mercoledì 29 gennaio 2014

Ripensare Marx - Stefano Garroni -

Per una rilettura di Marx fuori dal dogmatismo e dalle semplificazioni scolastiche. 
Al centro, il profondo legame con il pensiero hegeliano e con la scienza.                                                                                                   


"Questo volume raccoglie scritti recenti, ma diversamente occasionati. Tuttavia, sembra a me che un filo rosso li leghi con evidenza: la convinzione che liberare Hegel dall’immagine che ne è stata costruita dalla tradizione (filosofo speculativo, conservatore sia da un punto di vista politico che, in verità, anche teorico), comporti non solo poter constatare convergenze tra il suo pensiero ed episodi importanti del pensiero novecentesco, ma anche aiuti a coglierne il profondo legame col pensiero di Marx, nella prospettiva di una società libera –perché sottratta al dominio della ‘necessità’; e più umana, perché emancipata ormai alle varie forme di estraneazione e di ‘positività’. 

Naturalmente questo filo rosso si riesce a cogliere, nel limite di una raccolta di scritti e non di un libro strictu sensu; tuttavia, va sottolineato che i singoli scritti sono il frutto degli insegnamenti, che ho ricevuto in particolare dal professor Francesco Valentini -uno dei più insigni studiosi italiani di Hegel; dal professor Hans Heinz Holz -per l’acutezza delle sue pagine e per l’ampiezza della sua cultura;  dai frequenti colloqui con Alessandro Mazzone; ed infine dai compagni del Collettivo di formazione marxista, per i tanti stimoli, che i loro interventi ed osservazioni mi hanno dato."  -Stefano Garroni- 

Leggi tutto il testo:  https://drive.google.com/file/d/1LZ8ucfV-9fb41qhBKL6zfIdnnfaDMAhJ/view?usp=sharing                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

venerdì 24 gennaio 2014

Sinistra, nazione e solidarietà internazionale - Un dibattito aperto... Cesaratto, Fusaro, Garroni...



                                                                                                                                                                                                                                                   Vedi anche:  https://www.youtube.com/watch?v=Jsxa1tJIvI&list=UUIUS1ZTwPg7TQNl8- sNzT8Q                               https://www.youtube.com/watch?v=9VTCrEbmtOo 











"Più facile, senz’altro, sognare il mondo di ieri: il discorso della svalutazione dentro un ritorno all’economia nazionale … Quello di cui vi sarebbe bisogno sono piuttosto lotte coordinate e proposte politiche uniche della sinistra su scala europea, a partire dai conflitti del lavoro e dei soggetti sociali, una spinta dal basso che c’è ma non è adeguatamente organizzata e neanche pensata, nell’orizzonte o di un drastico cambio del disegno della moneta unica ..." (Bellofiore e Garibaldo2013)

"Progredire, superare la crisi, significa per esempio riaffermare che gli interessi del lavoro incarnano l’interesse generale. Significa attribuire nuova centralità all’intervento pubblico nell’economia, a partire dal settore bancario. E significa chiarire che se salta la moneta unica bisognerà mettere in discussione, almeno in parte, anche il mercato unico europeo, in primo luogo stabilendo limiti alle acquisizioni estere e alla indiscriminata circolazione dei capitali."   Emiliano Brancaccio

“Di fronte al perdurare della crisi più grave degli ultimi centoventi anni, in mancanza di soluzioni innovative suggerite dai teorici agli attori politici, la tendenza più forte sembra purtroppo essere quella a ricorrere a vecchie soluzioni che, a lungo tempo screditate, tornano a un tratto di moda e suggeriscono misure affrettate e pesanti perché prese in ritardo e senza accordo anche tra paesi appartenenti a unioni di Stati, come i paesi europei. Nazionalismo, protezionismo, regolamentazione dei mercati sono i nomi di queste soluzioni. Averle screditate e messe da parte per più di un cinquantennio come se si trattasse di pulsioni peccaminose e indegne di una nuova e superiore organizzazione internazionale è stato colpevole e persino stupido, perché in forma blanda esse dovevano rimanere in voga, persino il nazionalismo, mentre ora ci si trova a prenderle velocemente e in dosi assai maggiori, senza usufruire dei vantaggi che sarebbero derivati da dosi moderate, e correndo in pieno il pericolo di precipitare il mondo intero in un nuovo disordine internazionale con conseguenze economiche e politiche simili a quelle che indussero le due guerre mondiali e il marasma degli anni venti e trenta del Novecento.”   Marcello De Cecco (2013)

"Sosteniamo che lo Stato nazionale sia lo spazio più prossimo in cui una classe lavoratrice nazionale può legittimamente sperare di modificare a proprio vantaggio i rapporti di forza. Nell'aver sostenuto lo svuotamento della sovranità nazionale in nome di un europeismo tanto ingenuo quanto superficiale, la sinistra ha contribuito a far mancare a sé stessa e ai propri ceti di riferimento il terreno su cui espletare efficacemente l’azione politica contribuendo in tal modo allo sbandamento democratico del paese."   Sergio Cesaratto  

"Riformismo e sociademocrazia… sono inconcepibili se alla forza del denaro non può essere contrapposta quella dello Stato – dunque se viene meno la sovranità dello Stato-nazione in campo economico ed essa non è sostituita da nuove forme di potere politico sovranazionale, capaci di regolare i processi produttivi e distributivi. Questo è proprio quello che è avvenuto con la costituzione dell’Unione Europea e dell’Eurosistema al suo interno [...] nessun processo di unificazione politica e di connessa centralizzazione dell’intera politica economica – finalizzata al sostegno della crescita dell’Unione nel suo complesso e al contenimento delle diseguaglianze al suo interno – ha accompagnato, compensandola, la perdita di sovranità subita da ciascuno Stato membro."  Massimo Pivetti (2011)

mercoledì 22 gennaio 2014

IL CAPITALE, LIBRO I, SEZIONE III, LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE ASSOLUTO, CAPITOLO 8, LA GIORNATA LAVORATIVA. - K. Marx -


AVVERTENZA PER IL LETTORE 

Il testo del I libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche: 

1   negli esempi numerici, per facilitare la lettura, sono state cambiate le unità di misura e le grandezze; 
2 –  diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle ed in grafici; 
3 – in alcuni esempi numerici le cifre decimali indicate sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata ponendovi a fianco un apice (). 
Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si è invece mantenuto le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione e per ragioni di fedeltà storica. 
Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro,laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”. 
Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.
                                                                                                                                                
IL CAPITALE
LIBRO I
SEZIONE III
LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE ASSOLUTO

CAPITOLO 8

LA GIORNATA LAVORATIVA
1 - I limiti della giornata lavorativa.

martedì 21 gennaio 2014

"carne" - Aristide Bellacicco -


 
uno

 

Appena entrato in casa, Gioel colpiva col dorso delle dita le corde della chitarra appesa al muro.

Faceva questo tutte le sere. Non suonava più da tre anni, però voleva che  lo strumento fosse sempre accordato. Ascoltava fino in fondo l'estinguersi del suono e se qualcosa non lo convinceva  si sedeva sul divano e regolava la corda allentata. Quando tutto era a posto, rimetteva con attenzione la chitarra al suo posto.

Poi si svestiva, si dava una sciacquata sotto le ascelle nel lavandino di cucina e si infilava le pantofole.

Ada portava via i vestiti sporchi. La cena era pronta: mangiavano loro due insieme seduti al tavolino, sfiorandosi i gomiti nel maneggiare le posate.

Di solito erano le otto o le nove di sera quando cenavano. Ada gli diceva "tutto a posto" oppure gli raccontava se nel palazzo era successo qualcosa e se avevano portato via qualcun altro.

Col tempo, la loro paura era cresciuta a un  punto tale da averli resi quasi insensibili.

Gioel ascoltava le notizie peggiori mentre masticava un pezzetto di pane o si metteva fra le labbra un cucchiaio di minestra.

Nel palazzo c'era un enorme silenzio. Erano rimasti solo i Meier al primo piano, e non c'era  più nessuno fino al quarto, dove abitavano Ada e Gioel. Da tre settimane avevano svuotato anche l'ultimo piano. Al di sopra  c'era solo il terrazzo, e forse ci viveva qualcuno, nascosto nel lavatoio abbandonato.

giovedì 16 gennaio 2014

Riabilitiamo la teoria del valore* - Augusto Graziani *

(*) Augusto Graziani, Riabilitiamo la teoria del valore (da I conti senza l’oste, Bollati Boringhieri, pp. 235-240). https://zeroconsensus.wordpress.com/ 



Non poco dell’insegnamento economico di Marx è stato assorbito silenziosamente da economisti di tradizione estranea al marxismo. Non è difficile scoprire, all’interno della tradizione economica borghese, l’esistenza di una vasta corrente sotterranea di origine marxiana, a volte sepolta nel profondo, a volte affiorante in superficie, comunque sempre presente e vitale.

L’analisi di Marx, per chi volesse utilizzare un termine moderno, può dirsi impostata in termini macroscopici. La definizione marxiana del capitalismo come sistema basato sulla separazione fra lavoro e mezzi di produzione, e sulla conseguente contrapposizione tra una classe di capitalisti proprietari e una classe di lavoratori nullatenenti, è espressa direttamente in termini di struttura sociale. Questa definizione del capitalismo, come sistema costituito da classi in conflitto, è quasi superfluo ricordarlo, viene fermamente respinta dalla teoria economica borghese, la quale resta saldamente affezionata all’idea del mercato come libera palestra di contrattazione, nella quale i singoli affermano le proprie preferenze e difendono i propri interessi.

L’imposizione individualistica, com’è noto, prende come punto di partenza l’agire del singolo individuo e, dall’analisi del comportamento del singolo, desume l’assetto globale del sistema economico. A questa procedura, Marx, con la sua impostazione macroeconomica, contrappone una procedura inversa, di contenuto storico e concreto. Ridotta all’essenziale, la sua logica può essere espressa così: poiché l’esperienza storica mostra che un sistema sociale quale il capitalismo, basato sulla separazione tra lavoro e mezzi di produzione, si è affermato e perdura, ciò significa che i soggetti che lo compongono si comportano in modo da garantire la sopravvivenza. Compito dell’analisi economica è proprio quello di scoprire tali regole di sopravvivenza. Per spingersi nel profondo, occorre scoprire le vere condizioni di equilibrio del sistema economico, che sono le condizioni della sua riproduzione. Questo è il compito che Marx assegna alla scienza economica. Per un economista, questa regola di metodo significa riconoscere priorità e autonomia all’analisi macroeconomica, lasciando all’analisi microeconomica (e cioè allo studio del comportamento individuale) il carattere di residuo derivato.

L’analisi di classe della società capitalistica conduce immediatamente Marx a una descrizione del processo economico inteso come circuito monetario. I lavoratori, privi per definizione di mezzi di produzione, non possono avviare alcuna attività produttiva. Le imprese, a loro volta, possono farlo soltanto dopo aver acquistato forza-lavoro. Il processo economico si mette dunque in moto soltanto nel momento in cui le imprese, ottenuto un finanziamento monetario dal settore delle banche, acquistano forza-lavoro e realizzano il processo produttivo. Lo stesso processo si conclude allorché le imprese, avendo vendute le merci prodotte, rientrano in possesso della moneta erogata e rimborsano alle banche il credito inizialmente ricevuto.

mercoledì 15 gennaio 2014

Per una discussione col professor La Grassa - Stefano Garroni -

                                             ...........La risposta del prof. G. La Grassa......................



molto simpatico, molto preciso, sa quel che dice, ha tutti i pregi possibili. Tuttavia, si dovrebbe capire che mi fa paura la fossilizzazione nella stretta filologia. Poi, non so più che cosa significhi l’affermazione secondo cui fuori del comunismo (quello centrato sul marxismo, e io stesso non ne riconosco altri che non siano prodotto di puri fantasisti chiacchieroni) c’è il capitalismo; e che a fronte del capitalismo ci sta ancora questo prodotto del pensiero ottocentesco chiamato proletariato. Non c’è “un” capitalismo; la società inglese di metà ’800, in quanto “laboratorio” scelto da Marx per la sua elaborazione effettivamente scientifica, era nettamente diversa già dal capitalismo Usa emerso dalla guerra civile (1861-65, e Marx era ancora vivo, ma non poté valutarlo e tenerne conto per ovvii motivi), ma lo era addirittura stellarmente rispetto a tale capitalismo all’epoca della prima guerra mondiale; e non parliamo degli Stati Uniti odierni! Il proletariato è sempre stato usato come sinonimo (confuso) di classe operaia; si può discutere fin che si vuole della differenza tra operaio e arbeiter, ma resta che tutto il marxismo successivo a Marx ha preso come “soggetto rivoluzionario” l’operaio (esecutivo) di fabbrica. E già non capire la differenza tra impresa e fabbrica mette fuori gioco l’analisi marxista tradizionale per quanto filologicamente precisata, approfondita, ecc. Ma soprattutto restare allo sfruttamento – non capendo il conflitto strategico (che investe ambiti non solo economici) in quanto centro della questione relativa alla forma di società – porta a non capire che tutte le presunte avanguardie dei lavoratori (sia partitiche sia sindacali) diventano gruppi posti allo stesso livello di quelli imprenditoriali e dei loro corifei politici. La Camusso non è “funzionalmente” diversa da Squinzi (o da Marchionne); o anche da Napolitano, ecc. Se si continua con lo schema capitale/lavoro si diventa, magari del tutto onestamente, reazionari, perché quella lotta non ha portato nella direzione voluta, era errata nell’impostazione e la prassi è dunque fallita. E ciò che ha cambiato il mondo nel XX secolo non è stato il proletariato/classe operaia, ma l’intuizione dello spostamento della rivoluzione verso i paesi ancora contadini dell’”est” (poi detti terzo mondo e anche questa teorizzazione ha infine cristallizzato il pensiero e la prassi); masse contadine in lotta sotto la guida di nuovi gruppi divenuti, necessariamente, dominanti e in contrasto con quelli “più vecchi”. Con risultati che ancora non si vogliono valutare, perché i “nuovi” gruppi sono falliti dappertutto; a “ovest” (società dette capitalismi, al plurale però, con un po’ più di verità) non c’è stata alcuna rivoluzione e la formazione americana resta la più flessibile e più adattabile alle nuove congiunture; a “est” c’è stato di tutto e il contrario di tutto, con la trasformazione del mondo, ma assolutamente differente da ciò che si voleva e prevedeva. Il grave è che ancora non si cerca nemmeno di capire in che senso è cambiata la situazione mondiale; si insiste a pensare al comunismo, al proletariato, allo sfruttamento in senso marxista. Dall’altra parte, si blatera di mercato, della sua globalizzazione, della finanza quale elemento “cattivo” del capitale (in sé “buono”), e altre cazzate varie. Basta con queste vecchiezze assurde. Si deve intraprendere un cammino del tutto diverso; e quando si va su una nuova strada, inutile credere che non ci siano erbacce, pozzanghere, buche e quant’altro. Non si costruisce d’emblée una buona via, scorrevole, con critiche a Marx, ma quelle solo “fondate”. Mi dispiace, l’unica cosa che resta valida è la seguente: bisogna picchiare sulla testa di cretini che filosofesseggiano (non filosofano, tutt’altra cosa) in modo tale da impedire di capire la realtà in cui siamo, in modo da coprire i vecchi gruppi dominanti. Si deve procedere ad una “nuova scienza”; ma si deve pensare e ripensare su quali postulati essa si baserà, quali costruzioni logiche (che non riproducono la realtà, quella che tutti vogliono vedere come vera e raggiungibile con il nostro cervello) saranno le più adatte a costruire campi per la conduzione del conflitto. Un conflitto che sarà sempre tra gruppi organizzati e coordinati, con le “masse” il cui movimento è indispensabile, ma non secerne ciò che si deve fare. Credere ancora a queste fanfaluche è materialismo volgare esattamente come quello di coloro che credono al pensiero in quanto secrezione del cervello, ad un hardware che possa produrre direttamente il software, ad una tecnica pianistica (o del ballare) che produce il gran pianista o il gran ballerino, ad una orchestra che suona senza direttore, ecc. ecc.. Così poi vengono fuori i governi dei tecnici che portano a fondo un paese. E i filologi marxisti rischiano, del tutto onestamente in certi casi (non in tutti), di produrre gli stessi guasti irreparabili!
                                                                                                                                                                                                                                                                     ................................................................e ancora, seppur datato (2008), un altro commento..................................................................:
 
 http://www.webalice.it/mario.gangarossa/sottolebandieredelmarxismo_identita/2008_01_michele-basso_rivoluzione-contro-il-capitale-o-nuova-revisione-del-marxismo.htm

mercoledì 1 gennaio 2014

Appunti per "Rileggere Marx". - Stefano Garroni -


Lo scopo di questa raccolta di scritti è  mostrare l’attualità- in un’accezione non negativa del termine- della riflessione marxiana, qui esemplificata con la sua opera maggiore, Das Kapital. In sostanza mi sembra che questo si debba dire: il pensiero di Marx ha legami profondi con la parte più viva, dinamica e consapevole della cultura moderna, di quella cultura, cioè, che definisce lo"spirito"del nostro tempo. In questo senso, attraverso Marx (anche attraverso Marx) giungiamo alla consapevolezza di noi stessi, della problematica e delle alternative, che son proprie della nostra vita attuale (appunto!). Il che naturalmente non nega la possibilità di un giudizio anche negativo della riflessione marxiana, ma dice che una tale critica è legittimata solo da una critica più vasta e radicale, che investa una parte sostanziale  della coscienza moderna: per dirla con un apparente paradosso non basta mostrare che questa o quella tesi economico-sociale, elaborata da Marx, non ha trovato riscontro nello svolgersi effettivo dei fatti, perché l’autentico problema è mostrare l’inadeguatezza della angolatura etico-epistemologica (filosofica, insomma), entro cui Marx si colloca e che costituisce il retroterra delle analisi, che egli compie e delle soluzioni che prospetta.

Nel titolo della mia ricerca c’è il termine “Appunti”: perché? Ma perché piuttosto che l’analisi puntuale di specifiche questioni, ciò che mi preme è indicare una problematica, che Marx raccoglie da quel più ampio filone culturale, di cui ho detto sopra e che, certamente, ha in Hegel un momento decisivo.