giovedì 19 dicembre 2013

Una problematica politica odierna. Il comunismo libertario - Stefano Garroni -


E’ ben noto che il movimento di massa, che a partire dalla seconda metà del 1967, si diffuse in tutta l’Europa occidentale, in Gran Bretagna e negli Usa, presentò subito un’ambiguità di fondo – intendo la compresenza di rivendicazioni e di parole d’ordine, per un verso, legate direttamente alla lotta di classe anticapitalistica ma, per l’altro, che richiamavano temi, invece, della cosiddetta ‘rivoluzione sessuale’ e che, dunque, si collegavano alla cosiddetta Sexpolitik di certo marxismo tedesco post rivoluzionario (W. Reich, ad es.), ma anche e fondamentalmente a quel radicalismo borghese, che accompagnò per tutto l’Ottocento lo stabilizzarsi del dominio del grande capitale (temi caratteristici di tale radicalismo sono, come dovrebbe esser noto, il femminismo, la rivendicazione di libertà per la devianza sessuale e per il consumo di droghe).

Insomma, il movimento che si sviluppa a partire dal ’67-’68 si caratterizza, fin da subito, per rivendicazioni, che si estendono su tutti i livelli dell’esperienza umana (si ricordi il significativo slogan il privato è politico), senza avere tuttavia la coscienza del modo di coesistenza di tali livelli e, così, mostrandosi incapace di comprenderli ognuno nella propria determinatezza, specificità e valenza storica.

E’ in questo contesto che la ripresa dei temi del marxismo rivoluzionario si intrecciarono, paradossalmente, con il rifiorire di orientamenti anarchici (si ricordi che, appunto nel 1968, fu ristampato in Italia L’ Unico, il libro di Stirner, largamente criticato da Marx nella Ideologia tedesca) e che iniziò quell’ uso linguistico, che progressivamente finì col sostituire al termine, classista, di proletariato le più generiche qualificazioni ( intrise di impronte religiose), quali gli ultimi, gli oppressi, i più deboli, gli emarginati.

A tutto ciò va unito l’estendersi di un orientamento politico che, identificando stalinismo con organizzazione, centralizzazione e distinzione di ruoli, riprese la problematica consigliare, ma in modo astratto, unilaterale, vale a dire, facendone l’assoluto altro rispetto all’istanza organizzativa, intesa – quest’ ultima- come sinonimo di deformazione burocratica.

A questo punto le cose si radicalizzano: da un lato, in seguito alla durezza dello scontro politico con l’esistente organizzazione statuale, si consolidò la tendenza a non ingabbiare il movimento nelle maglie di una disciplina teorico-organizzativa ma di enfatizzarne il carattere di movimento libero e creativo, perché espressione diretta delle masse; dall’altro, tutto al contrario, si andarono costituendo formazioni (a volte di una certa ampiezza), addirittura neo-staliniste – e quindi, centralizzate, gerarchicizzate e ideologizzate (nel senso più deteriore e dogmatico del termine).

Contributo a una discussione - Aristide Bellacicco* -


*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")

1) Uno dei fenomeni più caratteristici degli ultimi anni è il fortissimo prevalere, nelle analisi e nelle interpretazioni della crisi del capitale, dell’elemento strettamente economico pensato nella sua assolutezza e autonomia. In particolare nella’area europea, il dibattito appare contraddistinto dalla divisione fra i sostenitori di una linea recessiva e di austerità (alla Merkel, per intenderci) e coloro i quali sostengono che sia necessaria una politica monetaria più espansiva per ridare fiato alla produzione e al consumo. Il fatto che queste misure di carattere neo-keynesiano rappresentino l’orizzonte comune di molti economisti di ispirazione marxista o genericamente “di sinistra”, è sufficientemente indicativo dell’ impasse teorica e politica in cui si trova impigliato, ormai da molti decenni, ciò che resta del pensiero critico e dello stesso movimento comunista. La situazione si può forse riassumere in questo modo: da un lato, o meglio, sullo sfondo, il persistere della consapevolezza che il sistema di produzione capitalistico è sbagliato perché violento e irrazionale; dall’altro, o in primo piano, l’apparentemente insuperabile soggezione alle sue logiche e alle sue “leggi”. Da qui, il primato dell’”economico” e l’appiattimento, quasi ossessivo, sui temi dei “mercati”, della “ripresa”, delle banche e così via. E sempre da qui, come una specie di sottoprodotto, quella sorta di coscienza diffusa, priva di un chiaro segno politico, che porta a concepire la situazione attuale come polarizzata fra un generico “grande capitale” mostruoso e vorace, chiamato anche sbrigativamente “Europa”, e “il popolo”, vale a dire tutti gli altri.

2) Detto ciò, non ci si può nascondere che questa visione è, in buona sostanza, il riflesso necessario dei rapporti fra le classi o fra i diversi raggruppamenti sociali, su scala europea e mondiale, così come sono andati configurandosi nell’epoca della reazione neo-liberista. Del quadro fanno parte il fallimento delle due esperienze novecentesche di ispirazione socialista in paesi più o meno capitalisticamente avanzati – il Cile e il Portogallo – e la crisi e il crollo del campo socialista e dell’ Unione sovietica ad est: il famoso tramonto della centralità operaia, di cui si vocifera da un trentennio almeno, trova forse in tutto questo una delle sue radici e, se si assume un certo pessimismo della ragione, una sua almeno apparente conferma.

mercoledì 18 dicembre 2013

Il feticismo da un punto di vista antropologico. - A.Ciattini*, S.Garroni. -


Trascrizione dall'audio dell'incontro organizzato dal collettivo di formazione marxista "Maurizio Franceschini" di Roma - 15/01/96 - (Trascrizione ad opera del compagno Giacomo Turci) - 
http://www.treccani.it/enciclopedia/feticismo_(Dizionario_di_filosofia)/                                                                                                                                                                          
                                                                 
 


ALESSANDRA CIATTINI: [...] Da taluni, ad esempio da Manuel, che ha scritto un libro molto importante sulla riflessione e sulla religione, viene considerato solo un dilettante erudito. Comunque a noi qui interessa mettere in evidenza che De Brosses aveva svariati interessi. È intervenuto su problemi che a quel tempo erano importanti (siamo nel '700 francese), problemi di vario tipo. Si è occupato dell'origine del linguaggio, dell'origine della religione, e si è occupato anche di problemi geografici - siamo nell'epoca in cui continuano le grandi scoperte geografiche. Vediamo più dettagliatamente questa sua opera sul feticismo, sul culto degli déi feticci. Questa opera è abbastanza significativa ancora oggi per l'antropologia religiosa. L'antropologia religiosa è un sotto-settore dell'antropologia culturale, che da un lato si occupa di ricostruire e di descrivere in maniera dettagliata le varie forme di vita religiosa che si manifestano nelle società più disparate, anche se prevalentemente l'antropologo religioso studia le società a livello etnologico, cioè le società semplici, le società primitive cosiddette, anche se questa parola oggi viene condannata, ma forse è abbastanza adeguata - le società extraeuropee, le società esotiche, cioè quelle che si collocano ai livelli più semplici di vita economica e sociale. L'altra questione di cui si occupa l'antropologia religiosa è una questione più rilevante e che ha dei risvolti anche filosofici - è la questione se sia possibile individuare una struttura logica e specifica del comportamento della credenza religiosi, che consenta di stabilire paralleli e di fare comparazioni tra le varie forme di religiosità. Quindi l'antropologia religiosa si pone il problema di capire se la religione, rispetto alle altre forme di comportamento e di pensiero, ha una sua specificità distintiva. L'opera di De Brosses in realtà è significativa ancora oggi soprattutto per questo secondo punto. Riguardo al primo punto non è più significativa perché ovviamente De Brosses si basava sull'opera di viaggiatori, di missionari, di commercianti ecc., che davano reportage delle società primitive con cui entravano in contatto che spesso non erano del tutto veritieri e falsificati da motivazioni economiche e politiche. De Brosses è il primo che parla di feticismo, è il primo che utilizza questa parola, è lui che la inventa. Questa parola è stata ripresa successivamente da vari autori molto diversi, per esempio Comte, che ne fece uno stadio di sviluppo mentale dell'umanità. Diciamo che lo stadio feticistico è il primo stadio dello stadio teologico; successivo al feticistico abbiamo il politeistico e il monoteistico: così Comte descriveva la prima fase di sviluppo mentale ed intellettuale dell'umanità. Questo termine fu usato anche da Hegel e da Marx.

mercoledì 4 dicembre 2013

Il Capitale - Libro primo: Il processo di produzione del capitale - II Sezione: La Trasformazione del Denaro in Capitale - Quarto capitolo - Karl Marx -

  "Delle mie personali attidudini fisiche e intellettuali, e delle mie personali possibilità di azione io posso... alienare ad un altro un uso limitato nel tempo, giacche esse, dopo tale limitazione, conservano un rapporto esteriore con la mia totalità e universalità. Alienando tutto il mio tempo realizzato tramite il lavoro e la totalità della mia produzione, io darei in proprietà ad un altro quello che essi hanno di essenziale, la mia attività e realtà universali, la mia personalità".          Hegel          (Philosopie des Rechts, Berlino, 1840, p. 104, § 67)                                         
                                                                                                    "...si odia l'usura a pieno diritto in quanto qui il denaro stesso è la fonte del guadagno e non lo si usa allo scopo per cui fu inventato. Giacché ebbe origine per lo scambio di merci, ma l'interesse fa dal denaro più denaro, e da questo ebbe origine anche il suo nome (interesse e nato). In quanto i nati sono simili ai loro genitori. E l'interesse è denaro originato dal denaro, in maniera che esso è, tra tutti i modi di guadagno, quello maggiormente contro natura".        Aristotele             (DeRepubblica,vol.I,cap.10)                                                                                                                                                                                                                        "...la formazione del capitale deve essere possibile anche se il prezzo delle merci è eguale al valore delle merci. Non può essere spiegata con la differenza fra i prezzi e i valori delle merci. Se i prezzi differiscono realmente dai valori, occorre ridurre i prezzi ai valori, cioè fare astrazione da questa circostanza come casuale, se si vuole avere davanti a sé puro il fenomeno della formazione del capitale sulla base dello scambio di merci, e se non si vuole essere confusi nell'osservarlo da circostanze secondarie perturbatrici ed estranee al vero e proprio andamento del fenomeno. Si sa del resto che tale riduzione non è affatto un puro e semplice procedimento scientifico. Le oscillazioni continue dei prezzi di mercato, i loro rialzi e i loro ribassi, si compensano, si eliminano reciprocamente e si riducono a prezzo medio, che è la loro regola interna. Ed essa costituisce la stella polare p. es. del mercante o dell'industriale in ogni impresa che abbracci un periodo di tempo d'una certa durata. Dunque essi sanno che, considerato nel suo insieme un periodo di una certa durata, le merci vengono vendute non sopra e non sotto il loro prezzo medio, ma proprio al loro prezzo medio. E se il pensiero disinteressato fosse semmai il loro interesse. il mercante e l'industriale si dovrebbero porre il problema della formazione del capitale a questo modo: data la regolazione dei prezzi mediante il prezzo medio, cioè in ultima istanza, mediante il valore della merce, come può nascere capitale? Dico «in ultima istanza», perché i prezzi medi non coincidono direttamente con le grandezze di valore delle merci, come credono A. Smith, il Ricardo, ecc". [...] "Perciò, comunque si giri la cosa, il risultato è sempre il medesimo. Scambiando equivalenti, non sorge alcun plusvalore, e non sorge neanche scambiando non equivalenti. La circolazione, cioè lo scambio delle merci, non crea alcun valore".            Karl Marx
                             http://www.rottacomunista.org/classici/marx-engels/capitale/cap_4.htm