giovedì 19 dicembre 2013

Una problematica politica odierna. Il comunismo libertario - Stefano Garroni -


E’ ben noto che il movimento di massa, che a partire dalla seconda metà del 1967, si diffuse in tutta l’Europa occidentale, in Gran Bretagna e negli Usa, presentò subito un’ambiguità di fondo – intendo la compresenza di rivendicazioni e di parole d’ordine, per un verso, legate direttamente alla lotta di classe anticapitalistica ma, per l’altro, che richiamavano temi, invece, della cosiddetta ‘rivoluzione sessuale’ e che, dunque, si collegavano alla cosiddetta Sexpolitik di certo marxismo tedesco post rivoluzionario (W. Reich, ad es.), ma anche e fondamentalmente a quel radicalismo borghese, che accompagnò per tutto l’Ottocento lo stabilizzarsi del dominio del grande capitale (temi caratteristici di tale radicalismo sono, come dovrebbe esser noto, il femminismo, la rivendicazione di libertà per la devianza sessuale e per il consumo di droghe).

Insomma, il movimento che si sviluppa a partire dal ’67-’68 si caratterizza, fin da subito, per rivendicazioni, che si estendono su tutti i livelli dell’esperienza umana (si ricordi il significativo slogan il privato è politico), senza avere tuttavia la coscienza del modo di coesistenza di tali livelli e, così, mostrandosi incapace di comprenderli ognuno nella propria determinatezza, specificità e valenza storica.

E’ in questo contesto che la ripresa dei temi del marxismo rivoluzionario si intrecciarono, paradossalmente, con il rifiorire di orientamenti anarchici (si ricordi che, appunto nel 1968, fu ristampato in Italia L’ Unico, il libro di Stirner, largamente criticato da Marx nella Ideologia tedesca) e che iniziò quell’ uso linguistico, che progressivamente finì col sostituire al termine, classista, di proletariato le più generiche qualificazioni ( intrise di impronte religiose), quali gli ultimi, gli oppressi, i più deboli, gli emarginati.

A tutto ciò va unito l’estendersi di un orientamento politico che, identificando stalinismo con organizzazione, centralizzazione e distinzione di ruoli, riprese la problematica consigliare, ma in modo astratto, unilaterale, vale a dire, facendone l’assoluto altro rispetto all’istanza organizzativa, intesa – quest’ ultima- come sinonimo di deformazione burocratica.

A questo punto le cose si radicalizzano: da un lato, in seguito alla durezza dello scontro politico con l’esistente organizzazione statuale, si consolidò la tendenza a non ingabbiare il movimento nelle maglie di una disciplina teorico-organizzativa ma di enfatizzarne il carattere di movimento libero e creativo, perché espressione diretta delle masse; dall’altro, tutto al contrario, si andarono costituendo formazioni (a volte di una certa ampiezza), addirittura neo-staliniste – e quindi, centralizzate, gerarchicizzate e ideologizzate (nel senso più deteriore e dogmatico del termine).

Contributo a una discussione - Aristide Bellacicco* -


*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")

1) Uno dei fenomeni più caratteristici degli ultimi anni è il fortissimo prevalere, nelle analisi e nelle interpretazioni della crisi del capitale, dell’elemento strettamente economico pensato nella sua assolutezza e autonomia. In particolare nella’area europea, il dibattito appare contraddistinto dalla divisione fra i sostenitori di una linea recessiva e di austerità (alla Merkel, per intenderci) e coloro i quali sostengono che sia necessaria una politica monetaria più espansiva per ridare fiato alla produzione e al consumo. Il fatto che queste misure di carattere neo-keynesiano rappresentino l’orizzonte comune di molti economisti di ispirazione marxista o genericamente “di sinistra”, è sufficientemente indicativo dell’ impasse teorica e politica in cui si trova impigliato, ormai da molti decenni, ciò che resta del pensiero critico e dello stesso movimento comunista. La situazione si può forse riassumere in questo modo: da un lato, o meglio, sullo sfondo, il persistere della consapevolezza che il sistema di produzione capitalistico è sbagliato perché violento e irrazionale; dall’altro, o in primo piano, l’apparentemente insuperabile soggezione alle sue logiche e alle sue “leggi”. Da qui, il primato dell’”economico” e l’appiattimento, quasi ossessivo, sui temi dei “mercati”, della “ripresa”, delle banche e così via. E sempre da qui, come una specie di sottoprodotto, quella sorta di coscienza diffusa, priva di un chiaro segno politico, che porta a concepire la situazione attuale come polarizzata fra un generico “grande capitale” mostruoso e vorace, chiamato anche sbrigativamente “Europa”, e “il popolo”, vale a dire tutti gli altri.

2) Detto ciò, non ci si può nascondere che questa visione è, in buona sostanza, il riflesso necessario dei rapporti fra le classi o fra i diversi raggruppamenti sociali, su scala europea e mondiale, così come sono andati configurandosi nell’epoca della reazione neo-liberista. Del quadro fanno parte il fallimento delle due esperienze novecentesche di ispirazione socialista in paesi più o meno capitalisticamente avanzati – il Cile e il Portogallo – e la crisi e il crollo del campo socialista e dell’ Unione sovietica ad est: il famoso tramonto della centralità operaia, di cui si vocifera da un trentennio almeno, trova forse in tutto questo una delle sue radici e, se si assume un certo pessimismo della ragione, una sua almeno apparente conferma.

mercoledì 18 dicembre 2013

Il feticismo da un punto di vista antropologico. - A.Ciattini*, S.Garroni. -


Trascrizione dall'audio dell'incontro organizzato dal collettivo di formazione marxista "Maurizio Franceschini" di Roma - 15/01/96 - (Trascrizione ad opera del compagno Giacomo Turci) - 
http://www.treccani.it/enciclopedia/feticismo_(Dizionario_di_filosofia)/                                                                                                                                                                          
                                                                 
 


ALESSANDRA CIATTINI: [...] Da taluni, ad esempio da Manuel, che ha scritto un libro molto importante sulla riflessione e sulla religione, viene considerato solo un dilettante erudito. Comunque a noi qui interessa mettere in evidenza che De Brosses aveva svariati interessi. È intervenuto su problemi che a quel tempo erano importanti (siamo nel '700 francese), problemi di vario tipo. Si è occupato dell'origine del linguaggio, dell'origine della religione, e si è occupato anche di problemi geografici - siamo nell'epoca in cui continuano le grandi scoperte geografiche. Vediamo più dettagliatamente questa sua opera sul feticismo, sul culto degli déi feticci. Questa opera è abbastanza significativa ancora oggi per l'antropologia religiosa. L'antropologia religiosa è un sotto-settore dell'antropologia culturale, che da un lato si occupa di ricostruire e di descrivere in maniera dettagliata le varie forme di vita religiosa che si manifestano nelle società più disparate, anche se prevalentemente l'antropologo religioso studia le società a livello etnologico, cioè le società semplici, le società primitive cosiddette, anche se questa parola oggi viene condannata, ma forse è abbastanza adeguata - le società extraeuropee, le società esotiche, cioè quelle che si collocano ai livelli più semplici di vita economica e sociale. L'altra questione di cui si occupa l'antropologia religiosa è una questione più rilevante e che ha dei risvolti anche filosofici - è la questione se sia possibile individuare una struttura logica e specifica del comportamento della credenza religiosi, che consenta di stabilire paralleli e di fare comparazioni tra le varie forme di religiosità. Quindi l'antropologia religiosa si pone il problema di capire se la religione, rispetto alle altre forme di comportamento e di pensiero, ha una sua specificità distintiva. L'opera di De Brosses in realtà è significativa ancora oggi soprattutto per questo secondo punto. Riguardo al primo punto non è più significativa perché ovviamente De Brosses si basava sull'opera di viaggiatori, di missionari, di commercianti ecc., che davano reportage delle società primitive con cui entravano in contatto che spesso non erano del tutto veritieri e falsificati da motivazioni economiche e politiche. De Brosses è il primo che parla di feticismo, è il primo che utilizza questa parola, è lui che la inventa. Questa parola è stata ripresa successivamente da vari autori molto diversi, per esempio Comte, che ne fece uno stadio di sviluppo mentale dell'umanità. Diciamo che lo stadio feticistico è il primo stadio dello stadio teologico; successivo al feticistico abbiamo il politeistico e il monoteistico: così Comte descriveva la prima fase di sviluppo mentale ed intellettuale dell'umanità. Questo termine fu usato anche da Hegel e da Marx.

mercoledì 4 dicembre 2013

Il Capitale - Libro primo: Il processo di produzione del capitale - II Sezione: La Trasformazione del Denaro in Capitale - Quarto capitolo - Karl Marx -

  "Delle mie personali attidudini fisiche e intellettuali, e delle mie personali possibilità di azione io posso... alienare ad un altro un uso limitato nel tempo, giacche esse, dopo tale limitazione, conservano un rapporto esteriore con la mia totalità e universalità. Alienando tutto il mio tempo realizzato tramite il lavoro e la totalità della mia produzione, io darei in proprietà ad un altro quello che essi hanno di essenziale, la mia attività e realtà universali, la mia personalità".          Hegel          (Philosopie des Rechts, Berlino, 1840, p. 104, § 67)                                         
                                                                                                    "...si odia l'usura a pieno diritto in quanto qui il denaro stesso è la fonte del guadagno e non lo si usa allo scopo per cui fu inventato. Giacché ebbe origine per lo scambio di merci, ma l'interesse fa dal denaro più denaro, e da questo ebbe origine anche il suo nome (interesse e nato). In quanto i nati sono simili ai loro genitori. E l'interesse è denaro originato dal denaro, in maniera che esso è, tra tutti i modi di guadagno, quello maggiormente contro natura".        Aristotele             (DeRepubblica,vol.I,cap.10)                                                                                                                                                                                                                        "...la formazione del capitale deve essere possibile anche se il prezzo delle merci è eguale al valore delle merci. Non può essere spiegata con la differenza fra i prezzi e i valori delle merci. Se i prezzi differiscono realmente dai valori, occorre ridurre i prezzi ai valori, cioè fare astrazione da questa circostanza come casuale, se si vuole avere davanti a sé puro il fenomeno della formazione del capitale sulla base dello scambio di merci, e se non si vuole essere confusi nell'osservarlo da circostanze secondarie perturbatrici ed estranee al vero e proprio andamento del fenomeno. Si sa del resto che tale riduzione non è affatto un puro e semplice procedimento scientifico. Le oscillazioni continue dei prezzi di mercato, i loro rialzi e i loro ribassi, si compensano, si eliminano reciprocamente e si riducono a prezzo medio, che è la loro regola interna. Ed essa costituisce la stella polare p. es. del mercante o dell'industriale in ogni impresa che abbracci un periodo di tempo d'una certa durata. Dunque essi sanno che, considerato nel suo insieme un periodo di una certa durata, le merci vengono vendute non sopra e non sotto il loro prezzo medio, ma proprio al loro prezzo medio. E se il pensiero disinteressato fosse semmai il loro interesse. il mercante e l'industriale si dovrebbero porre il problema della formazione del capitale a questo modo: data la regolazione dei prezzi mediante il prezzo medio, cioè in ultima istanza, mediante il valore della merce, come può nascere capitale? Dico «in ultima istanza», perché i prezzi medi non coincidono direttamente con le grandezze di valore delle merci, come credono A. Smith, il Ricardo, ecc". [...] "Perciò, comunque si giri la cosa, il risultato è sempre il medesimo. Scambiando equivalenti, non sorge alcun plusvalore, e non sorge neanche scambiando non equivalenti. La circolazione, cioè lo scambio delle merci, non crea alcun valore".            Karl Marx
                             http://www.rottacomunista.org/classici/marx-engels/capitale/cap_4.htm

martedì 26 novembre 2013

E. Cassirer, Scienza e funzione… - Stefano Garroni -

Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni. 


“La nuova posizione, che la filosofia contemporanea viene gradualmente assumendo riguardo ai fondamenti della scienza teoretica, forse in nessuna cosa si è manifestata con maggior chiarezza che nelle trasformazioni subite in essa dalle principali dottrine della logica formale. Solo nella logica lo sviluppo del pensiero filosofico sembrò aver finalmente raggiunto un sicuro punto d’appoggio; sembrò che in essa fosse stato delimitato un campo al sicuro dai dubbi sempre sollevati contro le diverse dottrine e opinioni gnoseologiche … Perfino la successiva affermazione secondo la quale la logica dopo Aristotele, come non fece nessun passo indietro, così non riuscì a compiere alcun passo avanti, dovette valere sotto questo punto di vista come una conferma del suo peculiare carattere di certezza. Non influenzata dal vero vivere e dal continuo trasformarsi di ogni sapere oggettivo, essa sola sembrò affermarsi in modo costante e uniforme.” (Cassirer, 0521: 9).[1]

“Tuttavia, se si segue più da vicino il corso preso dalla evoluzione scientifica negli ultimi decenni, ne risulta subito anche per la logica formale un quadro diverso. Essa appare ovunque impegnata in nuove questioni e dominata da nuove tendenze di pensiero (c’è un’evoluzione storica anche della logica formale).

Anche per il rinnovamento della logica formale è fondamentale la teoria matematica degli insiemi.(Cassirer,0521: 10) “Questa teoria si rivela sempre più quale meta comune di questioni logiche diverse, prima trattate di solito separatamente, le quali ricevono da essa la loro unità ideale. In tal modo la logica vien tolta dal suo isolamento e ricondotta a compiti e risultati concreti. Infatti l’orizzonte della moderna teoria degli insiemi non  rimane circoscritto a problemi puramente matematici, ma si allarga in una visione generale  che si estende e si conferma anche nella metodica speciale della conoscenza della natura.” (Cassirer, 0521). “La critica della logica formale si compendia in una critica della teoria generale della formazione dei concetti.” (Cassirer, 0521: 11)

Nota che la nozione tradizionale di concetto  viene descritta da Cassirer, in forte analogia con il modo in cui Hegel e Marx descrivono il metodo speculativo. (Cassirer, 0521: 12).[2]

Nell’accezione tradizionale il concetto non duplica la realtà,ma semplicemente la ordina e la classifica.(Cassirer, 0531: 12).

“Se dunque si denomina l’insieme delle note di un concetto la grandezza della sua comprensione, questa grandezza crescerà quando dal concetto superiore si scende all’inferiore, diminuendo in tal modo il numero delle specie che si pensano subordinate al concetto …” (Cassirer. 0531: 12s).

Contro la concezione tradizionale del concetto:”Ciò che anzitutto chiediamo e ci aspettiamo [e che il concetto in senso tradizionale non dà] dal concetto scientifico è che, in luogo dell’indeterminatezza e ambiguità del contenuto rappresentativo, esso instauri una netta e univoca determinatezza.” (Cassirer, 0531: 13); “il concetto perderebbe se esso significasse semplicemente la negazione dei casi particolari, dalla cui considerazione prende le mosse, e se volesse dire distruzione della loro natura specifica.” (Cassirer, 0531: 14). Se noi –per usare un drastico esempio di Lotze- facciamo rientrare ciliege e carne nel gruppo connotativo dei corpi rossi, succosi e commestibili, non otteniamo con questo alcun oggetto logico valido, bensì una connessione verbale priva di senso e di utilità per la comprensione dei casi particolari. Da ciò risulta chiaro che la generale norma formale di per sé sola non basta, e che invece viene sempre tacitamene integrata da un altro criterio di pensiero.” (Cassirer, 0531: 14).

[Concetto e telos in Aristotele] - “La definizione (aristotelica) del concetto mediante il suo genere prossimo e la differenza specifica rispecchia il processo in virtù del quale la sostanza reale si dispiega successivamente nei suoi particolari modi di essere.” (Cassirer, 0531: 14); per Aristotele almeno il concetto non è un semplice schema soggettivo in cui noi raccogliamo gli elementi comuni di un gruppo qualsiasi di cose. Rilevare ciò che è comune rimarrebbe un vano gioco dell’immaginazione se alla base non ci fosse il pensiero secondo cui ciò, che in tal maniera viene ottenuto è al tempo stesso la forma reale, che garantisce il nesso causale e teleologico delle cose singole.” (Cassirer, 0531: 14s)[3] “Il pensiero non fa che isolare il tipo specifico che è contenuto nella concreta realtà singola come fattore attivo e che conferisce ai particolari esseri formati l’impronta universale. La specie biologica indica al tempo stesso la meta, a cui la singola forma vitale tende, e la forza immanente onde il suo sviluppo è guidato … La definizione del concetto mediante il suo genere prossimo e la differenza specifica rispecchia il processo in virtù del quale la sostanza reale si dispiega successivamente nei suoi particolari modi di essere.[4]

“A questo fondamentale concetto di sostanza rimangono pertanto sostanzialmente legate anche le teorie puramente logiche di Aristotele. Il sistema completo delle definizioni scientifiche sarebbe al tempo stesso l’espressione completa delle potenze sostanziali che dominano la realtà. La struttura specifica della logica aristotelica è in tal modo condizionata dalla struttura specifica del suo concetto di essere.” (Cassirer, 0531: 15)

Giusta la sua concezione di sostanza, Aristotele fa passare in secondo piano il concetto di relazione, mentre rimane incontrastato il primato logico di sostanza … anzitutto è la categoria di relazione a essere degradata, in conseguenza di questa fondamentale dottrina metafisica di Aristotele, a un rango dipendente e subordinato.” (Cassirer, 0531: 16). “Nei manuali di logica formale questa concezione si manifesta nel fatto  che di solito i rapporti o le relazioni vengono annoverati fra le note <non essenziali> di un concetto, le quali perciò possono essere tralasciate senza danno nella definizione di esso.”(Cassirer, 0531: 16).

Particolarmente lo sviluppo scientifico moderno, mostra sempre più la contrapposizione tra una logica basata sul concetto di cosa e una logica basata sul concetto di relazione.(Cassirer, 0531: 16).

J.S.Mill “ribadisce esplicitamente che la vera realtà positiva di ogni relazione risiede sempre soltanto nei singoli termini da essa collegati, e che in tal modo, poiché questi termini possono esser dati soltanto nella differenziazione individuale, non si può parlare neppure di una rappresentazione concreta e con tutte le caratteristiche di tale rappresentazione ..” (Cassirer, 0531: 18s). La psicologia dell’astrazione e la disputa scolastica sugli universali. (Cassirer, 0531: 19-20)

“I concetti, che in definitiva Aristotele cerca  e a cui il suo interesse è principalmente rivolto, son i conceti-generi della scienza naturale descrittiva e classificatrice. La <forma> dell’ulivo, del cavallo, del leone è ciò che si tratta di raggiungere e di stabilire.” (Cassirer: 20)

“I concetto di punto, di linea, di superficie può essere mostrato come parte diretta del corpo fisicamente presente, e quindi essere da esso separato per semplice « astrazione ». Già di fronte a questi semplicissimi esempi, che sono forniti dalla scienza esatta, la tecnica logica si vede posta di fronte a un compito nuovo. I concetti matematici, che nascono mediante una definizione genetica, si distinguono dai concetti empirici, che vogliono essere soltanto la riproduzione di certi tratti effettivamente esistenti nella realtà delle cose. Se in quest'ultimo caso la molteplicità delle cose sussiste in sé e per sé e deve soltanto essere raccolta in un'espressione abbreviata linguistica o concettuale, nel primo caso invece si tratta appena di creare la molteplicità che forma l'oggetto della considerazione, in quanto da un semplice atto del porre viene prodotta per sintesi progressiva una connessione sistematica di creazioni del pensiero. Qui pertanto alla semplice «astrazione>> si contrappone un atto speciale del pensiero, una libera produzione di determinati nessi di relazioni. Si comprende facilmente che la teoria logica dell'astrazione abbia sempre tentato, ancora nella sua forma moderna, di cancellare questa opposizione, poiché su questo punto si decide la questione del suo valore e della sua intrinseca unità. Ma questo stesso tentativo conduce tosto a una trasformazione e dissolvimento della teoria per il cui vantaggio viene intrapreso. La teoria dell'astrazione perde qui o la sua validità universale o lo specifico carattere logico che originariamente le apparteneva.”(Cassirer: 20s).

“Così J.S. Mil1, per esempio, per mantenere l'unità del supremo principio esplicativo, cerca d'interpretare anche le verità e i concetti matematici semplicemente come l'espressione di concreti fatti fisici. La proposizione affermante  1 + 1 = 2 descrive semplicemente un'esperienza che ci si è imposta nella giustapposizione di cose; in un mondo di oggetti altrimenti costituito, in un mondo, per esempio, in cui mediante la connessione di due cose ne nascesse ogni volta spontaneamente una terza, essa perderebbe ogni significato e valore. Lo stesso vale per gli assiomi riguardanti rapporti spaziali: un «quadrato rotondo» significa per noi un c o n c e t t o contraddittorio solo in quanto ci risulta, da un'esperienza senza eccezioni che una cosa, nel momento in cui assume la proprietà rotonda, perde la forma quadrata, cosicché l’inizio di una proposizione è inseparabilmente associata alla cessazione dell’altra. In tal modo, in virtù di questa interpretazione la geometria e l’aritmetica sembrano di nuovo risolte in semplici enunciati intorno a determinati gruppi di immagini rappresentative. Ma questa concezione fallisce lo scopo quando Mill cerca poi di giustificare il valore e il significato specifico che nel campo complessivo della conoscenza sono propri di quelle speciali esperienze del numerare e del misurare. Qui si mostra anzitutto l’esattezza e la fedeltà delle immagini che noi conserviamo dei rapporti spaziali e numerici.. In questo caso, la rappresentazione riprodotta è simile in tutte le sue parti alla rappresentazione originaria, come ci è stato mostrato da un’esperienza ripetuta; l’immagine che la geometria abbozza corrisponde perfettamente nei suoi particolari all’impressione originaria secondo la quale era stata abbozzata. Appare perciò comprensibile che noi, per giungere a nuove verità geometriche o aritmetiche, non abbiamo bisogno ogni volta di rinnovate percezioni di oggetti fisici: l’immagine mnemonica può sostituire, grazie alla sua precisione e chiarezza, l’oggetto stesso. Ma questa spiegazione viene tosto a incrociarsi con un’altra. La peculiare certezza ‘deduttiva’ che attribuiamo alle proposizioni viene ora ricondotta al fatto che in queste proposizioni non abbiamo mai a che fare con enunciati intorno a fatti concreti, bensì con rapporti fra creazioni ipotetiche. Non vi sono cose reali che corrispondano esattamente alle definizioni della geometria: non vi è un punto senza grandezza, non una retta perfetta, non un cerchio i cui raggi siano tutti uguali. E non soltanto la realtà attuale, ma la stessa possibilità di questi insiemi di note deve essere contestata in base alla nostra esperienza: essa è esclusa in virtù della struttura fisica del nostro pianeta, se non di quella dell’universo. 

Non meno dell’esistenza fisica, è negata anche l’esistenza psichica agli oggetti delle definizioni geometriche. Infatti anche nel nostro spirito non si trova mai la rappresentazione di un punto matematico, ma sempre soltanto quella della minima estensione sensibile; anche qui non «concepiamo» mai una linea senza larghezza, giacché ogni immagine psichica, che possiamo abbozzare, ci mostra sempre soltanto linee di una determinata larghezza. Si vede subito come questa duplice spiegazione annu1li se stessa. Da un lato viene dato il massimo rilievo alla s o m i g 1 i a n z a fra le idee matematiche e le impressioni originarie; dall'altro appare subito che tale somiglianza, almeno per quelle formazioni che nella stessa scienza matematica vengono definite e indicate solo come «concetti», non esiste né può esistere. Queste formazioni non possono essere ottenute per semplice separazione dai fatti della natura e della rappresentazione, perchè esse non posseggono alcun riscontro concreto nel complesso di questi fatti. L'«astrazione», come finora è stata intesa, non m o di f i c a realmente ciò che si trova nella coscienza e nella realtà oggettiva, ma traccia soltanto in esso determinate linee di separazione e suddivisioni; separa le parti costitutive dell'impressione sensibile, ma non aggiunge ad esse alcun dato nuovo. Se non ché, nella matematica pura, come insegnano le stesse considerazioni svolte dal Mill, i1 mondo delle cose sensibili e delle rappresentazioni non tanto è rispecchiato quanto piuttosto trasformato e sostituito da un ordine d'altra natura. Se si indaga il modo e la via di questa trasformazione, si rivelano determinate forme di relazione, si rivela un sistema articolato, e rigorosamente distinto di funzioni del pensiero, le quali non possono venire indicate e ancor meno giustificate mediante l'uniforme schema dell'astrazione. E questo risultato è confermato anche quando si passa dai concetti puramente matematici a quelli della fisica teorica. Anche questi presentano nella loro origine -come si può notare nei casi particolari -lo stesso processo di trasformazione della concreta realtà sensibile, il quale non può essere giustificato dalla dottrina tradizionale; neppure essi vogliono creare semplici copie dei dati della percezione, bensì porre in luogo della molteplicità sensibile un’altra molteplicità conforme a certe condizioni teoretiche. (Cassirer: 21-24).

“ … ogni formazione di concetti è legata a una determinata f o r m a  di  c o s t r u z i o n e di  serie. Diciamo concettualmente compresa e ordinata una molteplicità offerta dall'intuizione allorché i suoi termini non stanno l'uno accanto all'altro senza rapporti, ma derivano in successione necessaria da un determinato termine iniziale secondo una fondamentale relazione generatrice. L' i d e n t i t à di questa relazione generatrice, che viene mantenuta pur nel mutare dei singoli contenuti, è ciò che costituisce 1a forma specifica del concetto. Il problema se dal mantenersi di questa identità di relazione si sviluppi alla fine un o g g e t t o astratto, una r a p p r e s e n t a z i o n e universale, in cui i tratti simili siano riuniti, è solo una questione psico-logica secondaria. La nascita di una siffatta rappresentazione comune può essere esclusa, data la natura della relazione generatrice, senza che per questo venga distrutta la deduzione di ciascun elemento da quello che precede. Si riconosce in questi rapporti che il vero difetto della teoria dell'astrazione consiste nell'unilateralità con cui dal grande numero di possibili principi di coordinazione logica si sceglie soltanto il principio della somiglianza. In verità risulterà che una sèrie di contenuti, per dirsi compresa e ordinata, può essere disposta secondo i punti di vista più diversi, a condizione soltanto che nella costruzione della serie il punto di vista assunto come guida venga mantenuto invariato nella sua specifica natura qualitativa. Per esempio, oltre alle serie fondate sulla somiglianza, in cui nei singoli contenuti ritorna costantemente un comune elemento costitutivo, possiamo stabilire delle serie in cui fra ciascun termine e quello che lo segue sussista un certo grado di d i v e r s i t à ; possiamo pensare che i termini siano ordinati secondo l'uguaglianza o la disuguaglianza, secondo la grandezza e il loro grado di dipendenza causale. Decisiva in ogni caso è solo la relazione di necessità, che un tal modo viene creata e di cui il concetto è solo l’espressione e l’involucro, non già la rappresentazione generica, che in determinate circostanze si può aggiungere, ma che non entra come elemento determinante nella definizione.”  (Cassirer: 25s)[5]

Note
[1] - Nota la posizione tradizonale, secondo cui se la realtà muta, la logica invece no.
[2] - E’ interessante Cassirer, 0521:13-4 che, contro il concetto nell’accezione tradizionale, avanza una critica à la  Hegel: “E perfino dal punto di vista immanente della logica formale nasce subito un nuovo problema.. Se ogni formazione di concetti consiste nel processo per cui noi da una pluralità di oggetti, che ci sta di fronte, isoliamo le note comuni, tralasciando tutte le rimanenti, è chiaro che con siffatta riduzione è sottentrata, in luogo dell’originaria totalità  intuita, una parte soltanto degli elementi contenuti in essa.”; altro elemento hegeliano in Cassirer, che continua la sua critica al concetto nel senso tradizionale: “il concetto perderebbe ogni valore se esso significasse semplicemente la negazione dei casi particolari, dalla cui considerazione prende le mosse, e se volesse dire distruzione della loro natura specifica.” (Cassirer, 0521:14).E’ interessante anche che Kant, di contro alla tradizionale teoria del concetto, si senta attratto verso il costruttivismo leibniziano, come testimonia Cassirer in leibniz.doc.
[3] - Per comprendere il ruolo fondamentale della teleologia in Aristotele.
[4] - Tutto questo c’è in Hegel e Marx.
[5] - Due notazioni: (a) è probabile che questa pagina possa essere utilizzata da me, per mostrare che Wittgenstein non nega il concetto; (B) possibilità di vari concetti a seconda del punto di vista o dell’ipotesi (Galilei).

giovedì 21 novembre 2013

Un omaggio a Paul Mattick - AAVV -

Il testo consiste in una raccolta di scritti di varia natura che spaziano dalla critica alle teorie delle crisi ad una eventuale economia di produttori associati attraverso la critica del modello sovietico

Questa pubblicazione non intende stabilire un “dialogato coi morti” come ultima risorsa di una sinistra ormai orfana di iniziativa. Non sappiamo se per pigrizia o per oggettiva impotenza, ma coloro che intendono ancora pensare di cambiare questo stato di cose credono di poterlo fare solo leggendo qualche “marxista” del passato per poi inserirlo nelle solite correnti di un movimento operaio esistente solo nella immaginazione del radicalismo o nelle descrizioni romantiche di qualche nostalgico. Mattick, nonostante i limiti che presenterebbe attualmente, ci può aiutare a ripartire dall’analisi marxiana, cioè scientifica, dei fenomeni che caratterizzano il capitalismo contemporaneo anche perché oggi è possibile attingere a numerose informazioni e dati empirici che spesso vengono disattesi da chi pretende di insegnare qualcosa propagandando ideologie prese a prestito da giornali e settimanali di modesta fattura. I fenomeni economici  e sociali vanno costatati scrupolosamente alla maniera delle scienze naturali, come invitava a fare Marx nella Introduzione a “Per la critica dell’economia politica”. 


                                                    http://177ermanno.blogspot.it/2013/11/karl-korsch-e-il-marxismo-paul-mattick.html 

mercoledì 20 novembre 2013

Il Partito Comunista Cinese al 15° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai


Da un lato, la crisi finanziaria internazionale ha gettato il capitalismo in un dilemma strutturale, confermando la critica di Marx sul capitalismo. I valori socialisti di equità, di giustizia, di solidarietà e di aiuto reciproco hanno messo radici più profonde. Ci siamo resi conto che il capitalismo selvaggio deve essere frenato da un efficace controllo democratico e da efficaci e democratiche regolamentazioni. Il modello di sviluppo del neoliberismo non può più sostenersi oltre, confermando la necessità di un cambiamento e di un riaggiustamento. Deve essere introdotto un modello di sviluppo che combini economia di mercato e controllo del governo, un modello che assicuri uno sviluppo equilibrato tra economia reale ed economia virtuale indirizzato sia verso l'equità che verso l’efficienza. D'altra parte, non possiamo non vedere la capacità del capitalismo di produrre sia la propria auto-regolazione che la flessibilità delle sue istituzioni e dei suoi sistemi. Un certo numero di paesi capitalisti sta spostando gli oneri della crisi sugli altri paesi attraverso il leveraggio finanziario e monetario mentre l’effetto di ricaduta della loro politica monetaria ha creato una pressione esterna sulla crescita economica dei paesi emergenti e in via di sviluppo. Per affrontare la crisi economica, alcuni paesi hanno tagliato i servizi pubblici e la spesa destinata al welfare, erodendo i diritti e gli interessi dei lavoratori. In campo internazionale, saltuariamente si manifestano l'unilateralismo e la politica di potenza, in violazione della Carta delle Nazioni Unite e dei principi fondamentali del diritto internazionale. Alcuni paesi capitalisti hanno intensificato gli sforzi per raggiungere il dominio sul nuovo ciclo della rivoluzione industriale e della globalizzazione e ottenere un vantaggio iniziale nel ridisegnare le regole internazionali, in modo da limitare lo spazio di sviluppo e d’azione del socialismo attraverso la concorrenza sleale, l’ordine irrazionale e regole inique. Pertanto, noi comunisti dobbiamo essere uniti per perseguire il nostro proprio sviluppo attraverso la cooperazione.                                                                                                                                                                                                                                                                                         Compagni!
Viviamo in un mondo interdipendente, un mondo che sta diventando sempre più una comunità dal destino comune. In questa nuova era storica, tutte le forze progressiste di questo mondo devono unirsi e lavorare di concerto per salvaguardare la pace mondiale, promuovere lo sviluppo comune e raggiungere il progresso sociale. La Cina terrà alta la bandiera della pace, dello sviluppo, della cooperazione e del mutuo vantaggio e perseguirà l'uguaglianza, la democrazia e l'inclusione in modo da rendere l'ordine e il sistema internazionale più giusti ed equi. Sulla base dei principi relativi ai rapporti tra i partiti di "indipendenza, completa uguaglianza, rispetto reciproco e non ingerenza nei reciproci affari interni", saremo impegnati a rafforzare gli scambi e il dialogo con i partiti comunisti e operai e le altre forze progressiste dei vari paesi, per condividere le esperienze nella direzione del partito e del paese, per studiare i modi per affrontare le sfide globali e per promuovere il continuo sviluppo della causa del socialismo nel mondo!                                                                                                                                                                                        http://www.marx21.it/comunisti-oggi/nel-mondo/23139-il-partito-comunista-cinese-al-15d-incontro-internazionale-dei-partiti-comunisti-e-operai.html                                                                                                                                                                                                                                                                                        http://www.china-files.com/it/link/34078/cina-speciale-terzo-plenum                                                                                                                                                                                         http://www.agichina24.it/in-primo-piano/politica-interna/notizie/post-plenum-sul-tavolo-la-riforma-delle-imposte                                                                                                                                                                                                                                                                      http://www.contropiano.org/internazionale/item/20270-cina-la-muraglia-sembra-reggere-ancora                                                                                                                                                                                                              http://www.marx21.it/internazionale/cina/23167-smith-schumpeter-e-marx-a-pechino-in-merito-al-plenum-del-partito-comunista-cinese.html                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           http://china-files.com/it/link/34549/caratteri-cinesi-le-principali-riforme-economiche

giovedì 14 novembre 2013

Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia - Friedrich Engels (1876) -

Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze. [...]  Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato.                                                                                                http://www.controappuntoblog.org/2012/11/24/parte-avuta-dal-lavoro-nel-processo-di-umanizzazione-della-scimmia-friedrich-engels-1876/

giovedì 31 ottobre 2013

Appunti per una comparazione fra le tre ondate del processo di modernizzazione. - Aldo Giannuli -


L’estensione del termine (peraltro recentissimo), tendente ad assorbire nella globalizzazione tutta la modernità o gran parte di essa,  è una operazione ideologica finalizzata ad espungere o ridurre a mero incidente di percorso qualsiasi alternativa allo sviluppo capitalistico. In ogni caso, si tratta di un’operazione che non ha alcun fondamento scientifico. [...] Se Fukuyama ha rappresentato l’aspetto utopico ed eretico della corrente neo cons, Huntington ne rappresenta l’indirizzo realistico e “ortodosso”. Ma entrambi si sono ritrovati nel medesimo “club neocon” autore del progetto “per un nuovo secolo americano” (Irving Kristol, Daniel Bell, Seymour Martin Lipset, Nathan Glazer) dichiaratamente orientato a consolidare il ruolo di potenza unica globale degli Usa. E ciò nella previsione di non avere alcuno sfidante credibile, tanto sul piano finanziario, quanto, ancor più, su quello militare, almeno sino al 2025. E questo è il cotè politico del progetto di modernizzazione neo liberista. [...] Quanto poi al progetto di ordine monopolare del “nuovo secolo americano”, gli Usa sono ancora l’unica superpotenza in grado di intervenire in qualsiasi angolo del pianeta grazie alle loro 6 flotte ed alle 745 basi all’estero, mantengono una supremazia incontrastata nel settore satellitare e nell’infosfera, hanno ancora una netta supremazia tecnologica negli armamenti convenzionali, ma, se nel 1998, la loro spesa militare era oltre la metà di quella mondiale e la loro flotta aerea era l’equivalente della somma delle prime 19 flotte mondiali, oggi i rapporti di forza non sono più quelli. La spesa militare americana è ferma o decresce mentre sale vistosamente quella di Russi, Cinesi ed Indiani, che si affermano sempre più come potenze regionali in grado di difendere il proprio spazio strategico. E la crisi economica che investe Usa ed Europa appare ancora lontana dalla sua soluzione. [...]                                                                                                                                                                                          Nel tipo di modernità cui ogni paese perviene giocano diversi elementi:
-il retroterra storico di ciascun contesto nazionale

-il concreto intrecciarsi delle dinamiche internazionali
le cause e le modalità immediate dell’innesco dei processi di modernizzazione
-la qualità dei progetti di modernizzazione che si manifestano via via

-le concrete scelte politiche dei vari attori nazionali.
L’osservazione dei processi in atto contribuirà in modo determinante a modificare molti dei punti di vista consolidati cui siamo abituati e ci obbligherà a riconsiderare anche la nostra identità occidentale: la modernità è il racconto che l’Europa (intendendo per essa non solo quella dell’omonimo continente ma anche quell’Europa fuori Europa che sono le Americhe e l’Oceania) ha fatto a sé stessa della propria storia fissando la sua identità. Oggi, con la globalizzazione quell’identità ci torna indietro come il riflesso in uno specchio che ci rivela un volto diverso da quello che avevamo immaginato. E questo ci induce a rimeditare la nostra storia, a partire da quella categoria di modernità che è stata l’architrave delle scienze storico sociali degli ultimi due secoli.                                                                                                                                                                      http://www.aldogiannuli.it/2013/10/appunti-per-una-comparazione-fra-modernizzazioni/#more-3139 

mercoledì 30 ottobre 2013

Il Capitale come Feticcio Automatico e come Soggetto, e la sua costituzione. - Sulla (dis)continuità Marx-Hegel. - Riccardo Bellofiore -



 Come i miei scritti, a partire dalla fine degli anni Settanta, testimoniano, l’approccio che ho indipendentemente sviluppato è molto vicino a quello di Arthur,. La ragione è presto detta. Un’influenza chiave per me è stato Lucio Colletti, soprattutto tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Settanta: in particolare la sua innovativa (e, come dirò, rubiniana) lettura della teoria del valore, dalla sua introduzione a Bernstein agli ultimi due capitoli del suo Il marxismo e Hegel. Di quest’ultimo volume, in particolare, l’ultimo capitolo, “L’idea della società «cristiano-borghese»”, ha molti parallelismi con le argomentazioni successivamente sviluppate da Murray e Arthur.

 Ma prima di andare più a fondo in questo tema, vorrei sgombrare il campo da ciò che penso possa essere un possibile (falso) problema: il tema della natura dell’idealismo di Hegel, e ancora di più la questione se Marx sia stato o meno ingiusto nella sua critica al filosofo di Stoccarda. La mia opinione è simile a quella di Suchting (1997) in un suo articolo inedito sulla Scienza della logica di Hegel come logica della scienza. Hegel ha colto, meglio di ogni altro prima di lui e di molti dopo di lui, le caratteristiche fondamentali della ricerca scientifica moderna. Il suo metodo era nondimeno fondamentalmente idealista. Non sono però un conoscitore di Hegel, e potrei sbagliarmi.  


 Per quanto tali questioni possano essere rilevanti in se stesse, esse sono irrilevanti per la problematica che sto trattando in questo lavoro. Quello che è importante per il mio filo di discorso è che la Scienza della Logica di Hegel fu essenziale per il Marx maturo proprio perché il suo idealismo riflette la natura ‘idealista’ e ‘totalitaria’ della circolarità capitalistica del capitale, in quanto denaro che genera (più) denaro. Per dirla in modo esplicito: anche se l’Hegel di Marx non fosse il ‘vero’ Hegel, è l’Hegel ‘falso’ che conta davvero per leggere Il Capitale. Allo stesso tempo la tesi di un’omologia stretta tra Hegel e Marx non può essere intesa in senso troppo rigido ed estremo. Più che fondarsi in una duplicazione formale della struttura U-P-S che riprodurrebbe una corrispondenza uno-a-uno tra i tre volume de Il Capitale e La Scienza della Logica, l’omologia sulla quale insisto nelle pagine che seguono è costruita (e dissolta!) nei primi cinque capitoli del Libro Primo, dove il Capitale come Soggetto è plasmato sull’Idea Assoluta come Soggetto.

Leggi tutto:     http://www.sinistrainrete.info/marxismo/3144-riccardo-bellofiore-il-capitale-come-feticcio-automatico-e-come-soggetto-e-la-sua-costituzione.html 

giovedì 17 ottobre 2013

Wannsee - Aristide Bellacicco -

Aristide Bellacicco (Medico) fa parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni"

Gli uomini sono arrivati  con un  lieve anticipo e a tutti è stato servito del cognac. Si conoscono da tempo, si sono stretti la mano e qualcuno ha sbattuto i tacchi. La riunione comincia fra dieci minuti, forse anche prima, il Capo talvolta non è puntuale. Nell’attesa hanno acceso le sigarette e guardano dalle  finestre, c’è fra loro chi ammira la magnifica spalliera di rose che avvolge il cortile come una sciarpa. Di fuori, gli autisti chiacchierano  appoggiati alle carrozzerie schizzate di fango e fanno scricchiolare la ghiaia sotto gli stivali. Fra poco gli porteranno un po’ di vino e più tardi potranno mangiare  in cucina, scherzare con le serve e toccar loro il sedere. Ma forse non si arriverà a tanto, la riunione sarà più breve di quanto ci si aspetti e potrebbe concludersi prima di cena. In fondo si tratta solo di prendere un paio di decisioni, anzi, una sola,  e senza nemmeno entrare nel dettaglio.

Alcuni degli uomini trovano che tutto ciò sia una perdita di tempo e che non era il caso di distoglierli, sia pure per qualche ora,  dalle occupazioni della guerra. Ma ciascuno di loro sa di essere a Wannsee, dove molti altri, che pure lo desiderano, non potranno mai entrare nemmeno in sogno, e questo fa loro piacere, naturalmente.
A un certo punto la porta si apre e si chiude, entra il Capo, fa cenno di sedersi e gli uomini obbediscono volentieri, prendendo ciascuno il proprio posto attorno al tavolo.
Il cognac sparisce e le sigarette vengono spente di fretta. Anche noi dobbiamo uscire dalla stanza. La porta viene chiusa a chiave  e un ufficiale vestito di nero passeggia su e giù  nell’atrio,  le mani dietro la schiena, la destra chiusa attorno al polso della sinistra che stringe i guanti.
Da questo momento non possiamo  più ascoltare quello che verrà detto fra le mura di Wannsee. Siamo confinati in giardino, insieme agli autisti, che ci salutano distrattamente.

“Autisti, ma non siete curiosi?”

“E di cosa?”

“Di questo. Di Wannsee. Di quegli uomini nella stanza.”

sabato 12 ottobre 2013

Confronto tra il testo francese e quello tedesco di Marx. Perché Marx accusa di cinismo l'economia politica? L'ambiguità della merce. Valore d'uso e la valutazione del bisogno che scompare. Il valore di scambio. Lo scambio mercantile e la società capitalistica. Il processo produttivo che diventa strumento di arricchimento. Rapporto tra religione e capitalismo. La trasformazione del sapere: l'idiota specializzato. L'introduzione del 1857 a "Per la critica dell'economia politica": il concetto di produzione in generale. Anassagora e la scienza contemporanea. Perché a noi piace la tragedia greca? Sul rapporto tra struttura e sovrastruttura. L'importanza del dubbio. Il lavoro produttivo. Il plusvalore. Operai e classe operaia: la funzione del lavoratore. Democrazia e dittatura del proletariato                                                                                                                                                               http://www.youtube.com/watch?v=olyTJoQp8Xs&hd=1

giovedì 10 ottobre 2013

A chi serve la menzogna? Sull’informazione economica negli Stati Uniti - Alfio Neri -


Non sta a me fare previsioni o, peggio, profetizzare il futuro. Sta di fatto che se gli Stati Uniti avessero il loro debito in una valuta straniera, oggi si porrebbe già la questione dell’intervento provvidenziale dell’FMI. Non voglio insistere sulla possibilità oggettiva di uno scenario argentino. Voglio solo rilevare che quando un’intera nazione è accecata dal ritornello secondo cui “tutto va bene, stiamo tornando alla normalità” mentre danza di fianco al baratro, chi è cosciente del problema deve anche porsi la questione del “a chi giova tutto questo”                                                                                                                                            L’unica vera riflessione giornalistica sulla crisi americana è di un inglese, Edward Luce, un giornalista del Financial Times che ha scritto un libro che ho comprato in Inghilterra e che non credo di avere notato nelle librerie degli Stati Uniti. Si tratta di un lungo reportage sulla necessità di iniziare a pensare al declino statunitense. Primeggiano le descrizioni di catastrofi, come quella che ha colpito Detroit, e di mancate eccellenze, come quelle di un settore industriale importante ma privo di appoggi politici. Luce pone l’accento più volte che, negli Stati Uniti, l’ignoranza del mondo esterno è elevata mentre la lettura è scarsa. L’istruzione obbligatoria del paese è estremamente scadente, gli alunni sanno fare i test a risposta multipla ma non si sanno esprimere. Nell’industria è la stessa storia, i dottorati in fisica non sono frequentati da americani mentre i brevetti sono in gran parte fatti da stranieri. Luce rileva anche le difficoltà dei governi nell’implementare politiche pubbliche appropriate, sia per oggettivi limiti culturali, sia per una serie di disastrosi veti incrociati statali e federali, che impediscono un’azione di governo coerente. Il punto non è che tra dieci anni il PIL cinese sarà più alto di quello americano (ormai è un dato acquisito), ma che dove è possibile fare qualcosa (come per esempio nell’educazione), non viene fatto nulla. Gli Stati Uniti sono in una traiettoria discendente visibile nel veloce declino della classe media. La crisi ha contribuito a polarizzare le posizioni ideologiche e ha reso più difficili l’elaborazione di risposte politiche coerenti. Nell’insieme non esiste neppure una vera risposta alla crisi e forse neppure la volontà di rovesciare la situazione.                                                                                                                                                                                                                                                                                                            La bolla economica statunitense è cresciuta a dismisura perché era stata preceduta da una bolla politica. Dietro una bolla finanziaria che ha spinto un’intera nazione ha indebitarsi c’è molto di più di un ristretto gruppo di banchieri senza cuore. Vi è un’ideologia del libero mercato di tipo fondamentalista, ci sono potenti interessi economici che influenzano l’azione politica e ci sono anche delle debolezze istituzionali che hanno impedito alla politica statunitense di prendere delle decisioni forti. Il risultato è stato patologico.                                                                        http://www.carmillaonline.com/2013/10/09/chi-serve-la-menzogna-sullinformazione-economica-negli-stati-uniti/