lunedì 28 aprile 2014

Marx - Antonio Gargano -



"Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore".  ("Miseria della filosofia")

martedì 22 aprile 2014

LAVORO PRODUTTIVO E/O IMPRODUTTIVO, IN KARL MARX*- Stefano Garroni -


Un motivo fondamentale della ricostruzione marxiana del modo capitalistico di produzione:
la produzione di MW (Mehrwert = plusvalore) è il risultato non già dell’opera del singolo lavoratore, sì piuttosto del lavoro complessivo, che si realizza mediante la cooperazione di lavoratori, dalla funzioni e dalle qualifiche diverse, ma tutti collaboranti ad un unico risultato: la produzione di una quantità di valore, superiore a quella del capitale investito (variabile plus costante). Qui può inserirsi opportunamente una nota a proposito del significato del termine tedesco Arbeiter. Sta di fatto che questo termine traduce sia ciò che noi diciamo lavoratore, sia ciò che diciamo operaio ed è vero che varie voci si son levate contro la tradizionale traduzione di Arbeiter –e quindi di Arbeitrsbewegung e di Arbeiterklasse- con <operaio> e non con il più generico <lavoratore> (donde poi, rispettivamente <movimento dei lavoratori> e <classe lavoratrice>). Naturalmente, ciò che importa non è, prima di tutto, quale termine si usi per tradurre Arbeiter (anche se la cosa non è affatto priva di importanza, data la carica di significato che, storicamente, si è accumulata sul termine <operaio>, anche per distinguere il comunista dal socialdemocratico); ciò che veramente conta è mettere in evidenza quale sia il significato, che Marx vuole trasmetterci con quel termine tedesco. Ed allora la questione non è più oziosamente filologica, ma acquista un autentico peso reale. A questo punto, scopriamo che per tradurre correttamente Arbeiter dobbiamo aver presente Das Kapital e le migliaia di pagine, che Marx scrisse su questo argomento, ma che gli editori (Engels, Kautsky, Bernstein) non ritennero di dover inserire nei tre libri canonici.
Da tale lettura ricaviamo che:                                                                                                                               

1) Arbeiter è quel lavoratore, che vende –per un certo tempo e per una certa cifra variabile (salario =Lohnarbeit)- la propria forza lavoro, producendo, invece, lavoro;                                                           

2) che dal passaggio da forza-lavoro a lavoro c’è un aumento di valore, che non vien pagato, ma che qualifica il soggetto che compie quel passaggio come lavoratore produttivo;                                             

3) l’Arbeiter è subito parte di un lavoratore collettivo, il che comporta che vengano moltiplicati gli effetti della erogazione della singola forza lavoro: dunque, l’Arbeiter, in quanto individuo determinato, vale, all’interno del modo capitalistico di produzione, come momento particolare dell’Arbeiter come lavoratore collettivo.                                                                                                            

4) La moltiplicazione degli effetti prodotti dall’uso della singola forza lavoro non deriva, solo, dal fatto che il soggetto reale è non il singolo, ma il lavoratore collettivo; quella moltiplicazione, infatti, è determinata, anche, dall’organizzazione del lavoro e dall’uso di tecnologie sempre più avanzate –il che significa dal crescente uso della scienza a scopi produttivi.

Se precisiamo tutto ciò, comprendiamo bene che l’Arbeiter non è un qualunque lavoratore, ma sì un lavoratore che ha certe caratteristiche storiche ben determinate. In una parola è il moderno salariato, è il lavoratore dell’epoca delle rivoluzioni tecnico-scientifiche. Insomma è l’operaio moderno, con tutto il ventaglio di qualifiche possibili, a cui Marx fa cenno.
http://www.metabasis.it/articoli/4/4_Garroni.pdf

venerdì 18 aprile 2014

SULLA DIALETTICA - Stefano Garroni -



INTERVISTA A STEFANO GARRONI SULLA DIALETTICA 
Compagni, in risposta a diverse richieste che sono pervenute, dedico quest’incontro al tema “dialettica” tenendo presente che si tratta solo di un primo intervento sull’argomento e che ne seguiranno ulteriori interventi in forma forse diversa da quella di un’intervista.

L’altra premessa necessaria è questa: noi cominciamo a parlare della logica dialettica, Ora, il termine “logica dialettica” può indurre in qualche equivoco. Ad esempio si può avere l’impressione che dire “logica dialettica” significa dire qualcosa che appartiene allo stesso ambito della logica simbolica, della logica formale, della logica matematica ecc. E invece no, si tratta di campi diversi, di finalità diverse. Voglio dire questo: se nella logica formale moderna il problema è quello di stabilire regole del corretto ragionare e la verifica della correttezza logico-formale di un’argomentazione o di un’inferenza -  di un argomento, cioè, che sia stato ricavato da precedenti proposizioni – quando invece dice “logica dialettica” si intende qualcosa di profondamente diverso.
Si intende cioè lo studio delle regole di cambiamento, di mutamento, di sviluppo, di una situazione data. Come  Marx diceva, il concetto è la linea di sviluppo della cose stessa: cioè il concetto non è altro che il mettere in evidenza le leggi di movimento di un contesto determinato.

giovedì 17 aprile 2014

FORMALISMO E CRITICA MARXISTA (G. LUKÀCS, A. SCHAFF, H.H. HOLZ). - Stefano Garroni -


                                                                                                        

"Cosa possiamo ricavare dal rapido profilo, che abbiamo tracciato? Varie considerazioni, che tuttavia non consentono di valutarlo come qualcosa di definitivo, di conclusivo –al contrario, codesto profilo non può essere giudicato, se non come il semplice inizio (parziale) di una riflessione, che è tutta da svolgere. Quell’importante pensatore che certamente Lukàcs fu, non è stato solo oggetto di censure e pressioni, che ne hanno ostacolato le possibilità di espressione; né tanto meno è stato, solo, una sorta di ‘fiore all’occhiello’ della cultura marxista in epoca staliniana. Perché in effetti Lukàcs è stato, anche, oggetto di confronti critici, nello stesso campo marxista, di notevole qualità teorica e, dunque, certamente attuali (dacché <attuale> in ambito scientifico e filosofico non è ciò di cui si parla con insistenza e larghezza in un momento dato, piuttosto lo è ciò che si colloca a livelli teorici profondi e, quindi, in una certa misura, che si sottrae alla rapidamente consumatesi ‘attualità’, nell’accezione comune del termine). 

Se la riflessione lukàcciana ha dato luogo a confronti critici di grande qualità culturale, ciò significa che l’opera del filosofo ungherese ha svolto un’effettiva funzione di stimolo, di creazione, di sviluppo del pensiero, che nasce da Marx.  Si noti il modo assai più articolato, in cui Holz –a differenza di Lukàcs- motiva il rapporto tra neopositivismo e tecniche organizzative (e, dunque, di sfruttamento) della moderna industria: non è il neopositivismo, in quanto tale, a riflettere sul piano teorico le esigenze e lo sviluppo della moderna organizzazione capitalistica del lavoro, piuttosto il neopositivismo può svolgere questo ruolo, per il fatto di inserirsi nella situazione culturale ed etico-politica, che Holz ha già descritto. 

Ma tutto questo non impedisce, è chiaro, che la stessa elaborazione lukàcciana possa rivelarsi più densa di contraddizioni e limiti, di quanto molti marxisti non siano ancora disposti a riconoscere. Un punto che, a mio parere, dobbiamo certamente accogliere da Lukàcs è la convinzione che la questione del rapporto tra filosofia e scienza sia intimamente legata a ciò che si intende per <dialettica> e, dunque, a come si risolve la questione non solo del rapporto di Marx ad Hegel, ma anche quello dell’interpretazione di Hegel e del peso che la filosofia classica tedesca in generale ha sulla formazione del pensiero di Marx. Ovviamente ciò non significa che Marx appartenga alla tradizione culturale europeo-occidentale in un senso limitativo dell’universalità del suo pensiero. 

Ma significa, forse, che trapiantare la lezione di Marx in un terreno diverso da quello profondamente segnato dalla filosofia classica tedesca (si ricordi che Marx sosteneva perfino –e forse con ragione- che Proudhon non era in grado di capire la dialettica, perché non conosceva la lingua tedesca), implicita che, nello stesso tempo questo terreno venga trasformato, nel senso di renderlo meno sostanzialmente estraneo al quadro europeo occidentale (non solo in senso culturale, ma anche economico e sociale). Non approfondisco la questione, perché essa meriterebbe una trattazione specifica e non marginale, come ora sto facendo, anche per evitare che il lettore cada in equivoci interpretativi. 

Tornando a Lukàcs ed ai suoi critici, un punto voglio ancora una volta sottolineare: c’è dello schematismo, della meccanicità nel modo di concepire la dialettica, particolarmente nel Lukàcs maturo e, forse, ‘metafisico’ in un senso pre-critico. Ed è questo –mi pare- il punto su cui si son concentrate le riserve e le osservazioni di altri marxisti, come Adam Schaff e H.H. Holz, le cui pagine mostrano un’ ‘attualtà’ (ma nel senso, che ho prima chiarito) di grande interesse, nella prospettiva di uno sviluppo effettivo dell’eredità di Marx e per rendere sensato qualunque discorso sul rapporto tra filosofia (marxista) e scienze."    (S. Garroni) 


mercoledì 16 aprile 2014

Rivoluzione e vita quotidiana - L. D. TROTSKIJ -


 
Nota introduttiva Il libro che presentiamo comprende una serie di articoli di Lev Trotskij pubblicati dalla «Pravda» nel 1923. Gli articoli erano stati elaborati da Trotskij sulla base di discussioni tenute con propagandisti comunisti nel corso di riunioni organizzate a Mosca. Questi articoli, assieme al XXI volume della Edizione Russa delle Opere complete di Trotskij, costituiscono il contributo più importante del rivoluzionario russo alla discussione sui problemi della cultura nel periodo di transizione.

 
Gli articoli che presentiamo sono stati pubblicati nel 1924 in una edizione inglese dal titolo Problems of Life che ha avuto un notevole successo. Ci limitiamo a segnalare che Wilhelm Reich ha citato questi scritti di Trotskij nel suo volume La rivoluzione sessuale2 e che Bernard Shaw ha scritto al riguardo: «Ieri, mentre ero in viaggio per Northampton, ho letto i discorsi dei nostri grandi dirigenti di partito e an-che un libretto in edizione economica scritto da Trotskij su Problems of Life. «Se si amano espressioni di semplice grossolana crudeltà, allora è difficile considerare qualche cosa oltre i discorsi di Birkenhead, Lloyd George e Churchill. Se invece si preferisce buon senso, grande franchezza e capacità mentale raffinata, allora si legge sempre Trotskij. Passare dalla campagna presidenziale nel vostro paese e dalle nostre elezioni politiche,3 alla visione che ci offre Trotskij è come spostarsi da un pianeta all'altro»4. Agli articoli della «Pravda» abbiamo aggiunto tre articoli: I compiti dell'educazione co-munista e La trasformazione della morale, tratti dal bollettino in lingua inglese «Inpre-corr », edito a cura dell'Internazionale Comunista, e Cultura e Socialismo, dal «Novij Mir » del gennaio           1927.  

martedì 15 aprile 2014

Stefano



Se c'era un rammarico, un cruccio, di cui Stefano avrebbe voluto liberarsi, e del quale ha tentato invano di liberarsi era il fatto di non essere riuscito, secondo lui, a operare all'interno di una organizzazione che gli permettesse di dare altro corpo e altro vigore al suo lavoro di intellettuale politico, al suo compito di formare ed aiutare  giovani compagni a crescere teoricamente per quelle che lui definiva imprescindibili conoscenze necessarie a chi si propone di rivoluzionare il mondo. Naturalmente non era così, nel senso che molti sono stati nel tempo i compagni, capaci, che hanno tratto vantaggio nel seguire i suoi corsi, che si sono confrontati con lui, che hanno aperto gli occhi ad una realtà che solo apparentemente sembrava chiara, e il suo lavoro è stato sempre più che generoso di riscontri positivi. Però forse aveva ragione quando lamentava come il danno più grave l'abbandono del lavoro teorico che riscontrava nelle organizzazioni comuniste. Tutte. Fosse stato per lui al primo posto avrebbe messo il lavoro teorico, lo studio, e poi certo, il lavoro pratico politico. Tutto il contrario di quello che accade oggi. E, a nostro parere, aveva ragione.                                                                                                                                                      
Prendiamo, tramite un compagno che ha seguito e partecipato in questi ultimi tempi al lavoro del collettivo di cui Stefano era il pilastro portante, questi versi di B. Brecht che sono stati scritti per uomini come Lui, perché con Stefano noi perdiamo non solo un amico, di più un compagno, ma soprattutto, perdiamo un'arma potente per battere il nostro nemico:                                                                                                                                                                                        

'Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili'.                                                                                                                                                                                                                  
Ciao Stefano!