Lo studio che
presento è la continuazione organica di una ricerca iniziata da alcuni anni che
ha dato i suoi primi frutti nel volume apparso alcuni anni fa dal titolo
Ripartire da Marx. Processo storico ed economia politica nella teoria del
“capitale”. Tenendo conto del legame esplicito valgono qui le stesse tre
premesse di carattere generale allora introdotte.
Nella voce Karl Marx per il dizionario enciclopedico Granat
Lenin scriveva: «Il Marxismo è il sistema delle concezioni e della dottrina di
Marx» [Lenin (1914): 9], proseguendo poi con un’esposizione dei principi
generali e concludendo con un capitolo sulla tattica del proletariato. Non intendo
certo pronunciarmi qui su Lenin come personaggio storico, politico o come
pensatore; limitandosi però a questa affermazione, mi pare si possa sostenere
che egli operi una forzatura che è stata poi propria di tutta una tradizione,
alla quale sono appartenuti anche gli oppositori di Lenin. Definirei, infatti,
più propriamente il marxismo come “una prassi politica ispirata alle concezioni
ed alla dottrina di Marx”. La teoria del modo di produzione capitalistico
elaborata da Marx non è infatti – né può essere – immediatamente una teoria
politica; si tratta piuttosto della ricostruzione, ad un altissimo livello di
astrazione, del funzionamento “epocale” della società borghese, che implica
delle linee di tendenza, delle forme di movimento, ma immediatamente non una
politica. Ciò non per negare le esplicite prese di posizione di Marx, né che si
possa utilizzare questa teoria con finalità politiche, ma per stabilire: (i)
che la politica, collocandosi ad un livello di astrazione molto più basso, per
essere raggiungibile ha innanzitutto bisogno di una serie di teorie cuscinetto
che il Moro non ha sviluppato, (ii) che quindi la politica non ha a che fare
solo con le forme – che rappresentano l’oggetto essenziale della teoresi di
Marx – ma anche con le “figure”, che sono via via quei soggetti che in
sottoperiodizzazioni della fase epocale si trovano ad incarnarne la forma di
moto. Così, per fare un esempio, lo “operaio massa” è stato legittimamente
ritenuto una figura di movimento della società capitalista, ma la forma di tale
movimento funziona in altre fasi anche con altre figure, proprio perché non c’è
identità fra forma e figura. Così, se facendo politica Marx si rivolgeva
giustamente all’operaio nella fabbrica, ciò non esaurisce lo spettro
d’applicabilità della sua teoria. Se da una parte si guadagna in ampiezza,
dall’altra si perde in precisione (necessità di teorie cuscinetto).[1] Più in
generale, si può sostenere che a livello politico si agisce inevitabilmente con
le figure, ma una cosa è la tattica ed altra la teoria del modo di produzione
come fase epocale.
Così, Marx ed il marxismo non possono essere la stessa cosa
ed è inevitabile che si debba parlare di “marxismi”, al plurale.[2] Questi
hanno la loro dignità storica e, nel bene e nel male, rappresentano un momento
importante – se non imprescindibile in certi casi – della storia recente, ma si
stia attenti a non operare fuorvianti appiattimenti. Gli oggetti d’indagine
sono, infatti, due. Non si deve d’altronde compiere l’errore opposto, ossia
credere che non sia lecito stabilire quanto i vari marxismi siano stati fedeli
alle indicazioni date da Marx: che non ci sia identità fra forma e figura non
significa neppure che ogni tentativo di applicazione politica vada bene. Come
sempre occorre mostrare le mediazioni (o eventualmente l’assenza di esse).
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