile Ba'al nelle cui fauci sono state sacrificate milioni di vittime umane.

La guerra mondiale ha posto la società davanti all'alternativa: il mantenimento del capitalismo con nuove guerre che ben presto porteranno a un abisso di caos e anarchia o la soppressione dello sfruttamento capitalistico.

Con la fine della guerra mondiale il dominio di classe della borghesia ha perduto ogni diritto all'esistenza. Essa non è più in grado di trarre la società dal disastroso collasso economico provocato dall'orgia imperialistica.

La borghesia ha distrutto enormi quantità di mezzi di produzione, massacrato milioni di lavoratori, il nucleo migliore e più capace della classe operaia. I sopravvissuti troveranno al loro ritorno la miseria ghignante della disoccupazione. Le carestie e le malattie minacciano di svuotare il popolo di ogni energia. L'enorme fardello dei debiti di guerra provocherà una inevitabile bancarotta finanziaria dello Stato.

Non vi è difesa, né via d'uscita, né salvezza alcuna dal sanguinoso caos e dal baratro che si è spalancato, se non nel socialismo. Solo la rivoluzione mondiale del proletariato può ridare ordine a questo caos generale, può dare lavoro e pane a tutti, può porre fine al macello reciproco dei popoli, può portare pace, libertà e vera civiltà all'umanità prostrata. Basta con il sistema del lavoro salariato! Questa è la parola d'ordine del momento. Il lavoro associato deve prendere il posto del lavoro salariato e del dominio di classe. I mezzi di produzione non devono più essere monopolio di una classe, ma divenire bene comune di tutti. Non più sfruttatori e sfruttati! La produzione e la ripartizione dei prodotti devono rispondere all'interesse della comunità. Regolazione della produzione e ripartizione dei prodotti nell'interesse della comunità! Abolizione dell'attuale modo di produzione e di ripartizione, l'uno basato sullo sfruttamento e la rapina, l'altro sulla truffa!

Al posto dei padroni e dei loro schiavi salariati, liberi compagni di lavoro! Il lavoro non sia pena di nessuno, ma dovere di ciascuno! Un'esistenza degna dell'uomo sia assicurata a tutti coloro che adempiono il proprio dovere verso la società. La fame non sarà più la maledizione del lavoro, ma la punizione degli oziosi! Solo in una società basata su questi principi sarà possibile estirpare l'odio tra i popoli e la schiavitù. Solo se questa società sarà realizzata, la terra non sarà più profanata dallo sterminio di esseri umani. Solo allora potremo dire: questa guerra è l'ultima. Il socialismo è oggi l'unica ancora di salvezza dell'umanità. Sulle cadenti mura della società capitalista sfavilla, come un presagio impresso a lettere di fuoco, il monito del Manifesto comunistaSocialismo o regresso nella barbarie!

mercoledì 22 agosto 2018

Perché riflettere oggi sulla religione - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it/unigramsci - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2015/06/linferiorita-della-donna-tra-natura-e.html
                             https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/03/religione-fondamentalismi-violenza.html 

 

Vi sono tante ragioni per le quali vale la pena riflettere sulla religione, inquadrandola nella più ampia categoria di ideologia. Ne saranno indicate alcune alla base dei quattro incontri del corso Breve storia della riflessione sulla religione, tenuti all’Università popolare Antonio Gramsci. Di seguito i temi della prima lezione. 



Perché anche oggi, in un’epoca che per molti è caratterizzata dall’irreligiosità e dall’ateismo (cosa del tutto inesatta), è invece importante riflettere sulla religione, nelle sue diverse manifestazioni storiche anche assai diverse dal cristianesimo? Non solo perché essa costituisce l’ideologia più diffusa tra tutte le classi sociali e la più persistente nel tempo, ma anche perché rappresenta la più perfetta incarnazione dell’ideologia. Non è quindi un caso che l’autorevole filosofo britannico Terry Eagleton l’abbia definita “la più ideologica delle ideologie”. Già questa definizione mette in risalto che la religione deve essere ricompresa nella categoria più generale di ideologia, con tutte le conseguenze teoriche e pratiche che derivano da questa inclusione. Detto in altre parole, bisogna cominciare con il riflettere sull’ideologia, un concetto complesso, di cui si sono date varie letture e di cui si è discussa soprattutto la sua relazione con la cosiddetta infrastruttura, che nella riflessione marxista si dirama in diverse direzioni.
Questa riflessione sulla religione-ideologia è indispensabile a chi, ponendosi il problema della trasformazione dell’esistente, si interroga inevitabilmente sul livello di coscienza di coloro che dovrebbero essere gli attori del cambiamento, evitando – come spesso avviene – l’idealizzazione delle concezioni proprie delle masse popolari. L’interesse di Antonio Gramsci per le diverse forme di ideologia (compreso il folclore) è d’altra parte derivato da questa preoccupazione che è squisitamente politica, e che fa di un marxista un teorico che coniuga strettamente la teoria alla prassi. 

martedì 21 agosto 2018

lunedì 20 agosto 2018

Bertolt Brecht - Rossana Rossanda

Da: il Manifesto 05/08/2006 - http://www.sitocomunista.it - Rossana_Rossanda è una giornalista, scrittrice e traduttrice italiana, dirigente del PCI negli anni cinquanta e sessanta e cofondatrice de il manifesto, giornale con cui ha collaborato fino a novembre 2012.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/02/dialoghi-di-profughi-bertolt-brecht.html


Ho incontrato Brecht a Milano nel 1956 alla prova generale dell'Opera da tre soldi messa in scena da Giorgio Strehler con scandalo della borghesia milanese e dibattiti roventi al consiglio comunale. La censura era ancora in vigore e tale sarebbe rimasta fino a tutto il 1963. Il Piccolo Teatro, che aveva avuto il via della Presidenza del Consiglio, era in fibrillazione.

Brecht non veniva a sovrintendere, veniva e vedere. Grigio e composto nella giacca alla Mao, gli occhi acuti dietro alle lenti rotonde, frangetta sulla fronte sguarnita, era divertito della interpretazione di Strehler, tanto più colorita di quella sua, tutta percorsa da brividi, che avrei trovato qualche anno dopo a Berlino. Il testo, diceva, ha da essere usato come più conveniva per provocare nello spettatore quella reazione che impediva il consumo gastronomico dell'azione in scena, e ogni identificazione con il personaggio - il teatro era teatro, non doveva essere realistico, doveva estraniare.

E quella sera era straniato lui, contento che funzionasse una certa cagnara all'italiana, gli piacquero il Mackie Messer di Tino Carraro e Milly ripescata da Strehler e Grassi nel cabaret. Non sapeva gran che dell'Italia e ascoltava con qualche distanza l'estroversa loquela di Paolo Grassi. Aveva in mente di andare la mattina dopo ad Arcetri per vedere il luogo di Galileo, credeva fosse a due passi e lo dovetti disilludere. Doveva essere ricevuto dal sindaco a mezzogiorno, ma se ricordo bene non fece nessuna conferenza stampa, incontrò questo o quello, era cortese, sempre in giacca e tenendosi il berretto, voce quieta e pochi gesti - così anche dirigeva gli attori: pareva un insegnante di mezza età. Un poco diffidente e curioso. Non sembrava ammalato ma il cuore lo aveva tormentato fin dalla nascita. Sarebbe morto pochi mesi dopo, il 14 agosto, e nel 1960 sarei inciampata sulla sua tomba, due rocce davanti a un muretto nel cimitero delle Dorotee.

Lo accompagnai per due giorni, ma fra il suo riserbo e il mio tedesco, non si può dire che avessimo un vero dialogo. Ero intimidita. Fra Torino e Milano leggevamo tutto il suo teatro che Gerardo Guerrieri pubblicava per Einaudi traduzioni splendide -; alla Casa della Cultura, con la scusa che era un club privato, lo facemmo dire da Enrico Rame, fratello di Franca. Conoscevamo le poesie grazie a Fertonani ,e Fortini ci intratteneva sul Me-ti e Le storie da calendario. Eravamo alla vigilia del diluvio - rapporto segreto di Krusciov, rivoluzione ungherese, i carri sovietici a Budapest - e quando venne giù mi parve una benevolenza degli dei che Brecht fosse morto un mese prima.

domenica 19 agosto 2018

Fascismo. Misurare la parola. - Palmiro Togliatti

Da: PALMIRO TOGLIATTI, Lezioni sul fascismo - Editori Riuniti - http://www.marx21.it
Leggi anche: Il revisionismo storico*- Luciano Canfora
                      Legge elettorale, Costituzione, Democrazia*- Un discorso di Palmiro Togliatti
                      Le prospettive di una evoluzione mondiale - Trotsky (1924)


"Prima di iniziare il nostro corso voglio dire qualche parola sul termine avversari per evitare una falsa interpretazione, da parte di qualcuno di voi, di questo termine, falsa interpretazione la quale potrebbe portare a degli errori politici. 
Quando noi parliamo di avversari non abbiamo in vista le masse che sono iscritte alle organizzazioni fasciste, socialdemocratiche, cattoliche. Ma le masse che vi aderiscono non sono nostri avversari, sono delle masse di lavoratori che noi dobbiamo far tutti gli sforzi per conquistare". 


Il fascismo, la sua essenza, le sue origini, il suo sviluppo, come oggetto di studio, sembrano interessare sempre di più il mondo del lavoro e i partiti che costituiscono l’Internazionale comunista. Tuttavia non penso che a questo bisogno di conoscere corrisponda sempre una concezione esatta del fenomeno fascista esaminato sotto i suoi vari aspetti; credo che questo desiderio di sapere non sia sempre accompagnato dalla ferma intenzione di arrivare al sapere studiando attentamente il fascismo quale si manifesta concretamente in Italia e negli altri paesi. Mi pare anzi che invece ci si lasci andare a sostituire allo studio approfondito di questo fenomeno l’esposizione di generalizzazioni del tutto astratte e non corrispondenti dunque completamente alla realtà.

Pur tuttavia il difetto che consiste nel generalizzare a oltranza non è ancora la cosa peggiore, poiché non è raro che parlando del fascismo si commettano errori veramente grossolani di giudizio e d’interpretazione politica e storica. Non mi propongo qui di rilevare tutti questi errori; voglio semplicemente insistere su qualche aspetto del problema e tirarne alcune conclusioni. Mi servirò a questo fine dei risultati ottenuti mediante l’analisi e le ricerche effettuate in questo campo dal nostro stesso partito.

sabato 18 agosto 2018

L'identità politica stato - "Sulla questione ebraica" - Stefano Garroni

Da: http://www.youtube.com/user/mirkobe79 https://www.facebook.com/groups Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 

"...noi siamo per la scienza, per l'ordine razionale. E lo siamo talmente che vogliamo anche capire come è usata la scienza, chi la usa, dove viene indirizzata e contestiamo questo! Non perché siamo contro la scienza ma perché la vogliamo..." (S. Garroni)

Torniamo, ancora, su una tematica di importanza fondamentale, come Stefano Garroni  ribadiva, per la comprensione delle radici teoriche "forti" e profonde del movimento comunista. Questo anche per chiarirci le idee, se possibile, su argomenti d'attualità molto stringenti  e centrali del nostro tempo. La questione europea, per esempio, con la riproposizione di una ambiguità interna alle sua fondamenta che, gli anni, i decenni ormai, passati  dal suo avvio, non hanno minimamente messo in discussione e, semmai, confermato. Cioè a dire la facciata ideale: uguaglianza di tutti i cittadini, libera circolazione, moneta unica, ecc. E la sua realtà concreta: ogni paese con le sue leggi, una moneta unica ma con diverso "valore" effettivo in ogni paese, salari differenti, sacche di povertà sempre più grandi e localizzate, ecc. Come diceva Marx – gli eventi si presentano due volte nella storia: la prima sotto forma di tragedia, la seconda sotto forma di farsa. Ora, l’Europa è insieme una tragedia e una farsa.  La farsa sta nella stantia riproposizione del mondo dei “diritti” in forma astratta e mistificata (il discorso di Marx nella “Questione Ebraica”).  Ma c’è anche la tragedia: vale a dire che – almeno, questa è la nostra impressione – il capitalismo si sta esibendo sempre di più senza veli e in forma via via più spudorata (basti pensare  a certe dichiarazioni di Padoan e del precedente semi-omonimo Padoa Schioppa, o a quelle di organizzazioni bancarie e finanziarie che lamentano l’eccessiva crescita della popolazione anziana, o ancora ai discorsi sulla “eccessiva” democraticità delle costituzioni di alcune nazioni europee, fra cui l’Italia, e così via. Insomma,  ci sembra, che il capitale ormai tenda a governare direttamente con le leggi del suo sistema di produzione e che abbia sempre meno bisogno  della mediazione politica: o meglio, la politica assume sempre di più – come suoi obiettivi – quelli delle necessità del capitale all’epoca della sua più grave crisi (ma ci sarà questa crisi? E che cos’è veramente?). Quando si parla di lavoro nei termini in cui se ne parla oggi (Renzi, Merkel ecc.) è abbastanza evidente che la sussunzione del lavoro al capitale è stata assunta una volta per tutte come una verità incontrovertibile, come una cosa “normale”: peggio ancora che ai tempi di Adam Smith. Quindi, le leggi che regolano l’estrazione di plusvalore diventano le “leggi” dell’intera società, e vengono  - esse stesse - recepite nel diritto.  Ecco la tragedia, secondo noi. (il collettivo - 2014) 


Buona lettura... 

venerdì 17 agosto 2018

Samir Amin: “La crisi” - Alessandro Visalli

Da: http://tempofertile.blogspot.com - AlessandroVisalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica; si occupa di ambiente ed energie rinnovabili.


Il libro di Samir Amin, “La crisi”, del 2009, il cui sottotitolo è “Uscire dalla crisi del capitalismo o uscire dal capitalismo in crisi?” conclude per ora la lettura di alcuni testi dell’economista egiziano che ha visto prima il suo testo del 1973 “Lo sviluppo ineguale”, poi il libro del 1999 “Oltre la mondializzazione”, e quello del 2006 “Per un mondo multipolare”. Dieci anni dopo abbiamo letto l’intervento “La sovranità popolare unico antidoto all’offensiva del capitale”, nel quale la pluridecennale riflessione dell’alfiere della liberazione terzomondista e instancabile denunciatore della polarizzazione generata dallo sviluppo capitalista perviene alla determinazione, apparentemente di chiave tattica, di dover far leva sulle lotte nazionali e popolari, punto per punto, dai luoghi più deboli. Il riscatto deve, cioè, pervenire dai luoghi in cui la contraddizione tra la promessa di prosperità e la realtà di assoggettamento e alienazione è più ampia. Ciò che bisogna combattere è una tendenza intrinseca al capitalismo, al quale non è riconosciuta alcuna capacità emancipatoria o di sviluppo delle forze produttive: quella di schiacciare le periferie, creandole come tali. Creandole in quanto periferie, rispetto ai centri dominanti nei quali il capitale si concentra e dalle quali domina, accade che la logica intrinseca della macchina produttiva (di valore) tende quindi continuamente a fare della natura (e degli uomini) risorse e per questo ad estrarle, ad alienarle.
Per contrastare questa tendenza, dice Amin, non bisogna aspettare che una qualche contromeccanica automatica intervenga a salvarci: bisogna prendere il potere. Occorre, cioè, lottare per il potere. Costringerlo a fare i conti con le forze popolari, schiacciate, ma che vogliono rivendicare il proprio. 

       Dunque:
-          Rivendicare la propria capacità di essere autonomi, di non essere dipendenti e subalterni;
-          Decostruire sempre, in noi e nelle cose, le relazioni di potere e dominazione;
-          Disconnettersi dai vincoli del capitale, specificatamente dalla logica della competizione selvaggia della mondializzazione, ponendo anche la questione             della sovranità.

Essere ciò che si vuole, e volere quel che si è.

giovedì 16 agosto 2018

Il 25 luglio 1943 tra rottura e continuità - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - ALESSANDRA CIATTINI insegna Antropologia culturale alla Sapienza.

 Chi si ricorda del 25 luglio 1943? Impreparazione, cinismo e corruzione della classe dirigente.

Mi pare che lo scorso 25 luglio, anniversario di vicende che hanno sconquassato il nostro paese, sia stato ricordato quasi esclusivamente per la “pastacciuttata” voluta da Aldo Cervi, successivamente torturato e assassinato con i suoi sei fratelli dai fascisti, offerta ai vicini per celebrare la cacciata di Mussolini a seguito dell'approvazione dell'ordine Grandi (v. La Repubblica, 25 luglio 2018, p. 9, ma anche il Fatto Quotidiano dello stesso giorno). Eppure avremo tante ragioni per rievocare quegli eventi, se come viene affermato da noti esponenti dei finti democratici – dobbiamo smettere di etichettarli come “sinistra” per non fomentare l'imbroglio della politica italiana – abbiamo un governo “sempre più nero”. Ma, come disse Gramsci, la storia è un'ottima maestra, sono gli uomini che sono dei pessimi discepoli.
Riflettere sul 25 luglio 1943 è assai utile ed opportuno non per fare un semplice esercizio di memoria storica, ma per sviluppare un tentativo di comparazione tra il nostro tragico passato e il disgustante presente, che può condurci a vicende ugualmente tragiche. In particolare, mi sembra importante mettere in risalto almeno due aspetti: l'impreparazione e la cialtroneria di coloro che si sono trovati e si trovano a decidere della nostra sorte, e le straordinarie capacità trasformistiche della classe dirigente, disposta a disfarsi anche dei più stretti complici, pur di salvare se stessa.
Sappiamo che nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 si realizza la destituzione di Mussolini, cui nel 1922 Vittorio Emanuele III aveva consegnato il paese senza nessuno scrupolo, rifiutandosi di firmare lo stato d’assedio che avrebbe liquidato le squadre fasciste [1]; destituzione da mesi preparata dietro le quinte in seguito al pessimo andamento della guerra (conquista del Nord Africa da parte degli alleati, miserrima fine delle truppe italiane in Unione Sovietica dopo la straordinaria vittoria di quest'ultima a Stalingrado, bombardamenti delle città italiane, disaffezione per il regime fascista che aveva precipitato il paese in tanta devastazione e miseria).

mercoledì 15 agosto 2018

Le prospettive di una evoluzione mondiale - Trotsky (1924)

Da: Discorso pronunciato il 28 luglio 1924. Fonte Falce e Martello. - https://www.marxists.org 



[...] 
Il fascismo, a seconda dei paesi, può avere aspetti differenti, una composizione sociale diversa, può cioè reclutarsi tra gruppi differenti; ma è essenzialmente il raggruppamento combattivo delle forze che la società borghese minacciata fa nascere per respingere il proletariato nella guerra civile. Quando l’apparato statale democratico-parlamentare si impegola nelle proprie contraddizioni interne, quando la legalità borghese è un intralcio per la borghesia stessa, quest’ultima mette in azione gli elementi più combattivi di cui dispone, li libera dai freni della legalità, li obbliga ad agire con tutti i metodi di distruzione e di terrore. Ed ecco il fascismo. Il fascismo dunque è lo stato di guerra civile per la borghesia, che raduna le sue truppe, allo stesso modo in cui il proletariato raggruppa le sue forze e le sue organizzazioni per l’insurrezione armata nel momento della presa del potere. Di conseguenza, il fascismo non può essere di lunga durata; non può essere uno stato normale della società borghese, proprio come lo stato di insurrezione armata non può essere lo stato costante, normale, del proletariato. 

O l’insurrezione, scontrandosi con il fascismo, porta alla sconfitta del proletariato, e allora la borghesia restaura progressivamente il suo apparato statale normale; oppure il proletariato è vincitore, e allora non vi è più posto per il fascismo, ma per tutt’altre ragioni. Come sappiamo per nostra esperienza, il proletariato vittorioso dispone di mezzi efficaci per impedire al fascismo di esistere e, a maggior ragione, di svilupparsi. 

[...]
Ho detto che noi affrontavamo la storia dal punto di vista della rivoluzione che deve trasmettere il potere nelle mani della classe operaia per la ricostruzione comunista della società. Quali sono i presupposti della rivoluzione sociale, in quali condizioni può sorgere, svilupparsi e vincere? Questi presupposti sono molto numerosi. Ma possono essere riuniti in tre e anche in due gruppi: i presupposti oggettivi e soggettivi. 

lunedì 13 agosto 2018

I rischi della guerra economica Usa-Cina - Vincenzo Comito

Da: http://sbilanciamoci.info/ - https://www.sinistrainrete.info - vincenzo-comito è docente di finanza aziendale prima all’Università Luiss di Roma, attualmente insegna all’Università di Urbino.

La guerra economica tra Stati Uniti e Cina è partita il 6 luglio. Potrebbe riguardare, tra dazi, controdazi e perdita di produzioni, qualcosa come mille miliardi di dollari e portare a una recessione mondiale
La guerra economica tra Stati Uniti e Cina, nell’ambito di una offensiva commerciale più vasta scatenata da Trump contro quasi tutto il resto del mondo, è dunque partita davvero, il 6 luglio, nonostante lo scetticismo e l’incredulità di molti.
Sull’argomento sono state scritte molte migliaia di pagine e sono state dette moltissime cose. Cercheremo quindi di concentrare la nostra attenzione, per la gran parte, su alcuni degli argomenti meno esplorati dai media.
Le motivazioni di Trump
Ci si è a lungo interrogati sulle ragioni di queste iniziative di Trump.
La spiegazione ufficiale fornita dal presidente è quella che sono presenti degli squilibri inaccettabili nella bilancia commerciale del Paese con la controparte asiatica, mentre per di più le imprese cinesi rubano con la frode o con contratti iniqui le tecnologie americane, mentre intanto le imprese Usa vengono bloccate nei loro tentativi di penetrazione del mercato cinese e mentre infine la Cina sostiene con grandi aiuti statali lo sviluppo delle nuove tecnologie da parte delle imprese locali. 
Ma queste motivazioni non sembrano tenere conto, tra l’altro, del fatto che circa il 50% delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti sono fatte da imprese statunitensi e che, più in generale, oggi le catene del valore dei singoli prodotti sono molto complesse e che spesso la loro produzione tocca oggi anche 10-20 Paesi. 
Per altro verso e più in generale, come ci ricorda Paul Krugman (Krugman, 2018), Trump e soci fanno affermazioni sugli effetti delle loro politiche che non hanno alcun riscontro nella realtà: Trump inventa cose di sana pianta e i suoi consiglieri di solito raccontano trionfi economici immaginari.

domenica 12 agosto 2018

Una scuola anticostituzionale Ovvero come il progetto Berlinguer ha spianato la strada al piano Berlusconi-Moratti. - Mario Alighiero Manacorda

Da: "Liberazione"  Roma, 5 giugno 2002- http://www.fisicamente.net - Mario_Alighiero_Manacorda  è stato un docente, pedagogista e traduttore italiano.


Riflessioni di Mario Alighiero Manacorda, storico dell'educazione, sulla riforma scolastica.


Fa un certo effetto leggere nell'agile libro dell'ex ministro dell'istruzione del centro sinistra, Luigi Berlinguer, La scuola nuova, l'annuncio, che «la riforma della scuola è un'opera compiuta». In realtà, se c'è un'incompiuta, è questa: il nuovo ministro del centro destra, Letizia Moratti, felicemente trionfante al meeting di Comunione e liberazione, la sta già smantellando e il libro, come la riforma, è ormai cosa d'altri tempi. Ma che cosa era questa riforma, e che rischi ha comportato e ancora oggi comporta?


Ma quale riforma?

Per la sua ispirazione la riforma Berlinguer era parte integrante di tutta la politica, così squallidamente conclusa, del centro-sinistra e in particolare dei dirigenti diessini: un'affannosa rincorsa dietro agli obiettivi della destra, nazionale e internazionale, quasi a voler dimostrare di essere altrettanto bravi a perseguirli: modernizzazione, liberalizzazione, destatalizzazione, privatizzazione, decentramento, autonomia. Col bel risultato di aver aperto la strada a una più smaccata modernizzazione, liberalizzazione ecc. ecc. per la destra oggi al governo.
Eppure nel suo libro Berlinguer enuncia principi di grande rilievo pedagogico. Dice, ad esempio, che «il successo di tutti i bambini è il vero successo della scuola», la quale perciò deve essere "senza bocciature"; che, mentre «oggi la scuola è quasi esclusivamente l'aula», occorrono «attività integrative collegate al curricolo»; che occorre intervenire sul curricolo o i "saperi" per superare la frattura tra scuola culturale e scuola professionale, coniugando "il conoscere e l'operare"; che col riordino dei cicli, ridotti da tre a due, occorre superare anche «la cesura traumatica tra elementare e media»; che per garantire l'attiva partecipazione di docenti e studenti occorre dare alle scuole più autonomia, ecc. 

venerdì 10 agosto 2018

Alle operaie - Vladimir Lenin (1920)

Scritto il 21 febbraio 1920 Pravda n°40, del 22 febbraio 1920. Trascritto da mishu, Dicembre 1999 per https://www.marxists.org
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2015/10/la-rivoluzione-delle-donne.html
                      https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/09/la-donna-la-nuova-morale-sessuale-e-la.html

Compagne, 
le elezioni al Soviet di Mosca dimostrano che il partito comunista si afferma sempre di più in seno alla classe operaia. 

Le operaie devono partecipare in maggior numero alle elezioni. Primo e unico al mondo, il potere dei Soviet ha abolito completamente tutte le vecchie leggi borghesi, le leggi vergognose che ponevano la donna in uno stato d'inferiorità rispetto all'uomo, che all'uomo, tanto per citare un esempio, riconoscevano una posizione di privilegio nella sfera del diritto matrimoniale o dei rapporti con i figli. Primo e unico al mondo, il potere dei Soviet, in quanto potere dei lavoratori, ha abolito tutti quei vantaggi che, originati dalla proprietà, tuttora vengono attribuiti all'uomo dal diritto familiare anche nelle repubbliche borghesi più democratiche. 

Dove esistono grandi proprietari fondiari, capitalisti e commercianti, non può esistere l'uguaglianza tra uomo e donna, nemmeno di fronte alla legge. 

Dove non esistono grandi proprietari fondiari, capitalisti e commercianti, dove il potere dei lavoratori edifica una nuova vita senza questi sfruttatori, esiste l'eguaglianza di fronte alla legge tra uomo e donna. 

Ma non basta. 
L'eguaglianza di fronte alla legge non è ancora l'eguaglianza nella vita. 

Ci occorre che l'operaia conquisti l'eguaglianza con l'operaio non soltanto di fronte alla legge, ma anche nella vita. Per questo le operaie debbono partecipare in misura sempre maggiore alla gestione delle imprese pubbliche e all'Amministrazione dello Stato. 

Le donne faranno presto il loro tirocinio nell'amministrazione e saranno all'altezza degli uomini. 

Eleggete dunque al Soviet un maggior numero di operaie, sia comuniste sia senza partito. Purché un'operaia sia onesta, coscienziosa nel suo lavoro, che importa se non appartiene al partito? Eleggetela al Soviet di Mosca! 

Più operaie al Soviet di Mosca! Dimostri il proletariato moscovita che è disposto a tutto e fa di tutto per lottare fino alla vittoria contro la vecchia ineguaglianza, contro il vecchio, borghese, avvilimento della donna. 

Il proletariato non raggiungerà una completa emancipazione se non sarà prima conquistata una completa libertà per le donne.

N. Lenin

giovedì 9 agosto 2018

Hyman Minsky: “Combattere la povertà. Lavoro non assistenza” - Alessandro Visalli

Da: http://tempofertile.blogspot.com - AlessandroVisalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica.



In questo libro sono raccolti interventi di Hyman Misky, eretico economista keynesiano famoso per la sua tesi sulla instabilità intrinseca del capitalismo, che vanno dal 1965 al 1994 (l’autore muore nel 1996, prima che i crolli del 2001 e 2007 gli dessero clamorosamente ragione). Si tratta, come recita il titolo di interventi sul piano del lavoro, in polemica molto forte con la “guerra alla povertà” delle amministrazioni democratiche americane soprattutto perché imperniata sull’assistenza e non sull’offerta diretta di lavoro. Queste politiche (anche nelle varianti ben viste da destra che includono salari minimi e/o tasse negative) per Minsky sono conservatrici del sistema disfunzionale esistente ed incontrano peraltro il limite strutturale, in un capitalismo intrinsecamente fondato sulla speculazione, di poter provocare eccesso di investimenti (speculativi) e per questa via instabilità esplosiva.

Se questa strada è chiusa, quella invece da esplorare passa per il cambiamento del sistema; cioè per l’occupazione di ultima istanza diretta da parte dello stato, per il controllo degli investimenti e della natura delle produzioni per finalità utili. Sembra socialismo, ma Minsky amava il capitalismo e cercava invece di salvarlo da se stesso, attraverso la proposta di un “’nuovo’ nuovo modello di capitalismo” fondato sull’impegno per il pieno impiego e lo sviluppo delle risorse affidato ad una partnership tra agenzie pubbliche e private. Che unisca alla fallace visione a breve termine del mercato una visione lunga posseduta dal governo. Che prenda atto che “in quel complesso sistema di prodotti, lavoro e mercati finanziari che è l’economia capitalistica, il meccanismo di mercato non può raggiungere e mantenere il pieno impiego. Affinché il capitalismo possa avere successo sono necessarie istituzioni che integrino l’occupazione privata attraverso un’offerta illimitata di lavoro” (p. 258).

mercoledì 8 agosto 2018

"I poteri del mondo globale" - Giacomo Marramao

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Giacomo_Marramao  è un filosofo e professore universitario italiano.

ALLA RICERCA DELLA SPERANZA POLITICA NEL TEMPO DELLE PAURE E DEL RANCORE - http://www.scuoladiculturapolitica.it/index2018.html
Parte Prima: MONDO GLOBALE, SOVRANISMO E POPULISMI



lunedì 6 agosto 2018

Introduzione al MANIFESTO - Stefano Garroni

Da: Introduzione al Manifesto del Partito Comunista Edizioni Laboratorio politico, gennaio 1994.- Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 
http://www.youtube.com/user/mirkobe79 - https://www.facebook.com/groups 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/03/una-rilettura-teorica-e-politica-del.html 


Com’è ben noto il Manifesto fu scritto da Marx ed Engels su commissione della Lega dei comunisti, organizzazione londinese, che però raccoglieva anche lavoratori di altri paesi e che aveva una consistente rete di rapporti internazionali.

Lo scopo dell’opuscolo – perché di questo si trattava – era di propagandare un unitario orientamento politico, che fosse, nello stesso tempo, capace di rinserrare le file dei più decisi e combattivi rivoluzionari europei, come anche di fornire a quell’orientamento uno spessore storico e teorico. Insomma, si trattava anche – e forse fondamentalmente – di organizzare un effettivo argine contro il dilagare, nel movimento rivoluzionario, di orientamenti utopistici, spesso costruiti su ispirazioni di tipo francamente religioso e, generalmente, tanto roboanti sul piano verbale, quanto inconcludenti su quello effettivamente pratico e politico.

Ricordiamo che tutta la vicenda si ambienta nel 1848, in un’epoca, dunque, ricca di fermenti rivoluzionari, ma pure caratterizzata ancora dal fatto che il movimento proletario e persino gli ambienti rivoluzionari più solidi, mancano di una propria autonomia teorica, non sanno discriminare adeguatamente tra le critiche alla società presente che esprimono i rimpianti delle classi tramontate; e quelle, invece, che rappresentano un nuovo punto di vista, legato al moderno proletariato di fabbrica.
È' un’epoca, dunque, di incertezze teoriche, che si esprimono sia in oscillazioni politiche, sia nella proclamazioni di tesi francamente utopistiche e spesso “colorate” – lo ripeto – in senso religioso e sentimentale.

La battaglia per dare al movimento rivoluzionario un orientamento teorico diverso, che fosse fondato dal punto di vista critico-scientifico, già aveva visto nettamente impegnati sia Marx che Engels: l’incarico, dunque, ottenuto dalla Lega dei comunisti era anche una loro personale vittoria. Tuttavia, il compito assegnato era sempre – e solo – quello di scrivere un opuscolo agitatorio. Ricordare ciò può sembrare bizzarro, quasi si insistesse su un’ovvietà. 

venerdì 3 agosto 2018

I fratelli Karamazov di Fedor Dostoievskij - Sandro Bolchi

Da: margrant - Sandro_Bolchi è stato un regista italiano.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/01/e-un-romanzo-filosofico-delitto-e.html



I fratelli Karamazov di Fedor Dostoievskij - Regia di Sandro Bolchi 1969, riduzione televisiva di Diego Fabbri - con Corrado Pani, Carlo Simoni, Umberto Orsini, Lea Massari, Salvo Randone, Antonio Salines, Carla Gravina, Sergio Tofano, Cesare Polacco, Laura Carli, Antonio Battistella, Roldano Lupi, Orso Maria Guerrini, Gianni Agus, Glauco Onorato, Carlo D'Angelo, Mariolina Bovo, Cecilia Sacchi, Franca Mazzoni, Alessandro D'Alatri, Giovanna Galletti, Neda Naldi, Antonio Pierfederici, Lucio Rama.

giovedì 2 agosto 2018

Il disagio dei marxisti: la crisi, la finanza e la caduta del saggio del profitto. - Alan Freeman

Da: https://www.lacittafutura.it - Articolo pubblicato su Academia.edu - Traduzione dall’inglese a cura di Ascanio Bernardeschi  
alan-freeman  is a cultural economist, formerly a principal economists with the Greater London Authority. He is a visiting Professor at London Metropolitan University, and a Research Fellow of Queensland University of Technology, Australia.  
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/05/la-teoria-marxiana-del-valore-le.html 
Vedi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.com/2015/03/la-caduta-tendenziale-del-saggio-del.html 


Alcune affermazioni sulla crisi che trovano riscontro nella realtà ma possono rendere infelici gli economisti borghesi, ma anche molti marxisti

Niente è più difficile e niente richiede più carattere che essere in aperta opposizione al proprio tempo e dire ad alta voce: NO (Tucholsky) 
Dire come stanno le cose, rimane l'atto più rivoluzionario (Luxemburg)


Inizierò parafrasando George Bernard Shaw: sono state dette molte cose apprezzate sull’economia, e molte cose vere. Però ciò che è apprezzato è sempre falso e ciò che è vero è sempre impopolare.
Detto in altri termini ogni verità in economia infastidisce qualcuno e talvolta infastidisce quasi tutti. Eppure, come disse Rosa Luxemburg, l'azione più rivoluzionaria è dire come stanno le cose. Quindi l'affronto è inevitabile se si persegue la verità.
Perciò intendo dire alcune cose impopolari che, credo, si siano dimostrate vere. Potete decidere se siete d'accordo dopo aver letto i materiali in cui si presentano l’evidenza e le argomentazioni. Li cito alla fine. Alcuni non sono ancora stati pubblicati, ma scrivetemi e invierò un testo preliminare alla pubblicazione.
Potere scegliere di ignorare queste affermazioni se non concordano col vostro modo di pensare. Per aiutarvi sono disponibili molte strategie di diniego: potete liquidarle come assurde o irrilevanti; potete usare la tecnica adhominem per ridicolizzare gli autori; potete incitare gli altri a schierarsi contro di esse, o semplicemente far finta che non esistano.
Oppure, come Marx, potete riconoscere che la conoscenza procede attraverso la contraddizione e il contrasto. Quindi che è preferibile spendere il tempo per disputare con gli avversari piuttosto che per concordare con gli amici.
In breve, il compito del marxismo, nello spirito di Marx, è di ri-imparare l'arte dell’opposizione. Con questo spirito, comincio con alcune dichiarazioni aggressive che spero vi disturbino. Altrimenti, avrò fallito.
Ecco la prima: non esiste il sottoconsumo e non esiste la sovrapproduzione