venerdì 12 dicembre 2014

parlare con Agave - Aristide Bellacicco

A parte il fatto che Agave era ubriaca fradicia, non furono trovate altre cause. Qualcuno se ne uscì con la pazzia o con la “pura e semplice” cattiveria.
‘Ma signori miei’ disse il pubblico ministero davanti ai giurati ‘che cos’è la pura e semplice cattiveria? Nient’altro che una comoda e indecorosa scappatoia pseudo-filosofica.’
Si stava infatti diffondendo  l’opinione che non si potesse essere puniti solo perché si era cattivi.
‘Nessuno ha colpa di essere fatto in un certo modo’ così  si esprimevano in molti.
Ciononostante,  i buoni e gli onesti continuavano ad essere elogiati e premiati, e questo costituiva una contraddizione dalla quale era sempre più difficile liberarsi.
In ogni caso, gli uomini di legge, senza differenze fra accusatori e difensori, non ci stavano.
‘Sarebbe bello ’ dicevano  con ironia ‘che un assassino se la cavasse solo perché “è fatto così”. Che fine farebbe la responsabilità personale?’
E riguardo la pazzia, fu chiaro da subito che Agave non era pazza. Era perfettamente orientata nel tempo e nello spazio e ricordava nel dettaglio ciò che aveva fatto. Non fu necessaria alcuna pressione per indurla a confessare.
‘Ho ucciso mio figlio stanotte alle quattro e mezza ’ disse al funzionario di polizia che la interrogò la mattina dopo ‘Avevo bevuto moltissimo, è vero, ma questo lo faccio da anni tutte le sere. Non credo che il vino abbia qualcosa a che vedere con quello che è successo.’
‘E allora perché è successo?’ voleva chiederle il funzionario. Ma lasciò perdere e le fece quest’altra domanda:
‘Signora Agave, posso fare qualcosa per lei?’
‘Sissignore’ ripose Agave ‘trovi  il motivo per cui ho ucciso Quinto. Io non lo so. Ma se lei arriva a capirlo, gliene sarò grata per sempre.’
Queste furono le uniche parole agli atti. Si lasciò condurre alle carceri, si sottopose alle ispezioni di rito e quando la misero in isolamento rimase per circa un’ora seduta sulla branda e poi si addormentò.

martedì 2 dicembre 2014

Danaro, lavoro, macchine in Hegel - Remo Bodei

Vedi anche:  http://www.filosofia.it/argomenti/danaro-lavoro-macchine-in-hegel


Il modello hegeliano di sistema quale «circolo di circoli» - che non è chiusura al nuovo, ma piuttosto la sua costante assimilazione per espansione e ritorno in sé - ha il suo fondamento analogico nella natura del danaro. La circolarità del sistema è, infatti, un ininterrotto processo di «arricchimento», analogo alla «ricchezza circolante», la quale aumenta ogni volta la sua massa in proporzione alle dimensioni già raggiunte, inglobando il concreto, attraverso contraddizioni che non sembrano attualmente trovare una soluzione. 

Tale arricchimento del pensiero, mediante ‘circolazione allargata’ è anche storicamente lo schema di sviluppo economico e politico di tutta la civilisierte Welt, poiché tutti i fenomeni più diversi hanno la radice comune nello Zeitgeist che ha «dato l’ordine di avanzare» e di ingrandire le proprie forze. Ormai «la morta ricchezza esiste ora solo nei tesori dei Cosacchi, dei Tartari; nel mondo civilizzato si tratta della ricchezza circolante», che, tuttavia, si distribuisce in maniera estremamente disuguale: «Nella stessa proporzione in cui si accresce la ricchezza, si accresce pure la miseria, se non si provvede a deviarla diversamente tramite ad esempio la colonizzazione». 

Uno dei meriti maggiori della Rivoluzione francese, con l’abolizione del feudalesimo, è stato appunto per Hegel l’impulso dato alla proprietà e alla ricchezza circolanti, sia pure all’interno di laceranti contraddizioni. La dialettica del «danaro» e del «Kapital» si presenta in forma assai articolata nelle                                                   Vorlesungen über Rechtsphilosophie del periodo berlinese. 

Hegel descrive qui – in maniera quasi dickensiana –un’economia contraddistinta dall’elevatissima concentrazione della ricchezza in poche mani e dal conseguente crearsi di una immensa massa di lavoratori poveri o disoccupati, esseri umani sospinti dalla miseria più spaventosa nell’umiliazione e nell’abbrutimento, una situazione alla quale gli Stati cercano inutilmente di porre rimedio con dei «palliativi», come l’emigrazione nelle colonie. Di fonte a un simile spettacolo, Hegel giunge a dire che l’estrema povertà rende lecito, a chi la subisce, anche il furto finalizzato alla propria sopravvivenza: «tale azione è illegale, ma sarebbe ingiusto considerarla come un furto comune. Sì, l’uomo ha diritto a tale azione illegale». Il tramonto dell’epoca è quindi per lui connesso, oltre che alla «farsa» della Restaurazione, all’insolubilità di conflitti come questi, che la filosofia deve indagare con i suoi grandi occhi di civetta. 

lunedì 1 dicembre 2014