giovedì 25 luglio 2013

Ideologia ed Apparati Ideologici Statali Di Louis Althusser (Appunti per una ricerca) Traduzione di Bassi Gianmarco


Sulla riproduzione delle condizioni di produzione[1]
Devo ora esporre in modo più esaustivo ciò è stato brevemente intravisto nelle mie analisi quando ho
parlato della necessità di rinnovare i mezzi di produzione nel caso in cui la produzione sia possibile. Era
stato un suggerimenti di passaggio. Ora, però, andrò ad esaminare questo suggerimento in sé.
Come disse Marx, ogni bambino sa che una formazione sociale che non abbia riprodotto le proprie
condizioni di produzione che al tempo stesso produca, non durerebbe più di un anno.[2] La condizione
fondamentale della produzione è quindi la riproduzione delle condizioni di produzione. Tale riproduzione
potrebbe essere “semplice” (riproducendo esattamente le condizioni di produzione precedenti) o “su scala
estesa” (espandendole). Ignoriamo questa distinzione per un momento.
Cos’è dunque la riproduzione delle condizioni di produzione?
Qui stiamo entrando in un ambito (domain) che, è molto familiare (dal secondo volume del Capitale) ed al
tempo stesso unicamente ignorato. Le tenaci evidenze (evidenze ideologiche di tipo empirista) del punto di
vista della sola produzione, o persino di quello della mera pratica produttiva (essa stessa astratta, in
relazione al processo di produzione) sono quindi integrate nella nostra coscienza quotidiana, per la quale è
estremamente difficile, per non dire quasi impossibile, ergersi al punto di vista della riproduzione. Tuttavia,
tutto ciò che è situato al di fuori di questo punto di vista rimane astratto (o peggio ancora che fazioso (onesided):
distorto) - anche al livello della produzione, e, a maggior ragione, a quello della mera prassi.
Cerchiamo di esaminare la questione metodicamente.
Per semplificare la mia esposizione, ed assumendo che ogni formazione sociale sorga da un modo di
produzione dominante, posso dire che il processo di produzione mette al lavoro (sets to work) le forze
produttive esistenti in una determinati rapporti di produzione.
Ne consegue che, per esistere, ogni formazione sociale deve riprodurre le condizioni della sua produzione
contemporaneamente al suo produrre (at the same tim
produrre. Essa deve pertanto riprodurre:
1. le forze produttive
2. le esistenti relazioni di produzione

Riproduzione dei mezzi di produzione
Tutti (inclusi gli economisti borghesi che si occupano di contabilità nazionale, o i moderni “teorici” della
“macroeconomia”) ora riconoscono, perché Marx lo ha inconfutabilmente dimostrato nel Secondo Volume
del Capitale, che non è possibile nessuna produzione che non consenta la riproduzione delle condizioni
materiali di produzione, ovvero: la riproduzione dei mezzi di produzione.
L'economista medio, che in questo non è diverso dal capitalista medio, sa che ogni anno, è essenziale
prevedere che è necessario rimpiazzare ciò che è stato consumato o usurato nel processo produttivo:
materie prime, impianti fissi (edifici), strumenti di produzione (macchine), ecc. Dico che l'economista medio
non è diverso dal capitalista medio, perché entrambi esprimono il punto di vista dell' azienda,
considerandola sufficiente semplicemente per dare un commento sui termini della pratica contabile
finanziaria dell'impresa.
Ma grazie al genio di Quesnay che per primo ha posto questo “lampante” problema, e grazie al genio di
Marx che l’ha risolto, noi sappiamo che la riproduzione delle condizioni materiali di produzione non può
essere pensata al livello dell’azienda, perché non esiste a quel livello nella sua condizione reale. Quello che
accade al livello dell’azienda è un effetto, che ci dà solamente un idea della necessità della riproduzione,
ma non riesce assolutamente a consentire che le sue condizione ed i suoi meccanismi siano pensati.
Un momento di riflessione è sufficiente per essere convinti di questo: il Signor X, un capitalista che produce
filati di lana nella sua filanda, deve “riprodurre” la sua materia prima, le sue macchine, ecc, ma non li
produce per la propria produzione - altri capitalisti lo fanno: un allevatore di pecore australiano, il Signor Y,
un ingegnere pesante produzione di macchine utensili, il Signor Z, ecc., ecc. Il Signor Y e il Signor Z, per
produrre quei prodotti che sono la condizione della riproduzione delle condizioni di produzione [corsivo
mio] del Signor X, devono anche riprodurre le condizioni della loro propria produzione, e così via all'infinito
- il tutto in proporzioni tali che, sul mercato nazionale e anche il mercato mondiale, la domanda di mezzi di
produzione (per la riproduzione) possono essere soddisfatte dalla fornitura.
Per pensare questo meccanismo, che porta ad una sorta di “catena senza fine”, è necessario seguire la
procedura “globale” di Marx, e studiare in particolare le relazioni della circolazione di capitale tra Sezione I
(produzione dei mezzi di produzione) e Sezione II (produzione dei mezzi di consumo), e la realizzazione del
plusvalore, nel Capitale, volumi Due e Tre.
Non andremo nelle analisi della presente questione. Sarà sufficiente aver menzionato l’esistenza della
necessità di riproduzione delle condizioni materiali di produzione.
Riproduzione della Forza-Lavoro
Tuttavia, il lettore non avrà mancato di notare una cosa. Abbiamo discusso la riproduzione dei mezzi di
produzione - ma non la riproduzione delle forze produttive. Abbiamo quindi ignorato la riproduzione di ciò
che distingue le forze produttive dai mezzi di produzione, cioè la riproduzione della forza lavoro.
Dall'osservazione di ciò che avviene in azienda, in particolare l'esame della pratica contabile finanziaria che
prevede ammortamenti [amortizazion] ed investimenti, siamo stati in grado di ottenere un'idea
approssimativa della esistenza del processo materiale di riproduzione, ma ora stiamo entrando in un
ambito in cui l'osservazione di ciò che accade in azienda, se non siamo del tutto ciechi, è quasi del tutto
così, e per una buona ragione: la riproduzione della forza-lavoro si svolge essenzialmente al di fuori
dell'azienda.
Com’è assicurata la riproduzione della forza lavoro?
È assicurata dando alla forza-lavoro il mezzo materiale tramite il quale può riprodurre se stessa: il salario. I
salari figurano nella contabilità di ogni impresa, ma come “capitale dei salari”[3], non figurano quindi come
condizione della riproduzione materiale della forza lavoro.
Tuttavia, è infatti così che “funziona”, poiché il salario rappresenta solamente una parte del valore prodotto
dalla impiego della forza lavoro, il quale è indispensabile per la sua riproduzione: così indispensabile alla
ricostituzione della forza-lavoro del salariato (i mezzi economici per pagare alloggio, vitto e vestiario, in
breve per consentire al salariato di presentarsi di nuovo al cancello della fabbrica il giorno successivo - e
ogni ulteriore giorno che Dio concede), e dovremmo aggiungere: indispensabile per crescere ed educare i
bambini in cui il proletariato si riproduce (in n modelli, dove n = 0, 1, 2, ecc ...) come forza lavoro.
Ricordiamo che questa quantità di valore (salario) necessaria per la riproduzione della forza-lavoro è
determinata non dalle esigenze di un salario “biologico” minimo garantito (Salaire Minimum
Interprofessionnel Garanti) da solo, ma dalle esigenze di un minimo storico (Marx ha osservato che gli
operai inglesi hanno bisogno della birra, mentre i proletari francesi hanno bisogno del vino) - vale a dire un
minimo storicamente variabile.
Vorrei inoltre sottolineare che questo “minimo” è doppiamente storico in quanto non è definito dai bisogni
storici della classe operaia “riconosciuta” da parte della classe capitalista, ma dalle le esigenze storiche
imposte dalla lotta di classe proletaria (una doppia lotta di classe : contro il prolungamento della giornata di
lavoro e contro la riduzione dei salari).
Tuttavia, esso non è sufficiente per assicurare alla forza lavoro le condizioni materiali della sua riproduzione
se essa deve essere riprodotta come forza-lavoro. Ho detto infatti che la forza lavoro disponibile deve
essere “competente”, cioè adatta ad essere impostata per lavorare nel complesso sistema del processo di
produzione.
Lo sviluppo delle forze produttive e del tipo di unità storicamente costitutiva delle forze produttive in un
determinato momento, produce il risultato che la forza-lavoro deve essere (diversamente) qualificata e
quindi riprodotta come tale. Diversamente: a seconda delle esigenze della divisione socio-tecnica del
lavoro, dei suoi vari “posti di lavoro” e “impieghi”.
Come avviene la riproduzione delle (diversificate) qualifiche della forza-lavoro all’interno di un regime
capitalistico? Qui, a differenza delle precedenti formazioni sociali caratterizzate da schiavitù o servitù della
gleba, questa riproduzione delle competenze della forza lavoro tende (si tratta di una legge tendenziale)
sempre meno ad avvenire “sul posto [di lavoro, ndT]” (ad esempio l’apprendistato all'interno della
produzione stessa), ma si ottiene sempre di più al di fuori produzione: dal sistema di istruzione capitalista, e
da altre istanze ed istituzioni.
Che cosa imparano i bambini a scuola? Intraprendo vari percorsi nei loro studi, ma in ogni caso imparano a
leggere, scrivere e contare [to add] - vale a dire una serie di tecniche, e una serie di altre cose, tra le quali
elementi (siano essi rudimentali o approfonditi) “scientifici” o di “cultura letteraria”, che sono direttamente
utili per diversi lavori in produzione (un’istruzione per gli operai, un altra per i tecnici, una terza per gli
ingegneri, una finale per la direzione, ecc). Imparano il cosiddetto “know-how”.
Ma oltre a queste tecniche e conoscenze, e nell' apprendimento di queste, i bambini a scuola imparano
anche le “regole” del buon comportamento, vale a dire l'atteggiamento che deve essere osservato da tutti
gli agenti della divisione del lavoro, in base al lavoro cui egli è “destinato”: regole della morale, coscienza
civica e professionale, il che significa in realtà norme di rispetto per lo sviluppo socio-tecnico della divisione
del lavoro e in definitiva le regole dell'ordine stabilito dal dominio di classe. Imparano anche a “parlare
correttamente il Francese”, a “gestire” i lavoratori correttamente, cioè in realtà (per i futuri capitalisti ed i
loro dipendenti) ad “ordinare loro” correttamente, vale a dire (in teoria) a “parlare con loro” nel giusto
modo, ecc.
Poniamo la questione in modo più scientifico, dirò che la riproduzione della forza lavoro richiede non solo
una riproduzione delle proprie competenze, ma anche, al tempo stesso, una riproduzione della sua
sottomissione alle regole dell’ordine costituito, cioè una riproduzione della sottomissione all'ideologia
dominante per i lavoratori, e una riproduzione della capacità di manipolare l'ideologia dominante
correttamente per gli agenti di sfruttamento e repressione, in modo che anche loro, provvedano al dominio
della classe dominante “nelle parole”.
In altre parole, la scuola (ma anche altre istituzioni dello Stato, come la Chiesa, o altri apparati, come
l’Esercito) insegnano il cosiddetto “know-how”, ma in forme tali che riescono a garantire la sottomissione
all’ideologia dominante o la padronanza della sua “pratica”. Tutti gli agenti della produzione, dello
sfruttamento e della repressione, per non parlare dei “professionisti dell'ideologia” (Marx), devono in un
modo o nell'altro essere “impregnati” di quest’ideologia, al fine di svolgere i loro compiti
“coscienziosamente” - i compiti degli sfruttati (i proletari), degli sfruttatori (i capitalisti), degli “ausiliari” (i
dirigenti), o dei sommi sacerdoti dell’ideologia dominante (i suoi “funzionari”), ecc.
La riproduzione della forza lavoro rivela così come sua sine qua non non solamente la riproduzione delle
“competenze”, ma anche la riproduzione della sua sottomissione all' ideologia dominante o della “pratica”
di tale ideologia, con la condizione che non è sufficiente dire “non solo ma anche”, perché è chiaro che è
nelle forme e sotto tali forme di sottomissione ideologica che è prevista la riproduzione delle competenze
della forza lavoro.
Ma ciò significa riconoscere effettivamente la presenza di una nuova realtà: l'ideologia.
Qui farò due osservazioni.
La prima è quella di arrotondare [to round off] la mia analisi della riproduzione.
Ho appena dato un rapido esame alle forme di riproduzione delle forze produttive, cioè dei mezzi di
produzione, da un lato, e forza-lavoro dall'altra.
Ma non ho ancora affrontato la questione della riproduzione dei rapporti di produzione. Questa è una
questione cruciale per la teoria marxista del modo di produzione. Trascurare tale passaggio sarebbe un
omissione teorica - peggio, un grave errore politico.
Mi limiterò quindi discuterne. Ma, al fine di ottenere i mezzi per discuterne, dovrò fare un altro lungo giro.
La seconda osservazione consiste nel fatto che per fare questa deviazione, sono costretto a riproporre la
mia vecchia domanda: che cosa è una società?
Struttura e Sovrastruttura [Althusser utilizza il termine Infrastructure]
In diverse occasioni[4] ho insistito sul carattere rivoluzionario della concezione marxista della “totalità
sociale” [social whole] in quanto è distinta dalla “totalità” hegeliana. Ho detto (e questa tesi ripete solo
famose proposizioni del materialismo storico) che Marx concepì la struttura di ogni società costituita da
“livelli” o “istanze” articolate attraverso una specifica determinazione: la struttura, o base economica
(l’“unità” delle forze produttive e dei rapporti di produzione) e la sovrastruttura, che a sua volta contiene
due “livelli” o “istanze”: quella politico-giuridico (il diritto e lo Stato) e quella ideologica (le diverse
ideologie, religiose, etiche, giuridiche, politiche, ecc).
Oltre al suo interesse teorico-didattico (che rivela la differenza tra Marx e Hegel), questa rappresentazione
ha il seguente vantaggio teorico cruciale: permette di iscrivere nell’apparato teorico dei suoi concetti
essenziali, quelli che ho chiamato i loro rispettivi indici di efficacia. Che cosa significa?
È facile vedere che questa rappresentazione della struttura di ogni società come un edificio contenente una
base (struttura) su cui sono eretti i due “piani” della sovrastruttura, è una metafora, per essere precisi, una
metafora spaziale: la metafora di una topografia (topique)[5]. Come ogni metafora, questa metafora
suggerisce qualcosa, fa qualcosa di visibile. Cosa? Precisamente questo: che i piani superiori non possono
“restare sospesi” (in aria) da soli, se non poggiano precisamente sulla loro base.
Così lo scopo della metafora dell'edificio è quello di rappresentare soprattutto la “determinazione in ultima
istanza” ad opera della base economica. L'effetto di questa metafora spaziale è quello di dotare la base di
un indice di efficacia conosciuta tramite i famosi termini: la determinazione in ultima istanza di ciò che
accade nei “piani superiori” (della sovrastruttura) da ciò che accade nella base economica.
Dato questo indice di efficacia “in ultima istanza”, i “piani” della sovrastruttura sono chiaramente dotati di
diversi indici di efficacia. Che tipo di indici?
Si può dire che i piani della sovrastruttura non sono determinanti in ultima istanza, ma che essi sono
determinati dall’efficacia della base; che se sono determinanti nei loro propri (ancora da definire) modi,
questo è vero solo in quanto sono determinati dalla base.
Il loro indice di efficacia (o determinazione), come stabilito dalla determinazione in ultima istanza della
base, viene pensato alla tradizione marxista in due modi:
(1) vi è un “autonomia relativa” della sovrastruttura rispetto alla base;
(2) c'è un “azione reciproca” della sovrastruttura sulla base.
Possiamo quindi dire che il grande vantaggio teorico della topografia marxista, cioè la metafora spaziale
dell'edificio (di base e sovrastruttura) è simultaneamente ciò che rivela che le questioni della
determinazione (o di un indice efficacia) sono cruciali; ciò rivela che è la base, che in ultima istanza
determina l'intero edificio, e che, di conseguenza, ci obbliga a porre il problema teorico dei tipi di efficacia
propria della sovrastruttura, vale a dire che ci obbliga a pensare che la tradizione Marxista chiama
congiuntamente l’autonomia relativa della sovrastruttura e l’azione reciproca della sovrastruttura sulla
base.
Il più grande svantaggio di questa rappresentazione della struttura di ogni società tramite la metafora
spaziale di un edificio, è ovviamente il fatto che è metaforico: cioè resta descrittiva.
Ora mi sembra che sia possibile e auspicabile rappresentare le cose in modo diverso. NB, non voglio dire
con questo che io voglia rifiutare la metafora classica, al che la metafora stessa richiede che si vada al di là
di essa. E non ho intenzione di spingermi al di là di essa, al fine di respingerla in quanto logora. Voglio
semplicemente tentare di pensare che cosa essa ci dà in forma di una descrizione.
Io credo che sia possibile e necessario pensare ciò che caratterizza l'essenza dell'esistenza e della natura
della sovrastruttura sulla base della riproduzione. Una volta preso il punto di vista della riproduzione, molte
delle domande la cui esistenza è stata indicata dalla metafora spaziale dell'edificio, ma a cui non si poteva
dare una risposta concettuale, vengono immediatamente illuminate.
La mia tesi di base è che non è possibile porre queste domande (e dunque di rispondere) eccetto che dal
punto di vista della riproduzione.
Darò una breve analisi della Diritto, dello Stato e dell’ideologia da questo punto di vista. E rivelerò cosa
accade sia dal punto di vista della pratica e della produzione da un lato, e da quello della riproduzione
dall’altro.
Lo stato
La tradizione marxista è severa, qui: nel Manifesto del Partito Comunista e nel Diciotto Brumaio (e in tutti i
successivi testi classici, soprattutto negli scritti di Marx sulla Comune di Parigi e di Lenin in Stato e
Rivoluzione), lo Stato è esplicitamente concepito come un apparato repressivo . Lo Stato è una “macchina”
di repressione, che consente alle classi dominanti (nel XIX secolo la classe borghese e la “classe” dei grandi
proprietari terrieri) di garantire il loro dominio sulla classe operaia, consentendo in tal modo alla prima di
sottoporre quest'ultima al processo di estorsione del plusvalore (vale a dire lo sfruttamento capitalista).
Lo Stato è dunque, prima di tutto, ciò che i marxisti classici hanno chiamato Apparato Statale. Questo
termine significa: non solo l'apparato specializzato (in senso stretto) la cui esistenza e necessità ho
riconosciuto in relazione alle esigenze del Diritto Pratico, vale a dire la polizia, i tribunali, le prigioni; ma sta
ad indicare anche l'esercito, che (il proletariato ha pagato questa esperienza con il suo sangue) interviene
direttamente come forza supplementare repressiva in ultima istanza, qualora la polizia e le sue
specializzazioni ausiliarie vengano “superate dagli eventi”, ed al di sopra questo insieme di apparati, vi è il
capo dello Stato, il governo e l’amministrazione.
Presentata in questa forma, la “teoria” marxista-leninista dello Stato punta il suo dito sul punto essenziale,
e non si può discutere neanche per un momento il fatto che questo sia davvero il suo punto essenziale.
L'Apparato Statale, che definisce lo Stato come una forza repressiva di esecuzione e di intervento
“nell’interesse delle classi dominanti” nella lotta di classe condotta dalla borghesia e dai suoi alleati contro
il proletariato, è quasi certamente lo Stato che, definisce la sua “funzione” di base.
Dalla Teoria Descrittiva alla Teoria come tale
Tuttavia, anche qui, come ho già sottolineato per quanto riguarda la metafora dell'edificio (struttura e
sovrastruttura), questa presentazione della natura dello Stato è ancora in parte descrittiva.
Siccome avrò spesso occasione di usare questo aggettivo (descrittivo), qualche parola di spiegazione a
riguardo diventa necessaria al fine di eliminare qualsiasi ambiguità.
Ogni volta che, parlando della metafora dell'edificio o della “teoria” Marxista dello Stato, ho detto che si
tratta di concezioni descrittive o rappresentazioni dei loro oggetti, non avevo secondi fini critici. Al
contrario, ho tutte le ragioni per pensare che le grandi scoperte scientifiche non possano fare a meno di
passare attraverso quella fase che chiamerò “teoria” descrittiva. Questa è la prima fase di ogni teoria,
almeno nell’ambito (domain) che ci riguarda (quello della scienza delle formazioni sociali). In quanto tale, si
può e, a mio parere si deve - ipotizzare questa fase come transitoria, necessaria per lo sviluppo della teoria.
Che sia di transizione è inscritto nella mia espressione: “teoria descrittiva”, che rivela nel suo insieme di
termini l'equivalente di una sorta di “contraddizione”. Infatti, il termine teoria “urta” in una certa misura
con l'aggettivo “descrittivo”che ho collegato ad esso. Questo, con sufficiente precisione, significa:
(1) che la “teoria descrittiva” è in realtà, senza ombra di dubbio, l'inizio irreversibile della teoria;
ma (2) che la forma “descrittiva” in cui viene presentata la teoria richiede, proprio per effetto di questa
“contraddizione”, uno sviluppo della teoria che va al di là della forma di “descrizione”.
Lasciatemi chiarire questo punto ritornando all’oggetto della presente discussione: lo Stato.
Quando parlo di “teoria” Marxista dello Stato per noi valida, essa è ancora parzialmente “descrittiva”, il che
significa innanzitutto, che queste “teoria” descrittiva è senza ombra di dubbio precisamente l’origine della
teoria Marxista dello Stato, e quest’origine ci fornisce il punto essenziale, cioè il principio risolutivo di ogni
successivo sviluppo di tale teoria.
Infatti, chiamerò la teoria dello stato corretta, dal momento che essendo perfettamente possibile applicare
tale teoria alla stragrande maggioranza dei casi nell’ambito cui la riguarda corrisponde alla definizione che
dà del suo oggetto. Pertanto, la definizione dello Stato come uno Stato di classe, esistente nell'Apparato
Statale Repressivo, getta una brillante luce su tutti i fatti osservabili in qualsivoglia ordine di repressione in
qualsiasi ambito storico: dai massacri del Giugno 1848 alla Comune di Parigi, dalla Domenica di sSangue nel
Maggio 1905 a Pietrogrado, alla Resistenza, di Charonne, ecc, ai meri (e relativamente calmanti [anodyne])
interventi di “censura”, che hanno messo al bando La Réligieuse di Diderot o una commedia di Gatti su
Franco; [la definizione dello Stato come Stato di classe] mette in luce tutte le forme dirette o indirette di
sfruttamento e sterminio delle masse del popolo (guerre imperialiste); mette in luce che la sottile
dominazione quotidiana sotto la quale si intravede, nelle forme della democrazia politica, per esempio, ciò
che Lenin, seguendo Marx, chiama la dittatura della borghesia.
Eppure, la teoria descrittiva dello Stato rappresenta una fase nella costituzione di tale teoria, che esige di
per sé il “superamento” di questa stessa fase. Perché è chiaro che se la definizione in questione ci dà
realmente i mezzi per identificare e riconoscere i fatti di oppressione mettendoli in relazione con lo Stato,
concepito come l'apparato statale repressivo, tale “interrelazione” dà luogo a un tipo molto particolare di
ovvietà, di cui avrò qualcosa da dire ad un certo momento: “Sì, è così, è proprio vero!”[6]
E l’accumulazione dei fatti entro la definizione di Stato potrebbe moltiplicare gli esempi, ma non
avanzerebbe veramente una definizione di Stato, cioè la teoria scientifica dello Stato. Ogni teoria descrittiva
quindi, corre il rischio di “arrestare” [blocking] lo sviluppo della teoria, eppure tale sviluppo è essenziale.
Per questo motivo ritengo che, al fine di sviluppare questa teoria descrittiva in teoria in quanto tale, vale a
dire al fine di capire meglio i meccanismi dello Stato nel suo funzionamento, credo che sia indispensabile
aggiungere qualcosa alla definizione classica dello Stato come Apparato Statale.
Elementi essenziali della Teoria Marxista dello Stato
Permettetemi innanzitutto di chiarire un punto importante: lo Stato (e la sua esistenza in tutti i suoi
apparati) non ha alcun significato se non come funzione del potere Statale. L'intera lotta di classe politica
ruota intorno allo Stato. Con questo intendo tutto il possesso, vale a dire la presa e la conservazione del
potere statale da parte di una certa classe o da parte di un’alleanza tra classi o frazioni di classe. Questo
chiarimento prima mi obbliga a distinguere tra potere Statale (conservazione del potere dello Stato o di
presa del potere dello Stato), l'obiettivo della lotta di classe politica da un lato, e l'Apparato Statale
dall'altro.
Sappiamo che l’Apparato Statale può sopravvivere, come provato dalle “rivoluzioni” borghesi del XIX secolo
in Francia (1830, 1848), come provato dal coup d’état (2 Dicembre, Maggio 1958), dal collasso dello Stato
(la caduta dell’Impero nel 1870, la caduta della Terza Repubblica nel 1940), o dall’ascesa politica della
piccola borghesia (1890-1895), ecc., senza che l’Apparato Statale sia influenzato o modificato: esso può
sopravvivere agli eventi politici che influenzino il possesso del Potere Statale.
Anche dopo una rivoluzione sociale come quella del 1917, una larga parte dell’Apparato Statale sopravvisse
alla presa del Potere Statale da parte dell’unione del proletariato e dei piccoli contadini: Lenin ripeté il fatto
ancora e ancora.
È possibile descrivere la distinzione tra Potere Statale ed Apparato Statale, come parte della “teoria
marxista” dello stato, esplicitamente presenti in Il 18 Brumaio e Lotte di Classe in Francia.
Per riassumere la “Teoria Marxista dello Stato” su questo punto, si può dire che i Marxisti classici hanno
sempre affermato che:
(1) lo stato è l’apparato statale repressivo;
(2) Potere Statale ed Apparato Statale vanno distinti;
(3) l’obbiettivo della lotta di classe riguarda il Potere Statale, di conseguenza l’uso dell’Apparato Statale da
parte delle classi (o unione di classi o di frazioni di classi) che detengano il Potere Statale in funzione dei
loro obbiettivi di classe, e
(4) il proletariato deve prendere il Potere Statale al fine di distruggere l’Apparato Statale borghese e, nella
prima fase, rimpiazzarlo con un ben diverso, proletario, Apparato Statale, poi nelle fasi successive mettere
in moto un radicale processo di distruzione dello stato (fine del Potere Statale, fine di ogni Apparato
Statale).
In questa prospettiva, tuttavia, quello che mi propongo di aggiungere alla “Teoria Marxista” dello stato si
trova già in molte parole. Ma mi sembra che anche con questo supplemento, questa teoria sia ancora in
parte descrittiva, tuttavia, essa contiene ora differenti e complessi elementi la cui azione ed il cui
funzionamento non possono essere capiti senza ricorrere ad ulteriori e supplementari sviluppi teoretici.
Gli Apparati Ideologici Statali
Quindi, ciò che va aggiunto alla “Teoria Marxista” dello Stato è qualcos’altro.
Qui dobbiamo avanzare con cautela in un terreno, infatti, in cui i Marxisti classici entrarono molto prima di
noi, ma senza aver sistematizza in forme teoretiche i decisivi progressi (advances) impiegati nelle loro
esperienza e procedure. Le loro esperienze e procedure si limitarono, per la maggior parte dei casi, al
terreno della pratica politica.
Infatti, cioè nella pratica politica, i Marxisti classici considerarono lo stato come una realtà ben più
complessa della definizione data dalla “Teoria Marxista dello Stato”, anche quando fu completata come ho
appena suggerito. Essi riconobbero la complessità della questione nella loro pratica, non espressero tale
complessità in una teoria corrispondente.
Vorrei tentare di fornire un quadro molto schematico di questa teoria corrispondente. A tal fine, propongo
la seguente tesi.
Al fine di promuovere la teoria dello Stato è indispensabile prendere in considerazione non solo la
distinzione tra Potere Statale ed Apparato Statale, ma anche un’altra realtà che è chiaramente dalla parte
dell'Apparato Statale (repressivo), ma non deve essere confuso con esso. Chiamerò questa realtà con il suo
concetto: gli Apparati Ideologici Statali.
Cosa sono gli Apparati Ideologici Statali? (AIS)
Non devono essere confusi con l’Apparato Statale (repressivo). Ricordiamo che nella teoria Marxista,
l’Apparato Statale (AS) contiene: il Governo, l’Amministrazione, l’Esercito, la Polizia, i Tribunali, le Prigioni,
ecc., ciò costituisce quello che chiamerò in futuro l’Apparato Statale Repressivo. “Repressivo” suggerisce
che l’Apparato Statale in questione “funzioni con la violenza” - almeno in ultima analisi (dalla repressione,
per esempio repressione amministrativa, può assumere forme non fisiche).
Chiamerò Apparati di Stato Ideologici un certo numero di realtà che si presentano a loro volta
all’osservatore immediato nella forma di istituzione specializzata e distinta. Propongo una lista empirica di
tali istituzioni che dovranno ovviamente essere esaminate in dettaglio, testate, corrette e ri-organizzate.
Con tutte le riserve implicite di tale requisito, possiamo considerare per il momento, le seguenti istituzioni
come Apparati di Stato Ideologici (l’ordine in cui ho elencato tali apparati non ha particolare rilevanza):
· AIS religiosi (le varie chiese),
· AIS educazionali (scuole pubbliche e private),
· La famiglia come apparato ideologico,[8]
· AIS legali,[9]
· AIS politici (sistema politico, diversi partiti inclusi),
· Le unioni commerciali
· AIS di comunicazione (stampa, radio, televisione)
· AIS culturali (arti, letteratura, sport, ecc)
Ho detto che gli Apparati Ideologici Statali non vanno confusi con l’Apparato Statale (Repressivo). In cosa
consiste la differenza?
In un primo momenti, è chiaro che mentre vi è un Apparato Statale (Repressivi), c’è una pluralità di
Apparati di Stato Ideologici. Anche presupponendo che essa esista, l’unità che costituisce questa pluralità di
Apparati Ideologici Statali come corpo non è visibile nell’immediato.
In un secondo momento, è chiaro che mentre l’unificato – Apparato di Stato (Repressivo) appartiene
interamente al pubblico dominio, la maggior parte degli Apparati Ideologici Statali (nella loro apparente
dispersione) sono parte, al contrario, del dominio privato. Chiese, Partiti, Unioni Commerciali, famiglie,
qualche scuola, molti giornali, imprese culturali, ecc., ecc., sono privati.
Possiamo ignorare la prima osservazione per il momento. Ma qualcuno è deciso a dubitare della seconda
osservazione, chiedendomi con quale diritto io consideri gli Apparati Ideologici Statali come istituzioni che
per la maggior parte non possiedono uno status pubblico, ma semplicemente si tratta di istituzioni private.
Come Marxista cosciente, Gramsci ha già prevenuto questa obbiezione in una frase. La distinzione tra
pubblico e privato è una distinzione interna al diritto borghese, e valida soltanto negli ambiti (subordinati)
in cui la legge borghese esercita la sua “autorità”. A tale autorità, fugge il dominio dello Stato, perché
quest’ultimo si trova “al di sopra della legge”: lo Stato, che è lo Stato della classe dominante, non è né
pubblico né privato; al contrario, è il presupposto per ogni distinzione tra pubblico e privato. La stessa cosa
può essere detta dal punto di partenza dei nostri Apparati Ideologici Statali. Non è importane tuttavia se
l’istituzione in cui essi si siano realizzati sia pubblica o privata. Ciò che conta è come essi funzionino. Le
istituzioni private possono “funzionare” perfettamente come Apparati Ideologici Statali. Un'analisi
ragionevolmente approfondita di uno qualsiasi degli Apparati Ideologici Statali lo dimostra.
Ora veniamo a ciò che è essenziale. Ciò che distingue gli Apparati Ideologici Statali dall’Apparato Statale
(Repressivo) è la seguente differenza di base: l’Apparto Statale Repressivo funziona “con la violenza”,
mentre gli Apparati Ideologici Statali funzionano “ideologicamente”.
Posso chiarire le questioni correggendo questa distinzione. Dirò piuttosto che ogni Apparato di Stato, sia
esso Repressivo o Ideologico, “funziona” sia con la violenza che con l’ideologia, ma con una distinzione
molto importante che rende imperativo non confondere gli Apparati Ideologici Statali con l’Apparato
Statale (Repressivo).
Questo, è il fatto che l’Apparato Statale (Repressivo) funziona massicciamente e prevalentemente
attraverso la repressione (compresa la repressione fisica), pur funzionando in secondo luogo
ideologicamente. (Non vi è un apparato puramente repressivo.) Ad esempio, l'esercito e la polizia
assumono inoltre una funzione ideologica sia per garantire loro coesione e riproduzione, sia nei “valori” che
propongono esternamente.
Allo stesso modo, ma inversamente, è essenziale dire che da parte loro gli Apparati Ideologici Statali
funzionano massicciamente e prevalentemente in maniera ideologica, ma operano secondariamente
tramite repressione, anche se in ultima analisi, ma solo in ultima analisi, tale funzionamento secondario è
molto attenuato e nascosto, addirittura simbolico. (Non vi è alcun apparato che funzioni in modo
puramente ideologico.) Così scuole e chiese usano appropriati metodi di punizione, espulsione, selezione,
ecc, per “disciplinare” non solo i loro pastori, ma anche le loro greggi. Lo stesso vale per la famiglia .... Lo
stesso vale per gli Apparati Ideologici Statali culturali (censura, tra le altre cose), ecc.
È necessario aggiungere che questa determinazione del doppio “funzionamento” (prevalentemente,
secondariamente) tramite repressione ed ideologia, a seconda che si tratti di una questione di Apparato
Statale (Repressivo) o di Apparati Ideologici Statali, chiarisca che molte sottili combinazioni possano
esplicitamente o tacitamente essere tessute dal gioco dell’Apparato Statate e dell’Apparato Ideologico
Statale? La vita quotidiana ci offre innumerevoli esempi a riguardo, ma vanno studiati in dettaglio, se
vogliamo andare oltre questa semplice osservazione.
Tuttavia, questa osservazione ci guida verso una comprensione di ciò che costituisce l’unità dell’apparente
insieme disparato degli Apparati Ideologici Statali. Se gli Apparati Ideologici Statali “funzionano”
massicciamente e prevalentemente tramite l’ideologia, ciò che unifica le loro diversità è precisamente tale
funzionamento, nella misura in cui l’ideologia tramite i quali funzionano è sempre unitaria, nonostante le
sue diversità e le sue contraddizioni, sotto l’ideologia dominante, che è l’ideologia della “classe dominante”.
Dato il fatto che la “classe dominante” in principio detiene il potere Statale (apertamente o più spesso per
mezzo dell’alleanza tra classi o frazioni di classe), e pertanto essa ha a sua disposizione l’Apparato Statale
(Repressivo), possiamo accettare che questa stessa classe dominante sia attiva negli Apparati Ideologici
Statali nella misura in cui essa sia in ultima analisi l’ideologia dominante che si realizza negli Apparati
Ideologici Statali, precisamente nelle sue contraddizioni. Ovviamente, è una cosa abbastanza differente
agire tramite le leggi ed i decreti nell’Apparato Statale (Repressivo) ed “agire” attraverso l’intermediario
dell’ideologia dominante negli Apparati Ideologici Statali. Dobbiamo andiamo nel dettaglio di tale
differenza – ma non può mascherare la realtà di un identità profonda. A quanto sappia, nessuna classe può
tenere per un lungo periodo il Potere Statale senza allo stesso tempo esercitare la sua egemonia al di sopra
e all’interno dell’Apparato Ideologico Statale. Ho bisogno solamente di un esempio ed una prova di questo:
l’angosciante preoccupazione di Lenin di rivoluzionare l’Apparato Ideologico Statale educativo (tra gli altri),
semplicemente per rendere possibile al Soviet proletario, che ha ottenuto il potere Statale, di assicurare un
futuro alla dittatura del proletariato e la transizione al socialismo[10].
Quest’ultimo commento ci mette nella posizione di comprendere che gli Apparati Ideologici Statali non
possono essere solamente l’interesse (? stake), ma anche il luogo della lotta di classe, e sovente di amare
forme di lotta di classe. La classe (o l’alleanza di classe) al potere non può imporre la legge negli Apparati
Ideologici Statali così facilmente come può fare nell’Apparato Statale (Repressivo), non solamente perché le
classi dominanti precedenti sono capaci di conservarvi forti posizioni per lungo tempo, ma anche perché la
resistenza delle classi sfruttate è capace di trovare mezzi ed occasioni per esprimersi all’interno di esso,
utilizzando le loro contraddizioni, o conquistando posizioni di combattimento nella loro lotta[11].
Lasciatemi correre (? run) attraverso i miei commenti.
Se le tesi che ho proposto son ben-fondate, ciò mi riporta alla classica teoria Marxista dello Stato, rendendo
più preciso un punto. Io sostengo sia necessario distinguere tra il Potere Statale (e il suo possesso da parte
di ...) da un lato, e l'Apparato Statale dall'altro. Ma aggiungo che l’Apparato Statale contiene due insiemi
(bodies): l’insieme delle istituzioni che rappresenta l’Apparato Statele Repressivo da una parte, e l’insieme
delle istituzioni che rappresentano il corpo dell’Apparato Statale Ideologico dall’altra.
Ma se questo è il caso, la seguente domanda è destinata ad avere una risposta, anche nello stato molto
sommario dei miei suggerimenti: che cosa è esattamente l'estensione del ruolo degli Apparati Ideologici
Statali? Su cos’è basata la loro importanza? In altre parole: a cosa corrisponde la “funzione” di questi
Apparati Ideologici Statali, che non funzionano tramite repressione ma tramite ideologia?
Sulla Riproduzione dei Rapporti di Produzione
Ora posso rispondere alla questione centrale che ho lasciato in sospeso per molte pagine: come viene
assicurata la riproduzione dei rapporti di produzione? (Relations Of Production)
Nel linguaggio topografico (Struttura, Sovrastruttura), posso dire: per la maggior parte[12], è assicurata dalla
sovrastruttura politico-legale ed ideologica.
Ma così come ho sostenuto quanto sia essenziale andare al di là di questo linguaggio ancora descrittivo,
dirò: per la maggior parte, è assicurato dall’esercizio del Potere Statale nell’Apparato Statale, da una parte
l’Apparato Statale (Repressivo), dagli Apparati Ideologici Statali dall’altro.
Quanto ho appena detto deve essere preso in considerazione, e può essere raggruppato nella forma delle
tre seguenti caratteristiche:
1. Tutti gli Apparati Statali funzionano sia tramite repressione che ideologia, con la differenza che
l’Apparato Statale (Repressivo) funziona massicciamente e prevalentemente tramite repressione, mentre
gli Apparati Ideologici Statali funzionano massicciamente e prevalentemente tramite l’ideologia.
2. Considerando che l’Apparato Statale (Repressivo) costituisce un tutto organizzato le cui diverse parti
sono centralizzate sotto un unità di comando, quella della politica della lotta di classe applicata dai
rappresentanti politici delle classi dirigenti in possesso del Potere Statale, gli Apparati Ideologici Statali
risultano molteplici, distinti, “relativamente autonomi” ed in grado di fornire un campo obiettivo di
contraddizioni che esprimono, in forme che possono essere limitate o estremamente evidenti, gli effetti
degli scontri tra la lotta di classe capitalista e la lotta di classe proletaria, così come le loro forme
subordinate.
3. Mentre l’unità dell’Apparato Statale (Repressivo) è assicurata dalla sua organizzazione unificata e
centralizzata sotto il comando dei rappresentanti delle classi al potere che eseguono la politica della lotta di
classe della classe dominante, l’unità dei differenti Apparati Ideologici Statali è assicurata, di solito in forma
contraddittoria, dall’ideologia dominante, ovvero dall’ideologia della classe dominante.
Tenendo conto di queste caratteristiche, è possibile rappresentare la riproduzione dei rapporti di
produzione[13] nel modo seguente, secondo una sorta di “divisione del lavoro”.
Il ruolo dell'Apparato Statale (Repressivo), nella misura in cui si tratta di un apparato repressivo, consiste
essenzialmente nel garantire con la forza (fisica o di altro tipo) le condizioni politiche della riproduzione dei
rapporti di produzione che sono in ultima istanza, rapporti di sfruttamento. Non solo l’Apparato Statale
contribuisce generosamente alla propria riproduzione (lo Stato Capitalista contiene dinastie politiche,
dinastie militari, ecc.), ma anche e soprattutto, l’Apparato Statale assicura con la repressione (dalla più
brutale forza fisica, alla mera ordinanza amministrativa o all’interdizione, fino all’aperta e tacita censura) le
condizione politiche per l’azione degli Apparati Ideologici Statali.
Infatti, è quest'ultimo che in gran parte va a garantire la riproduzione in particolare dei rapporti di
produzione, dietro uno “scudo” fornito dall'Apparato Statale (Repressivo). È qui che il ruolo dell’ideologia
dominante è pesantemente concentrato, l’ideologia della classe dominante, che detiene il potere statale. È
l’intermediazione dell’ideologia dominante che assicura (talvolta stringendo i denti) un “armonia” tra
l’Apparato Statale (Repressivo) e gli Apparati Ideologici Statali, e a sua volta tra i differenti Apparati
Ideologici Statali.
Siamo così condotti a formulare le seguenti ipotesi, in funzione appunto della diversità degli Apparati
Ideologici Statali nel loro unico, perché condiviso, il ruolo della riproduzione dei rapporti di produzione.
In effetti abbiamo elencato un numero relativamente elevato di Apparati Ideologici Statali coevi alle
formazioni sociali capitalistiche: l'apparato educativo, l'apparato religioso, l'apparato della famiglia,
l'apparato politico, l’apparato sindacale, l’apparato dei mezzi di comunicazione, l'apparato “culturale”, ecc.
Nelle formazioni sociali del modo di produzione caratterizzato dalla “servitù della gleba” (solitamente
chiamato modo di produzione feudale), noi osserviamo che nonostante vi sia un singolo Apparato Statale
(Repressivo) che, sin dagli albori degli Antichi Stati conosciuti, lascia sola la Monarchia Assoluta, è stato
formalmente molto simile a quello che conosciamo noi oggi, ma il numero di Apparati di Stato Ideologici è
minore e le loro singole tipologie sono diverse. Per esempio, osserviamo che durante il Medioevo, la Chiesa
(l’Apparato Ideologico Statale religioso) deteneva un numero di funzioni che al giorno d’oggi sono
distribuite [devolved] in alcuni distinti Apparati Ideologici Statali, quelli nuovi, rispetto al passato cui mi
riferisco [I am invoking], detengono in particolare funzioni educative e culturali. Accanto alla Chiesa c'era
l’Apparato Ideologico Statale della famiglia, che ha recitato una parte considerevole, incommensurabile fu il
suo ruolo nelle formazioni sociali capitalistiche. Malgrado le apparenze, la Chiesa e la Famiglia non furono
gli unici Apparati Ideologici Statali. Ci fu inoltre un Apparato Ideologico Statale di carattere politico (gli Stati
Generali, il Parlamento, le Leghe e le differenti fazioni politiche, i precursori dei moderni partiti politici, e
l’intero sistema politico dei liberi Comuni e poi delle Villes). C’era pure un potente Apparato Ideologico
Statale “proto-sindacale”, se posso usare un termine così anacronistico (si tratta delle potenti corporazioni
di mercanti e bachieri e di associazioni di operai dipendenti, ecc.). Si è visto pure un indiscutibile sviluppo
dei settori dell’Editoria e della Comunicazione, così come del teatro; inizialmente, entrambi furono parte
integrante della Chiesa, poi divennero gradualmente più indipendenti da essa.
Nel periodo storico pre-capitalista che ho esaminato molto ampiamente, è assolutamente chiaro che c’era
un Apparato Ideologico Statale dominante, la Chiesa, che concentrava all’interno di essa non solo la
funzione religiosa, ma anche quella educativa, ed una larga porzione delle funzioni comunicative e
“culturali”. Non è un caso, quindi, che tutte le lotte ideologiche, dal XVI al XVIII secolo, a partire dai primi
colpi della Riforma, siano sublimate in contrasti di carattere anti-clericale ed anti-religioso; anzi, questa è
precisamente la funzione della posizione dominante degli Apparati Ideologici Statali religiosi.
Il principale obiettivo e successo della rivoluzione francese non era solo il trasferimento del potere Statale
della nobiltà feudale ai mercanti-capitalisti borghesi, non era solo la rottura di parte dell'apparato
repressivo dello Stato prima per sostituirla poi con una nuova (ad esempio, l'Esercito nazionale popolare ),
ma anche di attaccare l’Apparato Ideologico Statale numero uno: la Chiesa. Da qui la costituzione civile del
clero, la confisca della ricchezza ecclesiastica, e la creazione di nuovi Apparati Ideologici Statali per
destituire l’Apparato Ideologico Statale religioso dal suo ruolo dominante.
Naturalmente, questi fatti non accaddero automaticamente: a testimonianza di ciò vi è il Concordato, la
Restaurazione e la lunga lotta di classe tra l’aristocrazia terriera e gli industriali borghesi attraverso il XIX
secolo per l’instaurazione dell’egemonia borghese al di sopra delle funzioni formalmente esaurite da parte
della Chiesa: tramite le Scuole soprattutto. Si può dire che la borghesia abbia fatto affidamento sul nuovo
assetto politico, parlamentare-democratico, Apparato Ideologico Statale, installato nei primi anni della
Rivoluzione, restaurato poi dopo lunghe e violente lotte, per alcuni mesi nel 1848 e per decenni dopo la
caduta del Secondo Impero, al fine di condurre la sua lotta contro la Chiesa e strapparle le sue funzioni
ideologiche, in altre parole, per garantire non solo la propria egemonia politica, ma anche l'egemonia
ideologica indispensabile alla riproduzione dei rapporti capitalistici di produzione.
Ecco perché credo che io sia giustificato nel sostenere tale tesi, per quanto precaria essa sia. Credo che
l'Apparato Ideologico Statale che fu installato nella posizione dominante delle formazioni sociali del
capitalismo maturo a seguito di una violenta lotta di classe politica e ideologica contro il vecchio Apparato
dominante Stato ideologico, sia l'apparato educativo ideologico.
Questa tesi può sembrare paradossale, dato che per ognuno, cioè nella rappresentazione ideologica che la
borghesia ha tentato di dare a se stesa e le classi che sfrutta, sembra veramente che l’Apparato Ideologico
Statale nelle formazioni sociali capitaliste non sia la Scuola, ma gli Apparati Ideologici Statali, cioè il regime
della democrazia parlamentare unitamente al suffragio universale ed al confronto tra partiti.
Tuttavia, la storia, anche la storia recente, mostra che la borghesia è stata ed è tuttora capace di ospitare
se stessa in Apparati Ideologici Statali diversi da quelli della democrazia parlamentare: il Primo ed il
Secondo Impero, la Monarchia Costituzionale (Luigi XVIII e Carlo X), la Monarchia Parlamentare (Luigi
Filippo), la Democrazia Presidenziale (de Gaulle), per citare la sola Francia. In Regno Unito è anche più
chiaro. La Rivoluzione ebbe particolare “successo” dal punto di vista borghese, perché a differenza della
Francia, dove la borghesia, in parte a causa della stupidità della piccola aristocrazia, doveva accettare di
essere portata al potere dalle “giornate rivoluzionarie” di contadini e plebei, qualcosa per cui si doveva
pagare un alto prezzo, la borghesia inglese fu capace di “venire ad un compromesso” con l’aristocrazia e
“condividere” il Potere Statale e l’utilizzo dell’Apparato Statale con essa per un lungo tempo (pace fra tutti
gli uomini di buona volontà tra le classi dominanti!). In Germania fu ancora più evidente, dal momento che
l’Apparato Politico Ideologico di Stato era guidato dagli Junkers (esemplificati da Bismarck), infatti il loro
esercito e le forze di polizia erano dotati di uno scudo e di personale dirigente, in tal modo la borghesia
imperialista ha fatto il suo ingresso dirompente nel storia, prima di “attraversare” la Repubblica di Weimar
e affidandosi al nazismo.
Quindi credo di avere buone ragioni per pensare che dietro le quinte dell’Apparato Ideologico Statale
Politico, che occupa la parte anteriore del palco, si trova quello che la borghesia ha installato come il suo
Apparato numero uno, vale a dire come suo Apparato Ideologico Statale, ovvero l’apparato educativo, che
ha di fatto sostituito nelle sue funzioni l'Apparato Ideologico Statale precedentemente, ovvero la Chiesa. Si
potrebbe anche aggiungere: la coppia Scuola-Famiglia ha sostituito la coppia Chiesa-Famiglia.
Perché è l’apparato educativo, infatti, l’Apparato Ideologico Statale dominante nelle forme sociali
capitaliste? Come funziona?
Per il momento ci basta dire:
1. Tutti gli Apparati Ideologici Statali, qualsiasi essi siano, contribuiscono allo stesso risultato: la
riproduzione dei rapporti di produzione, cioè i rapporti capitalisti di sfruttamento.
2. Ognuno di loro contribuisce a questo risultato singolo nel modo che gli è proprio. L'apparato politico
opera sottoponendo gli individui all'ideologia dello Stato Politico, vi è la modalità “indiretta” (parlamentare)
o l’ideologia “democratica”, “diretta” (plebiscitaria o fascista). Gli apparati di comunicazione operano in tal
senso rimpinzando il “cittadino” di dosi giornaliere di nazionalismo, sciovinismo, liberalismo, moralismo,
ecc, con i mezza stampa, radio e televisione. Lo stesso vale per gli apparati culturali (il ruolo dello sport
nello sciovinismo è di prima importanza), ecc. L’apparato religioso rievocando nei sermoni e nelle altre
grandi cerimonie della Nascita, Matrimonio e Morte, che l’uomo è soltanto cenere, salvo che amare il
prossimo fino al punto di porgere l’altra guancia a chiunque ti colpisca. L’apparato famigliare … non c’è
bisogno di proseguire.
3. Questo concerto è dominato da una singola partitura, occasionalmente disturbata dalle contraddizioni
(le contraddizioni rimanenti della classe dominante precedente, quelle del proletariato e della sua
organizzazione): la partitura dell’Ideologia della classe dominante attuale che integra nella sua musica i
grandi temi dell’Umanità, dei Grandi Progenitori, che hanno prodotto il Miracolo Greco ben prima del
Cristianesimo, e poi la Gloria di Roma, la Città Eterna, ed i temi di Interesse, particolare e generale,
nazionalismo, moralismo ed economismo.
4. Tuttavia, in questo concerto, vi è un Apparato Ideologico Statale che detiene certamente il ruolo
dominante, anche se quasi nessuno presta orecchio alla sua musica: è così silenzioso! Si tratta della Scuola.
La scuola prende i bambini di ogni classe fin dall’età della scuola dell’infanzia, poi per anni, gli anni in cui il
bambino è più “vulnerabile”, stretto tra l'Apparato Famigliare Statale e l'Apparato Educativo Statale, la
scuola tambura [? picchia/batte] in essi, utilizzando metodi sia vecchi che nuovi, una certa quantità di
“know-how” avvolto nell’ideologia dominante (francese, aritmetica, storia naturale, le scienze, la
letteratura) o semplicemente l'ideologia dominante allo stato puro (etica, educazione civica, filosofia).
Intorno ai sedici anni, una grande quantità di bambini viene gettata “in produzione”: questi sono i
lavoratori o i contadini. Un’altra porzione di giovani scolasticamente più adatti prosegue il percorso
scolastico: e, nel bene o nel male, va oltre tale percorso, finché non cade ai margini ed occupa impieghi di
tecnico piccolo o medio, diventa un colletto bianco, o un piccolo/medio dirigente, piccolo borghese o di
tutti i tipi. Un ultima parte di questi giovani, raggiunge il vertice, o cade nell’impiego semi-intellettuale, o va
ad ingrossare le fila, come “intellettuale del lavoro collettivo”, degli agenti di sfruttamento (manager,
capitalisti), degli agenti di repressione (soldati, poliziotti, politici, amministratori, ecc) e degli ideologi di
professione (sacerdoti di ogni tipo, la maggior parte dei quali sono “laici” convinti).
Ogni massa espulsa lungo il viaggio, è praticamente provvista dell’ideologia grazie alla quale potrà adattarsi
a tale ruolo che dovrà svolgere nella società di classe:
- il ruolo dello sfruttato (con una coscienza “professionale altamente-sviluppata”, “etica”, “civica”,
“nazionale” ed a-politica);
- il ruolo dell’agente di sfruttamento (in grado di dare ordini ai lavoratori e parlare con loro: “le relazioni
umane”), o l’agente di repressione (in grado di dare ordini ed imporre l’obbedienza “senza discussione”, o
in grado di manipolare la demagogia della retorica dei leader politici), o l’ideologo di professione (in grado
di trattare le coscienze con rispetto, cioè con il disprezzo, il ricatto, e la demagogia che meritano, adatto
agli accenti della morale, della virtù, della trascendenza, della nazione, del ruolo della Francia nel mondo,
ecc.).
Ovviamente, la molte di queste virtù contrastanti (modestia, rassegnazione, sottomissione, da una parte,
cinismo, ricatto, arroganza, confidenza, auto-importanza, astuzia, parlare liscio [? smooth-talk] dall’altra)
sono insegnate pure in Famiglia, in Chiesa, nell’Esercito, nei Buoni Libri, nei film e persino negli stadi di
calcio. Ma nessun altro Apparato Ideologico Statale nella formazione sociale capitalista ha il pubblico (e non
meno importante, la libertà) obbligatorio della totalità dei bambini, otto ore al giorno per cinque o sei
giorni su sette.
Ma è tramite l’apprendistato nella sua varietà di know-how avvolti nell’inculcazione di massa dell’ideologia
di una classe dominante, che i rapporti di produzione in una formazione sociale capitalista, cioè le relazioni
tra sfruttati e sfruttatori e tra sfruttatori e sfruttati, sono ampiamente riprodotti. Il meccanismo che
riproduce questo vitale risultato per il regime capitalista è naturalmente coperto e nascosto
dall’universalmente imperante Ideologia della Scuola, universalmente imperante perché è una delle forme
essenziali del dominio ideologico borghese: un’ideologia che rappresenta la Scuola come un ambiente
neutro libero da ideologia (perché è … laico), dove gli insegnanti rispettosi della “coscienza” e della “libertà”
dei bambini che sono affidati loro (in totale confidenza) dagli stessi “genitori” (liberi anch’essi, cioè i
proprietari dei loro bambini) aprono loro il sentiero della libertà, della moralità e responsabilità degli adulti
grazie al loro esempio, tramite la conoscenza, la letteratura e le loro virtù liberatrici.
Chiedo perdono a quegli insegnanti che, in condizioni terribili, tentano di rivolgere le poche armi che
possono trovare nella storia ed imparano ad “insegnare” contro l’ideologia, il sistema e la pratica in cui
sono intrappolati. Loro sono come una specie di eroi. Ma essi sono rari, e quanti (la maggior parte) di questi
non hanno ancora iniziato a sospettare “il lavoro” del sistema, (che è più grande di loro e li schiaccia) esso li
costringe comunque fare quello che fanno, o peggio, essi mettono il loro cuore e la loro ingenuità nelle loro
azioni con la più avanzata consapevolezza di ciò (i famosi nuovi metodi!). Sospettano così poco che la loro
devozione contribuisca al mantenimento ed al nutrimento di tale rappresentazione ideologica della Scuola,
che fa sembrare la Scuole di oggi come “naturale”, indispensabile-utile ed anche vantaggiosa per i nostri
contemporanei così come la Chiesa era “naturale”, indispensabile e generosa per i nostri antenati secoli or
sono.
Infatti, la Chiesa è stata oggi rimpiazzata nel suo ruolo di Apparato Ideologico Statale dominante dalla
Scuola. Fa coppia con la Famiglia così come la Chiesa una volta faceva coppia a sua volta con la Famiglia.
Possiamo ora affermare che la profonda crisi senza precedenti che sta ora scuotendo il sistema
dell’educazione di molti Stati nel mondo, spesso in concomitanza con una crisi (già proclamata nel
Manifesto del Partito Comunista) che scuote il sistema della Famiglia, assume connotati politici, dato che la
Scuola (e la coppia Scuola/Famiglia) costituisce l’Apparato Ideologico Statale dominante, tale Apparato
gioca un ruolo determinante nella riproduzione dei rapporti di produzione di un modo di produzione
minacciato dalla lotta di classe nel mondo.
Sull’Ideologia
Quando ho posto il concetto di un Apparato Ideologico Statale, quando ho detto che gli Apparati Ideologici
Statali “funzionano tramite ideologia”, mi sono riferito ad una realtà che necessita di una piccola
discussione: l’ideologia.
È risaputo che l’espressione “ideologia” fu inventata da Cabanis, Destutt de Tracy ed i loro amici, che si
riferirono ad essa come ad un oggetto delle teoria genetica delle idee. Quando Marx riprese il termine
cinquant’anni dopo, gli dette un significato completamente diverso, anche nei suoi Scritti Giovanili. Qui,
l’ideologia è il sistema delle idee e delle rappresentazione che domina la mente di un uomo o di un gruppo
sociale. La lotta ideologico-politica condotta da Marx ai primordi con i suoi articoli nella Rheinische Zeitung
inevitabilmente e velocemente lo porta faccia a faccia con questa realtà e lo costringe a considerare
ulteriormente le sue prime intuizioni
Tuttavia, qui ci troviamo di fronte ad un paradosso abbastanza sorprendente. Ogni cosa sembra guidare
Marx alla formulazione di una teoria dell’Ideologia. Infatti, la Deutsche Ideologie ci offre, dopo i Manoscritti
del 1844, un’esplicita teoria di ideologia, ma … essa non è una teoria marxista (diremo perché in un altro
momento). Per quanto riguarda il Capitale, anche se contiene molti accenni riguardo una teoria delle
ideologie (più visibilmente, l’ideologia degli economisti volgari) non contiene quella stessa teoria, che
dipende per la maggior parte dalla teoria dell’ideologia in generale.
Vorrei azzardare una prima e molto schematica bozza di tale teoria. Le tesi che sto per portare avanti non
sono certamente ferrate, ma non possono essere sostenute e testa, cioè confermate o respinte, tranne che
da studi ed analisi approfondite.
L’Ideologia non ha Storia
Una parola prima di tutto, prima di esporre la ragione di principio sulla quale mi sembra di fondare, o per lo
meno di giustificare, il progetto di una teoria generale dell'ideologia, e non una teoria particolare delle
ideologie, che, sotto qualsiasi forma (religiosa, etica, giuridica, politica), esprime sempre posizioni di classe.
Risulta evidente che è necessario procedere ad una teoria delle ideologie attraverso i due aspetti che ho
appena suggerito. Sarà poi chiaro che la teoria delle ideologie dipende in ultima istanza dalla storia delle
formazioni sociali, e quindi dai modi di produzione combinati in formazioni sociali, e dalle lotte di classe che
si sviluppano all’interno di queste formazioni. In questo senso è chiaro che non ci può essere una
discussione riguardo una teoria delle ideologie in generale, dal momento che le ideologie (definite nella
doppia accezione di cui sopra: regionale e di classe) hanno storia, la cui determinazione in ultima istanza è
chiaramente situata al di fuori della sola ideologia, anche se essa vi è coinvolta.
Al contrario, se sono in grado di presentare il progetto di una teoria dell'ideologia in generale, e se questa
teoria è in realtà uno degli elementi da cui le teorie delle ideologie dipendono, ciò comporta quindi una
proposta apparentemente paradossale che io esprimo nei seguenti termini: l'ideologia non ha storia.
Come sappiamo, questa formulazione appare in molte parole in un passaggio della Deutsche Ideologie.
Marx pronuncia tale formulazione in contrapposizione alle metafisiche, che, dice Marx, non hanno più
storia di quanta ne abbia l’etica (cioè le altre forme di ideologia).
Nella Deutsche Ideologie, questa formulazione appare in un contesto chiaramente positivo. L’ideologia è
concepita come pura illusione, come puro sogno, cioè come nullità. Tutta la sua realtà è esterna ad essa.
L’ideologia è quindi pensata come una costruzione immaginaria il cui status è esattamente come lo stato
teoretico del sogno fra gli scrittori prima di Freud. Per questi scrittori, il sogna era puramente immaginario,
cioè nulla, risultato dei “residui della giornata”, presentato in ordine e disposizione arbitrari, qualche volta
anche “invertiti”, in altre parole, in “disordine”. Per loro, il sogno era l’immaginario, era vuoto, nullo ed
arbitrariamente “incollato” (bricolé), una volta chiusi gli occhi, dai residui dell’unica piena e positiva realtà,
la realtà del giorno. Questo è esattamente lo status della filosofia e dell’ideologia (dal momento che in
questo libro la filosofia è l’ideologia per eccellenza) nell’Ideologia Tedesca.
L’ideologia, poi, è per Marx un assemblaggio immaginario (bricolage), un puro sogno, vuoto e vano,
costituito dai “residui giornalieri” dell’unica piena e positiva realtà, quella della storia concreta degli
individui materiali e concreti che producono la loro esistenza. È su queste basi che si può dire che
l’ideologia non ha storia, nella Deutsche Ideologie, dal momento che la sua storia è fuori da essa, dove
l’unica storia esistente è, la storia degli individui concreti, ecc. Nella Deutsche Ideologie, le tesi che
l’ideologia non ha storia sono tesi puramente negative, in quanto significa sia:
1. che l’ideologia è nulla nel momento in cui è sogno puro (prodotto da chissà quale potere: se non
dall’alienazione della divisione del lavoro, ma anche quella, è una determinazione negativa);
2. l’ideologia non ha storia, che enfaticamente non significa che non ci sia storia in essa (anzi al contrario, in
questo essa è solamente il riflesso pallido, vuoto e rovesciato delle storia reale) ma che non abbia storia di
per sé.
Ora, mentre le tesi che vorrei difendere parlando formalmente adotta il gergo della Deutsche Ideologie,
(“l’ideologia non ha storia”), è radicalmente differente dalle tesi storiciste e positiviste della Deutsche
Ideologie.
Da una parte, penso sia possibile ritenere che le ideologie abbiano una storia di per sé (sebbene essa sia
determinata in ultima istanza dalla lotta di classe); dall’altra parte, penso sia possibile ritenere che
l’ideologia in generale non abbia storia, non nel senso negativo (la sua storia è esterna ad essa), ma in un
senso assolutamente positivo.
Questo senso è positivo, se è vero che la peculiarità dell’ideologia è quella di essere dotata di una struttura
e di un funzionamento tale che la rendano una realtà non-storica, cioè una realtà omni-storica nel senso in
cui la struttura ed il funzionamento sono immutabili, presente nella stessa forma che possiamo chiamare
storia, nel senso in cui il Manifesto del Partito Comunista definisce storia come storia delle lotte di classe,
cioè la storia delle società di classe.
Per dare, un punto di riferimento teorico, posso dire che, tornando all’esempio del sogno però questa volta
nella sua concezione Freudiana, la nostra affermazione sia: l’ideologia non ha storia, essa può e deve (ed in
un modo che non abbia assolutamente niente di arbitrario a riguardo, ma, al contrario, è teoricamente
necessario in quanto non vi è un legame tra le due affermazioni) essere connessa direttamente
all’affermazione di Freud che l’inconscio è eterno, cioè non ha storia.
Se eterno significa, non trascendente a tutta la storia temporale, ma onnipresente, trans-storico e quindi
immutabile nelle sue forme attraverso l’estensione della storia, adotterò l’espressione Freudiana parola per
parola, e scriverò che l’ideologia è eterna, esattamente come l’inconscio. Ed aggiungo, che trovo tale
comparazione teorica giustificata dal fatto che l’eternità dell’inconscio non è sconnessa dall’eternità
dell’ideologia in generale.
Ecco perché credo di essere giustificato, almeno ipoteticamente, nel proporre una teoria dell’ideologia in
generale, allo stesso modo in cui Freud ha presentato una teoria dell’inconscio in generale.
Per semplificare l’espressione, conviene, tenendo conto di ciò che è stato detto riguardo le ideologie, usare
il semplice termine ideologia per designare l’ideologia in generale, la quale, come ho appena detto, non ha
storia, o, che è lo stesso, è eterna, cioè onnipresente nella sua forma immutabile per tutta la storia (dove
per storia si intende la storia della formazioni sociali contenenti società classiste). Per il momento mi
occuperò delle “società classiste” e della loro storia.
L’ideologia è una “Rappresentazione” del Rapporto Immaginario delle persone con le loro Reali
condizioni di Esistenza
Al fine di poter affrontare la mia tesi centrale riguardo la struttura ed il funzionamento dell’ideologia,
presenterò prima presentare due tesi, una negativa, l'altra positiva. La prima riguarda l'oggetto che viene
“rappresentato” nella forma immaginaria dell’ideologia, il secondo riguarda la materialità dell'ideologia.
Tesi 1. L’ideologia rappresenta il rapporto immaginario degli individui con le loro condizioni reali di
esistenza.
Possiamo comunemente chiamare ideologia religiosa, ideologia etica, ideologia legale, ideologia politica,
ecc., tante “visioni del mondo”. Ovviamente, presupponiamo il fatto che noi non viviamo una di queste
ideologie come verità (per esempio, “credere” in Dio, Dovere, Giustizia, ecc …), noi ammettiamo che
l’ideologia cui stiamo discutendo da un punto di vista critico, esaminandola come l’etnologo esamina i miti
di una “società primitiva”, che queste “visioni del mondo” siano in gran parte immaginarie, cioè non
“corrispondano alla realtà”.
Tuttavia, ammettendo che esse non corrispondano alla realtà, cioè che esse costituiscano un illusione, noi
ammettiamo che esse alludano alla realtà, e che necessitino solamente di essere “interpretate” per
scoprire la realtà del mondo dietro la rappresentazione immaginaria del loro mondo (ideologia =
illusione/allusione).
Ci sono diversi tipi di interpretazione, la più famosa è quella di tipo meccanicistico, in vigore nel XVIII secolo
(Dio è la rappresentazione immaginaria del Re reale), vi è l’interpretazione “ermeneutica”, inaugurata dai
primi Padri della Chiesa, ripresa da Feuerbach e dalla scuola teologico-filosofica che da lui discende, per
esempio il teologo Barth (per Feuerbach, ad esempio, Dio è l’essenza dell’Uomo reale). Il punto essenziale è
che a condizione di interpretare la trasposizione (e l’inversione) immaginaria dell’ideologia si arrivi alla
conclusione che nell’ideologia “gli uomini rappresentino le loro condizioni reali di esistenza, a se stessi, in
una forma immaginaria”.
Sfortunatamente, questa interpretazione lascia un piccolo problema irrisolto: perché gli uomini
“necessitano” questa trasposizione immaginaria delle loro condizioni reali di esistenza al fine di
“rappresentare loro” le loro reali condizioni di esistenza?
La prima risposta (quella del XVIII secolo) propone una semplice soluzione: i Sacerdoti o i Despoti sono
responsabili. Essi hanno “forgiato” le Belle Bugie affinché, nella convinzione di obbedire a Dio, in realtà gli
uomini nei fatti obbediscano direttamente ai Sacerdoti o ai Despoti, che solitamente si trovano alleati nella
loro impostura, il Sacerdote agisce nell’interesse del Despota o vice versa, questo secondo le posizioni dei
“teorici” in questione. Vi è pertanto una causa di tale trasposizione immaginaria delle condizioni reali di
esistenza: tale causa è l’esistenza di un piccolo numero di uomini cinici che incentrano il loro dominio ed il
loro sfruttamento del “popolo” su una rappresentazione falsificata del mondo che essi immaginano al fine
di sottomettere le altre menti dominando la loro immaginazione.
La seconda risposta (quella di Feuerbach, presa in consegna parola per parola da Marx nei suoi Scritti
Giovanili) è più “profonda”, cioè altrettanto falsa. Anche essa, cerca e trova una delle cause per la
trasposizione immaginaria e per la distorsione delle condizioni reali di esistenza dell’uomo, in breve,
nell’alienazione che vi è nell’immaginario della rappresentazione delle condizioni di esistenza dell’uomo.
Questa causa non sono più i Despoti o i Sacerdoti, né la loro immaginazione attiva e l’immaginazione
passiva delle loro vittime. Questa causa è l’alienazione materiale che regna nelle condizioni di esistenza
degli uomini stessi. Questo è il modo in cui, nella Questione Ebraica ed altrove, Marx difende l’idea
Feuerbachiana degli uomini che si fanno una rappresentazione alienata (= immaginaria) delle loro
condizioni di esistenza perché queste condizioni di esistenza sono esse stesse alienanti (nei Manoscritti del
1844: perché queste condizioni sono dominate dall’essenza della società alienata - “il lavoro alienato”).
Tutte queste interpretazioni, quindi, prendono alla lettera le tesi che essi presuppongono, e da cui esse
dipendono, vale a dire, che ciò che si riflette nella rappresentazione immaginaria del mondo basata su
un’ideologia, sono in realtà le condizioni di esistenza degli uomini, ossia il loro mondo reale.
Ora posso tornare alla tesi che avevo già avanzato: non è la loro reale condizione di esistenza, il mondo
reale, che “gli uomini” “si rappresentano” nell’ideologia, ma è soprattutto la loro relazione con tali
condizioni che viene rappresentata. È questa relazione che è al centro di ogni rappresentazione ideologica,
cioè immaginaria, del mondo reale. È questa relazione che contiene la “causa” che spiega la distorsione
immaginaria della rappresentazione ideologica del mondo reale. Ovvero, lasciando da parte il linguaggio
della causalità, è necessario avanzare la tesi che è la natura immaginativa di tale relazione che sta alla base
dell’intera distorsione immaginaria che possiamo osservare nell’ideologia (se non la viviamo nella sua
verità).
Parlando un linguaggio Marxista, se è vero che la rappresentazione delle reali condizioni di esistenza degli
individui che occupano i posti di agenti di produzione, sfruttamento, repressione, ideologizzazione e pratica
scientifica, in ultima analisi derivano dai rapporti di produzione, e dalle relazioni derivanti da tali rapporti di
produzione, siamo quindi in grado di dire quanto segue: ogni ideologia rappresenta, necessariamente nella
sua distorsione immaginaria, non i rapporti di produzione esistenti (e gli altri rapporti che derivano da essi),
ma soprattutto, i rapporti immaginari degli individui verso tali rapporti di produzione e le relazione che
derivano da essi. Quindi ciò che è rappresentato nell’ideologia non è pertanto il sistema delle relazioni reali
che governano l’esistenza degli individui, ma la relazione immaginaria di questi individui verso le relazioni
reali in cui vivono.
Se questo è il caso, allora la questione della “causa” della distorsione immaginaria delle relazioni reali
nell’ideologia scompare e deve essere rimpiazzata da una questione differente: perché la rappresentazione
data agli individui, delle loro relazioni individuali in rapporto alle relazione sociali che governano le loro
condizioni di esistenza e le vite collettive ed individuali, è necessariamente una relazione di tipo
immaginativo? E qual è la natura di tale immaginatività [? imaginariness]? Posta in questo modo, la
questione scredita la soluzione della “cricca”[14], del gruppo di persone (Sacerdoti o Despoti) autori della
grande mistificazione ideologica, così come scredita la soluzione del carattere alienato del mondo reale.
Vedremo il perché in seguito nella mia esposizione. Per il momento procedo oltre.
Tesi 2: l’ideologia ha esistenza materiale.
Ho già sfiorato questa tesi dicendo che le “idee” o le “rappresentazioni”, ecc., che sembra costituire
l’ideologia non hanno un esistenza ideale (idèale or idéelle) o spirituale, ma un esistenza materiale. Ho
anche suggerito che l’esistenza ideale (idèale, idéelle) e spirituale delle “idee” si pose esclusivamente in un
ideologia dell’ “idea” ed in un ideologia dell’ideologia, e lasciatemi aggiungere, in un ideologia di ciò che
sembra aver “fondato” queste concezione a partire dall’emergenza delle scienze, cioè da quella che gli
scienziati si rappresentano a loro volta, nella loro ideologia spontanea, come “idea”, vera o falsa.
Ovviamente, presentata in forma affermativa, tale tesi non è provata. Semplicemente chiedo al lettore di
essere favorevolmente disposto verso di essa, dico, in nome del materialismo. Sarebbe necessaria una
lunga serie di argomenti per provarla.
Quest’ipotetica tesi della non spirituale bensì materiale esistenze delle “idee” o di altre “rappresentazioni”
è infatti necessaria se vogliamo progredire nella nostra analisi della natura dell’ideologia. Piuttosto, ci è
soltanto utile al fine di poter dimostrare al meglio ciò che ad ogni seria analisi di ogni ideologia mostrerà
immediatamente ed empiricamente ad ogni osservatore, per quanto critico egli possa essere.
Nel discutere gli Apparati Ideologici Statali e le loro pratiche, ho detto che ognuno di essi viene ad essere la
realizzazione di una data ideologia (l'unità di queste differenti ideologie - religiose, etiche, giuridiche,
politiche, estetiche, ecc - è assicurata dalla loro soggezione nei confronti dell'ideologia dominante). Ora
torniamo a questa tesi: un'ideologia esiste sempre in un apparato, nella sua pratica, o nelle sue pratiche.
Questa esistenza è materiale.
Ovviamente, l’esistenza materiale di un ideologia in un apparato e nelle sue pratiche non ha la stessa
modalità di esistenza materiale di una pavimentazione in pietra o di un fucile. Ma, rischiando di esser preso
per un Neo-Aristotelico (N.B. Marx aveva un alta considerazione di Aristotele), dirò che “il problema è
discusso in vari sensi”, ossia che esistono differenti modalità, tutte radicate in ultima istanza nella
questione “fisica”.
Detto ciò, permettetemi di procedere oltre e vedere cos’accade agli “individui” che vivono nell’ideologia,
cioè in una determinata (religiosa, etica, ecc.) rappresentazione del mondo la cui distorsione immaginaria
dipende dalla loro relazione immaginaria riguardo le loro condizioni di esistenza, in altre parole, in ultima
istanza, riguardo i rapporti di produzione ed i rapporti tra classi (ideologia = rapporto immaginario di
rapporti reali). Dirò che questo rapporto immaginario si è dotato di un esistenza materiale.
Ora osservo quanto segue.
Un individuo crede in Dio, o nel Dovere, o nella Giustizia, ecc. Tale credenza deriva (per tutti coloro che
vivono in una rappresentazione ideologica dell’ideologia, la quale riduce l’ideologia a idee dotate, per
definizione, di un esistenza spirituale) dalle idee dell’individuo interessato, cioè da quest’individuo in
quanto soggetto dotato di una coscienza che contiene le idee del suo credo. In questo modo, cioè per
mezzo del dispositivo (dispositif) “concettuale” assolutamente ideologico così costituito (un soggetto
dotato di una coscienza nella quale liberamente forma o riconosce le idee in cui crede), vi segue
naturalmente l’attitudine materiale del soggetto interessato.
L’individuo in questione si comporta in questo o quel modo, adottando questa o quell’altra attitudine
pratica, e, per di più, partecipa a certe pratiche regolari, che sono quelle dell'apparato ideologico dal quale
“dipendono” le idee che egli ha in tutta coscienza liberamente scelto come soggetto. Se egli crede in Dio, va
in Chiesa ad assistere alla messa, si inginocchia, prega, si confessa, fa penitenza (una volta il termine era
inteso materialmente) e naturalmente si pente, e così via. Se crede nel dovere, avrà delle attitudini
corrispondenti, iscritte nelle pratiche rituali “secondo i corretti princìpi”. Se crede nella Giustizia, si
sottometterà incondizionatamente alle regole della Legge, può protestare qualora queste vengano violate,
potrà firmare petizioni, prendere parte in una dimostrazione, ecc.
In tutto questo schema noi osserviamo che la rappresentazione ideologica dell’ideologia è a sua volta
forzata a riconoscere che, ogni “soggetto” dotato di una “coscienza” e credente nelle “idee” che la sua
“coscienza” gli infonde e che egli liberamente accetta, deve “agire secondo le sue idee”, deve pertanto
iscrivere le proprie idee come soggetto libero nelle azioni della sua pratica materiale. Se non lo fa, “è un
malvagio”.
In effetti, se egli non agisce in funzione di ciò che crede, è perché fa qualcos'altro, che, sempre in funzione
dello stesso schema idealista, implica il fatto che egli abbia altre idee in testa, così come quelle stesse che
proclama, e che agisce in base a queste altre idee, come un uomo che è o “incoerente” (“nessuno è cattivo
per proprio volere”) o cinico, o perverso.
In ogni caso, l'ideologia dell'ideologia riconosce in tal modo, nonostante la sua distorsione immaginaria, che
le “idee” di un soggetto umano esistano, o dovrebbero esistere, nelle sue azioni, e nel caso ciò non risulti,
essa riporta a tale soggetto altre idee corrispondenti alle azioni (per quanto perverse) che il soggetto
esegue. Quest’ideologia parla di azioni: io parlerò di azioni inserite nelle pratiche. E sottolineerò che queste
pratiche sono governate dai rituali in cui esse sono iscritte, iscritte nell’esistenza materiale di un apparato
ideologico, e che queste pratiche sono solo una piccola parte di tale apparato: una piccola messa in una
piccola chiesa, un funerale, una partitella in uno sport club, un giorno di scuola, una riunione di partito, ecc.
Inoltre, siamo in debito con la “dialettica” difensiva di Pascal per la formula meravigliosa che ci consentirà
di invertire l'ordine dello schema nozionale di ideologia. Pascal disse più o meno: “Inginocchiati, muovi le
labbra nella preghiera, e crederai.” Egli ha quindi scandalosamente inverte l'ordine delle cose, portando,
come Cristo, non la pace, ma la lotta, e in aggiunta, qualcosa di più duramente cristiano (guai a colui che
porta lo scandalo nel mondo!) - lo scandalo in sé. Uno scandalo fortunato, che lo farà persistere con
giansenistica sfida in un linguaggio che designa direttamente la realtà.
Mi sarà concesso di lasciare Pascal agli argomenti della sua lotta ideologica con l’Apparato Ideologico
Statale religioso dei suoi tempi. E sarò tenuto ad usare un vocabolario più direttamente marxista, nel caso
sia possibile, in quanto ci stiamo inoltrando in un ambito ancora poco esplorato.
Dirò pertanto che, dove solamente un singolo soggetto (tale e tale individuo) sia interessato, l’esistenza
delle idee del suo credo è materiale in quanto le sue idee siano le sue azioni materiali inserite in pratiche
materiali governate da rituali materiali i quali sono loro stessi definiti dall’apparato ideologico materiale dal
quale derivano le idee di quel soggetto. Naturalmente, le quattro iscrizioni dell’aggettivo “materiale” nella
mia frase, possono essere intese in differenti modalità: spostamento materiale per andare a messa, per
inginocchiarsi, il gesto del segno della croce, del mea culpa, di una sentenza, di una preghiera, di un atto di
contrizione, di una penitenza, di uno sguardo fisso (verso un icona, o verso l’alto, n.d.t.), di una stretta di
mano, di un discorso esterno o di un discorso “interno” (nella coscienza), non sono la stessa materialità.
Lascerò da una parte il problema della teoria di differenze tra le modalità della materialità.
Resta il fatto che in questa presentazione inversa delle cose, non stiamo affrontando del tutto un
“inversione”, dal momento che risulta chiaro che determinate nozioni sono puramente e semplicemente
scomparse dalla nostra presentazione, laddove altre, al contrario, sopravvivono, e laddove nuovi termini
appaiono.
Scomparso: il termine idee.
Sopravvive: i termini soggetto, coscienza, credenza, azioni.
Appare: i termini pratiche, rituali, apparati ideologici.
Non si tratta, tuttavia, di un inversione o di un rovesciamento (tranne nel senso in cui possiamo dire di un
governo rovesciato o di un bicchiere rovesciato), ma si tratta di un rimpasto (non di tipo ministeriale), a uno
strano e raro impasto, dal quale otteniamo il seguente risultato.
Le idee come tali sono scomparse, (nella misura in cui esse siano dotate di un’esistenza spirituale o
materiale) nella precisa misura in cui è emerso che la loro esistenza sia inscritta nelle azioni di pratiche
guidate da rituali definiti in ultima istanza da un apparato ideologico. Sembra inoltre, che il soggetto agisca
nella misura in cui sia azionato dal seguente sistema (disposto nell’ordine della sua reale determinazione):
l’ideologia esistendo in un apparato ideologico materiale, prescrivendo pratiche materiali dirette da un
rituale materiale, le cui pratiche esistono nelle azioni materiali di un soggetto agente in tutta coscienza
secondo il suo credo.
Ma tale presentazione rivela che abbiamo mantenuto le seguenti nozioni: soggetto, coscienza, credenza,
azioni. Da questa seria estrarrò immediatamente il termine centrale da cui ogni cosa dipende: la nozione di
soggetto.
Prenderò immediatamente nota di due tesi congiunte:
1. non vi è pratica eccetto che tramite ed all’interno di un ideologia;
2. non vi è ideologia eccetto che tramite il soggetto e per i soggetti.
Posso arrivare ora alla mia tesi centrale.
L’ideologia interpella gli individui come Soggetti
Questa tesi è semplicemente l’esplicitazione della mia ultima affermazione: non c’è ideologia eccetto
tramite il soggetto e per i soggetti. Nel senso che non vi è ideologia se non per i soggetti concreti, e questa
destinazione per l’ideologia può essere unicamente resa possibile dal soggetto: ovvero, tramite la categoria
del soggetto ed il suo funzionamento.
Con questo voglio dire che, anche se appare solamente sotto questo nome (il soggetto) con l’ascesa
dell’ideologia borghese, soprattutto con l’ascesa dell’ideologia giudiziaria[15], la categoria del soggetto (che
può funzionare sotto altri nomi: ad esempio, come anima in Platone, come Dio, ecc) è la categoria
costitutiva di ogni ideologia, qualunque sia la sua determinazione (regionale o di classe) e qualunque sia la
sua datazione storica - dal momento che l’ideologia non ha storia.
Dico: la categoria del soggetto è costitutiva di ogni ideologia, ma al tempo stesso ed immediatamente
aggiungo che la categoria del soggetto è solamente costitutiva di ogni ideologia nella misura in cui ogni
ideologia ha la funzione (che la definisce) di “costituire” individui concreti come soggetti. Nell’interazione di
tale doppia costituzione esiste la funzione di ogni ideologia, essendo l’ideologia nient’altro che il suo
funzionamento nelle forme materiali dell’esistenza di tale funzionamento.
Al fine di comprendere quanto segue, è essenziale realizzare che sia chi sta scrivendo queste righe e sia chi
le legge, sono entrambi soggetti, e pertanto soggetti ideologici (una proposizione tautologica), cioè che
l’autore ed il lettore di queste righe vivono entrambi “spontaneamente” o “naturalmente” nell’ideologia
nel senso che ho detto, ovvero che “l’uomo è per natura un animale ideologico”.
Che l’autore, nella misura in cui egli scriva le righe di un discorso che si ritenga scientifico, sia
completamente assente come “soggetto” dal “suo” discorso scientifico (in quanto ogni discorso scientifico
è per definizione un discorso senza soggetto, non c’è un “Soggetto della scienza” eccetto in un ideologia
della scienza) è una differente questione che lascerò da parte per il momento.
Così come San Paolo mirabilmente colloca, nel “Logos”, intendendo nell’ideologia, ciò che “ci fa vivere,
muovere ed avere il nostro essere”. Ne segue che, per voi e per me, la categoria di soggetto sia un
“ovvietà” primaria (le ovvietà sono sempre primarie): è chiaro che voi ed io siamo soggetti (liberi, etici,
ecc…). Come ogni ovvietà, includendo quelle che fanno di una parola “il nome di una cosa” o quelle che
“hanno un significato” (pertanto includendo l’ovvietà della “trasparenza” del linguaggio), l’“ovvietà” cui voi
ed io siamo soggetti - e che non causa alcun problema - è un effetto ideologico, l’effetto ideologico
elementare[16]. È infatti una peculiarità dell’ideologia che essa imponga (senza farlo apparentemente, dal
momento che questo sono “ovvietà”) ovvietà come ovvietà, che non possiamo rifiutare di riconoscere e
davanti cui abbiamo la reazione inevitabile e naturale di urlare (ad alta voce o “nella piccola voce della
coscienza”): “È ovvio! È giusto! È vero!”
Al lavoro in questa reazione vi è la funzione di riconoscimento ideologico, la quale è una delle due funzione
dell’ideologia come tale (essendo sua inversa la funzione del misriconoscimento - misconoscenza).
Per fare un esempio altamente “concreto”, noi tutti abbiamo amici che, quando bussano alla nostra porta e
noi chiediamo, attraverso la porta, “chi c’è?”, essi rispondono (dal momento che “è ovvio”) “Sono io”. E
riconosciamo che “è lui”, o “lei”. Noi apriamo la porta, ed “è vero, era veramente lei quella che era qui
fuori”. Per fare un altro esempio, quando noi riconosciamo qualcuno delle nostre (precedenti) conoscenza
((ri)-conoscenza) per strada, noi gli mostriamo che l’abbiamo riconosciuto (ed abbiamo riconosciuto che
l’abbiamo riconosciuto) dicendogli “Ciao, amico mio”, e scuotendogli la mano (una pratica rituale materiale
del riconoscimento ideologico nella vita quotidiana - almeno in Francia; altrove vi saranno altri rituali).
In questa osservazione preliminare ed in queste illustrazioni concrete, vorrei solamente far notare che voi
ed io siamo sempre già soggetti, e come tali pratichiamo costantemente i rituali di riconoscimento
ideologico che garantiscono per noi che siamo soggetti davvero concreti, individuali, distinguibili e
(naturalmente) insostituibili. Il documento che sto attualmente scrivendo e la lettura che state svolgendo al
momento[17] sono anch’esse rituali di riconoscimento ideologico, incluse le “ovvietà” con le quali la “verità”
o “l’errore” delle mie riflessioni può imporsi su di voi.
Ma per riconoscere che noi siamo soggetti e che funzioniamo nei rituali pratici della più elementare vita
quotidiana (la stretta di mano, il fatto di chiamarvi con il vostro nome, il fatto di conoscere, anche se non
sapete quale sia, che voi “avete” un vostro nome proprio che significa che siete riconosciuti come soggetto
unico, ecc.) - questo riconoscimento ci dà solamente la “coscienza” della nostre incessante (eterna) pratica
di riconoscimento ideologico - la sua coscienza, cioè il suo riconoscimento - ma non nel senso [che tale
coscienza] ci dia una conoscenza (scientifica) del meccanismo di questo riconoscimento. Ora, è proprio
questa conoscenza che dobbiamo raggiungere, se si vuole, mentre parliamo nell’ideologia e da dentro
l'ideologia dobbiamo delineare un discorso che cerchi di rompere con l'ideologia stessa, avere il coraggio di
cominciare un discorso scientifico (vale a dire senza soggetto) sull'ideologia.
Pertanto, al fine di rappresentare perché la categoria del “soggetto” sia costitutiva dell'ideologia, la quale
esiste solo attraverso la costituzione di soggetti concreti come soggetti, impiegherò una speciale modalità
di esposizione: abbastanza “concreta” per essere riconosciuta, ma abbastanza astratta per essere pensabile
e il pensiero, dando così luogo a una conoscenza.
Come prima formulazione dirò: ogni ideologia saluta o interpella individui concreti come soggetti concreti,
tramite il funzionamento della categoria del soggetto.
Questa è una proposizione che comporta la distinzione, per il momento, tra individui concreti da una parte
e soggetti concreti dall’altra, sebbene a questo livello i soggetti concreti esistano solamente nella misura in
cui siano supportati da individui concreti.
Suggerisco allora che l’ideologia “agisca” o “funzioni” in modo che essa “recluti” i soggetti tra gli individui (li
recluta tutti), o “trasforma” gli individui in soggetti (li trasforma tutti) tramite un operazione molto precisa
che ho chiamato interpellare o saluto, e la quale può essere immaginata lungo le linee dei più comuni
quotidiani richiami della polizia: “Hey tu!”[18]
Ipotizzando che abbia luogo per strada la scena teorica da me immaginata, l’individuo salutato si volterà al
richiamo. Con questa banale conversione fisica di 180°, egli diviene un soggetto. Perché? Perché ha
riconosciuto che il saluto era “realmente” indirizzato ad esso, e che “era realmente lui quello salutato” (e
non qualcun altro). L’esperienza mostra che le pratiche telecomunicative dei saluti non mancano quasi mai
il loro obbiettivo: al richiamo verbale o al fischio, l’individuo salutato riconosce sempre che è realmente lui
quello che è stato salutato. Eppure è uno strano fenomeno, che non può essere spiegato solamente dal
“senso di colpa”, nonostante i grandi numeri “abbiano qualcosa sulla coscienza”.
Naturalmente per la convenienza e la chiarezza del mio teatrino teoretico ho dovuto presentare le cose
nella formazione di una sequenza, con un prima ed un dopo, quindi in una forma di successione temporale.
Vi sono degli individui che camminano. Da qualche parte (di solito dietro di loro) riecheggia un saluto: “Hey
tu!”. Un individuo (nove volte su dieci è così) si volta, credendo/sospettando/sapendo che tale saluto è
diretto a lui, cioè riconoscendo che “è realmente a lui” che si indicava tramite il saluto. Ma in realtà queste
cose accadono senza una successione. L’esistenza dell’ideologia ed il saluto o l’interpellare degli individui
come soggetti sono la stessa cosa.
Mi permetto di aggiungere: ciò che sembra avvenire al di fuori dell’ideologia (per essere precisi, nella
strada), in realtà avviene nell’ideologia. Ciò che realmente avviene nell’ideologia sembra tuttavia avvenire
fuori da essa. Ecco perché quelli che sono nell’ ideologia si credono per definizione al di fuori dell'ideologia:
uno degli effetti dell'ideologia è la denegazione pratica del carattere ideologico dell'ideologia per mezzo
dell’ideologia: l’ideologia non dirà mai, “sono ideologico”. È necessario essere al di fuori dell’ideologia, cioè
nella conoscenza scientifica, per poter essere in grado di dire: sono nell’ideologia (un caso del tutto
eccezionale) o (caso generale): ero nell’ideologia. com’è ben saputo, l’accusa di essere nell’ideologia si
applica solamente agli altri, mai a se stessi (a meno che uno non sia uno spinoziano o un marxista, che, in
questo caso, si tratta esattamente della stessa cosa). Il che equivale a dire che l’ideologia non ha un al di
fuori (per se stessa), ma allo stesso tempo non c’è altro che l’esterno (per la scienza e la realtà).
Spinoza spiegò completamente tutto questo due secoli prima di Marx, che lo studiò ma senza andare nel
dettaglio. Ma lasciamo in disparte questo punto, anche se gravido di conseguenze, conseguenze che non
sono solo teoriche, ma anche direttamente politiche, dal momento che, per esempio, l’intera teoria della
critica e dell’auto-critica, la regola aurea della pratica Marxista-Leninista, dipende da esso.
Così, l’ideologia saluta o interpella gli individui come soggetti. Siccome l’ideologia è eterna, devo ora
sopprimere la forma temporale in cui ho presentato il funzionamento, e dire: l’ideologia ha sempre-già
interpellato gli individui in qualità di soggetti, il che ci porta necessariamente ad un’ultima proposizione: gli
individui sono sempre-già soggetti. Quindi gli individui sono “astratti” rispetto ai soggetti quali sono
sempre. Questa proposizione potrebbe sembrare paradossale.
Che un individuo sia sempre-già un soggetto, anche prima di nascere, è tuttavia la semplice realtà,
accessibile ad ognuno e non per niente un paradosso. Freud mostra che gli individui sono sempre “astratti”
per quanto riguarda i soggetti che sempre-già sono, semplicemente osservando il rituale ideologico che
circonda l'attesa di una “nascita”, quale “lieto evento”. Tutti sanno quanto e come sia atteso un bambino
non ancora nato. Il che equivale a dire, molto prosaicamente, se siamo d’accordo nel far cadere i
“sentimenti”, cioè le forme dell’ideologia famigliare (paternale/maternale e coniugale/fraterno) nella quale
il bambino non ancora nato è atteso: è certo fin da prima che egli porterà il cognome del padre, e pertanto
avrà un identità e sarà insostituibile. Prima della sua nascita, il bambino è pertanto sempre-già un soggetto,
nominato come soggetto all’interno e tramite la specifica configurazione ideologica familiare nella quale è
“atteso” una volta che sia stato concepito. Devo però duramente aggiungere che questa configurazione
ideologica famigliare è, nella sua unicità, altamente strutturata, e ciò che, è proprio in questa implacabile e
più o meno “patologica” (presupponendo che ogni significato possa essere assegnato a tale termine)
struttura che l’ex soggetto che dovrà essere, dovrà “trovare” il “suo” luogo, cioè “divenire” il soggetto
sessuale (ragazzo o ragazza) che già è in crescita. È chiaro che questa costrizione ideologica e preappuntamento,
e tutti i rituali di educazione e poi l’educazione della famiglia, abbia qualche relazione con
ciò che Freud studiò nelle forme delle tappe pregenitali e genitali della sessualità, cioè nel “controllo” (grip)
di ciò che Freud ha registrato per mezzo dei suoi effetti come essenza dell’inconscio. Ma lasciamo anche
questo punto da una parte.
Lasciatemi fare un passo avanti. Ciò verso cui porterò la mia attenzione ora è il modo in cui gli “attori” di
questa messa in scena dell’interpellare, ed i loro rispettivi ruoli, sono riflessi nella struttura stessa di ogni
ideologia.
Un esempio: L’Ideologia Religiosa Cristiana
Siccome la struttura formale di ogni ideologia è sempre la stessa, restringerò le mie analisi ad un singolo
esempio, accessibile a tutti, di ideologia religiosa, con la clausola che la stessa dimostrazione può esser
prodotta per l’ideologia estetica, politica, legale, etica, ecc.
Lasciateci pertanto considerare l’ideologia religiosa Cristiana. Userò una figura retorica e “la farò parlare”,
cioè raccogliere in un discorso immaginario ciò che “dice” non solamente nei suoi due Testamenti, nelle sue
Teologie, Sermoni, ma anche nelle sue pratiche, i suoi rituali, le sue cerimonie ed i suoi sacramenti.
L’ideologia religiosa cristiana dice qualcosa come questo:
Egli dice: mi rivolgo a te, un uomo chiamato Pietro (ogni individuo è chiamato col suo nome, nel senso
passivo, non è lui stesso che provvede al suo nome), al fine di dirti che Dio esiste e che tu sei la risposta
capace di Lui (?and that you are answer able to Him?). Egli aggiunge: Dio si rivolge a te attraverso la mia
voce (le scritture avendo raccolto la Parola di Dio, avendo la Tradizione trasmesso tale parola, avendo
organizzato l’Infallibilità Papale tale parola per sempre su punti “corretti”). Egli dice: questo è quello che
sei: sei Pietro! Questa è la tua origine, tu sei stato creato da Dio per tutta l’eternità, sebbene tu sia nato nel
1920esimo anno del Nostro Signore! Questo è il tuo posto nel mondo! Questo è quello che devi fare! Con
questi mezzi, se osservi la “legge dell’amore” sarai salvato, tu, Pietro, e diverrai parte del Glorioso Corpo di
Cristo! Ecc….
Ora questo è semplicemente un discorso familiare e banale, ma allo stesso tempo è un discorso
sorprendente.
Sorprendente perché se noi consideriamo che l’ideologia religiosa è infatti indirizzata ad individui[19], al fine
di “trasformarli in soggetti”, tramite l’interpellare l’individuo, Pietro, al fine di farne un soggetto, libero di
obbedire o disobbedire alla chiamata, cioè ai comandamenti di Dio; se chiama questi individui tramite il
loro nome, così riconoscendo che loro siano sempre-già interpellati come soggetti con un identità
personale (fino al punto che il Cristo di Pascal dice: “è per te che ho versato questa goccia del mio
sangue!”); se egli li interpella in modo tale che il soggetto risponda: “Si, sono veramente io!” se ottiene da
loro il riconoscimento che loro veramente occupano il posto che egli ha designato per loro come loro
residenza fissa nel mondo: “sono veramente io, sono qui, un lavoratore, un comandante o un soldato!” in
questa valle di lacrime; se ottiene da loro il riconoscimento di una destinazione (vita eterna o dannazione) a
seconda del rispetto o del disprezzo che mostrano verso i “comandamenti di Dio”, Legge diventa Amore; -
se ogni cosa accade in questo modo (nelle pratiche dei ben noti rituali di battesimo, cresima, comunione,
confessione, estrema unzione, ecc…), dovremmo notare che tutta questa “procedura” che programma i
soggetti religiosi Cristiani è dominata da uno strano fenomeno: il fatto che, così vi può solamente essere
una moltitudine di possibili soggetti religiosi nell’assoluta condizione che ci sia un Unico, Assoluto, Altro
Soggetto, cioè Dio.
È conveniente indicare questo nuovo e notevole Soggetto scrivendo Soggetto con una S grande per
distinguerlo dai normali soggetti, con una piccola s.
Emerge quindi, che l’interpellare individui come soggetti presuppone l’“esistenza” di un Unico e centrale
Altro Soggetto, nel cui Nome l’ideologia religiosa interpella tutti gli individui come soggetti. Tutto ciò è
chiaramente[20] scritto in quelle che sono correttamente chiamate Scritture. «E avvenne in quel momento
che il Signore Dio (Yahweh) parlò a Mosè nella nube. Ed il Signore gridò a Mosè, “Mosè!” e Mosè rispose
“Eccomi! Sono il tuo servo Mosè, parla e ti ascolterò!” ed il Signore parlò a Mosè e gli disse, “Io sono colui
che è”».
Dio quindi definisce se stesso come il Soggetto par excellence, lui che è attraverso se stesso e per se stesso
(“Sono colui che è”), e lui che interpella il suo soggetto, l’individuo a lui sottoposto dal suo interpellare, cioè
l’individui chiamato Mosè. E Mosè, interpellato-chiamato con il suo Nome, avendo riconosciuto che era
“realmente” lui colui il quale era chiamato da Dio, riconosce che è un soggetto, un soggetto di Dio, un
soggetto sottoposto a Dio, un soggetto attraverso il Soggetto e sottoposto al Soggetto. La prova: lui gli
obbedisce, e fa obbedire il suo popolo ai Comandamenti di Dio.
Dio è così il Soggetto, e Mosè e gli innumerevoli soggetti del popolo di Dio sono gli interlocutori-interpellati
del Soggetto: suoi specchi, suoi riflessi. Gli uomini non sono stati fatti ad immagine di Dio? Come tutta la
riflessione teologica si rivela, mentre Egli 'potrebbe' benissimo fare a meno degli uomini, Dio ha bisogno di
loro, il Soggetto ha bisogno di soggetti, proprio come gli uomini hanno bisogno di Dio, i soggetti hanno
bisogno del Soggetto. O meglio: Dio ha bisogno degli uomini, il grande Soggetto ha bisogno dei soggetti,
anche nella terribile inversione della sua immagine in loro (quando i soggetti sguazzano nella dissolutezza,
cioè nel peccato).
Meglio: Dio duplica se stesso e manda suo Figlio sulla Terra, come semplice soggetto da lui “abbandonato”
(il lungo lamento del Giardino degli Ulivi che si conclude nella Crocifissione), soggetto ma Soggetto, uomo
ma Dio, per far ciò che prepara la via alla Redenzione finale, la resurrezione di Cristo. Dio ha così bisogno di
“farsi” uomo, il Soggetto ha bisogno di divenire un soggetto, come per mostrarsi empiricamente,
visibilmente agli occhi, tangibile le mani (vedi San Tommaso) dei soggetti, che, se sono soggetti, sottoposti
al Soggetto, è esclusivamente così che finalmente, nel Giorno del Giudizio, essi rientreranno nel Seno del
Signore, come Cristo, cioè rientreranno nel Soggetto[21].
Cerchiamo di decifrare in linguaggio teoretico questa meravigliosa necessità di duplicazione del Soggetto in
soggetti e del Soggetto stesso in un soggetto-Soggetto.
Osserviamo che la struttura di ogni ideologia, interpellando individui in quanto soggetti in nome di un
Soggetto Unico ed Assoluto, è speculare, vale a dire una struttura-specchio, e doppiamente speculare:
questa duplicazione speculare è costitutiva dell'ideologia e ne garantisce il funzionamento. Ciò significa che
ogni ideologia è centrata, che il Soggetto assoluto occupa l’unica posizione del Centro, ed interpella attorno
ad esso l’infinità di individui in quanto soggetti in una doppia connessione speculare in modo tale che egli
sottoponga i soggetti al Soggetto, dando loro nel Soggetti cui ogni soggetto può contemplare la propria
stessa immagine (presente e futura) la garanzia che tutto ciò riguarda veramente loro e Lui, e che dal
momento che ogni cosa avviene nella famiglia (la Sacra Famiglia: la Famiglia è essenzialmente Sacra), “Dio
riconoscerà la propria famiglia in essa”, cioè coloro che hanno riconosciuto Dio, ed hanno riconosciuto loro
stessi in Lui, saranno salvati.
Permettetemi di riassumere cos’abbiamo scoperto riguardo l’ideologia in generale.
La doppia struttura-specchio dell’ideologia assicura simultaneamente:
1. l’interpellare degli “individui” come soggetti;
2. la loro soggezione al Soggetto;
3. il reciproco riconoscimento dei soggetti e del Soggetto, il riconoscimento dei soggetti di ogni altro, e
finalmente il riconoscimento del soggetto stesso;[22]
4. l’assoluta garanzia che ogni cosa sia realmente così, e che a condizione che i soggetti riconoscano cosa
essi siano e si comportino di conseguenza, ogni cosa andrà per il verso giusto: Amen - “Così sia”.
Risultato: catturati in questo sistema quadruplo di interpellanza come soggetti, di soggezione al Soggetto,
di riconoscimento universale e di garanzia assoluta, i soggetti “lavorano”, “lavorare da soli” nella maggior
parte dei casi, con l'eccezione dei “cattivi soggetti” che a volte provocano l'intervento di uno dei
distaccamenti dell’Apparato Statale (Repressivo). Ma la stragrande maggioranza dei soggetti (buoni)
lavorano bene “da soli”, cioè tramite ideologia (le cui forme concrete sono realizzate negli Apparati
Ideologici Statali). Sono inserite in pratiche dirette dai rituali degli Apparati Ideologici Statali. Loro
“riconoscono” che lo stato di cose esistente (das Bestehende), riconoscono che “è veramente così che
stanno le cose e non altrimenti”, a che devono essere obbedienti a Dio, alla loro coscienza, al sacerdote, a
de Gaulle, al capo, all’ingegnere, che devi “amare il prossimo come te stesso”, ecc. il loro concreto,
comportamento materiale è semplicemente l’iscrizione in vita delle ammirevoli parole della preghiera:
“Amen - Così sia”.
Si, i soggetti “lavorano da soli”. Il mistero di questo effetto si trova nei primi due momenti del sistema
quadruplo che ho appena discusso, o, se si preferisce, nella ambiguità del termine soggetto. Nell'uso
comune del termine, soggetto in realtà significa:
(1) una soggettività gratuita, un centro di iniziative, autore e responsabile delle sue azioni;
(2) un essere sottoposto, che si sottomette ad un’autorità superiore, ed è quindi privo di ogni libertà
eccetto quella della libera accettazione della sua sottomissione. L’ultimo punto ci dà il significato di tale
ambiguità, la quale è semplicemente un riflesso dell’effetto che essa produce: l’individuo è interpellato con
un (libero) soggetto al fine che egli debba sottomettersi liberamente ai comandamenti del Soggetto, cioè al
fine di dover (liberamente) accettare la sua sottomissione, cioè al fine di compiere i gesti e le azioni della
sua sottomissione “da solo”. Non ci sono soggetti tranne che tramite e per la loro sottomissione. Ecco
perché “lavorano tutti da soli”.
“Così sia! …” Questa frase che registra l’effetto che si vuole ottenere prova che non è “naturalmente” così
(“naturalmente”: al di fuori della preghiera, cioè fuori dall’intervento ideologico). Questa frase prova che
deve essere così se le cose sono ciò che devono essere, e lasciateci far scivolare le parole (and let us let the
words slip): se la riproduzione dei rapporti di produzione è assicurata, anche nei processi di produzione e
circolazione, ogni giorno, nelle “coscienze”, cioè negli atteggiamenti degli individui-soggetti occupanti i
posti che la divisione socio-tecnica del lavoro assegna loro nella produzione, nello sfruttamento, nella
repressione, ideologizzazione, pratica scientifica, ecc. Infatti, cos’è realmente in questione in questo
meccanismo del riconoscimento speculare del Soggetto e degli individui interpellati come soggetti, e della
garanzia data dal Soggetto ai soggetti se loro liberamente accettano la loro sottomissione ai comandamenti
del Soggetto? La realtà in questione in questo meccanismo, la realtà che è necessariamente ignorata
(méconnue) proprio nelle forme di riconoscimento (ideologia = misriconoscimento/ignoranza) è infatti, in
ultima istanza, la riproduzione dei rapporti di produzione e delle relazioni derivanti da essi.
Gennaio-Aprile 1969
P.S. Se queste poche tesi schematiche mi permettono di illuminare alcuni aspetti del funzionamento della
Sovrastruttura e le modalità di intervento nella Struttura, esse sono ovviamente astratte e lasciano
necessariamente diversi consistenti problemi senza risposta, che dovrebbero essere menzionati:
1. Il problema del processo totale della realizzazione della riproduzione dei rapporti di produzione.
Come elemento di questo processo, gli Apparati Ideologici Statali contribuiscono a questa riproduzione. Ma
il punto di vista del loro contributo è ancora astratto.
È solamente nel processo di produzione e circolazione che questa riproduzione è realizzata. È realizzata dai
meccanismi di quei processi, in cui la formazione dei lavoratori è “completata”, i posti vengono loro
assegnati, ecc. È all’interno dei meccanismi di questi processi che l’effetto delle differenti ideologie è
sentito (soprattutto l’effetto dell’ideologica etica-giuridica).
Ma questo punto di vista è ancora astratto. Perché in una società di classe i rapporti di produzione sono
rapporti di sfruttamento, e quindi le relazioni tra classi antagoniste. Adottare il punto di vista della
riproduzione significa quindi, in ultima istanza, adottare il punto di vista della lotta di classe.
2. Il problema della natura di classe delle ideologie esistenti in una forma sociale.
Il “meccanismo” dell’ideologia in generale è una cosa. Abbiamo visto che può essere ridotto a pochi principi
espressi in poche parole (come “poveri” come quelli che, secondo Marx, definiscono la produzione in
generale, o in Freud, definiscono l’inconscio in generale). Se c’è qualche verità in ciò, questo meccanismo
deve essere astratto rispetto ad ogni vera formazione ideologica.
Ho suggerito che le ideologie erano realizzate in istituzioni, nei loro rituali e nelle loro pratiche, negli
Apparati Ideologici Statali. Abbiamo visto che su questa base tali apparati contribuiscono a quella forma di
lotta di classe, di vitale importanza per la classe dirigente, ovvero la riproduzione dei rapporti di
produzione. Ma il punto di vista stesso tuttavia reale, è ancora un punto di vista astratto.
Infatti, lo Stato ed i suoi Apparati hanno senso solamente dal punto di vista della lotta di classe, come
apparato di lotta di classe che assicura l’oppressione e garantisce le condizioni di sfruttamento e la sua
riproduzione. Ma non vi è lotta di classe senza antagonismo di classe. Chiunque dica lotta di classe della
classe dominante dice resistenza, lotta di classe della classe governata è invece rivolta. (Whoever says class
struggle of the ruling class says resistance, revolt and class struggle of the ruled class)
Questo è il motive per cui gli Apparati Ideologici Statali non sono la realizzazione dell’ideologia in generale,
e neppure la realizzazione senza conflitto dell’ideologia della classe dominante. L’ideologia della classe
dominante no diviene l’ideologia dominante tramite la grazia di Dio, e neppure in virtù della prese del
potere del solo Stato. È attraverso l’installazione degli Apparati Ideologici Statali in cui questa ideologia è
realizzata e realizza se stessa che essa diviene l’ideologia dominante. Ma questa installazione non si ottiene
da sola; al contrario, è il punto nodale (stake) di una continua ed amara lotta di classe: prima contro l’ex
classe dominante e le loro posizioni nei nuovi e vecchi Apparati Ideologici Statali, poi contro le classi
sfruttate.
Ma questo punto di vista della lotta di classe negli Apparati Ideologici Statali è ancora un punto astratto.
Infatti, la lotta di classe negli Apparati Ideologici Statali è davvero un aspetto della lotta di classe, un
aspetto delle volte importante e sintomatico: per esempio la lotta anti-religiosa nel Diciottesimo secolo, o
la “crisi” dell’Apparato Ideologico Statale educativo in ogni paese capitalista al giorno d’oggi. Ma la lotta di
classe negli Apparati Ideologici Statali è uno degli aspetti di una lotta di classe che va al di là degli Apparati
Ideologici Statali. L’ideologia che una classe al potere rende tale ideologia dominante nei suoi Apparati
Ideologici Statali è infatti “realizzata” in tali Apparati, ma va al di là di essi, perché proviene da altrove. Allo
stesso modo, l’ideologia che una classe dominata riesce (manages) a difendere all’interno e contro tali
Apparati va oltre questi, perché viene da altrove.
È solamente dal punto di vista delle classi, cioè della lotta di classe, che è possibile spiegare le ideologie
esistenti in una formazione sociale. Non è solamente da questo punto di partenza che è possibile spiegare
la realizzazione della ideologia dominante negli Apparati Ideologici Statali e delle forme della lotta di classe
dei quali gli Apparati Ideologici Statali sono la sede ed il punto nodale (stake). Ma è anche e soprattutto da
questo punto di vista che è possibile capire la provenienza delle ideologie che sono realizzate negli Apparati
Ideologici Statali e confrontarvi là, l’uno e l’altro punto. Perché se è vero che gli Apparati Ideologici Statali
rappresentano la forma in cui l'ideologia della classe dominante deve necessariamente essere realizzata, e
la forma in cui l'ideologia della classe governata deve necessariamente essere misurata e confrontata, le
ideologie non sono “nate” negli Apparati Ideologici Statali ma dalle classi sociali alle prese con la lotta di
classe: dalle loro condizioni di esistenza, le loro pratiche, la loro esperienza di lotta, ecc.
Aprile 1970
Notes
1. Questo testo è costituito di due estratti da uno studio in corso. Il sottotitolo “Note attorno ad un
investigazione” è dell’autore. Le idee esposte non devono essere considerati come qualcosa di più di un
introduzione ad una discussione.
2. Marx a Kugelmann, 11 Luglio 1868, Corrispondenza Selezionata, Mosca, 1955, p. 209
3. Marx ha dato a proposito il suo concetto scientifico: capitale variabile.
4. In Per Marx e Leggendo il Capitale, 1965 (Edizioni inglesi rispettivamente del 1969 e del 1970).
5. Topografia dal greco topos: luogo. Una topografia rappresenta in uno spazio definito rispettivi siti
occupati da realtà diverse: così l'economico è alla base (fondamento), la sovrastruttura sopra.
6. Vedi p. 158 sotto, Sull’Ideologia.
7. A mia conoscenza, Gramsci è l'unico che è andato a qualsiasi distanza (?who went any distance?) sulla
strada che sto prendendo. Ha avuto la “notevole” idea che lo Stato non possa essere solamente ridotto
all’Apparato Statele (Repressivo), ma vi ha incluso, come diceva lui, un certo numero di istituzioni della
“società civile”: la Chiesa, la Scuole, le unioni commerciali, ecc. Sfortunatamente, Gramsci non sistematizzò
le sue istituzioni, che rimasero allo stato di acute ma frammentarie note (cfr. Gramsci, Scritti scelti dai
quaderni dal carcere, Internazionale Editore, 1971, pp. 12, 259, 260-3; vedi anche la lettere a Tatiana
Schucht, 7 Settembre 1931, in Lettere dal Carcere, Einaudi, 1968, p. 479. Traduzione in lingua inglese in fase
di preparazione).
8. La famigli ovviamente ha altre “funzione” oltre a quelle di un Apparato Ideologico Statale. Interviene
nella riproduzione della forza lavoro. In differenti modi di produzione è l’unità della produzione e/o l’unità
del consumo.
9. Il “Diritto” appartiene sia all’Apparato Statale (Repressivo) sia al sistema degli Apparati Ideologici Statali.
10. In un testo patetico scritto nel 1937, la Krupskaja racconta la storia degli sforzi disperati di Lenin e
quello ciò che riguardò il suo fallimento.
11. ciò che ho detto in queste poche e brevi parole riguardo la lotta di classe negli Apparati Ideologici Statali
è ovviamente lontana dall’esaurimento della questione della lotta di classe.
Per affrontare questo problema, bisogna tener presente due principi:
Il primo principio è stato formulato da Marx nella Prefazione a Per la critica dell’Economia Politica: “Nel
considerare tali trasformazioni [una rivoluzione sociale] è indispensabile distinguere sempre fra la
trasformazione materiale delle condizioni economiche di produzione, che può essere determinata con la
precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche - in breve,
le forme ideologiche nelle quali gli uomini divengono coscienti di questo conflitto e lo combattono.” La
lotta di classe è così espressa ed esercitata in forme ideologiche, così anche nelle forme ideologiche degli
Apparati Ideologici Statali. Ma la lotta di classe si estende ben al di là di queste forme, ed è perché essa si
estende al di là di tali forme che la lotta delle classi sfruttate può essere anche esercitata nelle forme degli
Apparati Ideologici Statali, a così rivolgere l’arma dell’ideologia contro le classi al potere.
Questo in virtù del secondo principio: la lotta di classe si estende oltre gli Apparati Ideologici Statali perché
è radicata altrove rispetto all’ideologia, nella Struttura, nei rapporti di produzione, i quali sono rapporti di
sfruttamento e costituiscono il fondamento dei rapporti di classe.
12. Per la maggior parte. Perché (for?) i rapporti di produzione vengono prima riprodotti dalla materialità
dei processi di produzione e circolazione. Ma non va dimenticato che i rapporti ideologici sono
immediatamente presente in questi stessi processi.
13. Per la parte di riproduzione di cui l'apparato repressivo dello Stato e l'apparato statale ideologico
contribuiscono.
14. Uso deliberatamente questo termine moderno. Perché anche nei circoli Comunisti, sfortunatamente, è
un luogo comune “spiegare” alcune deviazioni politiche (opportunismo di destra o di sinistra) come dovute
all’azione di una “cricca”.
15. Che ha preso (i quali hanno preso) la categoria legale di “soggetto di diritto” per farne una nozione
ideologica: l’uomo è per natura un soggetto.
16. I linguisti e coloro che richiamano la linguistica per vari scopi, spesso si scontrano con le difficoltà che si
presentano perché ignorano l'azione degli effetti ideologici in nei discorsi - tra cui anche i discorsi scientifici.
17. NB: questo doppio “attualmente” è un ulteriore prova del fatto che l'ideologia è “eterna”, dal momento
che questi due “attualmente” sono separati da un intervallo indefinito, io sto scrivendo queste righe, il 6
aprile 1969, che si potranno leggere in qualsiasi momento successivo.
18. Hailing as an everyday practice subject to a precise ritual takes a quite ‘special’ form in the
policeman’s practice of ‘hailing’ which concerns the hailing of ‘suspects’.
19. Anche se sappiamo che l'individuo è sempre già un soggetto, continuiamo ad utilizzare questo termine,
conveniente per l'effetto a contrasto che produce.
20. Cito in modo combinato, non alla lettera, ma “in spirito e verità”.
21. Il dogma della Trinità è proprio la teoria della duplicazione del soggetto (il Padre) in un soggetto (il
Figlio) e della loro connessione a specchio (lo Spirito Santo).
22. Hegel è (inconsapevolmente) una mirabile “teorico” dell’ideologia, in quanto si tratta di un “teorico” del
riconoscimento universale che finisce purtroppo nel l'ideologia del Sapere Assoluto. Feuerbach è un
sorprendente 'teorico' della connessione specchio, che finisce purtroppo nel l'ideologia dell'essenza umana.
Per trovare il materiale con cui costruire una teoria della garanzia, dobbiamo rivolgerci a Spinoza.

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