lunedì 30 luglio 2018

Domenico Losurdo: Il fondamentalismo occidentale - Emiliano Alessandroni

Da: http://www.marxismo-oggi.it

Per evitare che la reazione al cosmopolitismo astratto del pensiero liberale ricada in un feticismo della sovranità, ovvero in un amore per le identità nazionali fisse e immutabili, per impedire che la rabbia sacrosanta verso il massacro sociale compiuto dal governo Renzi-Gentiloni assuma, anche tra i militanti di sinistra, le forme di una simpatia nei confronti di Salvini, con Marxismo Oggi abbiamo qui radunato alcuni testi di Domenico Losurdo che riteniamo particolarmente educativi nella fase attuale e che crediamo valga la pena leggere fino in fondo. Gli abbiamo dato per titolo "Il fondamentalismo occidentale." (emiliano.alessandroni)



Solo in seguito a una più profonda conoscenza [...]
l'elemento logico si eleva [...] fino a valere non già
semplicemente come un universale astratto, ma
come l'universale che abbraccia in sé
la ricchezza del particolare
Hegel - Scienza della Logica

Il testo che segue unisce brani tratti dal volume di Domenico Losurdo, Il linguaggio dell'Impero. Lessico dell'ideologia americana(Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 48-78). Si è qui deciso di riproporli in quanto appaiono particolarmente rilevanti per la fase storica che stiamo attraversando. L'Occidente registra infatti, da qualche tempo, l'assenza di una sinistra capace di rendersi promotrice di un Universale concreto (cfr. su ciò D. Losurdo, La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra, Carocci, Roma 2014).
La reazione all'Universale astratto promosso dal liberalismo viene pertanto condotta dall'iniziativa delle destre, siano esse sociali o postmoderne, che per propria vocazione tendono a ripiegare lo sguardo su un'astrattezza egolatrica e particolaristica. È quest'ultima a scolpire oggi, in Europa e negli Usa, le forme della critica al liberalismo. Alla prospettiva cosmopolita di un mondo senza Stati e sans frontières che l'ideologia anarcocapitalista insegue, fanno fronte gli arroccamenti identitari e i tradizionalismi localistici, all'insegna di miti genealogici spontanei che sorreggono fisionomie sociali gelose e protettive. L'ideologia dell'imperialismo statunitense, a seconda dei governi e delle circostanze storiche, tende a muoversi su questi due fronti, oscillando tra cosmopolitismo e tradizionalismo, tra Universale e particolare astratto. Pur avversi tra loro essi risultano ancora più ostili all'Universale concreto, che ha bisogno di superare entrambe le unilateralità per realizzarsi.
Nel cammino che conduce a una simile realizzazione è possibile talvolta approfittare dello scontro tra i propri nemici, tendendo la mano ora all'uno e ora all'altro. Nondimeno, un punto tutt'altro che irrilevante va tenuto in considerazione: se sul piano militare e politico una disposizione particolaristica può caricarsi di un valore universale quando si trova a confliggere con una disposizione universalistico-astratta suscettibile di rovesciarsi nel proprio contrario (di trasformarsi, quindi, in una forza universalmente repressiva), diverso è il caso del piano culturale: qui è l'Universale astratto, anziché il particolare, a costituire un terreno più avanzato per la comprensione dell'Universale concreto e per il suo radicamento nelle coscienze.
Ai giorni nostri, in cui la sinistra occidentale risulta pressoché priva di capacità organizzativa e di forza politica, diverse anime che ancora si rivedono nel suo orizzonte pagano l'assenza di un collante e, a partire dall'ostilità istintivamente nutrita verso il cosmopolitismo astratto che ha egemonizzato il discorso politico degli ultimi decenni, cominciano ad avvertire una forte attrazione verso il particolarismo, recepito come elemento di novità e dotato di forza rivoluzionaria. Ma si tratta, a ben vedere, di un arretramento del discorso. La crescente fascinazione verso i conflitti altrui non è altro che il frutto della propria impotenza.
Contro l'idea per la quale il particolare possa costituire un punto di vista rivoluzionario da contrapporre all'astrattezza dell'Universale, i testi di Losurdo che qui proponiamo ci sembrano particolarmente eloquenti. Leggerli con attenzione può senz'altro aiutarci a comprendere in modo più adeguato il nostro presente, ovvero a diradare la nebbia che decenni di arretramenti sociali e politici hanno addensato tra le "ragioni della mente" e le "ragioni del mondo". (E. A.)
 Che cos'è il fondamentalismo? 

sabato 28 luglio 2018

L'Europa e le false credenze della Sinistra - Alessandro Somma

Da: http://temi.repubblica.it/micromega-online - AlessandroSomma è professore ordinario di diritto comparato all’Università di Ferrara.

Questo articolo (23 luglio 2018) traccia una breve cronistoria del processo di “unificazione” europea. 
Nelle dichiarazioni degli esponenti liberali dell’epoca, e dello stesso Guido Carli, si ritrovano i contenuti del famoso discorso di Cefis: la grande borghesia capitalistica, compresi i grand commis che sono al suo servizio, si stava allineando e compattando attorno a un progetto che avrebbe portato al progressivo svuotamento dell’idea di politica intesa come emancipazione umana e  sociale che si era andata formando nel corso del diciannovesimo e del ventesimo secolo. (Il Collettivo)  

Un interessante contributo di Zbigniew Brzezinski (1968): https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html 


L’Unione europea ha finalmente dichiarato la conclusione del programma di assistenza finanziaria imposto alla Grecia nel maggio del 2010. In questi otto anni il Paese ha ricevuto prestiti per 243 miliardi di Euro dal fondi Salva-Stati, e per 32 miliardi di Euro dal Fondo monetario internazionale. In cambio ha realizzato centinaia di riforme strutturali con le quali ha tagliato la spesa sociale per l’istruzione, la sanità e le pensioni, ridimensionato la pubblica amministrazione, privatizzato i beni pubblici e le principali infrastrutture, liberalizzato i servizi, precarizzato il lavoro e indebolito il sindacato. 

La dimensione della macelleria sociale provocata da queste misure si coglie dai dati che documentano l’esplosione della povertà, la compressione dei salari e delle pensioni, la crescita della disoccupazione soprattutto giovanile, la perdita dei posti di lavoro nel settore pubblico, la condizione miserevole in cui è ridotta la sanità e il sistema della sicurezza sociale nel suo complesso. Anche i parametri economici documentano in modo incontrovertibile l’insuccesso della cura imposta dall’Europa: il deficit è stato annullato e anzi il Paese è ora in surplus, ma al prezzo di un rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo passato dal 146% dell’anno in cui la Troika è giunta ad Atene, al 178,6% di adesso. Sono cresciuti anche la pressione fiscale e l’ammontare dei prestiti in sofferenza delle banche, mentre sono calati la competitività e il potere di acquisto. 

Vi sono dunque riscontri notevoli di quanto l’assistenza finanziaria fornita alla Grecia sia stata fallimentare se non criminale, tenuto conto che il 90% delle somme prese a prestito hanno beneficiato le banche francesi e tedesche espostesi per aver tentato di lucrare sui titoli del debito greco. Ciò nonostante Atene sarà costretta a proseguire lungo la strada imposta da Bruxelles come contropartita per l’assistenza, e continuerà a essere sorvegliata da Commissione, Banca centrale e Fondo monetario internazionale. Il Paese sarà infatti sottoposto alla “sorveglianza rafforzata” prevista per i casi in cui si temono “gravi difficoltà per quanto riguarda la sua stabilità finanziaria, con probabili ripercussioni negative su altri Stati membri nella zona euro”[1]. Sebbene il programma di assistenza finanziaria sia formalmente concluso, di fatto esso prosegue, così come la cessione di sovranità politica ed economica alla Troika, presumibilmente sino al 2022. 

venerdì 27 luglio 2018

L’ASSURDA CRISI (DELLA) “FISIOLOGICA” - Paolo Massucci

Da: CorriereSaute del Corriere della Sera - http://www.peripato.org/news/l-assurda-crisi-della-fisiologica - Paolo Massucci (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni)
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/06/il-capitalismo-e-in-crisi-ma-come.html



Contraddizione tra profitto capitalistico e bisogni umani nella sanità


Fa riflettere l’articolo di fondo di Sergio Harari (presidente associazione peripato -http://www.peripato.org) sull’ottimo inserto settimanale CorriereSaute del Corriere della Sera dedicato alla medicina, pubblicato il 6 maggio 2018 e intitolato “L’assurda crisi della “fisiologica”.

L’Autore, partendo dal grave episodio della indisponibilità della soluzione fisiologica per i pazienti negli Stati Uniti d’America, quale conseguenza del disinteresse dell’industria del farmaco a produrla per ragioni di profitto, conclude -condivisibilmente- che ciò deve far pensare a dove possono condurre le pericolose derive di un esasperato liberismo applicato anche alla sanità e all’importanza di preservare i nostro prezioso Servizio Sanitario pubblico.

L’assurda mancanza sistematica della soluzione fisiologica negli ospedali americani sta infatti determinando seri problemi ai pazienti (e ai medici), analoghi a quelli immaginabili nei paesi più sottosviluppati del pianeta.

Ancora si può credere che il capitalismo allochi con efficienza e a tutti i cittadini ciò di cui hanno realmente bisogno? Che il capitalismo tenda naturalmente ad uno sviluppo equilibrato ? Che la ricerca del profitto sia autolimitante e non possa andare contro i principi di giustizia umana e sociale ? Al contrario, il profitto nel capitalismo si basa proprio sugli squilibri sociali stessi, sul fatto che un essere umano pagherebbe qualsiasi prezzo per poter sopravvivere. Pertanto allo sfruttamento del lavoro di chi ha necessità di un salario per vivere, punto centrale dell’economia capitalistica (e ovvio per un marxista), va aggiunto sempre più, man mano che le possibilità tecniche della medicina si perfezionano, lo sfruttamento del bisogno di cure mediche per la salute e la sopravvivenza delle persone. Il bisogno di salute diviene sempre più centrale e pertanto allo stesso tempo diviene terreno di sfruttamento capitalistico.

La situazione pur bizzarra, oltre che drammatica, della mancanza della soluzione fisiologica negli ospedali americani, conseguenza di meri calcoli economici dell’industria farmaceutica, rappresenta un caso esemplare. E fa pensare anche al qui da noi inapplicato articolo 41 della nostra Costituzione italiana che recita: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”

Articolo costituzionale, come molti altri, teoricamente in vigore ma del tutto disatteso e paradossalmente oggi considerato obsoleto -ma dobbiamo chiederci negli interessi di chi-, quando potrebbe costituire invece una difesa proprio per il diritto alla salute e alle cure mediche oggi sempre più a rischio. In realtà, nonostante tutti i compromessi da cui è nata la Costituzione italiana, molti principi contenuti, pur annacquati, mostrano un livello di consapevolezza e di emancipazione oggi, nella politica dominata dai populismi, pressoché sconosciuto.

martedì 24 luglio 2018

Sovranismo e keynesismo - Alessandra Ciattini

Da; https://www.lacittafutura.it -  Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 




Spesso il sovranismo si coniuga con il keynesismo, ma cosa può scaturire da questo matrimonio? 



Anche chi sfoglia distrattamente i giornali avrà potuto osservare che c’è un gran parlare di sovranismo e di antisovranismo; il primo visto come un mostro, un pericolo, un disastro dal Sole 24 ore e dal Corriere della sera [1]; il secondo considerato dai vari movimenti di cui abbiamo parlato la volta precedente la causa dei mali prodotti dalla mondializzazione, che ha spezzato le frontiere lasciando via libera ai capitali, alle merci e alle persone.
Per esempio, in un articolo del 25 febbraio scorso di S. Fabbrini (Sole 24 ore), paventando la costituzione dopo il 4 marzo di un governo sovranista, si analizzano le varie sfumature di questa posizione politica, che si nutre a suo parere di una cultura antipluralista e perciò autoritaria. Inoltre, Fabbrini analizza le varie forme di sovranismo, il cui obiettivo è la revisione dei Trattati europei, non sicuramente l’uscita dall’eurozona, attribuendone anche una modalità a LeU, considerata addirittura “sinistra radicale”.
Nel Corriere della sera è, invece, l’eterno Angelo Panebianco a tuonare contro il sovranismo, che con straordinaria miopia politica attribuisce al fatto che le nuove generazioni non hanno vissuto i grandi traumi delle guerre mondiali e, quindi, non si rendono conto che eventuali frammentazioni sovraniste riporterebbero alla ribalta tali tragedie. 

mercoledì 18 luglio 2018

Per una lettura di Marx - Stefano Garroni

Da: https://www.facebook.com/groups - Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano.
E' possibile ascoltare le registrazioni audio degli incontri in collaborazione con Stefano Garroni andando su questo canale di Youtube: http://www.youtube.com/user/mirkobe79
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/07/essenza-e-forma-nellintroduzione-alla.html

Novità e storia. 

Solitamente si pensa che la grandezza di uno scienziato o di un filosofo stia IN CIO' che ha detto, nella PAROLA NUOVA che ha introdotto, nell'"inedito" che da lui ha inizio.Si tratta, naturalmente, di un concezione romantica, in un certo senso, oziosa, da "anima bella" e, quello che più conta, di una concezione, che non riconosce il ruolo della storia, dei lunghi, complessi e contraddittori processi, senza cui in realtà non vi sarebbe 'nuovo'. Perché, non inganniamoci, ciò che veramente è serio nella scienza e nella filosofia non ha origine diversa, se non nei problemi, difficoltà e contraddizioni, che gli uomini realmente esistenti incontrano nella loro 'FATICA DI VIVERE'. Ed infatti è certo che lo scienziato e il filosofo sono in un certo senso uomini COMUNI, che conoscono le COMUNI gioie e sofferenze, aspirazioni, sconfitte, insomma, che vivono nella STESSA drammaticità ed incertezza, opacità, in cui vivono gli uomini normalmente. 

Tuttavia, come Kant, Hegel e Marx ci hanno appreso, questo ha di caratteristico, di proprio, il filosofo moderno: di essere appunto un uomo, che vive insieme agli altri, che non si considera diverso dagli altri, ma che cerca di capire, le contraddizioni, le difficoltà in cui è immerso, le quali sono poi le contraddizioni, le dissonanze, le disarmonie, di cui vive la società di cui egli è parte. E questo tentativo di capire non è o almeno non è solo, fine a se stesso; ma sì volto a superare gli scarti, le opposizioni, a rintracciare quelle 'vie indirette', che, spesso, son l'unico modo per uscire dall'impasse, per reintrodurre una rima, laddove domina, invece, una dissonanza, una disarmonia. Ma se così stanno le cose, ed in particolare se così stanno le cose a pensarle dialetticamente, allora è chiaro che quello che veramente conta di uno scienziato o di un filosofo non è solo -o tanto- la 'verità', cui è pervenuto, quanto piuttosto il MODO IN CUI SI E' POSTO DI FRONTE ALLA REALTA' o, se si vuole L'ATTEGGIAMENTO, L'ATTITUDINE, che assume di fronte al mondo (sociale e naturale) e che gli consente di percorrere un certo cammino, di estendere il dominio della ricerca ad ambiti fino ad allora protetti dalla solidità del dogma o dell'evidenza. Ed è, appunto, così che opera Marx (e Hegel prima di lui, come Lenin dopo di lui).

Marx e la filosofia. 

Partiamo da una domanda: <Marx è un filosofo?> A me sembra che non si possa non riconoscere il carattere ambiguo della domanda e, dunque, la necessità di una risposta non univoca, ma sì duplice.Infatti, a patto che si voglia sapere se l'indagine PROPRIAMENTE MARXIANA sia tale, da potersi classificare in ciò che una lunga tradizione e lo stesso ambiente culturale del secolo di Marx consideravano FILOSOFIA, allora la risposta -mi pare- non può che essere negativa. In questo senso va piuttosto sottolineata la costante polemica marxiana contro il "metodo speculativo" e contro l' "hegelismo" (si ricordi che, però, assai minori son le occasioni, in cui Marx polemizza contro luoghi precisi dell'opera di Hegel) [1]. 

martedì 17 luglio 2018

ROSA LUXEMBURG. COSCIENZA, PASSIONE, AZIONE - Sebastiano Isaia

Da: https://sebastianoisaia.wordpress.com - https://www.facebook.com/sebastiano.isaia
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2015/08/una-candela-che-brucia-dalle-due-parti.html
                      https://ilcomunista23.blogspot.com/2015/03/il-capitale-apre-i-confini.html



Il marxismo non è una dozzina di persone che si
distribuiscono a vicenda il diritto alla “competenza”, 
e di fronte alle quali la massa dei pii musulmani 
debba inchinarsi in cieca fede. Il marxismo è una
dottrina rivoluzionaria, che nulla aborre di più che
le formule valide una volta per tutte, e che mantiene
viva la sua forza nel clangore delle armi incrociate 
dell’autocritica e nei fulmini e tuoni della storia.
Rosa Luxemburg 


Lo spirito di Rosa Luxemburg, l’ideale socialista, 
era una passione travolgente che travolgeva tutto; 
una passione, allo stesso tempo, del cervello e del 
cuore, che la divorava e la sollecitava a creare. 
L’unica ambizione grande e pura di questa donna 
impareggiabile, l’opera di tutta la sua vita, non fu
 altro che preparare la rivoluzione che doveva lasciare
 il passaggio franco al socialismo. Poter vivere la 
rivoluzione e partecipare alle sue battaglie, era per 
lei la suprema felicità.
Clara Zetkin

1. La militanza come coscienza di classe e passione rivoluzionaria

L’articolo di Maria Turchetto (1) sul libro di Rosa Luxemburg L’accumulazione del capitale (1912) ai miei occhi ha soprattutto il merito di ricordarci la figura politica e umana della grande rivoluzionaria polacca (naturalizzata tedesca) brutalmente assassinata nel 1919 dalla canaglia al servizio della controrivoluzione. «Operai! Operaie! Cose mostruose stanno avvenendo a Berlino da qualche giorno. […] Un mostruoso assassinio è stato commesso contro Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Non è vero che Karl Liebknecht sia stato abbattuto durante un tentativo di fuga. Testimoni obiettivi hanno stabilito all’obitorio che Karl Liebknecht è stato colpito a distanza ravvicinata e di fronte. Rosa Luxemburg è stata gettata a terra in modo bestiale da una banda di borghesi e quindi smembrata e trascinata via. E le truppe governative, che avrebbero dovuto arrestare e proteggere l’inerme prigioniera, non hanno impedito quest’azione vile e cannibalesca». Così scriveva Die Freiheit il 17 gennaio 1919. «Oggi a Berlino, la borghesia e i socialtraditori esultano; sono riusciti ad assassinare K. Liebknecht e R. Luxemburg. Ebert e Scheidemann, che per quattro anni hanno condotto gli operai al macello, in nome di interessi briganteschi, si sono assunti oggi la parte dei carnefici dei dirigenti proletari. L’esempio della rivoluzione tedesca ci persuade che la “democrazia” è solo una copertura della rapina borghese e della violenza più feroce. Morte ai Carnefici» (Lenin). Come sappiamo, l’auspicio leniniano non si realizzò, e anzi nuovi carnefici, diversi solo nelle divise e nei simboli, sostituiranno quelli vecchi.

lunedì 16 luglio 2018

Federico Caffè e l’«intelligente pragmatismo». (in appendice “Intervista a Federico Caffè” di «Sinistra 77») - Fernando Vianello  

Da: Attilio Esposto e Mario Tiberi (A cura di), “Federico Caffè. Realtà e critica del capitalismo storico”, Meridiana Libri, 1995, pp. 25-42.  
http://gondrano.blogspot.com - Fernando_Vianello è stato un economista e accademico italiano. 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/04/1978-la-svolta-delleur.html 
                       https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/05/la-multinazionale-ecumenica-eugenio.html 


Introduzione.

«Intelligente pragmatismo» è un’espressione che, forse con scarso scrupolo filologico, ho estratto da un saggio di Federico Caffè (1) per impiegarla come definizione generale di un atteggiamento intellettuale che gli era proprio: l’atteggiamento di chi pensa, con Keynes, che «la teoria economica non fornisca un insieme di conclusioni definitive immediatamente applicabili alla politica economica», ma rappresenti una «tecnica di pensiero» (2) suscettibile di essere applicata di volta in volta alla soluzione di problemi concreti e di suggerire linee d’azione diverse in diversi momenti e contesti. E’ questo un aspetto della posizione di Keynes cui Caffè si rifà espressamente, sottolineando, in particolare, come dalla teoria keynesiana discendano indicazioni di politica economica «adattabili nel tempo e che Keynes stesso modificò al delinearsi della seconda guerra mondiale» (3), quando il problema non era più la deficienza, ma l’imminente eccesso di domanda (4).

L’intelligente pragmatismo è in realtà, credo di poter dire, il «keynesismo di Keynes»: un keynesismo che non si affida a regole automatiche, ma considera ciascuna situazione nella sua specificità, sceglie caso per caso i rimedi più adatti e li applica in modo flessibile. Sapendo che vi sono di solito più vie per raggiungere un obiettivo, e che la scelta fra esse è una questione non tanto di principio quanto di opportunità (5). E sapendo altresì che ogni intervento, nel risolvere certi problemi, è suscettibile di crearne altri, che vanno a loro volta affrontati e risolti con opportuni interventi (6).

2. La piena occupazione e il vincolo dei conti con l’estero. 

Una tipica applicazione dell’intelligente pragmatismo degli economisti che Caffè si scelse come maestri - e di altri che ebbe per compagni, come Giorgio Fuà e Sergio Steve (7) - è rappresentata dal modo di trattare il vincolo dei conti con l’estero. Tale vincolo - imposto dalla necessità, o dall’opportunità, di non superare un certo disavanzo di parte corrente - è spesso assimilato a quello della piena occupazione: se il vincolo dei conti con l’estero non viene spontaneamente rispettato, si argomenta, bisogna intervenire con misure deflazionistiche. Ragionare in questo modo significa rinunciare a chiedersi che cosa faccia sì che, nella concreta situazione in esame, il vincolo dei conti con l’estero si incontri prima che venga raggiunta la piena occupazione, e dunque che cosa possa essere fatto per allentare il vincolo stesso.

domenica 15 luglio 2018

Panafricanismo e comunismo: intervista ad Hakim Adi

Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com - Link all’intervista originale in francese Période 
Intervista realizzata da Selim Nadi. - Hakim Adi (Ph.D. SOAS, London University) è autore di West Africans in Britain 1900-1960: Nationalism, Pan-Africanism and Communism (Londra, 1998); coautore di (con Marika Sherwood) di The 1945 Manchester Pan-African Congress Revisited (Londra, 1995) e Pan-African History: Political Figures from Africa and the Diaspora since 1787 (Londra, 2003). Si è occupato ampiamente della storia politica moderna dell’Africa e della diaspora africana, in particolare degli africani in Gran Bretagna. Inoltre, ha scritto tre libri di storia per bambini. Attualmente sta lavorando ad un documentario sulla West African Students’ Union http://www.wasuproject.org.uk. Il suo ultimo volume, Pan-Africanism and Communism: The Communist International, Africa and the Diaspora, 1919-1939, è stato pubblicato dalla Africa World Press nel 2013. Nel 2014 il suo libro per bambini The History of the African and Caribbean Communities in Britain è stato ristampato per la terza volta.
Parallelamente alla storia dominante dei partiti comunisti europei, incentrata sulla classe operaia metropolitana, è possibile rintracciare la traiettoria sotterranea di quei militanti comunisti e panafricani, minoritari nei loro partiti, ma sostenuti da Mosca nel periodo tra le due guerre. Si tratta di un epoca nella quale i giovani partiti comunisti sono dominati, per quanto riguarda la metropoli, da Bianchi e, nelle colonie, da coloni. Al fine di combattere l’opportunismo e lo sciovinismo, più o meno espliciti, di questi militanti, l’Internazionale comunista procedette alla strutturazione di una serie di organizzazioni transnazionali, incaricate di coordinare l’attività rivoluzionaria circa la «questione nera»: Sudafrica, colonie dell’Africa nera, segregazione negli Stati Uniti, ecc. Hakim Adi racconta in questa intervista una storia inedita, ovvero quella di un originale incontro tra                                                                                       comunismo, nazionalismo nero e panafricanismo. 

Come definiresti il panafricanismo?
Il panafricanismo può essere considerato, al contempo, come un’ideologia e come un movimento sfociante dalle lotte comuni degli afro-discendenti, tanto in Africa quanto nella diaspora africana, contro lo schiavismo, il colonialismo così come contro il razzismo anti-africano e le diverse forme di eurocentrismo che lo accompagnano. I termini «panafricano» e «panafricanismo» non sono emersi fino alla fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ma era già presente una forma embrionale di panafricanismo nel XVIII secolo,  in organizzazioni abolizioniste come la British-based Sons of Africa, gestita da ex-schiavi africani quali Olaudah Equiano e Ottobah Cugoano, che riconoscevano la necessità per gli africani di unirsi al fine di difendere interessi comuni.
Il panafricanismo ha assunto differenti forme in diverse epoche, ma la sua caratteristica fondamentale è consistita nel riconoscimento del fatto che gli africani, quelli del continente come quelli della diaspora, devono far fronte a forme comuni di oppressione, sono impegnati in una lotta comune per la liberazione e, dunque, condividono un destino comune. Il panafricanismo, quindi, riconosce la necessità dell’unità tra africani al fine di liberarsi, ma anche il desiderio di unità del continente africano. In generale, difende l’idea secondo la quale gli africani della diaspora condividono un’origine comune con quelli del continente, riconoscendo ai primi il diritto al ritorno nella loro patria d’origine. 
In Pan-Africanism and Communism, non mi sono occupato principalmente all’epoca in cui il movimento panafricano era guidato da personalità come Garvey o Du Bois. Da parte del Comintern tale panafricanismo era percepito in maniera critica, come essenzialmente riformista e incapace di condurre alla liberazione africana. Ciò nondimeno, il Comintern, sotto l’influenza dei comunisti neri, adotto aspetti del panafricanismo, in particolare l’idea per cui gli africani condividevano forme di oppressione ed erano impegnati in una lotta comune. Ugualmente, difendeva l’idea di Stati Uniti socialisti d’Africa. È inoltre doveroso ricordare che, nel periodo tra le due guerre mondiali, alcuni leader panafricani erano anche, si pensi a George Padmore, membri dell’Internazionale comunista.
In quale misura la Rivoluzione d’ottobre del 1917 ha avuto un impatto sull’Africa e la diaspora africana? Perché la Rivoluzione russa ha avuto una tale influenza sull’Egitto e il Sudafrica?

venerdì 13 luglio 2018

ONG: Organizzazioni Non poco Governative, il braccio disarmante del potere transnazionale.- Gianfranco Pala

Da: la Contraddizione n. 84 (2001) https://rivistacontraddizione.wordpress.com/  - gianfrancopala è un economista italiano. 
Leggi anche: https://rivistacontraddizione.wordpress.com/2018/11/25/tiremm-innanz/ 

La “Casa” ovvero la Cosa dell’Altro mondo

Freedom house: questo è il nome, brillantissimo, di una delle più cospicue Ong [le cosiddette organizzazioni non governative!], segnalatasi per le sue ripetute operazioni a pro del grande capitale transnazionale – e a propaganda di esso – e delle istituzioni sovrastatuali che l’assecondano; essa dice di sé: “è una organizzazione non profit e non di parte, una voce chiara per la democrazia e la libertà nel mondo, che opera sull’in­tero pianeta per diffondere la libertà politica ed economica”. Quanto al suo carattere “governativo”, che invoca “libertà” e “de­mocrazia” per l’universo mondo, non c’è ombra di dubbio, dalla forma di governo nazionale a quella sovranazionale. Per quei pochi che ancora non sono avvezzi alla lingua inglese, è bene far osservare che “freedom house” sta a significare semplicemente “casa della libertà”! Si soppesi, perciò, quanta sia la fantasia con cui il prof. Buttiglione abbia suggerito al cav. Berlusconi il nome per il suo “polo” – in perfetto allineamento Cia.

Che la “n” di codeste organizzazioni stia per “non poco”, anziché per il preteso “non”, l’abbiamo già ripetutamente detto, ancorché non sistematicamente [cfr. nn. 46, 47, 60, 72-75, 77, 80, 81, 83]. Merita adesso con maggiore precisione riepilogare il tutto per fare il punto sulle loro caratteristiche “gove­rnative”; queste sono tese sia a procurare vantaggi economici al grande capitale, quello soprattutto che vola all’estero, sia a bieche operazioni di “copertura”, che in italiano convien chiamare di “spionaggio”, di propaganda, ovvero di filtro per attività illecite (finanziamenti neri, traffico di droga, fornitura di armi, ecc). La subordinazione che asseconda la falsa coscienza dell’“umanitario” apre una fetta di mercato, come si dirà più oltre, attraverso la formazione di varie O(n)g, banche etiche, isti­tuzioni (come Medici senza frontiere), fondazioni come quel­la “per una società aperta” di Soros, ecc., le quali agevolano la stratificazione di un mercato finanziario paral­lelo e funzionale alle grandi linee creditizie.

Quello “umanitario” è un mercato facile, redditizio e di sicura espansio­ne. Nell’era del capitale transnazionale, “aiuto” equivale a guadagno, e pertanto i gestori degli “aiuti” debbono azionare microimprenditori, anche individuali, per rispondere agli interessi della macroeconomia dominante. I movimenti di classe e il lo­ro sviluppo teorico non possono ignorare l’ampiezza e la portata mondiale di questa messinscena e aggressione antiproletaria, che non è solo menzogna o dispotismo ma soprattutto utile, profitto. Ma proprio per la complessità di tali funzioni “governative”, conviene procedere con ordine, cominciando da quelle economiche per finire con quelle maggiormente legate ai servizi segreti.

Una precisazione è opportuna prima di procedere. Va da sé – come è normale – che si può mandar salva dall’impostazione stessa delle critiche, che precede, e dal loro successivo sviluppo quella piccola minoranza di Ong che certamente c’è e che prosegue con relativa indipendenza nella sua lotta di classe antimperialistica. Non per nulla codeste organizzazioni antagoniste non ricevono fondi da Bm, Fmi o istituzioni “governati­ve” usamericane ed europee, e si sostengono solo assai limitatamente con l’autofinanziamento militante. Tut­tavia non li ricevono neppure organizzazioni “volontarie” minori che con la lotta di classe non hanno nulla a che fare, anzi; esse pretendono di diffondere l’ideolo­gia “buonista” e caritatevole, del soccorso ai diseredati, agli umili e ai poveri, secondo cui non ci sono “né buoni, né cattivi” [come sostengono, nettamente al contrario di noi, quelli di Emergency], ideologia che fa il paio con la sparizione “neo-revisionistica” delle differenze tra destra e sinistra

Ma, appunto per questo – cioè la loro scarsissima forza, ossia la loro disarmante debolezza – rispetto all’invadenza delle grandi O(n)g [paradossalmente, si può dire che tra queste la meno compromessa potrebbe essere proprio una delle più antiche organizzazioni, ricca di suo, Amnesty international, nonostante le sue frequenti “amnesie” filoamericane di contro alla sua ferrea memoria anticomunista] legate alle transnazionali e alle organizzazioni sovrastatuali, l’infima minoranza di quelle piccole e autonome può ben poco, oggi, sotto il predominio del modo capitalistico della produzione sociale: questa è esattamente la stessa cosa che si può dire a proposito degli “ec­toplasmi” delle esistenti organizzazioni politiche comuniste sparse nel mondo e nei singoli paesi.

Va anche premesso a scanso di equivoci – ma ciò dovrebbe spiegare molte cose ai “comunisti” – che mai le O(n)g hanno preteso di porsi in antitesi al modo di produzione capitalistico, e mai perciò hanno rivendicato la proprietà delle condizioni oggettive della produzione. Ma non sono neppure arrivate almeno ad “ac­cettare” negativamente il sistema capitalistico, a es. come i sindacati di classe i quali fanno della lotta economica sulle condizioni antagonistiche del lavoro salariato il loro fulcro. Molti nell’“asinistra” affrontano la questione solo nel suo aspetto esterno incombente [Bm e Fmi] e non nei suoi potenziali aspetti “dal basso”, accompagnando il pentimento degli ex marxisti e la loro conversione al “nuovismo”. Cosicché America latina, Europa dell’Est, Africa, possano essere portati dagli organismi sovrastatuali come “testimonianze” del trionfo del “libero mercato” e della “crisi del marxismo”.

Si può anche rammentare quanto ebbe a scrivere Marx [per le Istruzioni ai delegati Ail, nel 1864 – cfr. L’inchiesta operaia, la Città del Sole, Napoli 1994-2000], a proposito delle piccole cooperative. “Ristretto tuttavia alle forme insignificanti in cui i singoli schiavi salariati possono ela­borarlo con i loro sforzi individuali, il sistema cooperativo non trasformerà mai la società capita­listica. Per modificare la produzione sociale in un unico sistema vasto e armonioso di lavoro li­bero e cooperativo, si richiedono cambiamenti sociali generalicambiamenti delle condizioni generali della società che non saranno mai realizzati se non con il trasferimento delle forze or­ganizzate della società, cioè il potere dello stato, dai capitalisti e dai proprietari fondiari ai pro­duttori stessi”.

La magnifica invenzione 

martedì 10 luglio 2018

Libertà e destino nella tragedia greca - Salvatore Natoli

Da: Teatro Franco Parenti - Salvatore_Natoli è un docente e filosofo italiano. 
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/06/antigone-o-i-rischi-della.html 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/03/francesco-valentini-soluzioni-hegeliane.html 
                       https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/07/essenza-e-forma-nellintroduzione-alla.html#more 



“Ma l’uomo è davvero vincolato a un’ineluttabile necessità? Oppure ha possibilità di scelta e se prende quelle sbagliate lo fa perché troppo presume di sé e ignora o trascura il precetto delfico “conosci te stesso”. E così non riesce a trovare la propria misura, o forse non si mette neppure a cercarla. Ma l’apprende dal dolore: il dolore è, infatti, sapere, il sapere dolore. Per dirla con Nietzsche, i Greci scoprirono la misura solo perché videro l’abisso. È lo sfondo tragico che ha svelato all’uomo come la sua pretesa di dismisura possa a ogni momento perderlo.” 

domenica 8 luglio 2018

ESSENZA E FORMA NELL'INTRODUZIONE ALLA FENOMENOLOGIA HEGELIANA - Stefano Garroni

Da: mirko.bertasi Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - https://www.facebook.com/groups 
E’ possibile ascoltare le registrazioni audio degli incontri in collaborazione con Stefano Garroni andando su questo canale di Youtube: http://www.youtube.com/user/mirkobe79
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2010/12/sulla-vorrede-hegeliana-stefano-garroni.html
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/04/la-tenda-di-pitagora-carlo-sini.html                   

1 - Nella Vorrede (prefazione) di un’opera filosofica, si crede erroneamente –così nota Hegel[1] - di poterne indicare l’essenza (intesa come lo scopo,  che l’A. si è prefissato; il rapporto, in cui si trova la sua trattazione rispetto ad altri lavori, che hanno affrontato lo stesso argomento ed, in fine, il risultato a cui l’opera è pervenuta), contrapponendola, tale essenza, allo sviluppo, che la ricerca ha seguito per giungere ai suoi risultati. Ma ciò, avverte Hegel, non è confacente rispetto alla natura della cosa (cioè, l’essenza della filosofia)  ed è, perfino, contrario allo scopo (dunque, la messa in chiaro di codesta essenza).

Richiamandosi, di fatto, anche ad un orientamento, che fu dello scetticismo antico, e continuando a riflettere sulla Vorrede di un’ opera filosofica, Hegel chiarisce che offrire un’informazione storica a proposito della tendenza e della posizione (che caratterizzano la filosofia in questione), del (suo) contenuto generale e dei (suoi) risultati, oppure prender le mosse da un insieme ordinato di asserzioni ed assicurazioni, assunte e proposte senz’altro circa il vero[2],  “non rappresentano il modo adatto di esporre la verità filosofica.”

Insomma, ciò su cui Hegel vuol richiamare l’attenzione è che, partendo dall’essenza stessa della filosofia –che consiste nell’includere entro di sé il particolare-, si inferisce erroneamente che sia proprio nello scopo e nei risultati finali[3], che quell’essenza si mostra più chiaramente, relegando, invece, ai margini, perché inessenziale,  “lo                                                                                                          sviluppo dell’indagine”, che ha condotto a quello scopo e a quegli esiti.

Un analogo errore vien commesso anche riguardo la scienza (Hegel fa l’esempio della biologia), quando si crede che conoscere scientificamente equivalga a conoscere “parti separate dei corpi” –le quali, però, proprio perché così indagate, “risultano prive di vita” ed è chiaro che, fissa questa angolatura, la ricerca continua di una conoscenza più dettagliata del particolare non può far uscire dal limite di impostazione iniziale.[4]

Già da queste prime battute possiamo ricavare due osservazioni, destinate ad essere approfondite nel proseguo  del testo.