mercoledì 30 agosto 2017

La complessità del fenomeno migratorio e le sue determinanti*- Alessandra Ciattini**

*Da: https://www.facebook.com
**Insegna Antropologia culturale alla Sapienza.

Migrare è una tendenza umana spontanea o è frutto di specifiche determinazioni? 

Il sito Italianieuropei, rivista della fondazione di area politica riformista, voluta da una serie di personaggi, tra cui spicca Massimo D’Alema, contiene un articolo sul fenomeno delle migrazioni, volto a rassicurare i lettori spaventati dalle migliaia di arrivi di profughi provenienti dal cosiddetto sud del mondo. Molto significativo è il titolo dell’articolo (Immigrazione: fenomeno inevitabile, sfida da vincere), i cui contenuti cercheremo di smontare con una serie di argomentazioni storiche, economiche e antropologiche.
Innanzi tutto, del tutto ingenui sono i punti di partenza dello scritto: “Spostarsi sul territorio è un fatto naturale della vita. I movimenti migratori sono stati uno dei principali motori del popolamento del pianeta e del suo sviluppo economico e sociale”.
La prima constatazione tende a mettere sullo stesso piano i vari tipi di migrazione, che hanno alla loro base motivazioni assai diverse, come per esempio il passaggio dello stretto di Bering di uomini provenienti dall’Asia e diretti in America, avvenuto durante l’ultima era glaciale (situata in epoche diverse dagli studiosi), e la tratta degli schiavi (non solo africani), che analogamente produce spostamenti, in questo caso indesiderati, di popolazioni. In questo senso banalizza e destorifica eventi originati da problemi complessi e assai diversi tra loro. Questa visione delle migrazioni in termini così astratti e generali (considerata già da Francisco de Victoria un diritto dei popoli) [1] sembrerebbe fare di tali trasferimenti una passeggiata, un ameno spostarsi sul territorio.
La seconda affermazione costituisce un falso, giacché le migrazioni sono di segno diverso ed hanno esiti differenti: sono sollecitate dalla fuga dalle guerre e dalla povertà (provocate da coloro che oggi gridano “aiutiamo i migranti a casa loro” o invocano il principio dell’accoglienza), causano esse stesse nel loro percorso perdite umane (molti africani morivano nella traversata dell’Atlantico per giungere in America), i migranti, spostandosi, conquistano nuove terre e massacrano i loro abitatori. Tanto per fare un esempio: il popolamento dell’America da parte degli europei è stato un vantaggio per gli amerindiani e ha prodotto per loro benefici economici e sociali? Credo che la risposta sia un netto NO e che può apparire un vantaggio solo a chi si mette surrettiziamente dalla parte dei vincitori e che, dunque, l’aspetto positivo del fenomeno può essere differente a seconda del punto di vista di una delle parti in causa fatto proprio dallo studioso. 

martedì 29 agosto 2017

LE TEORIE DEL VALORE*- Stefano Garroni**

*Da:  mirkobe79
**Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano.



[...]Il fatto, che il modo in cui è stata criticata l’economia classica da parte del pensiero economico borghese contemporaneo, è un anticipo, proprio delle modalità dell’ideologia postmoderna; questo non è un fatto da poco. Perché noi sappiamo per esempio che effettivamente la sinistra – è mostruoso ma ormai sono decenni in cui si dice ‘la sinistra’ per intendere i comunisti e gli altri, come se i comunisti fossero la sinistra e non i comunisti. Questo è un gran casino!- la sinistra ha accettato l’ideologia postmoderna, e quest’ideologia, non dico che sia nata lì, ma ha avuto uno dei suoi momenti di nascita nella critica al pensiero economico classico. Il pensiero economico classico è quello che dà il centro al tema della produzione e non alla circolazione, quello che si pone il problema del valore, quello che cerca di elaborare un sistema economico, cioè che ha tutte le caratteristiche di una cultura che ritiene che la ragione possa conoscere il mondo. Voi lo sapete, quella mostruosa affermazione di Hegel “Il reale è razionale”, è stata presa nel modo più incredibile. Lì Hegel sta dicendo una cosa semplice: la realtà è comprensibile, la ragione umana è in condizioni di capire la realtà, la ragione del mondo è la stessa ragione della capoccia. Sta dicendo che il mondo è conoscibile: io uomo sono a casa mia nel mondo, il mondo non è il luogo dell’estraneità, del mistero. Pensate a tutto il discorso postmoderno sulla scienza che non conosce, la scienza che è solamente pragmatica e che non ha senso cercare di arrivare all’essenza perché tutto è superficie incomprensibile, ecc. ecc. (Nietzsche, Heidegger e tutte queste cose), la sinistra le ha fatte proprie. L’idea stessa di un partito debole si lega esattamente all’idea che la ragione sia debole. Se la ragione è debole, cioè non capisce, non va a fondo, non ha nessun senso un partito rigoroso. Che senso ha?

L’economia classica – prima di Marx -, si pone il problema della costruzione di un sistema economico, di una ragione che conosce le regole di fatto, cioè non è scettica in questo senso, ma è pienamente mondana, è consapevole per esempio che non si può parlare di fenomeno economico se non parli di fenomeno politico, se non parli di fenomeno storico, se non parli di fenomeno morale, cioè che l’economia fa parte del complesso dell’esperienza umana e che ogni aspetto dell’esperienza si capisce in connessione con l’altro e se rompi la connessione non capisci più nulla. Questo pensano gli economisti prima di Marx.

domenica 27 agosto 2017

La scienza moderna fra Bacon e Galilei*- Enrico Bellone**

*Società.filosofica.italiana.Bergamo
**Enrico_Bellone è stato un fisico e storico della scienza italiano.
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/pedro-de-alcantara-figueira-nascita.html
                       https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/09/il-dualismo-mente-corpo-un-dilemma.html



Galileo lesse il verdetto e un monacello venne a trovarlo.                                
Era figlio di poveri contadini, voleva sapere come acquistare il sapere, voleva saperlo,
voleva saperlo.

Palazzo dell’ambasciata fiorentina a Roma. Galileo sta parlando con frate Fulgenzio.

GALILEO Parlate pure: il vostro abito vi dà diritto di dire tutto quel che volete.

FULGENZIO  Ho studiato matematica, signor Galilei.

GALILEO Questo può tornarci utile, se vi induce ad ammettere che due e due
possono anche fare quattro.

FULGENZIO Signor Galilei, non ho chiuso occhio da tre notti per tentar
di conciliare il decreto, che ho letto, con le lune di Giove, che ho viste.
Stamattina ho deciso di dire la messa e poi di venirvi a trovare.

GALILEO    Per dirmi che le lune di Giove non esistono?

venerdì 25 agosto 2017

Karl Marx. Ritorno al futuro*- Roberto Fineschi

 rete dei comunisti Pisa 
Attualità di Marx:


La Rete dei Comunisti propone a Pisa un ciclo d’incontri di formazione sull’opera di Karl Marx.

Data per superata più volte nella storia recente, l’opera di Marx torna “in auge” ogni qualvolta, nell’evoluzione del processo storico, emergono le intrinseche contraddizioni del modo di produzione capitalistico, così come furono analizzate, nelle sue forme generali, dal teorico tedesco. Analisi che evidenziano la lungimiranza e la potenza di quella costruzione analitica, dandoci strumenti per la comprensione delle attuali crisi di sistema, che conducono le società contemporanee su di vie senza uscita, se non quelle della barbarie e della guerra.

Molti “Maître à penser” del sistema di comunicazione/formazione dominante hanno recentemente “riscoperto” il valore e l’attualità di quelle folgoranti analisi. Dotti editoriali e profonde riflessioni, ospitati su organi d’informazione economica e finanziaria di prim’ordine, hanno “sezionato” la teoria marxiana estrapolando da essa passaggi utili a comprendere alcune contraddizioni del sistema, soprattutto nel settore finanziario, additato come padre di tutti i malanni che affliggono l’economia internazionale.

Esercizio utile a esorcizzare lo “spettro” che continua ad aggirarsi per L’Europa, attraverso la sua disarticolazione e riduzione a una tra le tante “teorie economiche” presenti sul mercato delle idee.

Avvalendoci del contributo di Roberto Fineschi, studioso dell'autore tedesco apprezzato a livello internazionale, cercheremo di introdurre un pubblico più ampio a un pensiero che può essere compreso solo nella sua complessità, iniziando con i primi quattro incontri un percorso che ci porterà ad analizzare parti importanti dell'opera di Marx.

I temi saranno i seguenti:

Attualità di Marx:  https://www.youtube.com/watch?v=E147rVAa65E

Una teoria della storia (oltre Hegel):  https://www.youtube.com/watch?v=qr1UVHF0QCo

Soggetti storici e lotta di classe:  https://www.youtube.com/watch?v=yKDt180j1ac

Marx “economista”:  https://www.youtube.com/watch?v=L6NfgubLzK0


mercoledì 23 agosto 2017

Venezuela, dialettica della transizione*- Geraldina Colotti

*Da:  https://www.facebook.com/geraldina.colotti
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/08/11-tesi-sul-venezuela-e-una-conclusione.html


Condivido, per chi vorrà diffonderla, una riflessione sulle critiche rivolte al socialismo bolivariano in un momento cruciale della sua transizione.


Dall’Italia alla Francia, dalla Spagna all’America latina si moltiplicano le analisi dei “critici-critici” sulla situazione in Venezuela. Si avverte, soprattutto in Italia, l’affannosa ricerca dell’aurea mediocritas da parte di una certa sinistra piccolo-borghese: l’assunzione di quell’aurea via di mezzo che consente, da una posizione intermedia, di cogliere la pagliuzza negli occhi degli altri per non vedere la trave nei propri. Contro il socialismo bolivariano, ognuno agita i propri fantasmi rimettendo in circolo, spesso senza nominarli, dubbi e nodi irrisolti delle grandi rivoluzioni. Ma intanto, anche se “Maduro non è Chavez”, come ripetono come un mantra i cantori dell’”aureo mezzo”, i nemici che deve affrontare sono gli stessi che ha dovuto combattere Chavez. Maduro, se è per questo, non è neanche Allende ma – come ha fatto notare l’analista argentino Carlos Aznarez – le forze che vogliono abbatterlo sono le stesse, mutatis mutandis, che hanno stroncato la “primavera allendista” nel Cile del 1973.

Anche al “socialismo del XXI secolo”, dunque, che si definisce umanista, cristiano, libertario e gramsciano, tocca misurarsi con gli scogli di quello novecentesco, disseminati su una rotta che appare per molti versi simile.

Di tentativo in tentativo, infatti, sembra che il “laboratorio” boliviariano venga ricacciato nei dilemmi del secolo scorso. I chavisti come i bolscevichi al tempo di Lenin e Trotsky? La “profezia” sull’involuzione del socialismo sovietico, espressa da Rosa Luxemburg nel famoso saggio La Rivoluzione Russa, si applicherebbe a Maduro e alla “forzatura” dell’Assemblea Costituente? Con le sue ultime decisioni il socialismo bolivariano avrebbe chiuso la porta alla “democrazia illimitata” e alla migliore eredità delle libertà borghesi? E, se questo è vero, quale cammino ha imboccato un percorso di transizione che, sino ad ora, non aveva mai scansato l’appello diretto e universale al responso delle masse?

Fin dal 1998, in Venezuela, ciò che accade è chiaro. Un progetto di nazionalismo democratico vince le elezioni e progressivamente si muta in un tentativo di trasformazione socialista che tuttavia rispetta il quadro delle libertà borghesi e di quella “democrazia illimitata” di cui parla Rosa Luxemburg nel suo famoso saggio. Per azzardi e sperimentazioni, anche forzando l’impalcatura dello Stato borghese onde depotenziarne i meccanismi dall’interno in nome della “democrazia partecipativa e protagonista”, Chavez ha sempre fatto ricorso alle urne per legittimare le sue scelte, affidandole al voto con suffragio universale diretto e segreto: all’esercizio illimitato della democrazia, appunto. E adesso?

martedì 22 agosto 2017

NOTE SUI SIGNIFICATI DI “LIBERTÀ” nei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel*- Vladimiro Giacché**

*Da:  Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, 1990, n. 2.   **Economista italiano, laureato in filosofia 
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/totalitarismo-triste-storia-di-un-non.html 

1. Premesse generali

Negli ultimi anni, dopo decenni di preminente attenzione alle implicazioni della filosofia hegeliana del diritto sul terreno delle dottrine politiche e delle teorie della società, il panorama delle interpretazioni è venuto gradatamente mutando. Volendo dare conto delle principali novità interpretative, se ne possono indicare in particolare due: da un lato l’accresciuto interesse per il rapporto tra i Lineamenti di filosofia del diritto e la Scienza della logica e nei confronti di quelle che potremmo definire come le “costanti logiche” che operano all’interno della filosofia hegeliana del diritto i; dall’altro, il tentativo di leggere i Lineamenti hegeliani sul metro di una filosofia dell’azione, cercando non di rado di porre il pensiero di Hegel a confronto con i più recenti indirizzi teorici, manifestatisi soprattutto in ambito anglo-americanoii. Per motivi in parte differenti, entrambe queste nuove e feconde direzioni di lettura hanno portato con sé la necessità di fare i conti, più seriamente che in passato, con i paragrafi introduttivi dei Lineamenti (§§ 1-32), nei quali Hegel ci offre, come recita l’indice dell’opera, il “concetto della filosofia del diritto, del volere, della libertà e del diritto”. Per chi voglia, più in particolare, trattare la concezione hegeliana della libertà del volere, l’esigenza di affrontare direttamente i nodi teorici e le distinzioni di significato proposte nei primi paragrafi dei Lineamenti è sicuramente ineludibile. Nelle prossime pagine, dopo aver dedicato qualche breve considerazione ad alcuni princìpi e postulati generali di particolare rilievo per la trattazione hegeliana di questo tradizionale tema metafisico, tenterò appunto di mostrare come l’introduzione ai Lineamenti definisca la cornice teorica all’interno della quale si situano le                                                                                                          riflessioni dedicate al problema della libertà nel corso dell’opera.

Per un primo avvicinamento alla trattazione hegeliana della libertà appare utile rifarsi innanzitutto ad alcuni generali presupposti metodici ed ontologici che caratterizzano la posizione del filosofo tedesco:

1.1. Il rifiuto del metodo definitorio: significato ed applicazioni di un concetto non possono dedursi semplicemente da alcune definizioni iniziali; per quanto riguarda il tema della “libertà”, questo rifiuto si traduce nell’affermazione secondo la quale “che la volontà è libera e che cosa è volontà e libertà - la deduzione di ciò può trovar luogo... unicamente nella connessione dell’intero” (Lineamenti § 4 A; cf. § 2, A).

1.2. A quel primo presupposto metodico ne va aggiunto uno di carattere ontologico, consistente nel concepire il reale come ordinato secondo una scala ascendente di livelli di perfezione (Hegel parla a questo proposito di “adeguatezza tra concetto e realtà”, e di “verità”); tale assunto si traduce, sul piano del metodo, in una sorta di

1.3. principio di retrospettività, per il quale l’ultimo significato di un termine nell’ordine dell’esposizione è primo per importanza, e ad esso vanno commisurati i precedenti.

I tre punti ora richiamati convergono nel conferire ai testi hegeliani una delle loro caratteristiche più appariscenti: il mutamento di significato delle nozioni decisive (facendo riferimento anche al frequente utilizzo hegeliano di termini come soggettività, libertà, infinità, verità, autofinalità in qualità di sinonimi si potrebbe esprimere in forma paradossale questo aspetto dicendo che in Hegel molti termini-chiave posseggono un solo significato, ed ognuno ne ha molti).

1.4. Un ultimo presupposto da menzionare è infine il monismo, come esigenza di un legame interno nello sviluppo delle determinazioni: per esso è necessario che ogni determinazione fondamentale mantenga un nucleo di significato comune a tutte le sue accezioni (l’espressione più importante di questa esigenza consiste, come è noto, nel tentativo di mostrare il “concetto” della Scienza della logica come sviluppo-arricchimento dell’“es­sere”).

Per quanto riguarda il concetto di “libertà”, due problemi balzano immediatamente agli occhi in relazione ai presupposti sopra menzionati: 

a) se termine di paragone della “libertà” è il suo compimento, il suo “concetto sviluppato”, qual è però questo realmente? La libertà quale si realizza all’interno dell’eticità (la libertà dello “spirito oggettivo”) o la libertà consistente nella contemplazione filosofica (ossia la libertà dello “spirito assoluto”)? E ancora: è possibile gettare un ponte tra questi due significati, evitando al contempo di identificare “Weltgeist” e “spirito assoluto”? Il tentativo di dare una risposta a questi interrogativi - altrimenti formulabili nel problema della priorità tra “Wissen” e “Wollen” - domina larghissima parte della letteratura critica e non potrà essere oggetto del presente lavoro.

b) Un secondo problema riguarda il solo terreno dello “spirito oggettivo”, ed è la domanda a cui queste pagine tentano di dare una risposta: è possibile accertare, all’interno della Filosofia del diritto, la presenza di un nucleo unitario di significato della nozione di “libertà”, oppure tale termine è sottoposto a tensioni irresolubili nel mutarsi delle sue accezioni? 

lunedì 21 agosto 2017

11 tesi sul Venezuela e una conclusione maturata*- Juan Carlos Monedero**

*Da:   https://www.carmillaonline.com   Link originale http://www.alainet.org/es/articulo/187390 – Traduzione dell’articolo in italiano: Fabrizio Lorusso –
**Juan Carlos Monedero è saggista, dottore in Scienze politiche e sociologia alla Università Complutense di Madrid, Spagna, e tra i fondatori del partito Podemos.
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/08/venezuela-la-causa-oscura.html
Leggi anche:  http://www.marx21.it/index.php/internazionale/america-latina-e-caraibi/28278-chavismo-o-golpe-i-dubbi-morali-dellintellighenzia-occidentale


“E seguitava a ripetere la stessa cosa: “Questo non è come in una guerra… In una battaglia hai il nemico davanti… Qui il pericolo non ha volto né orario”. Si rifiutava di prendere sonniferi o calmanti: “Non voglio che mi acchiappino addormentato o assopito. Se vengono a prendermi, mi difenderò, griderò, getterò i mobili dalla finestra… Scatenerò uno scandalo…”.
Alejo Carpentier, La consacrazione della primavera


1. E’ indubbio che Nicolás Maduro non è Allende. E nemmeno è Chávez. Ma quelli che hanno fatto il golpe contro Allende e contro Chávez sono, e anche questo è indubbio, gli stessi che ora stanno cercando di attuare un golpe contro il Venezuela.

2. I nemici dei tuoi nemici non sono tuoi amici. Può non piacerti Maduro senza che ciò implichi dimenticare che nessun democratico può mettersi dalla parte dei golpisti che hanno inventato gli squadroni della more, i voli della morte, il paramilitarismo, l’assassinio della cultura, l’operazione Cóndor, i massacri di contadini e indigeni, il saccheggio delle risorse pubbliche. E’ comprensibile che ci sia gente che non voglia schierarsi con Maduro, ma conviene pensare che dal lato di chi sostiene i golpisti ci sono, in Europa, i politici corrotti, i giornalisti mercenari, i nostalgici del franchismo, gli imprenditori senza scrupoli, i venditori di armi, quelli che difendono l’austerity e che celebrano il neoliberalismo. Non tutti quelli che criticano Maduro difendono queste posizioni politiche.Conosco gente onesta che non sopporta ciò che sta succedendo proprio adesso in Venezuela. Ma è evidente che dal lato di chi sta cercando un golpe militare in quel paese ci sono quelli che sempre hanno sostenuto i colpi di stato militari in America Latina o che mettono i loro affari prima della democrazia. I mezzi di comunicazione che stanno preparando la guerra civile in Venezuela sono le stesse corporazioni mediatiche che ci hanno venduto le armi di distruzione di massa in Iraq, il riscatto delle banche con soldi pubblici o il fatto che l’orgia di milionari e corrotti vada pagata da noi tutti con tagli e privatizzazioni. Sapere che si condivide la trincea con gente simile dovrebbe imporre una riflessione. La violenza deve essere sempre la linea rossa da non oltrepassare. Non ha senso che l’odio verso Maduro collochi qualcuno decente a fianco dei nemici del popolo.

domenica 20 agosto 2017

Perchè un dottorando italiano è stato torturato e ucciso in Egitto?*- Declan Walsh**

*articolo tratto da The New York Times Magazine, 15 agosto 2017, traduzione per http://www.senzasoste.it di Nello Gradirà
**Declan Walsh è il capo corrispondente dal Cairo per The Times.
Leggi anche:  http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/notizie/2017-08-16/soliti-sospetti-stampa-e-mondo-vinti-221658.shtml


Con l’articolo del New York Times, uscito in sincronia col ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo, lo straziante caso di Giulio Regeni assume, a maggior ragione, i pieni contorni di un delitto politico. Certo, chi conosce davvero nel dettaglio indagini, le prove, la lingua, il contesto è in grado di capire se si tratta di un delitto immediatamente politico, con dei mandanti consapevoli fin dall’inizio, oppure se questo “status” di politicità è stato acquisito nel tempo. Un delitto politico, nei rapporti tra Stati, serve a ristabilire dei rapporti di forza, esterni e soprattutto in quella zona di confine, meno visibile, che sta tra governance, servizi segreti, appalti, finanza. Invece di fare i detective da tastiera, anche se animati magari da buone intenzioni, proviamo quindi a capire la conformazione di un pò di fili che compongono la matassa dell’assassinio politico di Giulio Regeni.  Si parla di un delitto che, per chi abbia messo un minimo le mani sulle questioni legate alla lettura del significato  della tortura, assume caratteri chiari: le molte modalità di uccisione simbolica di Regeni, ognuna per ogni diverso tipo di mutilazione fino al collasso definitivo del suo corpo, si sono saldate con i molti significati politici assunti dalla sua uccisione reale. E’ il fatto, forse, meno compreso al livello di opinione pubblica dell’articolo sul New York Times. L’uccisione di Regeni non è stato solo un avvertimento, chiaro e terribile, ai ricercatori, ai militanti dal basso, agli attivisti che si sono mobilitati,  nelle tante forme della solidarietà internazionalista, subito dopo la primavera araba. E neanche solo, e già questo interessa il livello diplomatico, un segnale, del genere “state sul vostro”, a quel mondo che si muove tra ricerca e lavoro di intelligenze tra università americana del Cairo e università inglesi di cui Regeni, suo malgrado, rappresentava comunque il contesto. E’ lo stesso New York Times che dà una lettura politica, nell’articolo, del delitto Regeni: le autorità egiziane hanno fatto capire di voler uccidere chiunque, anche bianchi ben visibili sui media, quando i loro affari interni lo richiedano. E questo per gli americani non è accettabile, non a caso il NYT, nello stesso articolo, rivela la furibonda sceneggiata del segretario di stato Usa, Kerry, contro le autorità egiziane sul caso Regeni. Questo perché gli americani valutano che quando un paese, ampiamente finanziato e supportato dagli Usa nei decenni come l’Egitto, si prende di queste licenze vuol dire che cerca troppa autonomia.

Le molte uccisioni di Regeni, operate simbolicamente tramite le mutilazioni del suo corpo prima di ucciderlo, portano quindi con sè una molteplicità di avvertimenti: agli attivisti, per i quali il messaggio è molto sinistro, al mondo della ricerca, agli Usa, alla stessa Gran Bretagna, supporter storici dell’Egitto. Ma, si sa, tutto nell’area è in movimento. E l’Italia? Il fatto che il cadavere di Regeni sia stato fatto trovare durante la visita della ministro Guidi al Cairo, unisce coincidenza temporale a messaggio politico. Già, ma quale messaggio politico? Tra i tanti ne spiccano due: un avvertimento al mondo degli affari italiano, l’Eni e la ministro Guidi stavano lavorando ad appalti considerevoli, e a quello politico che ha un nome preciso: Libia. Entrambi parlano di un contenimento, o una rimodulazione, delle ambizioni italiane nell’area sia in campo economico che politico. Certo, ogni settore ha le proprie esigenze. Curiosamente quelle dell’Eni coincidono con le disgrazie politiche della ministro Guidi. Infatti non solo l’ex ministro si è trovata nello sgradevole ruolo della persona incaricata di ritirare il “messaggio” Regeni in Egitto. Ma è anche rimasta impigliata nello scandalo, che gli è costato il posto di ministro, dell’inquinamento del centro Eni di Cova di Viggiano. E chi copre oggi, per l’ENI, la perdita di produzione del centro Eni di Viggiano? Ma ovvio: l’importazione di gas dal giacimento di gas di Zohr in Egitto. Siamo parlando di un giacimento scoperto dall’ENI nel 2015 con un potenziale di risorse fino a  850 miliardi di metri cubi di  gas e un’estensione di circa 100 chilometri quadrati, la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel Mar Mediterraneo.

sabato 19 agosto 2017

Better Fewer, But Better*- Vladimir Lenin (1923)

*Da:  https://www.marxists.org  - L'articolo Meglio meno, ma meglio e l'altro articolo Come riorganizzare l'Ispezione operaia e contadina, furono scritti da Lenin per il XII congresso del partito.
Il XII congresso del PCR(b), che si tenne dal 17 al 25 aprile 1923, tenne conto nelle sue decisioni delle indicazioni date da Lenin negli ultimi articoli e lettere. Il congresso approvò una speciale risoluzione "Sui compiti dell'Ispezione operaia e contadina e della commissione centrale di controllo", nonché la decisione di unificare il lavoro degli organi della commissione centrale di controllo e del commissariato del popolo per l'Ispezione operaia e contadina (vedi Il PCR(b) nelle risoluzioni e decisioni dei congressi, delle conferenze e dei plenum del CC, parte I, 1940, pp. 498-501-502).
Pubblicato nella Prava, n. 49, 4 marzo 1923.
Trascritto dall'Organizzazione Comunista Internazionalista (Che fare) e da Pagine rosse, Gennaio 2003



Per poter migliorare il nostro apparato statale, l'Ispezione operaia e contadina, a parer mio, non deve correr dietro alla quantità e non deve aver fretta. Finora abbiamo avuto così poco tempo per riflettere sulla qualità del nostro apparato statale e preoccuparcene, che sarebbe giusto dedicarsi con particolare attenzione e serietà alla sua organizzazione e concentrare nell'Ispezione operaia e contadina materiale umano di qualità realmente moderna, cioè non inferiore ai migliori modelli dell'Europa occidentale. Certo, per una repubblica socialista questa condizione è troppo modesta, ma il primo lustro ci ha resi piuttosto diffidenti e scettici. E involontariamente siamo propensi a esserlo verso colore che troppo, e troppo alla leggera, blaterano, per esempio, sulla "cultura proletaria": per incominciare ci accontenteremmo della vera cultura borghese, ci basterebbe sbarazzarci dei tipi di cultura preborghese particolarmente odiosi, cioè della cultura burocratica, feudale, ecc. Nei problemi della cultura è soprattutto dannoso aver fretta e voler fare le cose in grande. Molti nostri giovani letterati e comunisti se lo dovrebbero ficcare bene in testa.

Così, riguardo all'apparato statale dobbiamo trarre dall'esperienza precedente la conclusione che sarebbe meglio andare più adagio.

Nell'apparato statale la situazione è a tal punto deplorevole, per non dire vergognosa, che dobbiamo innanzi tutto pensare seriamente al modo di combatterne i difetti, ricordando che questi difetti hanno le loro radici nel passato, che, sebbene abbattuto, non è stato superato, non è ancora una fase della cultura appartenente a un passato ormai remoto. Pongo qui il problema della cultura, proprio perché in questi problemi bisogna considerare come acquisito soltanto ciò che è entrato a far parte della cultura, della vita, ciò che è diventato un abito. E da noi si può dire che quanto di buono esiste nell'organizzazione sociale non è oggetto di profonda riflessione, non è compreso, sentito; è stato afferrato in fretta, non è stato messo alla prova e confermato dalla esperienza, non è stato consolidato, ecc. E non poteva certo essere altrimenti nel periodo della rivoluzione, e con un ritmo di sviluppo cosi vertiginoso che ci ha condotti in cinque anni dallo zarismo al regime sovietico.

venerdì 18 agosto 2017

Polanyi, Hayek e le aporie del reddito di cittadinanza*- Riccardo Evangelista**

** Dottore di ricerca in Sviluppo Economico: analisi, politiche e teorie presso l’Università di Macerata

Nowadays, basic income is acclaimed as the main example of a progressive idea of society, free from poverty and exploitation. However, as emerges provocatively by Polanyi and Hayek’s analysis, basic income could easily become an economic policy alternative to full employment. But when unemployment is accepted as a natural order in a situation of unsatisfied basic needs, we are facing a regressive vision of economic system. 
      
     1. Introduzione 
Mentre in Italia la discussione è ancora in divenire, dal gennaio 2017 la Finlandia ha iniziato la sperimentazione del reddito di cittadinanza, fissato per l’occasione a 560 euro mensili. Da un primo sguardo emergono modalità di attuazione piuttosto singolari, se non stravaganti: sono stati infatti sorteggiati 2000 cittadini tra i 25 e i 63 anni, che riceveranno l’assegno indipendentemente dal salario ma in alternativa al sussidio di disoccupazione. Lo scopo, a detta del governo presieduto dal centrista Juha Sipilä, è di valutare le conseguenze dell’erogazione monetaria, percepita dai riceventi come sicura, sulla propensione ad accettare un lavoro. I risultati saranno resi noti solo nel 2019, momento in cui verrà deciso se continuare, modificare o interrompere l’esperimento. 

Nel frattempo che il caso finlandese dispieghi i suoi effetti, emerge l’opportunità di alcune considerazioni il più possibile generali, troppo spesso trascurate in favore di analisi empiriche talvolta col fiato corto. Nonostante le modalità specifiche di attuazione siano ovviamente rilevanti per un giudizio non parziale, così come le questioni finanziarie sulla sostenibilità delle erogazioni, lo scopo del presente contributo è diverso: verrà proposta una breve riflessione teorica che provi ad indagare i presupposti fondamentali del reddito di cittadinanza nell’ambito delle scelte complessive di politica economica. Per farlo si proverà a interrogare due autori che la questione del reddito di cittadinanza se la sono già posta, arrivando a giudizi molto diversi ma comunque estremamente interessanti. 

mercoledì 16 agosto 2017

L'inchiesta operaia*- K. Marx (1880)


                       - Lettera di Marx a Sorge
                       - Considerazioni preliminari e Programma minimo del Partito operaio francese 



Premessa - di Gianfranco Pala 

Nel presentare le 100 domande del "questionario" - meglio conosciuto poi come inchiesta operaia - scritte di proprio pugno dal vecchio Marx, due anni e nove mesi prima di morire, per conto dei compagni del partito operaio francese, e pubblicate sulla Revue socialiste di Benoît Malon [nel n.4 del 20 aprile 1880], ci è sembrato, più che opportuno, indispensabile farle precedere da quelle pagine marxiane che, già anni prima, le avevano delineate e preparate, e da quelle altre considerazioni collaterali che ne accompagnavano il contesto politico culturale. [Il solo testo dell'inchiesta fu già pubblicato in italiano dai Quaderni rossi nel 1963, ma appunto al di fuori di quel contesto che ne può spiegare meglio genesi storica e significato politico. I materiali di accompagnamento dell'inchiesta furono pure pubblicati in un volumetto - Karl Marx, Documenti, De Adam, Parma 1969 - rimasto fuori del mercato e quindi praticamente sconosciu­to ai più. Recentemente la presente riproposizione di una compiuta esegesi moderna dell'inchiesta operaia è stata pubblicata dalla rivista Invarianti, n.25, settembre 1994]. 

Il primo testo di riferimento è quello relativo alle Istruzioni per i delegati del consiglio centrale provvisorio dell'associazione internazionale dei lavoratori [il consiglio si riunì a Ginevra nel settembre 1866, due anni dopo la fondazione dell'associazione; gli atti furono pubblicati in The international courier, organo dell'Ail, Londra 20 febbraio 1867]. La proposta originaria di una "inchiesta statistica sulla situazione delle classi lavoratrici" si trova lì formulata per la prima volta da Marx stesso, e articolata in uno schema generale di 11 punti. Abbiamo ritenuto importante pubblicare - unitamente a quella proposta che si trova in un paragrafo iniziale sul "coordinamento internazionale" - anche i successivi paragrafi delle medesime "istruzioni", in quanto riguardanti temi centrali della condizione operaia e delle rivendicazioni minime dei lavoratori della I internazionale. Non è senza significato che codesti temi - strettamente connessi e contestuali alla proposta dell'inchiesta - siano quelli della riduzione del tempo di lavoro, della regolamentazione del lavoro minorile, dell'istruzione di massa, del lavoro cooperativo, del processo di emancipazione dei sindacati, della questione dell'imposizione diretta progressiva, e della non professionalità degli eserciti

Prima di giungere all'anno della pubblicazione dell'inchiesta, cioè il 1880, è bene notare come le tematiche dell'inchiesta siano presenti e sviluppate da Marx nella sua critica dell'economia politica, culminata nella pubblicazione del Capitale nello stesso 1867. Per gli altri materiali di riferimento - rammentando che tutti i successivi congressi dell'Internazionale, fino al 1871, rinnovarono senza grande fortuna l'indicazione di promuovere l'inchiesta statistica - passiamo dunque direttamente a quell'anno 1880. Stralci di una lettera di Marx a Friedrich Adolph Sorge, scritta da Londra il 5 novembre 1880, spiegano autenticamente le ragioni dell'inchiesta in quella particolare fase di lotta politica in Francia, in cui l'esigenza di un rafforzamento dell'internazionalismo si collocava in un momento di ricerca di alleanze interne in vista della ravvicinata scadenza elettorale. È in quel contesto, come si legge nella medesima lettera, che Marx scrisse le considerazioni preliminari del programma del partito operaio francese [pubblicato originariamente in L'égalité, organo collettivista rivoluzionario, Parigi, 30 giugno 1880]. Al proposito così si espresse Engels: “di questo programma Marx, in presenza mia e di Lafargue, nella mia stanza, ha dettato a Guesde, che scriveva, le considerazioni preliminari, un capolavoro di ragionamento, convincente come non ne ho quasi mai sentiti, da esporre alle mas­se in poche parole chiare, e che ha stupito anche me per la sua concisione”. 

Il documento politico del Pof rientrava in quell'ottica di programma minimo che già Marx, in passato fin da quando stava ancora in Germania, riteneva come criterio d'azione rivoluzionaria in fasi e circostanze non rivoluzionarie (e le elezioni politiche generali erano appunto una di quelle circostanze). Abbiamo ritenuto significativo, come mera documentazione storica, pubblicare anche il testo (non di Marx) di quel programma minimo del Pof, apprezzato da Marx proprio per essere costituito da "rivendicazioni nate realmente in modo spontaneo dallo stesso movimento dei lavorator", contro tutti gli impostori, i settarî e i borghesi radicali che, imponendosi come capi, ingannavano i lavoratori stessi. Dalla lettera a Sorge - di più di un secolo fa! - si noti, come curiosità a futura memoria, quale fosse la sola critica di Marx al programma: egli rigettava, già allora e non senza derisione e insofferenza, la richiesta intellettualistica (approvata su proposta di Jules Guesde, solo da poco passato al marxismo) di salario minimo garantito, che definiva "lusinga infantile" al punto da vanificare qualsiasi programma!

Si ringraziano i compagni de La Contraddizione 


INCHIESTA OPERAIA - di K. Marx

lunedì 14 agosto 2017

La colono-evangelizzazione dell’America Latina e i suoi risultati*- Alessandra Ciattini**

*Da:  https://www.lacittafutura.it   **Insegna Antropologia culturale alla Sapienza.


Un olocausto quasi mai menzionato come tale.


Per dar conto della seconda lezione del corso da me tenuto per l’Unigramsci (Storia religiosa dell’America Latina e del Caribe) mi sembra calzante questo termine. Riprendo questa espressione dal teologo della liberazione latinoamericano Enrique Dussel, il quale – correttamente dal mio punto di vista – ha sempre sostenuto che non è possibile distinguere tra processo coloniale ed evangelizzazione, in quanto si tratta di due aspetti simultanei che si sviluppano di pari passo e si sostengono a vicenda. Del resto, gli stessi elogiatori dell’opera dei missionari, vedono in questi ultimi i veri apportatori della civiltà cristiana al Nuovo Mondo, con i suoi addentellati politici, sociali e culturali.

Sottolineato questo primo punto, che successivamente illustreremo più nel dettaglio, passiamo ad interrogarci sull’origine dell’espressione America Latina, perché ovviamente non si tratta di un’espressione neutra, ma nata all’interno di una determinata prospettiva politica e culturale. In particolare, fu il viaggiatore e intellettuale francese, Michel Chevalier che utilizzò nel 1836 l’espressione “latino-americanismo” per distinguere tra l’America anglosassone e protestante dall’America cattolica e latina (geograficamente il Messico appartiene al Nord America). In tali parole era condensata la volontà di espansione francese in quel subcontinente, giacché a quell’epoca era la Francia l’unica potenza internazionale e latina in grado di competere sia con l’espansionismo britannico che statunitense (dottrina Monroe 1824). Infatti, approfittando della guerra di secessione statunitense, Napoleone III aveva inviato in Messico il suo esercito, dove con un plebiscito era stato abbattuto il presidente Benito Juárez e proclamato l’impero. La corona del Messico venne offerta a Massimiliano di Asburgo nel 1864, il quale regnò per pochi anni incontrando l’opposizione dei liberali messicani capeggiati da Juárez e sostenuti dagli Stati Uniti. Inoltre, alla fine della guerra di secessione, fu abbandonato anche da Napoleone III, che ritirò l’esercito, e finì fucilato nel 1867 a Queretaro.

L’espressione “America Latina” era usata anche da alcuni intellettuali del subcontinente, ma allo scopo di sottolineare la specificità della regione e di respingere ogni forma di ingerenza esterna di fatto già operante. Infatti, l’America Latina si era resa indipendente dalla Spagna grazie all’aiuto della Inghilterra, assai interessata alle sue risorse materiali e al commercio con i nuovi paesi indipendenti E si stava già profilando l’ombra oscura dell’imperialismo statunitense, sotto forma di panamericanismo (America unita sotto l’egida degli Stati Uniti), prefigurato da José Martí e ribadito da vari documenti, tra cui menziono il corollario Roosvelt del 1904.

domenica 13 agosto 2017

Tragedia come Paideia*- Eva Cantarella**

*Da:  Teatro Franco Parenti 
** Eva_Cantarella ha insegnato Diritto romano e Diritto greco all’Università di Milano ed è global visiting professor alla New York University Law School.
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/09/medea-migrante-eva-cantarella_15.html


La paideia era la formazione dell’ uomo greco cittadino, intesa come socializzazione a un insieme di valori e di precetti la cui trasmissione di generazione in generazione era considerata compito del cittadino. Il teatro era una delle istituzioni, se non la più importante tra le istituzioni, alle quali era affidata questa funzione.
Alcuni esempi tratti dall’analisi del Prometeo incatenato, dell’Antigone, dell’ Edipo re e dell’ Edipo a Colono. 

mercoledì 9 agosto 2017

Siamo davvero in troppi?*- Manali Chakrabarti

*Da:  https://traduzionimarxiste.wordpress.com  Link all’articolo originale in inglese Aspects of India’s Economy



La sovrappopolazione è la più grave crisi del pianeta?


Le molteplici pressioni derivanti da una crescita senza vincoli della popolazione impongono al mondo naturale pretese che possono sopraffare ogni sforzo per giungere ad un futuro sostenibile. Se vogliamo fermare la distruzione del nostro ambiente, dobbiamo accettare dei limiti a tale crescita.

World Scientists’ Warning to Humanity, firmato da 1.600 scienziati di 70 paesi, inclusi 102 Premi Nobel, 1992 [1]


Introduzione

Il mondo che ci circonda sembra in procinto di attraversare una crisi senza precedenti – apparente scarsità di tutte le risorse essenziali, incluse acqua, terra e cibo, crescente disoccupazione e surriscaldamento globale. Il futuro del pianeta, probabilmente, non è mai sembrato più nero. E a detta di un ampio numero di influenti personalità – scienziati, accademici, politici, miliardari, esperti appartenenti ad istituzioni internazionali – uno dei motivi principali, quando non addirittura il motivo principale, di questo vero e proprio disastro risiede nel continuo incremento della popolazione.

La popolazione mondiale ha superato i 7 miliardi e continua a crescere. Istituzioni governative e non in tutto il mondo stanno spendendo miliardi di dollari al fine di affrontare questa sempre più vasta “crisi”. La popolazione del subcontinente indiano (India 1,23 miliardi, Bangladesh intorno ai 161 milioni e Pakistan 199 milioni) è di circa 1,6 miliardi di abitanti; ovvero una persona ogni cinque risiede in quest’area. Dunque, gran parte degli sforzi globali si concentra sui poveri del subcontinente. L’India viene ripetutamente comparata alla Cina, la quale, contrariamente alla prima, sembrerebbe aver avuto successo nel prevenire le proprie masse da una procreazione incontrollata.

Alcuni cercano di ammorbidire la loro posizione ricorrendo a termini eufemistici nel definire i propri obiettivi – come assicurare la “salute riproduttiva” o elaborare “strategie di sviluppo e della popolazione” [2]. Alcuni altri sono assai più bruschi. L’eminente economista Jeffrey Sachs afferma: “il raggiungimento dei 7 miliardi di abitanti è motivo di profonda preoccupazione a livello globale… In breve, come possiamo godere di uno ‘sviluppo sostenibile’ su di un pianeta così affollato?… La riduzione dei tassi di fertilità andrebbe incoraggiata anche nei paesi più poveri” [3]. Il noto editorialista Tom Friedman sostiene semplicemente che “la Terra è SATURA” [4]. Comunque si esprimano, il messaggio suona forte e chiaro: dobbiamo prevenire i poveri da una riproduzione senza limiti che minaccia il futuro della specie ed il pianeta nel suo complesso.

Considerato che così tanti tra i “migliori e più brillanti” ritengono essere la sovrappopolazione alla base i tutti i mali del pianeta, è opportuno esaminare a fondo la questione.

Come ha avuto inizio tutto?