Per evitare che la reazione al cosmopolitismo astratto del pensiero liberale ricada in un feticismo della sovranità, ovvero in un amore per le identità nazionali fisse e immutabili, per impedire che la rabbia sacrosanta verso il massacro sociale compiuto dal governo Renzi-Gentiloni assuma, anche tra i militanti di sinistra, le forme di una simpatia nei confronti di Salvini, con Marxismo Oggi abbiamo qui radunato alcuni testi di Domenico Losurdo che riteniamo particolarmente educativi nella fase attuale e che crediamo valga la pena leggere fino in fondo. Gli abbiamo dato per titolo "Il fondamentalismo occidentale." (emiliano.alessandroni)
Solo in seguito a una più profonda conoscenza [...]
l'elemento logico si eleva [...] fino a valere non già
semplicemente come un universale astratto, ma
come l'universale che abbraccia in sé
la ricchezza del particolare
Hegel - Scienza della Logica
Il
testo che segue unisce brani tratti dal volume di Domenico
Losurdo, Il
linguaggio dell'Impero. Lessico dell'ideologia americana(Laterza,
Roma-Bari, 2007, pp. 48-78). Si è qui deciso di riproporli in quanto
appaiono particolarmente rilevanti per la fase storica che stiamo
attraversando. L'Occidente registra infatti, da qualche tempo,
l'assenza di una sinistra capace di rendersi promotrice di un
Universale concreto (cfr. su ciò D. Losurdo, La
sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra,
Carocci, Roma 2014).
La
reazione all'Universale astratto promosso dal liberalismo viene
pertanto condotta dall'iniziativa delle destre, siano esse sociali o
postmoderne, che per propria vocazione tendono a ripiegare lo sguardo
su un'astrattezza egolatrica e particolaristica. È quest'ultima a
scolpire oggi, in Europa e negli Usa, le forme della critica al
liberalismo. Alla prospettiva cosmopolita di un mondo senza Stati
e sans
frontières che
l'ideologia anarcocapitalista insegue, fanno fronte gli arroccamenti
identitari e i tradizionalismi localistici, all'insegna di miti
genealogici spontanei che sorreggono fisionomie sociali gelose e
protettive. L'ideologia dell'imperialismo statunitense, a seconda dei
governi e delle circostanze storiche, tende a muoversi su questi due
fronti, oscillando tra cosmopolitismo e tradizionalismo, tra
Universale e particolare astratto. Pur avversi tra loro essi
risultano ancora più ostili all'Universale concreto, che ha bisogno
di superare entrambe le unilateralità per realizzarsi.
Nel
cammino che conduce a una simile realizzazione è possibile talvolta
approfittare dello scontro tra i propri nemici, tendendo la mano ora
all'uno e ora all'altro. Nondimeno, un punto tutt'altro che
irrilevante va tenuto in considerazione: se sul piano militare e
politico una disposizione particolaristica può caricarsi di un
valore universale quando si trova a confliggere con una disposizione
universalistico-astratta suscettibile di rovesciarsi nel proprio
contrario (di trasformarsi, quindi, in una forza universalmente
repressiva), diverso è il caso del piano culturale: qui è
l'Universale astratto, anziché il particolare, a costituire un
terreno più avanzato per la comprensione dell'Universale concreto e
per il suo radicamento nelle coscienze.
Ai
giorni nostri, in cui la sinistra occidentale risulta pressoché
priva di capacità organizzativa e di forza politica, diverse anime
che ancora si rivedono nel suo orizzonte pagano l'assenza di un
collante e, a partire dall'ostilità istintivamente nutrita verso il
cosmopolitismo astratto che ha egemonizzato il discorso politico
degli ultimi decenni, cominciano ad avvertire una forte attrazione
verso il particolarismo, recepito come elemento di novità e dotato
di forza rivoluzionaria. Ma si tratta, a ben vedere, di un
arretramento del discorso. La crescente fascinazione verso i
conflitti altrui non è altro che il frutto della propria impotenza.
Contro
l'idea per la quale il particolare possa costituire un punto di vista
rivoluzionario da contrapporre all'astrattezza dell'Universale, i
testi di Losurdo che qui proponiamo ci sembrano particolarmente
eloquenti. Leggerli con attenzione può senz'altro aiutarci a
comprendere in modo più adeguato il nostro presente, ovvero a
diradare la nebbia che decenni di arretramenti sociali e politici
hanno addensato tra le "ragioni della mente" e le "ragioni
del mondo". (E.
A.)
[...]
Per descrivere adeguatamente il fenomeno del fondamentalismo, occorre
passare dal singolare al plurale. In effetti, vediamo in Italia un
prestigioso giurista, Stefano Rodotà, denunciare una «spinta al
fondamentalismo» nell’Enciclica Evangelium
vitae e
nella sua dura polemica contro la legislazione relativa
all’aborto[1].
Fuorviante e provinciale si rivela la tendenza a ricercare il
fondamentalismo sempre e soltanto al di fuori dell’Occidente, al di
fuori del proprio mondo culturale. Epperò, la strada appena
imboccata dev’essere percorsa sino in fondo: la tendenza al
fondamentalismo è propria solo della coscienza religiosa? Si
rivelerebbe singolarmente dogmatico un «laicismo» che così
argomentasse. Sul piano filosofico, il dogmatismo è l’incapacità
di applicare a se stessi i criteri di lettura che si enunciano per le
teorie criticate [...] Una «spinta al fondamentalismo» può essere
constatata anche in movimenti e comportamenti politici che non
rinviano ad alcuna religione [...]
Il
fondamentalismo è caratterizzato dalla tendenza a costruire
un’identità immobile, cancellando i rapporti e le influenze
reciproche tra le diverse culture. Una determinata tradizione
culturale viene resa compatta, esclusiva e antagonistica rispetto
alle altre; essa tende così ad assumere una configurazione etnica,
vera o presunta... Il passaggio dal terreno della storia a quello
dell’antropologia è la conferma della tendenza alla
naturalizzazione del conflitto [...]
Non
c’è cultura che in determinate circostanze non sia esposta al
pericolo del fondamentalismo; esso non è il modo di essere di questa
o quella cultura, bensì un modo di reagire nell’incontro-scontro
tra due culture diverse, un modo di reagire caratterizzato
dall’arroccamento e dalla costruzione di un’identità gelosa ed
esclusiva; potremmo dire che il fondamentalismo è la reazione di
rigetto di una cultura nei confronti di un’altra e la tendenza a
naturalizzare entrambe.
Un
tale modo di atteggiarsi insorge tanto più facilmente quanto più
ampia è la divaricazione tra le due culture e più aspro è lo
scontro. È quello che in particolare si verifica nel rapporto
dell’Occidente con le altre parti del mondo; la resistenza e il
risveglio dei popoli e delle culture sul punto di essere assoggettati
o già assoggettati avviene anche attraverso crisi di rigetto.
Fondamentalismo
e movimenti di liberazione nazionale in Occidente
Ma
non è solo nei popoli coloniali ovvero di origine extra-europea e
successivamente approdati in Europa (ebrei ed afroamericani) che si
può osservare la reazione di tipo fondamentalista. La lunga lotta
per l’indipendenza del popolo irlandese è stata descritta da uno
storico dei giorni nostri come una lunga serie di «guerre sante»:
incontestato è il ruolo dirigente del clero cattolico; almeno
nell’Ottocento «ogni altare divenne una tribuna»[2].
La cosa ben si comprende: abbiamo a che fare con una colonia
considerata dall’Inghilterra non meno barbara e selvaggia delle
altre.
Vediamo
ora quello che, in seguito all’espansionismo post-termidoriano e
napoleonico, si verifica nel rapporto tra Francia da una parte e
paesi come Spagna e Germania dall’altra. Avendo alle spalle
l’illuminismo e il processo di decristianizzazione della
rivoluzione ed essendo caratterizzata dalla netta egemonia della
città e della cultura urbana, la Francia è decisamente più
secolarizzata. Essa può inoltre contare su una struttura politica
più avanzata; la Germania non solo è priva di unità nazionale ma è
esposta da secoli, a partire dalla pace di Westfalia,
all’espansionismo proveniente da oltre Reno. Per lungo tempo
l’egemonia culturale esercitata a partire da Parigi sembra
dispiegarsi in modo incontrastato: Federico II non solo parla
francese ma non nasconde il suo disprezzo, oltre che per la cultura,
anche per la lingua tedesca, di cui si serve solo per comunicare con
la servitù. Al momento dello scoppio della rivoluzione del 1789, non
c’è paese che più si entusiasmi per essa; si diffonde l’idea
dell’alleanza intellettuale (e politica) con la Francia. Tanto più
grave risulta poi la crisi provocata dall’espansionismo
post-termidoriano e napoleonico: è a questo punto che si manifesta
la reazione di rigetto di tipo fondamentalista.
Non
sembri eccessivo o fuorviante il ricorso a questa categoria.
Esaminiamo l’ideologia del movimento di lotta anti-napoleonico. A
caratterizzarlo non è solo la volontà di scrollarsi di dosso il
giogo politico e militare francese; esso mira a sbarazzarsi anche di
ogni idea che rinvii all’odiato nemico «ereditario» della
Germania; all’acritica gallomania è ormai subentrata
un’indiscriminata gallofobia e teutomania. È a questo punto che
la Dichiarazione
dei diritti dell'uomo cominicia
ad apparire, secondo l’osservazione di Heine, «come alcunché di
estraneo, americano o francese, come qualcosa di non tedesco». La
ricerca dell’autenticità germanica abbraccia ogni aspetto della
cultura e della vita sociale e vede partecipi anche filosofi e
intellettuali di primissimo piano. Particolarmente significativa è
l’evoluzione di Fichte. Già lettore e ammiratore di Rousseau,
della rivoluzione francese, della cultura del paese che ne era stato
protagonista e della Grande
Nation in
quanto tale, dopo la disfatta di Jena s’impegna a celebrare in modo
enfatico la nazione tedesca, i suoi costumi, i suoi valori, la sua
lingua, alla quale attribuisce una originarietà, un’autenticità e
un valore cui non sembrano poter aspirare le altre. E non è tutto.
I Discorsi
alla nazione tedesca annunciano
e celebrano il sorgere dell'«autentica arte statale tedesca» in
contrapposizione ai modelli stranieri, e in primo luogo francesi.
Fichte
non è solo. Altri esponenti del partito anti-francese si spingono
ancora oltre: alla morale sessuale liberale o libertina rimproverata
alla Francia contrappongono il «costume tedesco» (deutsche
Sitte)
e la «fedeltà tedesca» (deutsche
Treue),
persino il «modo di vestire tedesco» (deutsche
Tracht),
che comporta ed esige la necessaria pudicizia per le donne: evidenti
risultano a questo punto le analogie con l’odierno fondamentalismo
islamico. D’altro canto, se, assieme agli invasori, i Boxer cinesi
pretendono di espellere anche i telegrafi e la tecnologia proveniente
dall’Occidente, non molto diversamente si atteggia sull’onda
della guerra di liberazione nazionale contro la Francia uno dei suoi
più grandi interpreti. Contro «la maledetta mania delle fabbriche»,
che in Germania è merce d’importazione e che minaccia l’antica e
autentica anima tedesca, Ernst Moritz Arndt lancia un appello
appassionato:
Rinunciamo
a ogni macchina, piuttosto che correre il pericolo che tale
macchinismo (Maschinenwesen) ci
distrugga tutta la sana visione dello Stato e le classi e i mestieri,
semplici e naturali, da cui dipende la conservazione di ogni virtù,
forza e onestà. Se tutti gli artigiani diventano fabbricanti, se
infine persino l'agricoltura viene considerata e gestita come una
fabbrica, in breve, se scompare dalle istituzioni umane ciò che è
semplice, stabile e solido, allora si mette male per la felicità e
lo splendore della nostra specie.
Alla
nazionalizzazione dei costumi e della cultura non sfugge neppure la
religione. Fichte parla della Bibbia come di «un libro nazionale»
tedesco[3].
In nome del «Dio tedesco» Arndt chiama i suoi compatrioti ad
impegnarsi contro i francesi in una «grande e santa guerra tedesca».
Il Catechismo da
lui composto per i combattenti ha l'andamento dei versetti biblici.
Questa
è la guerra che piace al Signore; questo è il sangue di cui Dio
conta le gocce in cielo./ E chi cade in prima fila, percorrendo coi
più valorosi il sentiero della vittoria, ha benedetti i suoi più
tardi discendenti e i nipoti vivono nella gioia e nella celebrità./
E il suo ricordo è sacro presso il popolo e i nipoti pregano sul
posto dove cadde per la patria.
E
ancora: «E in spirito di concordia e di pace dovete riconoscere che
avete un solo Dio, l'antico, fedele Iddio e che avete una sola
patria, l'antica, fedele Germania». Per il movimento patriottico nel
suo complesso, oggetto di culto tende a diventare il «nostro Dio
tedesco». Si tratta del Dio cristiano di Lutero, come avviene in
Arndt, o, procedendo più a ritroso, del Dio pagano-germanico? Per i
teutomani non è questo il punto più importante: l’essenziale è
il separatismo anche religioso dagli invasori. Nella Germania del
1813, in cui fortemente risuona l’eco della resistenza
anti-napoleonica, Madame de Staël avverte presso «la gente del
popolo [...] questa santa antipatia per i costumi, le usanze e le
lingue straniere che fortifica in tutti paesi il legame
nazionale»[4].
L’identità
da contrapporre al nemico invasore è costruita mediante un ritorno
alle origini, miticamente trasfigurate. Odiati e disprezzati sono gli
intellettuali infranciosati, ai quali viene contrapposto il popolo
semplice e fedele all’autentica germanicità, indagata e venerata
quanto più essa si avvicina alle sue remote scaturigini: è per
questo che ai più recenti termini Deutschland e deutsch vengono
talvolta preferiti i più antichi Teutschland e teutsch.
Di qui scaturisce altresì la celebrazione degli antichi Germani,
puri e incorrotti (così come vengono descritti da Tacito). I loro
costumi e consuetudini vengono ad assumere una funzione analoga a
quella attribuita alla Sharia ovvero
alla Halakhà dagli
odierni fondamentalisti islamici o ebraici: è lì che bisogna
cercare la soluzione dei problemi politici della Germania piuttosto
che in costituzioni o istituzioni estranee all’autentica anima
tedesca.
Agli
occhi dei teutomani del tempo, i Germani sono da sempre in lotta
contro i Romani invasori e oppressori, che si tratti delle legioni di
Varo e di Augusto, del clero e dei rappresentanti del papato romano
ovvero delle truppe di Richelieu, Luigi XIV e Napoleone (l’esercito
di quei nuovi Romani che sono i francesi).È evidente in questa
lettura la tendenza alla naturalizzazione delle tradizioni culturali
e politiche dei due paesi: tra le due identità in lotta non c’è
reciproco scambio o rapporto diverso da quello dell’antagonismo
permanente. Dimenticata è l’influenza profonda esercitata sulla
filosofia e la cultura tedesca da autori come Voltaire, Descartes,
Rousseau. La caratterizzazione dei Romani-Francesi come eterni
invasori comporta la rimozione di interi capitoli di storia, ad
esempio quello relativo al duca di Brunswick che, dopo il 1789, si
pone alla testa della Crociata sterminatrice minacciata contro la
Francia rivoluzionaria.
Qualcosa
di analogo si verifica in Spagna. L’invasione napoleonica spazza
via i rapporti feudali di produzione, introduce in qualche modo la
modernità; al tempo stesso soggioga e umilia l’identità religiosa
e nazionale. Il popolo spagnolo risponde con una insurrezione che,
assieme all’esercito napoleonico, pretende di espellere anche la
tradizione culturale francese nel suo complesso e in particolare le
idee dell’illuminismo e della rivoluzione.
Lo
stesso Risorgimento italiano può essere esaminato alla luce del
conflitto tra culture. Ridotta a semplice espressione geografica dal
paese che la domina e la occupa, l’Italia deve costruire la sua
identità per poter rivendicare e affermare la sua indipendenza anche
sul piano politico. Non mancano tendenze a costruire un’identità
fondamentalmente sottratta alla storia e quindi di tipo in qualche
modo fondamentalistico. Si spiegano certi tratti della filosofia di
Gioberti: celebra il «primato morale e civile degli italiani», si
rifà ad una mitica popolazione originaria (i Pelasgi); si propone di
creare una scuola filosofica «cattolica, moderata, antifrancese,
antigermanica e veramente italiana; la quale colla sua influenza
distrugga il male fatto da tre secoli»[5].
In questo quadro vanno collocati alcuni motivi presenti nello stesso
inno di Mameli che inneggia all’«elmo di Scipio» e alle glorie
degli antichi Romani.
Naturalmente,
i movimenti nazionali di liberazione possono trovare e trovano anche
espressioni più mature. Nel polemizzare con coloro che esigono
l’espulsione patriottica dall’Italia della «filosofia tedesca»,
i cui testi parlano la stessa lingua delle truppe austriache
d’occupazione, Bertrando Spaventa contrappone la tesi della
circolazione del pensiero: non è pensabile senza il Rinascimento
italiano la filosofia classica tedesca; richiamarsi a quest’ultima
non è un atto di tradimento; è privo di senso storico contrapporre
tradizioni nazionali stereotipe e senza rapporti reciproci. Alla
spalle di questa tesi agisce la lezione di Hegel che, in precedenza,
combatte la teutomania mediante un bilancio storico che individua la
genesi della rivoluzione francese già in Lutero. Anche per il
filosofo tedesco l’espulsione patriotticamente motivata delle idee
dell’89 non ha ragion d’essere: gli illuministi e i rivoluzionari
francesi si collocano in qualche modo sulla scia della Riforma
luterana, conferendo concretezza mondana a un movimento che, agli
occhi di Lutero, ha una dimensione essenzialmente intimistica[6].
[...]
Rivoluzione
modernizzatrice dall’alto, flussi migratori e reazione nativista e
fondamentalista
L’incontro-scontro
tra culture non è necessariamente provocato da guerre. A stimolarlo
può essere talvolta una rivoluzione modernizzatrice, come quella di
cui è protagonista in Russia Pietro il Grande. Viene promossa
dall’alto con pugno di ferro l’occidentalizzazione del paese; un
impietoso dispotismo regolamenta persino gli aspetti più minuti
della vita privata e, senza risparmiare in alcun modo la nobiltà,
prescrive «di radersi la barba e di vestirsi alla tedesca». Contro
questa imposizione che, in nome della «civiltà occidentale» aveva
«dimenticato la nazionalità» russa[7],
si sviluppa il movimento slavofilo che rifiuta la modernizzazione
assieme ai metodi autocratici con cui era stata imposta e che
recupera il senso della nazione condannando l’Occidente nel suo
complesso e auspicando il ritorno alla Russia anteriore a Pietro il
Grande, miticamente trasfigurata. Il difficile equilibrio tra
rigenerazione e involuzione, già messo in evidenza da Marx in
relazione alla rivolta anti-napoleonica della Spagna, lascia
rapidamente il posto al prevalere sempre più netto del secondo
aspetto, man mano che slavofilia e pan-slavismo diventano lo
strumento ideologico della politica estera zarista e delle sue
aspirazioni espansionistiche.
Infine,
a provocare l’incontro-scontro tra culture possono essere i
massicci flussi migratori, soprattutto poi se questi si sviluppano in
connessione con aspri conflitti. È un fenomeno che caratterizza in
primo luogo la storia degli Stati Uniti. A presiedere alla loro
fondazione è un duplice conflitto delle civiltà: persuasi di essere
la Nuova Israele e il popolo eletto da Dio, i puritani fuggono da
un’Europa da loro avvertita e bollata come il luogo del peccato e
della corruzione, per approdare in un Nuovo Mondo dove li attende
l’ostilità dei pellerossa selvaggi e pagani. E questo duplice
conflitto viene continuamente rinnovato, per un verso dalla
progressiva espansione dei coloni e dalle guerre contro gli indiani,
per un altro verso dalle successive ondate di immigrati (compresi gli
schiavi neri deportati dall’Africa), che provengono da ogni angolo
del mondo e che portano con sé una cultura di volta in volta
diversa. L’identità cristiana del popolo eletto, in netta
contrapposizione rispetto al mondo profano o pagano che lo circonda,
è ribadita dai periodici movimenti di risveglio religioso, che
rammentano al popolo eletto il patto unico che lo lega a Dio e la
missione sacra che gli compete di edificare una Città sulla Collina,
chiamata ad essere di esempio per tutta l’umanità.
È
in questo terreno che affonda le sue radici il fondamentalismo
americano, che storicamente può assumere e ha assunto contenuti
assai diversi. Negli anni che precedono la guerra di Secessione, il
movimento di lotta contro la schiavitù, l’abolizionismo, è
profondamente attraversato dal fondamentalismo cristiano: bolla e
brucia pubblicamente la Costituzione federale come un «accordo con
l’Inferno» e un «patto con la Morte»; denuncia i
«corresponsabili del peccato della schiavitù» quali complici del
«Demonio»; individua l’«Anticristo» nei governi che non si
conformano alla legge divina, la cui assoluta preminenza in nessun
caso è lecito misconoscere («non conosco altri governanti
all’infuori di Dio»); assieme al peccato della schiavitù, chiama
a sradicare tutta una serie di altri vizi, quali il «Deismo»,
l’«Eresia», il «capitale bancario», i «bordelli», le
osterie[8].
Altre
volte, il fondamentalismo cristiano assume contenuti ben diversi.
Torniamo al movimento a partire dal quale fa la sua apparizione il
termine «fondamentalismo», esaminiamo dunque la situazione degli
Stati Uniti negli ultimi decenni dell’Otto e nei primi decenni del
Novecento. Con la fine della guerra di Secessione si sviluppa un
gigantesco processo di indutrializzazione e urbanizzazione, con
l’afflusso massiccio di irlandesi cattolici, ebrei dell’Europa
orientale ecc. A ciò bisogna aggiungere il fenomeno della crescita
delle chiese afroamericane, reso possibile dall’abolizione della
schiavitù e stimolato dalla necessità per gli ex-schiavi di trovare
un qualche rifugio dalla persecuzione bianca. Oltre che fungere da
veicolo di religioni o confessioni diverse, la nuova ondata di
immigrati favorisce la penetrazione o la diffusione del socialismo e
dell’anarchismo. Sul piano più strettamente culturale le idee, i
valori, i costumi dominanti sono sfidati anche dal processo di
secolarizzazione, dal diffondersi della teoria evoluzionistica
darwiniana che getta un’ombra di dubbio sul racconto biblico della
creazione, dall’emergere di una nuova morale sessuale in
connessione sia col processo di urbanizzazione e l’attenuarsi del
controllo sociale sia con l’incipiente emancipazione femminile. Sul
piano economico-sociale, la nuova ondata di immigrati provenienti
dall’Europa aggrava la concorrenza sul mercato del lavoro (si è
chiusa ormai la valvola di sfogo del Far West). Il conflitto
politico-sociale s’intreccia strettamente con una grave crisi di
identità.
È
a tutto ciò che il fondamentalismo americano dell’inizio del
secolo intende dare una risposta. Il nemico, il veicolo della
diffusione del disordine politico, sociale e ideologico è
individuato negli immigrati e in tutti coloro che, pur cittadini
statunitensi, sotto l’influsso rovinoso di elementi e dottrine
straniere, hanno volto le spalle al «puro americanismo». Si
comprende allora l’incontro coi movimenti nativisti e, in
particolare, col Ku Klux Klan. Come antidoto alle contaminazioni,
deviazioni e distorsioni verificatesi viene raccomandato il ritorno
alle origini, al «Vangelo dei tempi antichi e di antico stampo»
(old-time,
old-fashioned Gospel),
finalmente liberato dalle incrostazioni della critica razionalistica
e storica e restituito al suo significato originario e letterale, il
ritorno alla «religione di antico stile» (old
style religion)
ovvero alla «religione dei tempi antichi» (old-time
religion),
da considerare come «la vera fondazione della nostra incomparabile
civiltà»[9].È
in questo quadro che va inserito il divieto della diffusione della
teoria darwiniana dell’evoluzione, varato in alcuni stati sotto la
pressione del fondamentalismo.
La
religione originaria così recuperata fa tutt’uno con la nazione:
«La Costituzione degli Stati Uniti è basata sulla Sacra Bibbia e
sulla religione Cristiana e un attacco all’una è un attacco anche
all’altra»: bisogna allora «collocare una Bandiera e una Bibbia»
in ogni scuola in modo che l’America possa superare la crisi
recuperando la sua identità autentica di nazione e di civiltà
cristiana[10].
Al
processo di etnicizzazione non sfugge la morale. Ecco allora la
teorizzazione di una «morale Anglo-Sassone» che condanna
severamente la dissolutezza e il libertinismo dilaganti. Come
manifestazioni di decadenza sono denunciati ballo, jazz e abiti
femminili sconvenienti; in alcuni stati vengono presentati progetti
di legge che mirano a colpire con contravvenzioni o con l’arresto
ragazze e donne vestite in modo troppo audace. Non a caso, i
fondamentalisti svolgono un ruolo essenziale nel varo della
legislazione proibizionistica[11].
E
anche in questo caso emerge la tendenza a rendere compatte e
stereotipe e a naturalizzare le diverse tradizioni culturali. Ecco in
che modo uno studioso sintetizza l’immagine della Germania presso i
fondamentalisti protestanti: «L’essenza e l’influsso rovinoso
della cultura tedesca si manifestano da un lato nel razionalismo
tedesco nella forma della critica biblica storico-filologica (che
cerca di dissolvere dall’interno i fondamenti della fede),
dall’altro nella filosofia evoluzionistica (socialdarwinistica) di
Friedrich Nietzsche, che attacca il Cristianesimo dall’esterno.
Diretta espressione di queste due correnti è la barbarica guerra
mondiale scatenata dai tedeschi. Inoltre, la birra
tedesca mina
i fondamenti della morale cristiana»[12].
Rimossi, per fare due esempi, il contributo di Spinoza all’esegesi
razionalistica del testo sacro e il ruolo decisivo svolto da Darwin,
Galton e dalla cultura inglese nell’elaborazione della teoria
evoluzionistica e del socialdarwinismo, il nemico tedesco acquista
una fissità senza smagliature; la sua definizione tende a slittare
dal terreno della storia a quello dell’antropologia (e della
natura). Sul versante opposto, una ferrea linea di continuità
conduce, secondo i fondamentalisti americani, dal cristianesimo
originario e da Paolo di Tarso ai Padri Pellegrini che fondano le
colonie nel Nuovo Mondo e da questi ai Padri Fondatori che danno
origine agli Stati Uniti e ad una storia che è sacra sul piano
politico e religioso: identico è infatti il contenuto di verità
della Bibbia e della Costituzione americana[13].
Fondamentalismo
nativista e Lega Nord
A
questo fondamentalismo può essere accostato l’odierno fenomeno
della Lega Nord in Italia. L’immigrazione massiccia proveniente dal
Sud e il conseguente incontro-scontro tra due culture non provocano
particolari problemi negli anni del miracolo economico. Diversa è la
situazione venutasi a creare in tempi più recenti: per un verso si è
esaurito il miracolo ed è divenuta più aspra la concorrenza sul
posto di lavoro; per un altro verso il processo di secolarizzazione e
la crisi del marxismo hanno indebolito in misura più o meno grave le
ideologie capaci di svolgere una funzione di integrazione. Ed ecco
emergere un movimento di tipo nativista e fondamentalista. In questo
caso l’old-time
religion dev’essere
chiaramente inventata. Si spiegano così le oscillazioni della Lega
Nord: abbiamo da un lato le pressioni sul Vaticano (e i tentativi di
piegare in senso nativistico il cattolicesimo), dall’altro le
tentazioni di fondare una sorta di religione neopagana fondata sul
culto del Po e dei penati della Padania, chiamata a liberarsi dalle
influenze contaminatrici di culture e gruppi estranei alla sua anima
autentica. Chiara è la tendenza a costruire una mitica identità,
caratterizzata da valori peculiari e incomprensibili e per sempre
preclusi ai «sudici». Il processo di naturalizzazione giunge sino
alla teorizzazione di una stirpe padana e celta, impegnata a
recuperare la sua purezza.
[...]
Come
valutare concretamente i diversi fondamentalismi e i loro conflitti
Allorché
ci si imbatte in un conflitto in cui si scontrano culture diverse e
attestate ad un diverso stadio di sviluppo, una tendenza assai
diffusa si risparmia la fatica dell’analisi concreta per schierarsi
immediatamente col contendente che incarna o sembra incarnare la
cultura più moderna e più avanzata. Il risultato oggettivo di
questo modo di atteggiarsi è la giustificazione dell’espansionismo
coloniale persino nelle sue espressioni più brutali e più
sanguinarie. Per fare solo un esempio: alla fine dell’Ottocento si
consuma il genocidio degli aborigeni negli Stati Uniti, in Australia
e in Nuova Zelanda; a perpetrarlo sono paesi e popoli di radicate
tradizioni liberali e democratiche, i quali vantano una cultura
nettamente superiore a quella delle loro vittime. Dobbiamo prendere
posizione a favore dei vincitori? Il rigore intellettuale e morale
esige che si proceda diversamente: piuttosto che tracciare una banale
classifica dei popoli e delle culture che di volta in volta si
scontrano, occorre indagare la natura concreta del conflitto [...].
La
storia ci mette continuamente in presenza di movimenti nei quali, sia
pure in modo confuso, torbido e talvolta barbarico, si agitano
aspirazioni legittime all’indipendenza nazionale o al recupero di
un’identità culturale e di una dignità umana a lungo conculcate.
Ciò vale anche per movimenti sviluppatisi in Europa. Ritorniamo per
un attimo alla sollevazione contro Napoleone in Germania e in Spagna.
Pur duramente critico di ogni gallofobia e teutomania (e quindi di
ogni tendenza fondamentalista), Hegel finisce col riconoscere il
carattere ineluttabile e progressivo di tale rivolta. Nell'età
napoleonica, per dirla con Marx, «tutte le guerre d'indipendenza
condotte contro la Francia, portano l'impronta comune di una
rigenerazione che si accoppia con la reazione». Si tratta di
movimenti inclini a vedere nella cultura illuministica e
rivoluzionaria proveniente dalla Francia un veicolo di
snazionalizzazione e di assimilazione, uno strumento al servizio di
una politica espansionistica e di oppressione nazionale; essi sono
cioè portati a identificare la lotta contro gli invasori con la
lotta contro l'illuminismo e la rivoluzione francese. In questo
senso, la rigenerazione (il processo reale di liberazione
dall'occupazione straniera) si accoppia alla reazione (l'ideologia
confusa e torbida che accompagna tale processo e che è foriera di
successive involuzioni e regressioni)[14].
È
un intreccio che può essere constatato anche nei movimenti nazionali
sviluppatisi in Irlanda e Polonia, protagonisti di una grande lotta
di liberazione, caratterizzata però dall’identificazione immediata
tra coscienza nazionale e coscienza religiosa cattolica (un tratto di
tipo chiaramente fondamentalista). Alla fine del Settecento Federico
II di Prussia e D’Alembert nella loro corrispondenza si facevano
beffe del popolo polacco che affidava alla «Santa Vergine Maria» le
sue speranze di riscatto nazionale[15],
ma non erano il filosofo e il «re illuminista» a rappresentare la
causa della libertà e del progresso. Agli inizi del Novecento, oltre
che al clero cattolico (bollato come oscurantista e
fondamentalista ante
litteram dai
campioni dell’Impero liberale inglese), il movimento nazionale
irlandese ripone le sue speranze nell’improbabile rinascita della
lingua e della cultura gaelica, ma ciò non ci impedisce di
riconoscere la legittimità dell’aspirazione all’indipendenza del
popolo irlandese [...].
Liquidate
sbrigativamente in Occidente come semplici espressioni di xenofobia,
di rifiuto della modernità, le rivolte dei Sepoys, del Mahdi e dei
Boxer sono considerate o tendono ad essere considerate nei paesi in
cui esse sono scoppiate come rivoluzioni nazionali ovvero come prime,
incerte e rozze espressioni di una rivoluzione nazionale: la rivolta
dei Boxer è da Mao Tsetung inserita tra le «guerre giuste» contro
l’imperialismo[16].
Ma già Lenin, impegnato a sollevare la questione nazionale e
coloniale, rifiuta di leggere quella rivolta secondo lo schema caro
ad un campione dell’imperialismo qual è Guglielmo II, come
semplice espressione dell’insensatezza dei «selvaggi cinesi»,
dell’«ostilità della razza gialla verso la razza bianca» ovvero
dell’«odio dei cinesi per la cultura e la civiltà europea»[17].
Lettore
di Hegel e Marx, il rivoluzionario russo non è certo un esponente
del fondamentalismo anti-occidentale. Esplicita è la sua polemica
contro gli slavofili e la sua irrisione nei confronti di coloro che
all’«Occidente materialista» e «putrefatto» pretendono di
contrapporre «la luce [che] splende solo dall'Oriente mistico,
religioso». La denuncia impietosa della politica di saccheggio, di
aggressione e di genocidio condotta dalla metropoli capitalistica non
sfocia affatto nella trasfigurazione di un mondo non ancora
contaminato dalla modernità capitalistica ed occidentale. Ben lungi
dall’essere sinonimo di liquidazione sommaria della tradizione
culturale europea, la condanna del colonialismo e dell’imperialismo
è da Lenin pronunciata in nome anche dello «spirito europeo» e
della «cultura europea» irrompenti nelle colonie le quali, prese
dalle «idee di libertà», cominciano a ribellarsi ai loro padroni.
Non c’è posto in questa visione per una contrapposizione
stereotipa di identità statiche senza «circolazione del pensiero»
dall’una all’altra. Ancora dopo la conquista del potere, se per
un verso chiama i rivoluzionari occidentali a studiare e assimilare
creativamente la lezione dell’Ottobre, per un altro verso Lenin
sollecita i rivoluzionari e il popolo russo a far tesoro, sul piano
politico-statuale, dei «migliori modelli dell’Europa occidentale»
sia pure per trasformarli e superarli[18].
Chi
vuole seriamente lottare contro il fondamentalismo nelle sue diverse
manifestazioni deve impegnarsi a ricostruire, in condizioni del tutto
nuove, una posizione capace di congiungere la critica dell’Occidente
al riconoscimento dei suoi punti alti.
[6] Per
la lettura qui proposta delle guerre antinapoleoniche cfr. Losurdo
1983, pp. 189-216 e Losurdo 1997 a, capp. I, 2, IX, 6 e XIV, 1; per
le diverse tendenze nel Risorgimento italiano, cfr. Losurdo 1997 b,
cap. V.
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