Torniamo, ancora, su una tematica di importanza fondamentale, come Stefano Garroni ribadiva, per la comprensione delle radici teoriche "forti" e profonde del movimento comunista. Questo anche per chiarirci le idee, se possibile, su argomenti d'attualità molto stringenti e centrali del nostro tempo. La questione europea, per esempio, con la riproposizione di una ambiguità interna alle sua fondamenta che, gli anni, i decenni ormai, passati dal suo avvio, non hanno minimamente messo in discussione e, semmai, confermato. Cioè a dire la facciata ideale: uguaglianza di tutti i cittadini, libera circolazione, moneta unica, ecc. E la sua realtà concreta: ogni paese con le sue leggi, una moneta unica ma con diverso "valore" effettivo in ogni paese, salari differenti, sacche di povertà sempre più grandi e localizzate, ecc. Come diceva Marx – gli eventi si presentano due volte nella storia: la prima sotto forma di tragedia, la seconda sotto forma di farsa. Ora, l’Europa è insieme una tragedia e una farsa. La farsa sta nella stantia riproposizione del mondo dei “diritti” in forma astratta e mistificata (il discorso di Marx nella “Questione Ebraica”). Ma c’è anche la tragedia: vale a dire che – almeno, questa è la nostra impressione – il capitalismo si sta esibendo sempre di più senza veli e in forma via via più spudorata (basti pensare a certe dichiarazioni di Padoan e del precedente semi-omonimo Padoa Schioppa, o a quelle di organizzazioni bancarie e finanziarie che lamentano l’eccessiva crescita della popolazione anziana, o ancora ai discorsi sulla “eccessiva” democraticità delle costituzioni di alcune nazioni europee, fra cui l’Italia, e così via. Insomma, ci sembra, che il capitale ormai tenda a governare direttamente con le leggi del suo sistema di produzione e che abbia sempre meno bisogno della mediazione politica: o meglio, la politica assume sempre di più – come suoi obiettivi – quelli delle necessità del capitale all’epoca della sua più grave crisi (ma ci sarà questa crisi? E che cos’è veramente?). Quando si parla di lavoro nei termini in cui se ne parla oggi (Renzi, Merkel ecc.) è abbastanza evidente che la sussunzione del lavoro al capitale è stata assunta una volta per tutte come una verità incontrovertibile, come una cosa “normale”: peggio ancora che ai tempi di Adam Smith. Quindi, le leggi che regolano l’estrazione di plusvalore diventano le “leggi” dell’intera società, e vengono - esse stesse - recepite nel diritto. Ecco la tragedia, secondo noi. (il collettivo - 2014)
Buona lettura...
si può ascoltare l'originale intervento audio qui: https://www.youtube.com/watch?v=sYG268SKDtk&list=PL03FAB6B1126855E2
L'identità politica stato - "Sulla questione ebraica"
- Stefano Garroni - 6/03/1997
Leggi anche: http://www.controappuntoblog.org/2012/03/20/sulla-questione-ebraica-karl-marx/si può ascoltare l'originale intervento audio qui: https://www.youtube.com/watch?v=sYG268SKDtk&list=PL03FAB6B1126855E2
Mi pare risulti chiaro che questo articolo giovanile di Marx
si presta ad una prima lettura direi sostanzialmente facile, il messaggio che
viene dato è questo: il tipo di emancipazione, liberazione, assicurato dalla
rivoluzione borghese con l'affermazione dell'uguaglianza e della libertà dal
punto di vista politico e giuridico implica l'esistenza di differenze che si
collocano su un piano diverso da quello giuridico e politico e serve, questa
emancipazione giuridico-politica a mantenere e cristallizzare tali differenze e
addirittura a legittimarle. Quando Bruno Bauer, per spingere avanti il processo
di emancipazione dell'uomo, chiede la realizzazione piena della rivoluzione
politica, nel senso dell'affermazione dello stato libero, sbaglia perché non si
rende conto che lo stato libero, cioè lo stato della borghesia, è esattamente
il rovescio della medaglia delle differenze economico-sociali. La possibilità
di rompere questa accoppiata tra differenze economico-sociali per un verso e, per
l'altro verso, libertà e uguaglianza giuridico-politica c'è solo se si cambia
"terreno" e il terreno viene indicato con l'espressione
"emancipazione umana".
Ad un secondo livello di lettura le cose
diventano forse più complesse. Prima, una osservazione da fare: è vero che nel
corso dell'articolo, ad un certo punto, Marx cita positivamente Hegel. Però in
realtà tutto lo scritto di Marx è una sorta di esposizione larga di ciò che
Hegel tratta, per esempio, nelle "Lezioni di storia della filosofia", proprio nel
senso che il discorso di Marx non fa che dire in modo ancora più semplice ciò
che Hegel aveva detto in proposito. Questo scritto di Marx è uno scritto
nettamente hegeliano. Qui bisogna ricordare che Hegel è un personaggio in cui
il livello teorico e il livello politico del discorso si richiamano in
continuazione. Se Marx, in questo scritto, mette in evidenza il lato politico,
essendo questo scritto di diretta derivazione hegeliana, in realtà è leggibile
anche con un altro filtro, cioè con il filtro teoretico. Ma, ancora, è chiaro
che la questione ebraica è il pretesto per svolgere una argomentazione. Già gli
esempi che Marx fa delle differenze reali: certo l'ebreo, il cristiano, ma
anche il commerciante, il contadino...
già nell'esemplificazione appare chiaro che quando si parla di
differenze reali si parla delle differenze religiose ma si parla anche di ben
altro. E però è vero che il discorso che Marx conduce è pieno di
riferimenti alla religione: lo stato
cristiano, gli ebrei, il riferimento alla documentazione circa il prosperare di
sette religiose negli Stati Uniti e allora si pone questo problema: perché, nel
momento in cui Marx affronta il problema dello stato, così centrale è questo
riferimento alla religione? Certo sappiamo che serve come viatico per arrivare
allo stato ma perché questo viatico? Che rapporto, nel pensiero di Marx, si
stabilisce tra religione e stato?
Dal punto di vista terminologico mi pare che
il testo non presenti problemi notevoli, forse solamente uno, direi che
l'espressione emancipazione umana è
destinata a cadere nel linguaggio (successivo) di Marx. Mi pare che il modo in
cui riappare nel Marx maturo è quando nei "Gundrisse" si opera la
distinzione tra il regno della necessità
e il regno della libertà, cioè da
quella fase preistorica in cui l'uomo è soggetto a meccanismi che lo dominano,
alla fase propriamente storica in cui l'uomo prende in mano, consapevolmente,
il processo storico. Importante è, però che l'espressione emancipazione umana cada nella sua formulazione generica che
risente fortemente del dibattito giovane-hegeliano successivo alla morte di
Hegel quando si vanno determinando una
destra, una sinistra e un centro hegeliani e si avvia il processo di
dissoluzione del "sistema" hegeliano. Qui è molto interessante da (ri)leggere
un libro di K. Lowit (Da Hegel a Nietzsche) in cui viene studiato il rapporto
Marx, Nietzsche e Kierkegaard come tre momenti
del dissolversi del sistema hegeliano e che consente di veder bene la
pienissima attualità del dibattito che nasce con lo sfaldarsi del sistema
hegeliano. Pienissima attualità che ha questa caratteristica fondamentale: il
tema hegeliano viene visto come una situazione in cui esiste una ragione che
domina e opprime le richieste e le ragioni dell'individuo, del singolo, e quindi
della passione, del sentimento e c'è un ribellarsi dell'individuo, della
passione, del sentimento contro questa logica che tutto tiene e tutto domina.
In questo senso è del tutto significativo Kierkegaard in cui riappare il
processo dialettico ma come dialettica del sentimento e non della ragione,
paradossalmente. Appunto se consideriamo quelle pagine di Lowit abbiamo una
prova molto significativa, ripeto, dell'attualità profonda di questo dibattito.
Ci sono temi, motivi che sono ricomparsi negli anni (fine)sessanta, sia pure in
versione cialtronesca, ma, per esempio, buona parte della problematica
dell'esistenzialismo è legata a quel tema la.
Veniamo a Marx. Qui a me
interessa soffermarmi su due aspetti
fondamentalmente: 1° il tema
della "mediazione"; 2° questo del rapporto religione e stato.
Torniamo a monte, al primo livello di lettura. In definitiva il discorso è
questo: lo stato borghese che cosa fa? Dice, tu sei contadino, tu sei
banchiere, tu sei operaio, tu sei donna, tu sei nero ecc. non curo queste
differenze ed affermo la parità di diritti dell'uomo. Appunto non curo queste
differenze, non le tolgo, le metto tra parentesi. Allora ecco che accanto al
mondo della differenza si eleva un mondo del diritto in cui tutti siamo uguali:
non fa nulla che tu sia nero, sia bianco, sia donna, uomo, contadino,
commerciante, tutti abbiamo gli stessi doveri. Ora questo implica che intanto è
possibile questa affermazione di uguaglianza in quanto esiste un mondo di
differenza contro cui sorge questa uguaglianza. La base di questa uguaglianza è
l'esistenza della differenza. L'importante è che, siccome l'uguaglianza viene
affermata non sul piano della differenza (appunto non curo la differenza, la
lascio fuori), ma su un altro terreno, quello del diritto allora l'uguaglianza
di fronte al diritto coesiste con la permanenza delle differenze. E, siccome che, questa uguaglianza giuridica
ha bisogno delle differenze per contrapporsi, questa uguaglianza giuridica
mantiene queste differenze. E' proprio il luogo d'origine dell'uguaglianza
giuridica il fatto che queste differenze esistano. Ma, peggio, quelle
differenze vengono legittimate. Appunto, io non curo che tu sia bianco o nero.
Tu nero e tu bianco siete portatori degli stessi diritti. Quindi tu non sei semplicemente nero
ma sei nero e portatore di diritti. Il tuo essere nero viene nobilitato dal
fatto che sei portatore di diritti... ma resti nero. Sei nero con tutto quello
che significa nel concreto della vita quotidiana ma hai, come dire, quest'anima
degna dei diritti di cui sei portatore. Resti nero e questo nero viene
nobilitato dall'avere i diritti ma tu resti nero. Tu sei operaio ma hai i
diritti ma resti operaio e quindi tu quando sei operaio non sei, semplicemente,
ciò che materialmente sei, cioè un operaio. No sei un operaio con anima. Un
operaio ma segnato dal segno della grazia, cioè sei portatore di diritti. Ma
questi diritti sono giuridici non economici.
Quindi tu sei operaio, resti
operaio ma nella tua miserabile condizione di operaio sei trasfigurato in portatore
di un'anima giuridica... Allora succede che violare la tua natura di operaio,
di nero, significa violare i diritti. Quindi tu sei santificato nel tuo essere
operaio e nero. Perché non sei solo materialmente operaio e nero ma portatore
di diritti. Quindi, per esempio, e l'esemplificazione non è una caduta banale
nel politico, se degli operai in sciopero fanno un picchetto ed impediscono a
chi vuole andare a lavorare di andare a lavorare questi violano dei diritti. Il
discorso è perfettamente corretto. Appunto quali che siano le differenze tutti
abbiamo gli stessi diritti non è possibile intervenire nella modifica dello
stato di fatto perché si porta violenza al diritto altrui. [...] Molte volte,
quando c'era il mondo socialista, esistevano i sindacati liberi. E' paradossale
perché il sindacato si è costruito attraverso la morte di migliaia di
lavoratori che si sono scontrati contro i padroni e hanno imposto questa
violazione della loro mentalità e cioè il fatto che l'operaio si organizza.
Quindi non è più un individuo portatore di diritti ma una organizzazione che
impone i propri diritti per cui il sindacato libero è una contradictio in
adiecto. E' estremamente importante il fatto che: riduzione dell'orario di
lavoro, introduzione di norme per assicurare al lavoratore una vita minimamente
decente, organizzazione dello sciopero, ecc. sono tutte azioni contro
l'ordinamento borghese e contro la sua logica. Paradossalmente sono stati
esibiti come elementi contro il movimento dei lavoratori, contro il sindacato
libero. Sentivo, qualche tempo fa, un personaggio che potremmo finire col
portare come candidato alternativo, Stefano Rodotà, in una trasmissione in
televisione sulla prostituzione, che ad un certo momento diceva: "Io non
voglio violare la libertà di chi sceglie la prostituzione" ecco questa è
una tipica espressione borghese. Appunto tu sei nero, la tua miserabile realtà
resta questa fetente realtà tua, però è nobilitata dal diritto! E' l'esempio
della cioccolata e della cacca: tu prendi la cacca in mano ma sei libero...
no perché hai scelto la cacca, non sei
libero ma formalmente sei tale. Ecco, questa separazione del contenuto dalla
forma fa si che il contenuto venga legittimato dalla nobile forma. La prostituta
diventa una persona che ha scelto liberamente. Ma che vuol dire questo? Che la
materialità bruta viene legittimata da un'anima che non ha nessuna relazione
con quella materialità ma che è sovrapposta a quella materialità. Comincia ad
apparire l'uomo cristiano, con il corpo e l'anima,. Il corpo che è la prigione
dell'anima. Quindi c'è un divorzio tra le due sostanze, sono una estranea
all'altra ma l'una ha dentro l'altra.
Quando Marx presenta il comunismo come la
società dell'autorganizzazione dei produttori o come il regno della libertà intende dire che questo divorzio tra la
materialità e la spiritualità è stato tolto, nel senso che la ragione è stata
introdotta dentro la quotidianità, dentro il lavoro, dentro l'attività
economica, il piano delle relazioni sociali. Queste relazioni sociali, questa
materialità della vita sociale, è stata elevata sul piano della razionalità e,
contemporaneamente la razionalità è stata calata nel mondo della materialità
per cui si realizza un rapporto di inter-compenetrazione e allora i due elementi
non sono più sovrapposti l'uno all'altro perché la nobiltà della ragione ha
trasformato la relazione: tu operaio non sei più operaio. Il rapporto sociale è
cambiato, è stato razionalizzato il rapporto sociale. Lo spirito è entrato, è
diventato carne. E la carne non è più nella sua brutalità immediata ma si è
spiritualizzata, si è razionalizzata. Questo processo per cui i due opposti si
integrano e l'uno agisce sull'altro dando luogo ad un terzo prodotto, questo
processo è quello che Hegel definisce come mediazione. Ovviamente, con questo,
non voglio dire che l'organizzazione socialista sia un esempio della
mediazione. La mediazione è una categoria logica che lega il rapporto tra
categorie opposte e crea un terzo che toglie le differenze. Questo è un
processo logico: Se io dicessi che il comunismo è un modo di presentarsi della
mediazione direi che il comunismo, che è un processo storico reale è un modo di
presentarsi della logica il che sarebbe estremamente bizzarro. Sarebbe come se
io dicessi che la storia è fatta dalla logica. Ne questo dice Hegel, ne questo,
tantomeno, dice Marx. E' importante però tenere presente che questo
compenetrarsi degli opposti cioè il lavoratore che diventa gestore degli
strumenti di produzione, per cui non è solo la materialità del lavoro ma è anche
l'intelligenza che finalizza il lavoro, questo processo storico reale, dal
punto di vista puramente formale ha l'aspetto della mediazione.
Se io dovessi
descrivere la forma di questo processo dovrei dire che è un processo di
mediazione. Sto descrivendo una forma, non sto descrivendo una realtà. La
realtà è il processo storico reale. L'accortezza va tenuta presente perché
molti sono gli ambiti in cui può avvenire la mediazione, per esempio, possono
essere mediate teorie scientifiche diverse. Ma se io prendessi il processo
storico del comunismo o la mediazione tra teorie scientifiche diverse come due
esempi della mediazione logica succederebbe, di nuovo, che la realtà è data
dalla mediazione logica e il processo storico reale o scientifico sarebbero
solo degli esempi del processo logico il che sarebbe gravissimo. Se mai sarà il
contrario, sarà che il processo logico è la descrizione formale dei processi
reali. Ed è chiaro che la mediazione, poniamo, tra teorie scientifiche diverse
non procede esattamente nello stesso modo in cui procede la mediazione in
quanto operazione politico-storica. Se io bado alla realtà, ovviamente ogni
tipo di mediazione è diversa da un'altra e quando io ho descritto la forma
logica della mediazione non ho descritto nulla. Hegel non descrive mai la natura della dialettica
ma rimanda sempre a momenti di realizzazione della dialettica. La natura della
dialettica non esiste, esistono le mediazioni che realmente si pongono: la
mediazione all'interno dello sviluppo delle scienze è cosa diversa dalla
mediazione all'interno dello sviluppo politico, ecc. Esiste una forma in
qualche modo comune che posso in qualche modo indicare ma, appunto, la realtà è
data dalle mediazioni reali non dalla forma.
[Domanda: esiste la possibilità
anche di fallimenti]
Non solo sono possibili dei fallimenti ma bisogna anche
fare quest'ulteriore passo avanti: poniamo che io dica che esiste una legge
oggettiva che spinge una cosa in linea retta. Questa cosa può incontrare un
ostacolo per cui devia. Quindi c'è una tendenza oggettiva della cosa in linea
retta a cui si frappone un ostacolo che la devia. L'ostacolo, l'attrito, ha
falsato il cammino della legge oggettiva... Questo non sarebbe un ragionamento
dialettico perché questo immaginerebbe una legge che procede in modo lineare in
una data situazione e che quando devia è perché ha incontrato un ostacolo.
Invece il problema è diverso. Il problema è che in ogni ambito del reale tu hai
tormentati processi che sono all'origine stessa tormentati, all'origine stessa
contraddittori. Per cui lo svolgersi del processo che è anche la descrizione
formale del processo, deve tener conto che già all'origine sono contraddittori.
Quindi non c'è una naturale tendenza verso e un attrito che fraziona ma c'è una
contraddizione che è all'origine stessa.[...] Per esempio tu potresti dire in
questa maniera: il socialismo si fa così e così. Qui non è stato possibile
farlo così e così perché c'erano delle controtendenze... Non è un discorso che
sta in piedi! Questo discorso implica un modello, appunto la legge che
oggettivamente procede così, che se incontra un... [audio interrotto].
Se il
socialismo è un processo storico reale è intimamente contraddittorio. Non c'è
un modello. Si svolge nelle contraddizioni e quindi, per esempio, quando ci imbrogliavano
con la faccenda delle vie nazionali dove stava l'imbroglio? Stava nel dire che
non ci sono più i modelli, ognuno deve tener conto delle realtà nazionali. Ma
questo è ovvio! Siccome, in realtà il processo storico non è questa legge
lineare che se incontra ostacoli devia ma è per sua natura contraddittorio è
ovvio che si plasma in ambiti diversi in modi diversi. Questo è un caso
abbastanza chiaro in cui si vede bene come il discorso politico rimanda ad un
discorso di ambito logico e il discorso in ambito logico al discorso politico.
Non nel senso che la politica sia la realizzazione della logica ma nel senso
che la descrizione formale del processo storico è la logica. Ora stiamo attenti
perché qui si è introdotto un elemento di novità che è antichissimo: diciamo
che la grande novità della prospettiva di Hegel è di essere una prospettiva
vecchissima cioè di usare il termine logica per intendere quello che gli
antichi indicavano con il termine "logos". Il logos cosa era? Era la
razionalità degli eventi. Non un mondo di ragione contrapposto alla realtà dei
fatti ma il modo di svolgersi dei fatti e di tenersi dei fatti l'uno con
l'altro. La ragione delle cose. Se la logica è la ragione delle cose è
necessariamente contraddittoria perché deve render conto delle diversità, dei
tormenti, delle complessità, del fatto che tutto è diverso ma tuttavia uguale.
Allora la logica, a questo punto, non è più logica formale perché è logica
delle cose, dei processi storici.
Quindi se il logico formale, trattando di logica,
scrive delle cose che sono diverse dalla logica dialettica è del tutto normale
perché parlano di cose diverse. Il che è di grande importanza perché significa
che non c'è conflitto tra logica formale e logica dialettica. E' importante
perché uno degli attacchi tradizionali al marxismo dialettico è che è
necessariamente antiscientifico perché, essendo dialettico, si basa sulla
contraddizione. La scienza basandosi sulla logica, cioè sulla negazione della
contraddizione opera un divorzio tra marxismo e scienza. Il problema è che la
logica si basa sulla non-contraddizione se è logica formale non se è logica
degli eventi. Il problema è quello di cogliere due dimensioni diverse tra
logica formale e logica dialettica.
[domanda (audio incomprensibile)]...
Bisogna
intenderci quando si dice legge scientifica si possono intendere due cose
diverse: poniamo, io costruisco un certo modello che funziona in una
determinata maniera, che risponde a certe regole, ecc. e questo modello io lo
uso per interpretare dei fatti. In linea di principio tra il modello e i fatti
non c'è nessuna correlazione tanto è vero che la correlazione io la posso
stabilire fissando delle regole di interpretazione. A questo punto il modello
può essere costruito, ovviamente, con i criteri della logica formale, poi sarà
un problema trovare il modo di tradurlo, di metterlo in relazione. Ma per legge
scientifica io posso intendere anche un'altra cosa e cioè: attraverso quali
tragitti degli eventi avvengono? A questo punto io non ho bisogno del modello ma
ho bisogno di ricavare dallo svolgersi degli eventi il modo, la forma, del loro
svolgersi. Io devo ricavare dallo svolgersi delle cose il modo di procedere
delle cose.
[Domanda...]
Un esempio: uno
più uno fa due, facciamo conto che si tratti di un gallo ed una gallina...
allora fanno tre, fanno un pulcino. L'esempio non è cretino in questo senso: è
perfettamente vero che uno più uno fa due a patto che tu intenda 1 e 2 e + in
quel modo tale che la matematica ammette e per cui il risultato è 2. Ma se uno,
due e più lo intendi nel senso dei processi reali può succedere di tutto.
Ovviamente, è razionale anche dire uno più uno fa uno, quando io sto
illustrando un certo tipo di processo naturale per cui due sostanze,
mischiandosi, ne danno una. 1 + 1 = 2 al livello dell'ottica matematica. Di
questa ottica io posso avere mediatamente bisogno per le procedure scientifiche
ma quel livello di razionalità non è l'unico livello, c'è anche quell'altro in
cui uno più uno fa uno, o quindici. Bisogna capire bene che quando si dice
logica si usa un termine che può avere vari significati. Logica formale,
simbolica, è una cosa. La logica dialettica è un'altra. Ed è importantissimo
perché, se no, si mettono in conflitto e in nome dell'una si condanna l'altra
ecc. E, per esempio, vengono fuori i sovietici che rifiutano il neo-positivismo
perché non è dialettico, il neo-positivista che rifiuta il marxismo perché
viola le leggi logiche, ecc.
[domanda: quindi è proprio sbagliato dire scienze
esatte - scienze umane?]
Secondo me è
del tutto sbagliato. Quando si dice scienza si dice esattamente scienza esatta
e molto spesso le cosiddette scienze umane, nell'ambito delle scienze morali...
Questo è un altro problema di grandissima importanza che comporta anche la
valutazione di che tipo di opera sia stata, per esempio, il Capitale di Marx...
un problema sicuramente interessante. Noi possiamo registrare una cosa
sicuramente vera e cioè che le cosiddette scienze umane vigenti sono in una
crisi totale e proprio quelle scienze che hanno preteso di applicare
nell'ambito morale procedure di derivazione dalle scienze naturali, proprio
queste, stanno in crisi. E anche la moltiplicazione delle psicologie deriva da
questo. Da questa immissione delle procedure scientifiche e naturali in ambito
psicologico; oppure, siccome queste procedure poi, non funzionano, l'irruzione
dell'irrazionale [...] Sarebbe una indagine interessante. Nelle nostre scuole
circolano spesso riviste di psicologia. Sarebbe interessante vedere di che tipo
di psicologia si tratta e presumibilmente (ipotesi) è prevalentemente una
psicologia legata all'applicazione di metodi matematici. Perché il problema
diventa quello di togliere il senso della drammaticità dello scontro, della
umanità e della storia per naturalizzarlo e questa naturalizzazione, scambiata
per scientificità, lascia poi via libera all'irrazionalismo, come reazione.
[...].
Torniamo al nostro Marx, per sottolineare come questo scritto
dichiaratamente politico in realtà abbia sotteso una struttura teorica che è
nettamente dialettico-hegeliana e al centro di questa struttura c'è il tema
della mediazione, nel senso che dicevo prima. L'altro tema su cui vale la pena
riflettere è questo del rapporto stato-religione. Per comodità espositiva
prendiamoci la libertà di introdurre un termine che Marx non usa e cioè il
termine religiosità e, quindi,
distinguere religione e religiosità. Voglio dire questo: qui Marx parla di
teologia, di radici della teologia, parla di trovare nel mondo materiale le
radici della teologia e non nella teologia le radici del mondo materiale, ecc.
Il modo di procedere di Marx, in definitiva, è questo: esiste qualche cosa che
accomuna le varie religioni, diciamo così una essenza della religione, e questa
essenza della religione è individuata da Marx in quelle situazioni storiche e
sociali in cui l'uomo è dominato dal suo stesso prodotto. La società è
costruita dagli uomini e la società diventa un potere estraneo dominante
l'uomo. L'economia è fatta dagli uomini e l'economia si rovescia come un potere
che schiaccia l'uomo. La situazione dell'estraneazione.
L'estraneazione storica, economica, sociale questo è il comune di tutte le
religioni, questo è la religiosità. Ma la cosa interessante è che questo comune
a tutte le religioni non sta più sul piano religioso ma sta sul piano
dell'organizzazione storico-sociale. Quindi la relazione sembrerebbe questa: tu
hai le varie religioni, individui l'essenza di queste (finora la procedura è
tipicamente empiristica) ma (dove si rompe con l'empirismo) questa essenza
comune, la religiosità, non è più sul piano della religione ma su un altro
piano. C'è uno scarto, uno spostamento di terreno: l'essenza della religione
sta nell'organizzazione sociale.
Nella recensione al primo libro del Capitale
dice Engels che Marx parte dalle contraddizioni non risolte dell'economia
politica (Widerspruch) e trova il modo di risolvere queste contraddizioni
spostando il terreno dall'economia politica alla nuova scienza esposta nel
Capitale: l'economia politica, seguendo la propria impostazione, arriva a delle
contraddizioni che non riesce a risolvere e la possibilità di riuscire a
risolverle sta nel cambiare terreno. Qui c'è una essenza comune delle religioni
ma questa essenza comune delle religioni la si trova cambiando terreno rispetto
alla religione, entrando in un altro ambito. Come è possibile questo
cambiamento di terreno? Perché interviene la dialettica: la spiegazione del
fenomeno che si colloca sul piano A può stare sul piano B solo in quanto A e B
vengano a costituire una totalità interagente. Dietro questo discorso ci deve
essere la visione del fatto storico come una totalità (ecco la critica alle
scienze sociali borghesi). Il fatto storico come una totalità di livelli
interagenti. Allora il piano religioso trova la propria spiegazione non in se
ma fuori di se; il fatto psicologico trova la propria spiegazione non in se ma
fuori di se. Comincia a venir fuori un certo territorio della storia in cui
esistono livelli e ambiti diversi ma interattivi in cui la chiave di lettura di
un ambito sta fuori dell'ambito stesso. Quindi c'è un richiamarsi dei vari
ambiti. Tutto al contrario della frantumazione delle cosi dette scienze
borghesi. Quella frantumazione a che serve? Serve... [interruzione...]
[Domanda... audio
incomprensibile]
Il modo di presentare le cose, di disporle, fa si che le cose
funzionino in un verso o in un altro verso. Probabilmente questo ha a che fare
con il discorso sulla scienza. Quando si parla di scienza bisogna stabilire di
cosa si parla. Ci deve essere qualche cosa per cui io riconosco che questa è
scienza e non un'altra cosa. Bisogna sapere di che si parla. Se si stabiliscono
determinati criteri, storicamente determinati, non assoluti, torna l'esempio
che io facevo: Quella certa cosa, disposta in una determinata maniera,
collocata in un certo modo, dà un certo esito o un altro. Cultura borghese è
una formula rapida per dire cultura dell'epoca in cui la società è diretta
dalla borghesia. Quando l'illuminista faceva un certo discorso sulla ragione
mica stava dicendo viva Agnelli, solo che lo diceva in una epoca in cui gli
agnelli stavano venendo fuori, erano la forza dominante. Alla fine è venuto
fuori che il discorso dell'illuminista ha favorito Agnelli, ma l'illuminista
non voleva dire viva Agnelli. Il problema è capire bene che una certa cosa se
usata, disposta, messa in una certa maniera ha un esito, se no, ce ne ha
un altro.
Noi dobbiamo accettare una indicazione di Lenin: noi siamo amici
della scienza! Dobbiamo capire a che serve il discorso contro la scienza. Oggi
il discorso contro la scienza è, in realtà, il discorso contro la dittatura
della ragione, contro l'ordine imperativo. L'ordine imperativo è la legge che
dice: tu, d'ora in poi, fai trentacinque ore
di lavoro e non più. E' contro questo che si vuol mettere in testa alla
gente il rifiuto dell'ordine, perché quello che si vuole evitare è che venga
l'ordine politico che costringa il padrone a una cosa che non vuol fare.
"Ognuno è libero, non vogliamo le imposizioni, gli ordini e le
regole" vuole dire io Agnelli faccio come cazzo mi pare e tu, brutto
fregnone, mi appoggi pure! Perché non hai capito di cosa stiamo veramente
parlando e tiri fuori "io voglio il mio vissuto", certo, tu tieniti
il tuo vissuto e io ho il mio: cioè il tuo sfruttamento. Questo il senso della
faccenda... No, noi siamo per la scienza, per l'ordine razionale. E lo siamo
talmente che vogliamo anche capire come è usata la scienza, chi la usa, dove
viene indirizzata e contestiamo questo! Non perché siamo contro la scienza ma
perché la vogliamo.
[Domanda: la NEP e le sue contraddizioni anche burocratiche
e le nuove aree di privilegio (...) La scelta, infine, di una prassi politica
comune...]
...C'è una cosa fondamentale, un obbiettivo da raggiungere: quello
spirito che tu indicavi, quella plasticità che tu indicavi, quella serietà non
dogmatica di affrontare i problemi, questo è l'obbiettivo! L'impegno serio è
ritrovare uno spirito critico.
[...]
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