lunedì 30 marzo 2020

CONTRO LA GUERRA! - Stefano Garroni

Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni.
Vedi anche: Coronavirus: origini, effetti e conseguenze - R.O.R. intervista Ernesto Burgio 
                     Lo sfascio del sistema sanitario, universitario e della ricerca - Alessandra Ciattini


Pubblichiamo  questo breve testo inedito di Stefano Garroni, scritto durante la prima guerra del Golfo, dove deve essere contestualizzato. 

Ci sembra contenga nelle sue riflessioni indicazioni validissime anche ai nostri giorni e non solo nei riguardi della guerra nella specificità di "quella" guerra, ma in astratto, di tutte le guerre. 

E, a maggior ragione, diventa un'indicazione particolarmente cogente nei confronti degli accadimenti odierni riguardo l'utilizzazione dell'informazione "mine stream" per costruire l'opinione pubblica intorno al problema della epidemia/pandemia. (il collettivo)


Spesso è stato osservato quale ruolo nefando stia giocando l’informazione rispetto alla guerra del golfo. I critici, non tanto ne sottolineano l’unilateralità e la non attendibilità, quanto la densità ideologica: che le notizie dai fronti di battaglia siano sottoposte a censure preventive ed a deformazioni interessate può addirittura essere comprensibile e opportuno (ad esempio, rispetto ad esigenze diplomatiche e militari). Ciò che indigna è, invece, la pertinace, totalitaria utilizzazione dell’informazione per costruire l’opinione pubblica (cioè, delle larghe masse) intorno ad alcuni concetti non semplici ma rozzi, non precisi ma netti, non plausibili ma indiscussi.
In realtà, tale indignazione , in un certo senso, è ingiustificata: è assai probabile (ad esser cauti) che un analogo imbarbarimento culturale caratterizzi ogni guerra (anche non guerreggiata), in particolare nell’epoca moderna, se non altro a partire dalla prima guerra mondiale – intendo da quando il conflitto ha assunto carattere totale, da quando l’assassinio di massa coinvolge indifferentemente soldati e civili, e da quando il reale teatro dello scontro militare non è che l’aspetto più evidente e drammatico di un coinvolgimento in verità universale (e questo è, appunto, anche oggi il caso).
Il denunciato ruolo dell’informazione sembra piuttosto dover orientare verso altre inferenze e deduzioni. Una in particolare: non è serio chiedersi – come oggi torna a farsi sentire – se questa o quella guerra sia o non sia giusta.
Se giusto/ingiusto è polarità morale, allora, implica una radicalità, universalità e libertà, assolutamente non riconoscibili né alla guerra, né a qualunque rilevante vicenda politica. Infatti, ogni volta che l’azione politica assume carattere rilevante (quindi, non solo nelle guerre) il potere statuale getta, a dir così, la maschera, rivelando appieno la sua funzione manipolatrice, la sua destinazione di strumento per imporre credenze, la cui forza non dipende dalla plausibilità razionale, sì piuttosto da valori estrinsechi , come l’insistenza, la valenza emozionale, la rozza semplicità.
Se così stanno le cose, ecco che allora una condizione della vita morale – intendo il mio trovarmi libero di fronte alla responsabilità della scelta – è oggettivamente tolta: la società intera è cacciata in una condizione priva di alternative, in cui la retorica propagandistica si fa del tutto invasiva. Dotata dei potenti strumenti manipolatori di cui lo Stato e le classi dirigenti dispongono, la propaganda entra in ogni modo nel profondo, nei livelli meno controllati della mente individuale e di massa, per cementare il “fronte interno”, per distruggere il desiderio stesso di un punto di vista autonomo e razionale.
La prospettiva morale, inoltre, non tollera certe separazioni (tra noi e gli altri, tra amici e nemici), da cui l’azione politica non solo non può prescindere, ma di cui è addirittura costituita. Si pensi – per prender la cosa in un suo vertice estremo e, dunque, più chiaro – a quel principio, che già la riflessione greco-classica elaborò, per cui è moralmente preferibile patire un torto che non rendersene responsabile.
Si tratta di un principio che, come è chiaro, taglia alle radici ogni ottica utilitaristica, da cui, invece, la politica non può certo prescindere. Dunque, non vale indignarsi per un certo uso dell’informazione, né è serio discutere il valore morale anche di questa guerra.
La realtà è che la vicenda politica, in quanto tale, si svolge secondo grammatiche particolari, presuppone agenti e finalità che non sono quelli operanti in sede morale. È di questa determinatezza, specificità del politico, che dobbiamo realisticamente prendere atto – come d’altronde una lunga tradizione di pensiero ci insegna.
Cosa deriva da questa necessità? Dobbiamo forse accettare la guerra ed in particolare questa guerra?
No. Ne deriva, invece, che proprio immergendoci dentro la dimensione politica, prendendo atto delle sue regole, dei suoi attori e delle sue finalità, dunque, radicandosi nell’effettivo terreno politico, è così collocandoci che dobbiamo definire le nostre ragioni contro la guerra, contro questa guerra.
Appunto, diversi sono gli attori dell’agire politico: ed alcuni – per i loro progetti, interessi e credenze – debbono portar guerra (anche non guerreggiata); in caso contrario, dovrebbero rinunciare a ciò che rappresentano, dovrebbero dismettere il ruolo che storicamente loro appartiene.
Ma vi sono anche altri soggetti, i cui interessi e finalità si coniugano con forme crescenti di autogoverno democratico, con lo sviluppo della razionale, consapevole gestione della vita sociale. Essi si coniugano con la pratica presa d’atto che “il mondo è interconnesso”, che ognuno di noi non tanto appartiene a questa o quella patria, quanto piuttosto è cittadino di un’unica patria, è membro di un’unica umanità, la quale non conosce né differenze di razza, né di fedi religiose. Conosce, invece, solo ostilità profonda per quegli interessi particolari e costituiti, che producono divisione, sfruttamento e guerra.
Questi, al fondo, i termini attuali dello schieramento politico possibile. E noi ci schieriamo, appunto, contro la guerra!

venerdì 27 marzo 2020

Sacrifici e classi sociali - Carla Filosa

Carla Filosa insegna dialettica hegeliana e marxismo. Collabora con l’Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it - https://www.facebook.com/unigramsci - https://rivistacontraddizione.wordpress.com).



Il sacrificio individuale della quarantena da Coronavirus, sebbene coinvolga popolazioni del mondo intero, non può definirsi collettivo in quanto gestito in modo differente dai vari governi e analogamente subìto dalle masse, non già comunità, ma somma di individui.



Il tema del sacrificio è senz’altro accattivante e, in un momento come questo di “sacrificio” più o meno volontario della propria libertà personale da scambiare col contenimento di un virus altamente nocivo, può attirare ancor più l’interesse a saperne di più.

L’argomento a cui però si fa qui riferimento è trattato in un articolo a firma di Luigino Bruni su Avvenire (14 marzo), dal titolo “Ambiguo è il sacrificio” (https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/luigino-bruni-oikonomia-10). In questa sede il tema sviluppato non avrebbe suscitato alcuna particolare attenzione se non fosse stato per la citazione di Marx, all’interno di una visione teorica del tutto arbitraria, tanto più in quanto alla fine sembra strizzare l’occhio nel denunciare l’ipocrisia capitalistica che usa parole sostitutive della realtà: “la bella parola sacrificio copre la brutta parola sfruttamento”.

Qui non si intende entrare nel merito dell’uso religioso del sacrificio, così come la storia umana ce l’ha consegnato, sparso in vari continenti ed epoche differenti, bensì ribadire che, non solo la matrice religiosa, ma anche quella ideologica e politica della storia umana, vede il suo inizio promosso dalla creazione di mezzi atti a soddisfare i bisogni immediati dell’esistenza, quali cibo, acqua, riparo abitativo, vestiario, ecc., cui sono seguiti poi sempre nuovi bisogni. L’articolo di Avvenire sembra peraltro riecheggiare le ricerche che sulla fine dell’800 furono effettuate sui popoli primitivi per dare alla vita religiosa una preminenza sulla vita pratica, profana ed economica, per caldeggiare il procedere di un progresso economico da presupposti sacrali quale base e origine di ogni altra manifestazione. Non quindi i bisogni materiali avrebbero determinato la caccia, l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, come pure tutti gli strumenti atti a questi scopi, ma intuizioni mistiche e strumenti magici sarebbero stati la causa primaria dell’organizzazione umana agli albori della vita associata.

La religione dunque, con le sue pratiche ai nostri occhi crudeli o insensate, sembra rispondere al bisogno di oggettivazione umana delle proprie mancanze, dell’impotenza di fronte alle minacce della natura, alla morte, all’iniziale mistero della riproduzione della vita, ecc., e contemporaneamente alla legittimazione di un potere esercitato da alcuni individui, o gruppi sociali, su altri assoggettati. I sacrifici religiosi allora qui non interessano nei loro fini mistici apparenti, per impetrarne vantaggi presenti o futuri, o come ringraziamento a divinità supposte, mentre invece è importante l’indagine sulle loro cause, e soprattutto su chi ne gestiva e gestisce ancora la pratica esclusiva in forma dominante. La correlazione delle istituzioni religiose, familiari e politiche delle popolazioni arcaiche alle forme di vita economica, quale fattore questo sì determinante nello sviluppo storico umano, non può più essere messa in discussione, anche se ora ci si occuperà in modo prioritario del nostro presente.

mercoledì 25 marzo 2020

- I bambini scomparsi per decreto. La sofferenza dei più piccoli nei giorni del coronavirus -



Da: https://www.wumingfoundation.com 
Leggi anche: Coronavirus: origini, effetti e conseguenze - R.O.R. intervista Ernesto Burgio
[Pubblichiamo la testimonianza e le riflessioni di Rosa S., antropologa, documentarista, madre di un figlio che frequenta le scuole elementari, o meglio, le frequentava prima della chiusura. Rosa invita a prestare attenzione ai bambini reclusi in casa, ad ascoltarli e a non sottovalutare il trauma che stanno subendo. Il suo testo è accompagnato da una postilla di Wu Ming 4 sullo stesso tema. È il primo di una serie di post, con i quali intendiamo dare testimonianza delle ricadute dell’emergenza sulla vita quotidiana di soggetti deboli e non solo. Buona lettura. WM.]
di Rosa S.
Fino a quando si è potuto, andavo a fare due passi con mio figlio nel parco vicino a casa, di solito verso l’ora di pranzo. Non vedevamo nessuno per centinaia di metri. Mi sembrava importante che il bambino potesse avere almeno un’ora d’aria al giorno, per prendere un po’ di sole e tirare due calci a un pallone, o rivedere l’erba. Andare al parco, anche se solo con me e non con i suoi amici – quindi non il massimo del divertimento, lo capisco – mi sembrava fosse per lui l’unico momento per riagganciarsi alla sua “vecchia” normalità e sopportare meglio la quarantena. Per i bambini, ricordiamocelo, la vita è stata sconvolta già più di un mese fa, quando sono state chiuse le scuole, le palestre, le piscine, insomma tutte le attività della loro quotidianità. 

Lo sfascio del sistema sanitario, universitario e della ricerca - Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza e collabora con L’Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it - https://www.facebook.com/unigramsci).

Qui un'intervista di radio quarantena  ad Alessandra Ciattini sull'argomento: universita-e-salute-pubblica


Ce la dobbiamo prendere con il coronavirus o con i politici che hanno determinato lo sfascio del sistema sanitario, universitario e della ricerca?


Se mai qualcuno avesse voluto una prova che il sistema economico-sociale tardo-capitalistico, impostosi con il crollo del blocco socialista dell’est, l’emergenza creata dalla diffusione del coronavirus ce ne ha data una inconfutabile, che a differenza di quelle altre date in precedenza (guerre, sanzioni, impoverimento di interi popoli, crisi ambientali, migrazioni forzate, disoccupazione di massa), colpisce anche chi finora non ha voluto saperne di tale problema. Tuttavia, se non ci si ragiona sopra e ci sofferma solo sui disagi quotidiani, che ora affliggono anche chi viveva senza gravi problemi appassionandosi magari al Festival di Sanremo, continuiamo a non prendere coscienza di cosa c’è dietro a tutto questo. Ed è di questa consapevolezza che abbiamo bisogno per cambiare radicalmente le cose.

Lascio perdere la questione dell’ipotetico laboratorio nella regione di Wuhan (Cina) [1], dove si è scatenata la malattia, sovvenzionato addirittura dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità, e mi limito a evidenziare cosa si è fatto in Italia negli ultimi decenni per creare una situazione in cui i medici si trovano a scegliere se salvare la vita ad un anziano o un giovane a causa dell’indisponibilità dei posti letto in terapia intensiva.

Prima di soffermarsi sul sistema universitario, parleremo di quello sanitario, ancora definito il migliore del mondo, del resto strettamente legato al primo, giacché coloro che lavorano in esso debbono essere dotati di un qualche titolo universitario.

martedì 24 marzo 2020

Coronavirus: origini, effetti e conseguenze - R.O.R. intervista Ernesto Burgio

Da: https://www.ondarossa.info - Ernesto Burgio, medico pediatra, esperto di epigenetica e biologia molecolare. Presidente del comitato scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) e membro del consiglio scientifico di ECERI (European Cancer and Environment Research Institute) di Bruxelles.
Leggi anche: https://www.globalist.it/science/2020/03/22/crisanti-epidemia-di-coronavirus-in-italia-numeri-inesatti-male-contenimento-e-monitoraggio-di-positivi-


L'intervento intervista su Radio Onda Rossa dovrebbe essere il livello normale di informazione che, cittadini del 2020 e non del Medio Evo, dovrebbero ricevere. 
Seria, pacata, che ammette dubbi ed incertezze, ma che si pone le domande giuste e cerca i punti essenziali del problema. 

Invece assistiamo su tutte le reti praticamente unificate ad uno spettacolo imbarazzante, vergognoso.
(il collettivo di formazione marxista Stefano Garroni)


                                                             Qui l'audio dell'intervista:
                       https://www.ondarossa.info/redazionali/2020/03/coronavirus-origini-effetti-e


mercoledì 18 marzo 2020

CHE COS'È IL VALORE? - Giorgio Gattei*

Da: http://www.palermo-grad.com - Giorgio Gattei è docente di Storia del pensiero economico all’Università di Bologna dal 1980, membro della Associazione Italiana per la Storia del Pensiero Economico (AISPE).
Vedi anche: Das Kapital nel XXI secolo* - Giorgio Gattei 
                      Augusto Graziani e la Teoria Monetaria della Produzione*- Giorgio Gattei** 
                      Il Capitale dopo 150 anni. C'è vita su Marx? - Riccardo Bellofiore 
                      Sulla “Nuova lettura di Marx”*- Riccardo Bellofiore 
                      Le principali teorie economiche - Riccardo Bellofiore 
                      Corso sul "Il Capitale" di Karl Marx (1) - Riccardo Bellofiore 
                      Quale attualità di Claudio Napoleoni: il contributo di Politica Economica


Oggi inauguriamo una nuova rubrica, in cui l’ ’ospite’ di turno ci indica 3 – e non più di 3 ! – libri leggendo i quali ci si può fare un’idea precisa dell’argomento di cui l’ospite stesso è un grande competente. Abbiamo l’onore di iniziare con GIORGIO GATTEI

Giorgio Gattei è docente di Storia del pensiero economico all’Università di Bologna dal 1980, membro della Associazione Italiana per la Storia del Pensiero Economico (AISPE). Tra i suoi principali riferimenti teorici: Karl Marx, Nikolaj Dmitrievič Kondrat'ev, Joseph Schumpeter, John Maynard Keynes e Piero Sraffa. I suoi interessi di ricerca spaziano dall'analisi dei cicli economici, alla teoria dal valore, dei prezzi e della distribuzione di derivazione classico-marxiana. (Palermograd) 
 
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La teoria del valore non è un argomento che sia molto frequentato dagli economisti. E’ troppo astratto per i loro gusti più portati alle tematiche del governo dell’economia, con quella sua ancella statistica, che oggi va di moda, che è l’econometria. E dire che una volta non era affatto così e si dibatteva ferocemente se fosse più valida la determinazione del valore-lavoro degli economisti classici oppure quella del valore-utilità marginale dei neoclassici. Esemplare è stato il libretto di Claudio Napoleoni, Valore (Isedi, Milano, 1976) allora religiosamente compulsato ed oggi ormai fuori commercio. 
 
Comunque per quel che mi riguarda, dico subito che la teoria del valore è teoria del valore-lavoro oppure non è! Lo so bene che nell’accademia continua a dominare l’alternativa del valore-utilità, ma con tali difficoltà di costruzione logica da ridursi nei fatti al più comodo ed innocuo apparato di mercato della Domanda e dell’Offerta, che insieme stabiliscono (sono le «lame della forbice» di marshalliana memoria) il prezzo di una merce come quanto ci costa comperarla.

La teoria del valore-lavoro dice invece qualcosa di altro, e cioè quanto ci costa produrre quella merce e per questo, quando essa è sorta in piena stagione dei Lumi, ha preso lo spunto dalla maniera storicamente determinata di produzione del tempo, con il Denaro del capitalista che acquista la Merce Forza-lavoro per impiegarla alle proprie dipendenze. Per questo il valore delle merci prodotte non poteva che determinarsi secondo la quantità del lavoro impiegato, dato che allora «nelle manifatture la natura non agisce affatto ed è l’uomo che fa tutto» (Adam Smith). Nel seguito tuttavia la teoria del valore-lavoro ha vissuto una travagliata esistenza, conclusasi col suo fallimento, che ho ripercorso (mi è giocoforza citarmi, ma  nessun altro di recente l’ha fatto) in:
 
Giorgio Gattei, Storia del valore-lavoro, Giappichelli, Torino, 2011.

lunedì 16 marzo 2020

Capitalismo digitale. Il futuro colonizzato - Renato Curcio

Da: http://www.rivistapaginauno.it - https://www.sinistrainrete.info - Incontro-dibattito sul libro Il futuro colonizzato. Dalla virtualizzazione del futuro al presente addomesticato, di Renato Curcio (Sensibili alle foglie, 2019), presso il Csa Vittoria, Milano, 24 ottobre 2019 -
Renato Curcio, socio fondatore di Sensibili alle foglie, è un saggista e sociologo italiano. - https://www.libreriasensibiliallefoglie.com


Vorrei iniziare leggendo due frammenti di due interviste uscite recentemente sui giornali internazionali e italiani; sono poche righe, ma penso che potranno ben introdurci al tema che cercheremo in qualche modo di raccontare.

La prima è di Leonard Kleinrock, un uomo importante nella storia di Internet, anzi si può dire il primo uomo: è stato quel ricercatore che nel 1969 è riuscito a mettere per la prima volta in contatto due computer. Per tanti anni ha poi lavorato ai progetti di nascita della rete ed è noto agli studenti di tutte le università perché è il fondatore dell’informatica come disciplina universitaria. A ottobre ha dichiarato: 

Il nostro Internet era etico, di fiducia, gratis, condiviso. Oggi è passato da risorsa digitale affidabile a moltiplicatore di dubbi, da mezzo di condivisione a strumento con un lato oscuro. Internet consente di arrivare a milioni di utenti a costo zero in maniera anonima, e per questo è perfetto per fare cose malvagie: spam, addio alla privacy, virus, furto d’identità, pornografia, pedofilia, fake news. Il problema è nato quando si è voluto monetizzarlo: si è trasformato un bene pubblico in qualcosa con scopi privati che non ha la stessa identità del passato”. 

Kleinrock quindi afferma che ci sono due fasi: una prima in cui è nato Internet come progetto scientifico e di ricerca, che aveva comunque un’intenzione pubblica, e una seconda in cui qualcuno ha cominciato a monetizzarlo ed è diventato una cosa ‘malvagia’.

Edward Snowden, che conosciamo tutti, in un’altra intervista ha sintetizzato così il suo punto di vista:  

Alle origini Internet era il luogo in cui tutti erano uguali, un luogo dedicato alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità.
Ben presto però Internet è stata colonizzata dai governi e dalle grandi aziende per trarne profitto e potere. Oggi Internet è americana sia per l’infrastruttura che per il software. Le principali aziende, Google, Facebook, Amazon, sono americane e quindi sono soggette alla legislazione americana. Il problema è che sono soggette a politiche segrete, politiche segrete americane, che permettono al governo statunitense di sorvegliare virtualmente ogni uomo, donna o bambino che abbia mai usato un computer o fatto una telefonata, e di tenere a memoria permanente, conservare cioè tutti i dati possibili, per più tempo possibile, anzi per l’eternità. Dopo l’11 settembre 2001 si è passati dalla tradizionale intercettazione mirata a obiettivi specifici a una vera e propria sorveglianza di massa. Oggi la sorveglianza di massa è un processo di censimento infinito. Sarebbe una tragedia se ci abituassimo all’idea di una sorveglianza costante e indiscriminata: orecchie che sentono tutto, occhi che vedono tutto, memoria vigile e permanente”.

Kleinrock e Snowden sono quindi d’accordo sul paradigma principale con cui presentare la storia di Internet: c’è stato un primo momento in cui tutto era bello, pulito, limpido, trasparente, pubblico, e un secondo momento in cui la monetizzazione, oppure le esigenze strategiche, hanno fatto sì che si passasse appunto a una monetizzazione e a un sistema di sorveglianza di massa. Chi sta seguendo il lavoro che sto facendo da qualche anno su questi temi sa che le critiche di Snowden e di Kleinrock sono sostanzialmente il percorso di ricerca che abbiamo sviluppato dal 2015, e fa piacere vedere che il fondatore di Internet oggi concorda con la critica più radicale che è stata portata. Tuttavia oggi la rete non è neanche la seconda fase, non è questo inferno che viene raccontato dopo un iniziale periodo di Eden. Oggi Internet ha fatto un passo qualitativo estremamente rilevante ed estremamente coperto; rilevante perché ha modificato la sua capacità di colonizzazione sia della rete che dell’immaginario dei cittadini, coperto perché una forte campagna per la costruzione di un’egemonia culturale si è sviluppata sulle grandi testate giornalistiche e nel campo dell’editoria, allo scopo di presentare il volto di Internet come il volto del futuro, del progresso, della scienza. Si è quindi iniziato a mettere in gioco un paradigma molto importante, quello del dominio del pensiero scientifico rispetto alle titubanze etiche che spingono molte persone ad avere delle incertezze nella valutazione e nel giudizio. Il lavoro che vi porto è una riflessione sui punti cardine di questo salto di qualità, riflessione che abbiamo fatto lo scorso anno in due cantieri a Roma e a Milano.

Questo passaggio qualitativo consiste in una innovazione tecnologica di forte portata dal punto di vista tecnico-scientifico: è legata all’invenzione di algoritmi predittivi, capaci di lavorare su grandi masse di dati per realizzare dei costrutti di realtà virtuale che riguardano apparentemente il futuro, ma che sono invece la condizione del presente. Mi spiego meglio.

domenica 15 marzo 2020

La città appestata - Michel Foucault

Da: https://antinomie.it - Tratto da Michel Foucault, Sorvegliare e punire, trad. Alcesti Tarchetti, Einaudi, Torino 1976.
Michel Foucault è stato un filosofo, sociologo, storico della filosofia, storico della scienza, accademico e saggista francese.
Leggi anche:  Michel Foucault: Sorvegliare e punire. Nascita della prigione*- by fernirosso 
                         La società artificiale - Renato Curcio  
                         Virus, emergenza e disciplinamento sociale - Pier Franco Devias
Vedi anche:   "Le nuove forme di controllo sociale nella società artificiale" - Renato Curcio 




Michel Foucault apre il famoso capitolo di Sorvegliare e punire dedicato al Panottico con una descrizione bellissima e minuziosa delle misure amministrative e di polizia da adottare nel caso di un’epidemia di peste. Nell’economia del libro questa descrizione della quarantena, tratta dagli archivi militari di Vincennes alla fine del XVII secolo, sembra avere un ruolo analogo a quello della descrizione delle torture e dell’impiccagione di Damiens, con cui si apre la trattazione del potere disciplinare. La scena violenta e pubblica del patibolo – l’éclat des supplices – si contrappone al freddo rigore con cui il dressage dei corpi viene organizzato negli spazi sottratti allo sguardo.


Il rapporto fra la quarantena e il panottico segue una logica simile. Se la prima è finalizzata al controllo dichiarato e capillare di una popolazione intrappolata in un territorio chiuso, il panottico di Bentham segue inosservato i gesti e i movimenti dei detenuti. Sono due modi e due pratiche diverse dell’esercizio del potere disciplinare: la quarantena è il controllo pubblico, eventualmente militare, dello spazio di una moltitudine anonima, la prigione è il controllo nascosto e continuo dei comportamenti singolari di un ristretto e ben preciso gruppo di individui.

In questo quadro il panottico anticiperebbe piuttosto l’inventario delle tecniche contemporanee di controllo, coadiuvate da dispositivi elettronici e telematici silenti, mentre il controllo violento ed esplicito dei movimenti e del contatto fra individui sembrerebbe una misura arcaica che appartiene alla preistoria del contemporaneo. Il ricorso attuale alla quarantena non può che falsificare questa opposizione, facendo apparire la fragilità dei paradigmi, delle pretese e perfino dell’efficacia della biopolitica, se è vero che la biopolitica è inseparabile dal presupposto che un sistema sanitario degno di questo nome sia capace di dominare perfino l’irruzione di impreviste epidemie senza ledere diritti fondamentali come la libertà di movimento e l’inviolabilità dei corpi. Ma vita e politica non sono coestensive, e lo spazio e il tempo della prima sono infinitamente più estesi di quelli della seconda.

Clemens-Carl Härle

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Ecco, secondo un regolamento della fine del secolo XVII, le precauzioni da prendere quando la peste si manifestava in una città. Prima di tutto una rigorosa divisione spaziale in settori: chiusura, beninteso, della città e del «territorio agricolo» circostante, interdizione di uscirne sotto pena della vita, uccisione di tutti gli animali randagi; suddivisione della città in quartieri separati, dove viene istituito il potere di un intendente. Ogni strada è posta sotto l’autorità di un sindaco, che ne ha la sorveglianza; se la lasciasse, sarebbe punito con la morte. Il giorno designato, si ordina che ciascuno si chiuda nella propria casa: proibizione di uscirne sotto pena della vita. Il sindaco va di persona a chiudere, dall’esterno, la porta di ogni casa; porta con sé la chiave, che rimette all’intendente di quartiere; questi la conserva fino alla fine della quarantena. Ogni famiglia avrà fatto le sue provviste, ma per il vino e il pane saranno state preparate, tra la strada e l’interno delle case, delle piccole condutture in legno, che permetteranno di fornire a ciascuno la sua razione, senza che vi sia comunicazione tra fornitori e abitanti; per la carne, il pesce, le verdure, saranno utilizzate delle carrucole e delle ceste. Se sarà assolutamente necessario uscire di casa, lo si farà uno alla volta, ed evitando ogni incontro. Non circolano che gli intendenti, i sindaci, i soldati della guardia e, anche tra le cose infette, da un cadavere all’altro, i “corvi” che è indifferente abbandonare alla morte: sono «persone da poco che trasportano i malati, interrano i morti, puliscono e fanno molti servizi vili e abbietti». Spazio tagliato con esattezza, immobile, coagulato. Ciascuno è stivato al suo posto. E se si muove, ne va della vita, contagio o punizione.

sabato 14 marzo 2020

Virus, emergenza e disciplinamento sociale - Pier Franco Devias

Da: https://contropiano.org - Pier Franco Devias (https://liberu.org)



Continuo a pensare che la situazione, oltre che essere grave dal punto di vista sanitario, abbia delle importantissime (e molto sottovalutate) implicazioni politiche.

Certamente il momento in cui è più difficile ragionare freddamente è proprio quello in cui la società è in preda a un’isteria di massa. Ma resta la cosa più utile e importante da fare per non lasciarsi travolgere dagli eventi.


Premessa

So bene che battaglioni di analfabeti funzionali o avversari politici mossi da malafede cercheranno di accusarmi di cose non dette o di minimizzare un pericolo. Perciò cercherò di spiegarmi al meglio, confidando in chi ha la pazienza di capire il significato di ciò che resta scritto.

Il problema

A mio parere non è spiegabile dal punto di vista esclusivamente scientifico l’enorme importanza data alla diffusione di questo virus. Esso infatti ha una contagiosità e una resistenza importante, ma non ha una mortalità eccessiva (pare sia ancora attestata intorno al 2-3%).

Va d’altra parte precisato che un’alta contagiosità, anche se unita a una bassa mortalità, può comunque determinare tantissimi morti, per cui non si può certamente dire che il Covid-19 “non sia pericoloso”. E’ pericoloso, è potenzialmente mortale specialmente per le persone più deboli o con problemi di salute pregressi, è estremamente contagioso e non deve essere assolutamente sottovalutato.

venerdì 13 marzo 2020

Pensare con Hegel - Vladimiro Giacché

Da: https://www.lettera43.it - Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche (CER), è un filosofo ed economista italiano.
Leggi anche: NOTE SUI SIGNIFICATI DI “LIBERTÀ” nei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel*- Vladimiro Giacché 
                       "Totalitarismo", triste storia di un non-concetto* - Vladimiro Giacché 
                        DIALETTICA E TEMPORALITÀ, l’immagine di Hegel nella Dialettica della natura di Engels* - Vladimiro Giacché
                        Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché 
                        Note sulla polisemia di «dialettica»: dal quotidiano alla riflessione formale Stefano Garroni 
                        Marx e Hegel. Contributi a una rilettura - Roberto Fineschi
Vedi anche:   La logica di Hegel "una grottesca melodia rupestre"- Paolo Vinci 
                       La dialettica tra Stato e società civile. A partire da Hegel e Marx - Paolo Vinci 
                       Marx e la dialettica - Roberto Fineschi, Carlo Galli



Nel libro Hegel. La dialettica (Diarkos 2020, 2018 pagine, 18 euro) il pensiero del filosofo tedesco è spiegato in termini chiari e accessibili, ripercorrendone lo sviluppo attraverso i contenuti delle opere principali, per poi offrire un rapido quadro d’insieme della fortuna delle teorie hegeliane presso i filosofi successivi. 


Il capitolo conclusivo (Pensare con Hegel) propone una lettura originale delle principali caratteristiche della filosofia hegeliana, con particolare riferimento ai concetti di “dialettica” e “contraddizione”, ed esamina alcuni importanti utilizzi successivi delle categorie hegeliane. Il testo è accompagnato da un’ampia antologia di pagine di Hegel e dei suoi critici, che consentono un confronto diretto con la filosofia del pensatore tedesco. Di seguito l’estratto. 


UNA FINE E UN INIZIO

«La fine di qualcosa»: così il grande pianista canadese Glenn Gould, rivolgendosi al pubblico prima dell’inizio di uno dei suoi più straordinari concerti, definì la musica di Bach. Il pensiero di Hegel rappresenta l’ultimo grande tentativo sistematico della storia della filosofia, un’ambizione che già la generazione di filosofi successiva abbandonò. Da questo punto di vista la filosofia hegeliana è davvero anch’essa «la fine di qualcosa». Ma d’altra parte è innegabile che il pensiero di Hegel abbia esercitato un’enorme influenza sui filosofi successivi. Alcuni aspetti della sua filosofia hanno esercitato un potente influsso sulla storia – non soltanto del pensiero – sino ai giorni nostri. La filosofia di Hegel è quindi sia una fine che un inizio.

HEGEL E NOI

giovedì 12 marzo 2020

Francesco Valentini: Soluzioni hegeliane - Renato Caputo


Vedi anche:  I concetti fondamentali della filosofia di Hegel (ultima parte) - Renato Caputo  
                      Le origini filosofiche del marxismo: la filosofia di G.W.F. Hegel (7-8-9) - Renato Caputo 
                      Hegel: Fenomenologia dello spirito. La questione ontologica della "cosa stessa" - Remo Bodei  
                      Marx, Hegel ed il metodo. Note introduttive - Roberto Fineschi 



A poco più di 10 anni dalla morte di uno dei massimi interpreti di Hegel e a quasi 20 dalla pubblicazione della sua più significativa monografia sull’opera hegeliana, pubblichiamo un’analitica recensione di quest’ultima 


Soluzioni hegeliane è una raccolta di saggi di Francesco Valentini, dedicati in maniera diretta o indiretta a delucidare il pensiero hegeliano. Le tematiche affrontate nella prima sezione sono: la società civile, il mondo della ricchezza, la moralità, le prime categorie della Logica, l’interpretazione dell’illuminismo, il Sapere assoluto, la genesi della razionalità. Nella seconda, invece, Valentini analizza la filosofia di Eric Weil, una filosofia fortemente influenzata dal pensiero di Hegel come da quello di Kant. Il confronto tra questi due filosofi e l’interpretazione storicistica del pensiero hegeliano possono essere considerate le due caratteristiche fondamentali dell’approccio dell’autore alle differenti problematiche presenti nel suo libro.

Nel primo saggio dedicato alla società civile Valentini muove dalle critiche rivolte da Karl Marx e Rudolf Haym al pensiero “speculativo” hegeliano, al razionale che si pretende reale e che quindi “consacra contenuti empirici, qualificandoli razionali” [1]. Valentini rigetta queste critiche in quanto ritiene che “la compenetrazione di ragione ed empiria sia la conseguenza inevitabile (e plausibile) della polemica contro le filosofie della riflessione e corrisponda a un atteggiamento umano di conciliazione con il mondo, di pacificazione con le cose” (25). Valentini ritiene che nella filosofia hegeliana non vi sia affatto un dominio della logica sul dato empirico, dato che i concetti stessi in essa non sono altro che “condensazioni di fatti, hanno la loro nascita storica e la loro vicenda storica, e poi vengono tesaurizzati come categorie del discorso” (26).

mercoledì 11 marzo 2020

Rosa Luxemburg, teorica marxiana dell’economia e della politica - Riccardo Bellofiore

Dal numero monografico dedicato a Rosa Luxemburg dalla rivista «Alternative per il socialismo», n. 56, dicembre 2019/marzo 2020. - http://www.rifondazione.it - 

                      Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi 
                        ROSA L. - Margarethe Von Trotta (1986)


«Qualche sentimentale piangerà che dei marxisti bisticcino fra loro, che ‘autorità’ provate siano messe in discussione. Ma il marxismo non è una dozzina di persone che si distribuiscano a vicenda il diritto alla ‘competenza’, e di fronte alle quali la massa dei pii musulmani debba inchinarsi in cieca fede. Il marxismo è una dottrina rivoluzionaria che lotta per sempre nuove conquiste della conoscenza, che da nulla aborre più che dalle formule valide una volta per tutte, che mantiene viva la sua forza nel clangore delle armi incrociate dell’autocritica e nei fulmini della storia.» (Rosa Luxemburg, 1916) 

Sono trascorsi cento anni dall’assassinio di Rosa Luxemburg. Ecco che si sono svolte numerose iniziative per ricordarne la figura, è stato pubblicato qualche volume, o qualche articolo di rivista. Certo, nulla a che vedere con la doppia ricorrenza marxiana che abbiamo alle spalle (due anni fa, il cento- cinquantenario della pubblicazione della prima edizione del Capitale, l’anno scorso duecento anni dalla nascita di Karl Marx). Nel caso di Rosa Luxemburg, comprensibilmente (ma pur sempre discutibilmente) il fuoco è stato sulla figura personale e politica, non sulla teorica, tanto meno sulla Luxemburg economista. Il che, dal mio punto di vista, è una mutilazione che cancella il centro della figura che si vuole ricordare, e in fondo rende concreto il rischio di disperderne l’eredità. 


Mi proverò allora a ripercorrerne la riflessione guardando agli scritti economici e politici, oltre gli stereotipi. Si comincerà dalla Luxemburg marxista, per approdare alla Luxemburg marxiana, che ci interroga ancora oggi. Dovrò procedere un po’ con l’accetta, rimandando per un approfondimento a miei altri scritti, che saccheggerò qua e là. 


Gli inizi: ristagno e crisi nel marxismo 

venerdì 6 marzo 2020

Hegel: Fenomenologia dello spirito. La questione ontologica della "cosa stessa" - Remo Bodei

Da: Festivalfilosofia - Remo Bodei è stato un filosofo e accademico italiano. 
Vedi anche: Hegel: Fenomenologia dello spirito. Dialettica "servo/padrone" - Remo Bodei 
                    Hegel e la dialettica - Remo Bodei 
                      "La civetta e la talpa, il concetto di filosofia in Hegel" - Remo Bodei 
                      "La notte dalle vacche nere" - Carlo Sini 
                   "Il boccio, il fiore, il frutto" - Carlo Sini
                      Hegel,"Filosofia e Metodo" - Carlo Sini 
                      Hegel: la comprensione dell’intero - Carlo Sini 
                      Hegel: la ragione come mondo - Costantino Esposito