mercoledì 16 aprile 2014

Rivoluzione e vita quotidiana - L. D. TROTSKIJ -


 
Nota introduttiva Il libro che presentiamo comprende una serie di articoli di Lev Trotskij pubblicati dalla «Pravda» nel 1923. Gli articoli erano stati elaborati da Trotskij sulla base di discussioni tenute con propagandisti comunisti nel corso di riunioni organizzate a Mosca. Questi articoli, assieme al XXI volume della Edizione Russa delle Opere complete di Trotskij, costituiscono il contributo più importante del rivoluzionario russo alla discussione sui problemi della cultura nel periodo di transizione.

 
Gli articoli che presentiamo sono stati pubblicati nel 1924 in una edizione inglese dal titolo Problems of Life che ha avuto un notevole successo. Ci limitiamo a segnalare che Wilhelm Reich ha citato questi scritti di Trotskij nel suo volume La rivoluzione sessuale2 e che Bernard Shaw ha scritto al riguardo: «Ieri, mentre ero in viaggio per Northampton, ho letto i discorsi dei nostri grandi dirigenti di partito e an-che un libretto in edizione economica scritto da Trotskij su Problems of Life. «Se si amano espressioni di semplice grossolana crudeltà, allora è difficile considerare qualche cosa oltre i discorsi di Birkenhead, Lloyd George e Churchill. Se invece si preferisce buon senso, grande franchezza e capacità mentale raffinata, allora si legge sempre Trotskij. Passare dalla campagna presidenziale nel vostro paese e dalle nostre elezioni politiche,3 alla visione che ci offre Trotskij è come spostarsi da un pianeta all'altro»4. Agli articoli della «Pravda» abbiamo aggiunto tre articoli: I compiti dell'educazione co-munista e La trasformazione della morale, tratti dal bollettino in lingua inglese «Inpre-corr », edito a cura dell'Internazionale Comunista, e Cultura e Socialismo, dal «Novij Mir » del gennaio           1927.  
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             Non  si vive solo di politica

Tutti coloro che si dedicano ad attività a carattere propagandistico dovrebbero avere ben presente questa semplice affermazione. I tempi cambiano e cambia anche l'atteggiamento della gente. La storia del nostro partito, nel periodo antecedente la rivoluzione, era una storia di politica rivoluzionaria. La stampa del partito, la sua organizzazione, tutto era dominato dalla politica nel senso più ristretto del termine. La crisi rivoluzionaria aveva accentuato ancor più il grado di interesse politico verso i vari problemi. Il partito doveva conquistare gli elementi della classe operaia politicamente più attivi.

Attualmente la classe operaia è perfettamente cosciente dei risultati fondamentali della rivoluzione; non è affatto necessario continuare a ripetere la storia di questi risultati in quanto non eccita più le menti degli operai e può addirittura arrivare a far dimenticare le lezioni del passato. Con la conquista del potere e con il suo consolidamento dopo la guerra civile i nostri problemi più attuali si sono trasferiti nel campo delle necessità culturali e della ricostruzione economica. Essi sono diventati più complessi, più frazionati e in un certo senso più prosaici. Per giustificare tutte le lotte passate e tutti i sacrifici che abbiamo fatto dobbiamo imparare a comprendere questi problemi culturali e a risolverli uno a uno.

Che cosa ha realmente guadagnato e conquistato la classe operaia a seguito della rivoluzione?

1. - La dittatura del proletariato (rappresentata dal governo operaio e contadino sotto la direzione del partito comunista).

2. - L'Armata rossa, solido sostegno della dittatura del proletariato.

3. - La nazionalizzazione dei principali mezzi di produzione, senza di cui la dittatura del proletariato sarebbe divenuta una forma priva di sostanza.

4. - Il monopolio del commercio estero, che rappresenta la condizione necessaria per una struttura statale a carattere socialista accerchiata dal capitalismo.

Queste quattro cose, che sono state definitivamente conquistate, costituiscono l'armatura d'acciaio di tutto il nostro lavoro; ogni successo che raggiungiamo in campo economico o culturale - a patto che sia una conquista reale e non una mistificazione - costituisce nell'ambito di questa ossatura una parte essenziale della struttura socialista.

Quale è ora il problema da risolvere? Che cosa dobbiamo imparare innanzitutto? Per cosa dobbiamo batterci? Dobbiamo imparare a lavorare efficientemente: con accuratezza, con puntualità, in modo economico. Abbiamo bisogno di cultura nel lavoro e di cultura nella vita, nelle condizioni della vita. Dopo un lungo periodo preliminare di lotta siamo riusciti a rovesciare il dominio degli sfruttatori facendo una rivolta armata. Tuttavia gli stessi mezzi non servono a creare immediatamente una cultura. La classe operaia deve attraversare un lungo processo di autoeducazione, e lo stesso vale per i contadini, sia contemporaneamente agli operai, sia sulla scia degli operai. Lenin parla di questo mutamento nei nostri obiettivi e nei nostri sforzi nel suo articolo sulla cooperazione.

«... siamo obbligati a riconoscere che tutte le nostre opinioni sul socialismo hanno subìto un cambiamento radicale. Questo cambiamento radicale consiste nell'aver dapprima posto il centro di gravità, e dovevamo porlo, sulla lotta politica, sulla rivoluzione, sulla conquista del potere. ecc. Ora invece il centro di gravità si sposta fino al punto di trasferirsi al pacifico lavoro organizzativo "culturale". Sono pronto a dire che per noi il centro di gravità si trasporta sul lavoro culturale, se non ne fossimo impediti dai rapporti internazionali, dall'obbligo di lottare per la nostra posizione su scala internazionale. Ma se lasciamo questo da parte e ci limitiamo ai rapporti economici interni, allora oggi il centro di gravità del nostro lavoro si porta veramente sul lavoro culturale». 3

Penso che a questo punto giovi citare un passo sulla «fase della lotta per la cultura» trat-to dal mio libro Note sul Partito:

«Nella sua realizzazione pratica la rivoluzione sembra si sia indirizzata verso tutta una serie di problemi minori: dobbiamo riparare ponti; insegnare a leggere e a scrivere, cer-care di abbassare i costì di produzione, lottare .contro la sporcizia, catturare i ladri, far arrivare l'energia elettrica dappertutto, ecc. Alcuni intellettuali di bassa lega e con una mentalità distorta che li fa illudere di essere poeti o filosofi, parlano già della rivoluzione con una aria di condiscendente superiorità. "La rivoluzione sta imparando a commerciare e ad attaccare i bottoni", dicono sorridendo. Ma lasciamo perdere i chiacchieroni.

«Il lavoro quotidiano eminentemente pratico, a patto che sia costrurtivo dal punto di vista dell' economia e della cultura sovietica - e tutto ciò comprende il commercio al dettaglio - non è affatto una politica di "piccoli atti" e non tende necessariamente ad avere il marchio della meschinità. La vita dell'uomo abbonda di piccole azioni senza grandi sbocchi, ma non è possibile ottenere grandi risultati senza piccole conquiste. Per essere più preciso, in un periodo di grandi conquiste, le piccole imprese cessano di essere piccole per il fatto di essere inserite in problemi di ampia portata.

«Attualmente occorre occuparci a fondo della capacità costruttiva della classe operaia. Per la prima volta nella storia la classe operaia sta svolgendo un'attività costruttiva di cui beneficia direttamente e che pianifica da sola. Questa attività pianificatrice, sebbene ancora imperfetta e confusa, collegherà tutte le parti grandi e piccole di questo lavoro, tutti i suoi particolari, nell'unità di una concezione creativa più ampia.

«Tutti i singoli problemi, anche minori - compreso quello del commercio al dettaglio - rientrano nel piano generale che consentirà alla classe operaia al potere di superare la fase di debolezza economica e di mancanza di cultura.

«Un lavoro costruttivo di tipo socialista si fonda sull' attività sistematica svolta su vasta scala; con alti e bassi, con errori e ripiegamenti, fra tutte le difficoltà della NEP, il partito porta avanti il suo piano, educa le giovani generazioni nello spirito di questo piano, insegna a tutti a collegare gli scopi individuali al problema comune di tutti coloro che possano essere chiamati un giorno ad attaccare un bottone sovietico e il giorno dopo a trovare la morte senza paura sotto la bandiera del comunismo.

«Dobbiamo chiedere che si addestrino con serietà e con cura i nostri giovani perché venga loro risparmiato il male di cui soffre l'attuale generazione: la tendenza all'indeterminatezza e alla superficialità. Ma tutta la specializzazione e la preparazione deve servire a uno scopo comune che deve essere compreso da tutti».

Ad eccezione dei problemi derivanti dalla nostra collocazione internazionale non c'è nulla che ci impedisce, come ci dice Lenin, di lottare per un elevamento del livello cul-turale. Ora questi problemi, come vedremo subito, non sono affatto di ordine diverso. La nostra posizione internazionale dipende largamente dalla forza della nostra autodifesa, vale a dire dall'efficienza dell'Armata rossa; sotto tale aspetto della nostra esistenza in quanto Stato, il nostro problema consiste quasi interamente nello sviluppo del lavoro culturale: dobbiamo elevare il livello culturale dell'esercito, insegnare ad ogni singolo soldato a leggere e a scrivere. Gli uomini debbono saper leggere libri, usare manuali e carte geografiche, acquisire abitudini di pulizia, puntualità e frugalità. Tutto ciò non può essere realizzato immediatamente, con un colpo di bacchetta magica.

Durante la guerra civile e nel periodo immediatamente successivo, si sono fatti tentativi miranti a sanare la situazione elaborando una «dottrina proletaria del militarismo» inventata a bella posta, dottrina che mancava di qualsiasi comprensione reale dei nostri veri problemi. Lo stesso è .accaduto con il piano ambizioso di creare una «cultura proletaria» artificialmente. Tutte queste «ricerche della pietra filosofale» mostrano nello stes-so tempo uno stato di disperazione per la nostra situazione in campo culturale e una fede nei miracoli. Ma noi non abbiamo ragioni di disperare e, per ciò che riguarda i miracoli e le ciarlatanerie da bambini come la «cultura proletaria» o il «militarismo proletario », è ora di liberarcene per sempre. Dobbiamo vedere lo sviluppo della cultura nell'ambito della dittatura del proletariato e solo ciò può assicurare il significato socialista delle 4
conquiste rivoluzionarie. Chiunque non riesce a vedere tutto ciò svolge un ruolo reazionario nello sviluppo del pensiero e del lavoro del partito.

Quando Lenin dice che attualmente il nostro lavoro si deve concentrare meno nella politica e più nella cultura, dobbiamo aver chiari i termini che egli adopera in modo da non interpretare male il significato di quello che ci dice. In un certo senso la politica ha sempre il primo posto. Anche il consiglio di Lenin di spostare l'accento del nostro interesse dalla politica alla cultura non è altro che un consiglio di natura politica. Quando il partito operaio di un determinato paese decide che in un certo momento i problemi economici e non quelli politici debbano avere la precedenza, prende una decisione di natura politica. E' quindi ovvio che il termine «politica» viene adoperato a tale proposito con due significati diversi: il primo, in senso ampiamente materialistico e dialettico, indica il complesso di tutti i principi, metodi e sistemi che determinano l’attività collettiva in tutti i campi della vita pubblica; il secondo significato, in senso più ristretto, indica la parte ben delimitata dell'attività pubblica che si occupa della lotta per il potere e in questo senso il termine lavoro politico viene opposto al lavoro economico, alla lotta per la cultura, ecc. Parlando di politica come economia concentrata, Lenin intendeva politica in un senso filosofico ampio. Ma quando esortava a «fare meno politica e più economia », egli si riferiva alla politica in senso restrittivo e specifico. I due modi di adoperare que-sto termine sono sanzionati dalla tradizione e sono pienamente giustificati.

Il partito comunista è un partito politico in un senso storico ampio o, possiamo anche dire, filosofico. Gli altri partiti sono politici solo nel senso più ristretto del termine. Lo spostamento dell'interesse del nostro partito verso la lotta per la cultura non indebolisce quindi l'importanza politica del partito. Il partito concentrerà la propria attività nel lavoro culturale ed assumerà un ruolo dirigente in questo lavoro; ciò costituirà il suo ruolo storicamente dirigente, che è un ruolo politico.

Prima di poter fare a meno della sua struttura e di poter dissolversi nella comunità socialista, il partito deve lavorare per lunghi anni in direzione del socialismo, ottenere successi all'interno e realizzare una situazione di sicurezza verso l'esterno. Il momento in cui saranno raggiunti questi obiettivi è ancora assai lontano e quindi non serve affatto esaminarlo dettagliatamente. Nel futuro più immediato il partito deve conservare pienamente le sue caratteristiche fondamentali: unità di scopi, centralismo, disciplina e, di conseguenza, capacità di lotta. Ma esso ha bisogno nelle condizioni attuali di una base economica estremamente sana per conservare e sviluppare queste conquiste inestimabili dello spirito comunista. Le questioni economiche assumono quindi una posizione di primo piano nella nostra politica e solamente sulla base di questa considerazione il partito concentra e distribuisce le proprie forze ed educa le giovani generazioni. In altri termini, un lavoro politico su scala più ampia richiede che la distribuzione delle forze e l’educazione e propaganda debbano fondarsi sulle necessità economiche e culturali e non unicamente su quelle politiche, nel senso ristretto del termine.

Il proletariato è una unità sociale poderosa che manifesta pienamente la propria forza durante i periodi di intensa lotta rivoluzionaria che conduce per tutta la classe. Ma nell'ambito di questa unità possiamo osservare una notevole varietà: fra il pastore analfabeta e dotato di scarsa capacità di comprensione e l'operaio metalmeccanico altamente qualificato si possono riscontrare tutta una serie di livelli nel campo della cultura e della vita più in generale. Inoltre ogni classe, ogni gruppo, ogni settore comprende gente dalle età più disparate, dai temperamenti diversi e dal passato eterogeneo. Se non fosse per l'esistenza di questa varietà, il lavoro del partito comunista potrebbe essere assai più facile. L'esempio dell'Europa occidentale ci mostra nella realtà quanto sia difficile questo lavoro. Si potrebbe dire che più la storia di un paese, e quindi della sua classe operaia, è ricca, più sono vasti i raggruppamenti tradizionali, più è difficile raggiungere l’unità rivoluzionaria della classe operaia. Il proletariato russo non ha una lunga storia di classe ed è privo di tradizioni; tutto ciò ha indubbiamente facilitato quella educazione rivoluzionaria che ha portato all'ottobre. Nello stesso tempo però tutto ciò rende assai più difficile la fase rivoluzionaria costruttiva. L'operaio russo - ad eccezione di quello che si trova al vertice della classe - di solito manca delle abitudini e delle nozioni più elementari in campo culturale (per ciò che riguarda la pulizia, l'istruzione, la puntualità, ecc.). L'operaio dell'Europa occidentale possiede in maggior misura queste abitudini in quanto le ha acquisite in regime borghese con un processo lungo e lento. Ciò spiega perché nell'Europa occidentale la classe operaia è così fortemente attaccata al regime borghese, con la sua democrazia e libertà di stampa per i capitalisti, e tutti gli altri vantaggi.

Il regime borghese russo non ha avuto il tempo di fare nulla di buono per la classe operaia; il proletariato russo ha così rotto più facilmente con la borghesia e ne ha rovesciato il regime senza rimpianti. Ma per questa stessa ragione in Russia il proletariato sta so-lamente cominciando ad acquisire e ad accumulare gli elementi più semplici di una cultura, e lo fa già nell'ambito di uno Stato operaio.

La storia non dà nulla gratis. Avendo concesso uno sconto in un campo, quello politico, ci fa pagare un prezzo più alto in un altro, quello culturale. Più il proletariato russo è passato con facilità (relativa, è ovvio) attraverso la crisi rivoluzionaria, più diventa ora difficile il compito di costruire il socialismo. Ma d'altro canto la cornice della nostra attuale struttura sociale è tale, essendo contrassegnata dalle quattro caratteristiche a cui abbiamo accennato, che tutti gli sforzi genuini in campo economico e culturale portano praticamente l'impronta del socialismo. In regime borghese il lavoratore, senza volerlo, arricchiva continuamente la borghesia e più il suo lavoro era di qualità più egli l'arricchiva. Nello Stato sovietico un operaio coscienzioso, anche senza volerlo - cioè anche se non fa parte del partito o non si interessa di politica - raggiunge risultati di tipo socialista e incrementa la ricchezza della classe operaia. Tutto ciò è la conseguenza della rivoluzione d'ottobre e la NEP non ha cambiato nulla al riguardo.

In Russia sono molti gli operai che non fanno parte del partito, che sono interessati profondamente nella produzione e nell'aspetto tecnico del loro lavoro, ma essi non sono nel loro complesso «spoliticizzati» o indifferenti alla politica. In tutti i momenti più gravi e difficili della rivoluzione sono stati al nostro fianco. Nella stragrande maggioranza non hanno avuto paura dell'ottobre, non hanno disertato, non ci hanno tradito. Durante la guerra civile molti hanno combattuto sui vari fronti, altri hanno lavorato per l'esercito, producendo munizioni. Possono essere descritti come «non politicizzati» ma nel senso che in tempo di pace essi si occupano più dell'attività professionale, oppure delle fami-glie, che della politica. Essi vogliono essere tutti buoni operai; diventare sempre più efficienti sul lavoro, per raggiungere una posizione più elevata - in parte a beneficio delle loro famiglie ma anche per la soddisfazione di un'ambizione professionale perfettamente legittima. Implicitamente ciascuno di loro, come ho già detto, svolge un lavoro socialista senza neanche accorgersene. In quanto partito comunista vogliamo che questi operai colleghino coscientemente il loro lavoro produttivo individuale ai problemi della costruzione socialista nel suo complesso. Gli interessi del socialismo saranno assai meglio tutelati da un'attività unificata su questa base, mentre coloro che costruiscono indi-vidualmente il socialismo otterranno una soddisfazione morale maggiore dal proprio lavoro.

Ma come si può raggiungere tutto ciò? E' assai difficile avvicinare questo tipo di operaio con strumenti esclusivamente politici. Egli ha ascoltato tutti i discorsi che sono stati fatti e non si preoccupa di sentirne altri. Non è incline ad aderire al partito. I suoi pensieri sono concentrati verso il lavoro, ma egli non è particolarmente soddisfatto delle condizioni che esistono attualmente in fabbrica. Operai del genere cercano .da soli di arrivare alla radice delle cose; essi non sono comunicativi: fanno parte di quella classe che produce inventori autodidatti. Non rispondono agli stimoli politici - almeno non con grande impeto - ma possono e debbono essere avvicinati su questioni che riguardano la produzione e la tecnica.

Uno dei partecipanti alla conferenza di Mosca sulla propaganda di massa, il compagno Cholzov, si è soffermato sull'estrema scarsità di manuali, anche piccoli, e di pubblicazioni orientative, pubblicati nella Russia sovietica per lo studio delle varie attività lavo-rative e artigianali. I vecchi libri esistenti in questo campo sono quasi esauriti; inoltre molti di essi sono arretrati tecnicamente, mentre politicamente sono di solito imbevuti di spirito capitalistico. I nuovi manuali a carattere tecnico sono pochissimi e difficili da procurare, essendo stati pubblicati a caso dai vari editori o enti statali senza nessun pia-no. Dal punto di vista tecnico non sono sempre soddisfacenti; alcuni di loro sono troppo astratti, troppo accademici e di solito senza colore politico essendo in genere traduzioni adattate di libri pubblicati all'estero. Quello che vogliamo in realtà è una serie di manuali nuovi: per il fabbro, l'ebanista, l'elettricista sovietici, ecc. Questi manuali debbono es-sere adatti allo stato attuale della nostra tecnica e della nostra economia, debbono prendere in considerazione sia l'esistenza di una condizione di povertà nel nostro paese sia le nostre grandi possibilità, devono cercare di introdurre nuovi metodi e nuove abitudini nella nostra vita industriale. Essi debbono presentare concezioni socialiste (o almeno debbono cercare di farlo) corrispondenti alle necessità e agli interessi dello sviluppo tecnico; ciò comprende problemi di standardizzazione, di elettrificazione, di pianificazione economica. In questi libri, i principi e le conclusioni a carattere socialista non debbono rappresentare elementi di semplice propaganda ma debbono essere parte inte-grante di un insegnamento pratico. Di libri del genere si sente gran bisogno, considerando la penuria di operai specializzati, il desiderio degli stessi operai di diventare più efficienti, e il fatto che la loro esperienza industriale è stata interrotta dai lunghi anni della guerra imperialista e della guerra civile. Ci troviamo quindi ad affrontare compiti estremamente importanti e gravosi.

E' ovvio che non è facile creare una serie di manuali come questi. I buoni operai, considerati dal punto di vista pratico, non scrivono manuali; i teorici, che normalmente si occupano di scriverli, non hanno esperienza dell'aspetto pratico del lavoro. Inoltre pochissimi di questi ultimi hanno convinzioni socialiste. Si può dare una soluzione se si abbandonano i metodi di routine e si fa ricorso a sforzi combinati. E' necessaria la collaborazione di almeno tre autori per scrivere o anche solo pubblicare un manualetto. Ci deve essere uno specialista che abbia un'accurata conoscenza dell'aspetto tecnico, uno che conosca le condizioni della nostra attuale produzione nel campo che si è scelto, o che sia capace di informarsi al riguardo; gli altri due dovrebbero essere un operaio altamente qualificato nel settore dato, uno che sia interessato alla produzione e, se possibile, abbia capacità inventive, e uno scrittore professionista che abbia convinzioni marxiste e interessi in campo industriale, con cognizioni a carattere tecnico. In questo modo, o in un modo abbastanza simile, dobbiamo riuscire a creare una bibliotechina modello di manuali tecnici sulla produzione industriale. I libri debbono ovviamente essere .stampati bene, rilegati accuratamente, tascabili e di poco prezzo. Una bibliotechina del genere sarebbe estremamente utile da due punti di vista: riuscirebbe ad elevare il livello tecnico del lavoro e quindi contribuirebbe al successo della costruzione socialista; nello stesso tempo stimolerebbe l’interesse di un buon numero di lavoratori verso i problemi dell'economia sovietica nel suo complesso e di conseguenza verso il partito comunista.

Le nostre necessità non si limitano ovviamente a una serie di manuali. Mi sono diffuso alquanto su tale questione per dare un esempio dei nuovi metodi di lavoro richiesti dai problemi che ci si presentano oggi. C'è molto da fare nell'interesse degli operai «non politicizzati». Si debbono pubblicare giornali di categoria e creare associazioni a carattere tecnico. Una buona metà della nostra stampa tecnico-professionale deve prestare attenzione alle esigenze dell'operaio dell'industria e soprattutto di quel tipo di operaio capace ma «non politicizzato», se vuole conquistare lettori al di fuori della cerchia dei sindaca-listi. Dobbiamo però essere convinti che gli argomenti politici più convincenti per operai del genere sono costituiti dalle nostre conquiste pratiche in campo industriale, da qualsiasi successo sia pure occasionale nelle fabbriche, da qualsiasi sforzo coronato da successo fatto dal partito in questa direzione.

Le concezioni politiche dell'operaio dell'industria che ci interessa di più ora, possono essere illustrate ancora meglio dal tentativo, come quello che illustriamo qui di seguito, di formulare sia pure in modo approssimativo i pensieri che raramente egli esprime.

«Dunque - egli direbbe - la rivoluzione e il rovesciamento della borghesia mi va bene. Niente da dire in proposito. E' stato fatto una volta per sempre. Non abbiamo più bisogno della borghesia e non abbiamo bisogno neanche dei menscevichi o di altri loro compari. Per ciò che riguarda la "libertà di stampa", non importa. Non è questo il problema più importante. Ma l'economia? Voi comunisti vi siete presi l'impegno di dirigerla nel suo complesso. I vostri obiettivi e i vostri piani sono eccellenti, come tutti sappiamo, non continuate a ripeterlo. Voi ne sapete abbastanza, siamo d'accordo con voi e siamo pronti a sostenervi; ma come intendete realizzare i vostri piani? Finora; diciamoci la verità, assai spesso avete commesso errori. Sappiamo bene che non si può fare tutto in una volta, che dovete imparare il mestiere, e che non si possono evitare errori anche grossolani. Tutto ciò è assolutamente vero e poiché abbiamo sopportato i crimini della borghesia, dobbiamo essere assai più indulgenti verso gli errori della rivoluzione. Ma c'è un limite a tutto. Tra le file di voi comunisti ci sono persone di ogni genere proprio come tra di noi miseri mortali. Alcuni apprendono veramente a lavorare, si impegnano realmente sul lavoro, cercano di raggiungere risultati pratici; molti invece se la cavano con chiacchiere oziose. E questi causano un danno non indifferente perché non fanno altro che farsi scappare le occasioni dalle mani...».

Ecco come ragionano operai di questo tipo: fabbri, ebanisti o fonditori abili e capaci; gente che raramente si eccita, che ha tendenze piuttosto passive in campo politico, ma nello stesso tempo è seria, critica, alquanto scettica, pur tuttavia fedele alla sua classe; si tratta di elementi proletari ad alto livello. Nella fase attuale del nostro lavoro il partito deve prendere in attenta considerazione questo tipo di operaio. La nostra presa su gente di questo stampo - in campo economico, produttivo, tecnico - costituirà il segno politico più evidente del nostro successo nel lavoro culturale, intendendo questo termine nel senso adoperato da Lenin.

Il nostro interesse particolare verso l'operaio capace non contrasta in nessun modo con l'altro problema più importante del partito: il grande interesse del proletariato verso le nuove generazioni. I giovani crescono nelle condizioni di un momento dato, crescono sani e forti, nella misura e secondo il modo in cui vengono risolti certi problemi ben determinati. Vogliamo che le nostre giovani generazioni in primo luogo siano composte di buoni operai altamente qualificati, dediti al lavoro. I giovani debbono crescere con la ferma convinzione che il loro lavoro produttivo è nello stesso tempo un lavoro per il socialismo. Gli «anziani» che sono assai capaci nelle loro attività professionali e, come ho già detto, sono al di fuori del partito, si presentano con grande autorità agli occhi dei giovani proletari per l'interesse che mostrano nell'attività di qualificazione professionale e per il desiderio che hanno di far andare bene le cose. Vedete quindi che il nostro inte-resse nell'avere operai bravi, onesti e capaci si risolve anche a favore dell'educazione delle nuove generazioni. Senza di ciò non ci sarebbe marcia costante verso il socialismo. 8

Usi, costumi, abitudini

Nello studio delle manifestazioni della vita ci appare chiaramente la misura in cui l'uo-mo in quanto individuo è il prodotto e non il creatore dell'ambiente. La vita quotidiana - cioè condizioni e abitudini - «evolve alle spalle dell'uomo», come diceva Marx, in misu-ra maggiore di quanto accade nella vita economica. Alla creatività cosciente nel campo degli usi e costumi non è riservato che un posto trascurabile nella storia dell'uomo. Le abitudini sono il prodotto dell'esperienza elementare dell'uomo; anch'esse mutano sotto la spinta del progresso tecnico o di stimoli occasionali rappresentati da lotte rivoluziona-rie, ma nel loro complesso riflettono più il passato che il presente dell'umanità.

Il nostro proletariato è di recente formazione e non ha grandi tradizioni. E' emerso negli ultimi dieci anni in parte dalla piccola borghesia cittadina e in parte dai contadini. La sua vita riflette chiaramente l'origine sociale. Basta richiamare alla memoria La morale di Rasterjaev di Gleb Uspenskij. Quali erano le caratteristiche principali degli abitanti di Rasterjaev, vale a dire dei lavoratori di Tula, verso la fine del secolo scorso? Si trattava di gente urbanizzata o di contadini che, avendo perso ogni speranza di diventare indi-pendenti economicamente, avevano formato un agglomerato composto di piccola bor-ghesia non istruita e di reprobi. Sin da allora il proletariato è avanzato a grandi passi, ma più in politica che nella vita e nella morale. La vita è conservativa. Nei suoi aspetti pri-mitivi, via Rasterjaev naturalmente non esiste più. Il trattamento brutale riservato agli apprendisti, il servilismo verso i padroni, gli aspetti disgustosi dell'ubriachezza e il tep-pismo sono scomparsi. Ma nei rapporti tra moglie e marito, tra genitori e figli, nella vita familiare isolata dal resto del mondo, il rasterjaevismo ha ancora profonde radici. Ci vogliono anni, o anche decine di anni, di sviluppo economico e culturale per eliminare il rasterjaevismo dal suo ultimo rifugio - la vita individuale familiare - e per rieducare da cima a fondo allo spirito del collettivismo.

I problemi della vita familiare sono stati oggetto di una discussione particolarmente ac-calorata alla conferenza dei propagandisti di Mosca di cui abbiamo già parlato. A questo proposito tutti avevano lamentele da fare. Erano particolarmente numerose le impres-sioni, le osservazioni e le domande; queste ultime non ricevevano risposta perché non erano espresse chiaramente; quindi non sono arrivate mai alla stampa né sono state mai riportate in altre riunioni. La vita dell'operaio e del comunista e la linea di contatto fra i due offre un enorme campo per osservazioni, deduzioni e realizzazioni di ordine prati-co!

La nostra letteratura non ci offre nessun aiuto a tale riguardo. L'arte è per la sua stessa natura conservatrice: è staccata dalla vita ed è scarsamente capace di afferrare gli avve-nimenti non appena si verificano. Il libro La settimana di Lebedinskij ha avuto grande successo e ha provocato un certo entusiasmo tra i nostri compagni, entusiasmo che mi è sembrato eccessivo e pericoloso per il giovane autore. Per ciò che riguarda la forma, il libro presenta le caratteristiche del lavoro di uno scolaretto, malgrado alcune note di ta-lento. Lebedinskij potrebbe diventare un artista solamente mediante un’attività costante e approfondita. Vorrei tanto che lo diventasse ma questo non è l'aspetto che ci interessa per il momento.

La settimana ha dato l'impressione di qualcosa di nuovo e di poco artistico nella parte «comunista» della vita di cui si è occupata, ma specialmente in questo il libro non è af-fatto profondo. Gubkom ci viene presentato con un metodo che sa troppo di laboratorio; non ha radici profonde e non è organico. Di qui tutto il libro diventa una divulgazione 9

episodica, un racconto di emigranti rivoluzionari attirati dalla vita. E' naturalmente inte-ressante e istruttivo dipingere la vita di Gubkom, ma le difficoltà vengono quando l'or-ganizzazione comunista entra nella vita quotidiana della gente. A questo punto si ha bi-sogno di una forte presa. Il partito comunista al momento costituisce la spinta principale di ogni movimento cosciente. Quindi la sua unità con le masse rappresenta la radice dell'azione, della reazione e della resistenza dal punto di vista storico.

La teoria comunista precede lo sviluppo della nostra vita reale di almeno dieci anni e, da un certo punto di vista, di almeno un secolo. Se non fosse per questo fatto, il partito co-munista non sarebbe stato quel fattore storico che ha dato il grande impulso rivoluziona-rio. Grazie al suo realismo e alla sua flessibilità dialettica, la teoria comunista fa progre-dire la metodologia politica che gli assicurerà l’influenza in ogni condizione. Ma le idee politiche sono una cosa e gli usi e i costumi sono un'altra. La politica è flessibile, mentre le abitudini rappresentano caratteristiche di ostinatezza e di grande stabilità. Ecco per-ché si verificano tanti conflitti quotidiani negli ambienti operai lungo la linea in cui la coscienza poggia sulla tradizione e questi conflitti sono aspri perché, in senso sociale, restano senza espressione. Essi non si riflettono nella nostra letteratura e neanche nella nostra pubblicistica.

Là nostra stampa non parla di tali questioni. Per ciò che riguarda le nuove scuole artisti-che che cercano di marciare con la rivoluzione, la vita per esse non esiste affatto. Vede-te, esse desiderano ricostruire la vita, non dipingerla; ma la vita non può essere assimila-ta succhiandola dal dito pollice: deve essere costruita partendo dagli elementi che sono capaci di svilupparsi. Così, prima di costruire, dobbiamo conoscere quello che già esi-ste. Ciò non si riferisce unicamente alle abitudini, ma a qualsiasi attività umana coscien-te. Dobbiamo conoscere ciò che esiste e in che direzione le cose che esistono stanno mutando, prima di poter partecipare alla costruzione della vita. Mostrate, e soprattutto mostrate a voi stessi, prima di tutto ciò che succede in una fabbrica, negli ambienti ope-rai, nelle cooperative, nei luoghi di riunione, nelle scuole, nelle strade, negli edifici pub-blici e imparate a comprendere tutti ciò, cioè a trovare una prospettiva per i residui del passato e per gli embrioni del futuro. Questa esortazione vale sia per i romanzieri sia per i pubblicisti. Fateci vedere la vita così come si sta forgiando nel crogiuolo rivoluziona-rio.

Tuttavia non è illecito supporre che gli appelli di per sé non sposteranno l'attenzione dei nostri scrittori. Abbiamo bisogno di un’organizzazione e di una direzione che si muova-no nel senso che abbiamo previsto. Lo studio e la divulgazione dei contenuti della vita operaia debbono in primo luogo divenire compito primario dei giornalisti e di coloro che in ogni caso possiedono occhi e orecchie. Dobbiamo in modo organizzato metterli al lavoro, istruirli, correggerli, guidarli ed educarli in modo da farli diventare scrittori rivoluzionari capaci di scrivere sulla vita quotidiana. Nello stesso tempo ampliare gli o-rizzonti dei corrispondenti dei giornali operai. Certamente ciascuno di loro è capace di introdurre corrispondenze più interessanti e avvincenti di quelle che abbiamo oggi. A tale scopo dobbiamo formulare una serie di questioni, stabilire i compiti, stimolare la di-scussione e sostenerla.

Per elevare il livello culturale della classe operaia, la sua avanguardia deve innanzi tutto studiarne la vita. Per far ciò deve sapere come vive. La classe borghese, soprattutto tra-mite i suoi intellettuali, ha già risolto questo problema in larga misura anche prima di conquistare il potere; anche quando era all'opposizione era una classe ricca con artisti, poeti e pubblicisti al suo servizio, che l'aiutavano a pensare o che pensavano per lei.

In Francia, nel XVIII secolo, il cosiddetto illuminismo era rappresentato da un periodo in cui i filosofi borghesi si impegnavano negli aspetti diversi della vita sociale e indivi-duale e si sforzavano di razionalizzarli, vale a dire di ricostruirli in base alla legge della 10

ragione. Essi si occupavano di questioni che riguardavano non solo la politica e la chie-sa ma anche il sesso, l'educazione dei bambini e così via. Non c'è dubbio che per il sem-plice fatto di porre e trattare tali questioni, essi contribuivano ad elevare il livello cultu-rale dell'individuo non in generale, ma in quanto borghese e soprattutto intellettuale borghese.

La forza della filosofia razionalista, cioè la ricostruzione dei rapporti sociali e personali secondo la legge della ragione, risiedeva però nell'esistenza della proprietà privata dei mezzi di produzione, che diventava il nuovo sostegno della società fondata sulla ragio-ne. La proprietà privata condizionava il mercato, il gioco cieco delle forze economiche non dirette dalla «ragione». I rapporti economici di mercato si riflettevano nelle condi-zioni di vita. Finché regnava il mercato, non si poteva neanche pensare di condurre una vera e propria razionalizzazione della vita delle masse popolari. Ecco perché l'applica-zione pratica delle idee dei filosofi razionalisti del XVIII secolo era così limitata mal-grado il fatto che questi a volte fossero assai penetranti e coraggiosi nelle loro deduzio-ni.

In Germania l'illuminismo cominciò a esercitare la sua influenza nella prima metà del secolo scorso. Alla testa del movimento era la «giovane Germania», che aveva come di-rigenti Heine e Boerne. Alla base ancora una volta c'era il lavoro critico della sinistra della classe borghese, cioè dei suoi intellettuali, che avevano dichiarato guerra alla schiavitù, al servilismo, all'ignoranza, al localismo con la sua stupidità e i suoi pregiudi-zi, e che aspiravano a instaurare il regno della ragione, non senza però un maggiore scetticismo rispetto ai loro predecessori francesi.

Più tardi questo movimento fu assorbito dalla rivoluzione piccolo-borghese del 1848. che si dimostrò impotente persino a eliminare le numerose dinastie, per non parlare del-la ricostruzione da cima a fondo della vita dell'uomo.

Nella nostra Russia arretrata l'illuminismo assunse un carattere piuttosto ampio nella se-conda metà del XIX secolo. Cerniscevskij, Pisarev, Dobrolubov, formati alla scuola di Belinskij, dirigevano i loro strali critici non tanto verso le questioni economiche quanto verso la confusione, la reazione e il modo di vivere orientale. Alle vecchie tradizioni es-si contrapponevano l'uomo nuovo, il «realista»e 1'«utilitarista» che desidera costruirsi la vita sulle leggi della ragione e che viene ben presto trasformato in un «essere pensante critico». Ma mentre i razionalisti francesi del XVIII secolo erano capaci, solo in misura piuttosto ridotta, di cambiare la vita e la morale formulate non dai filosofi ma dal merca-to, mentre il ruolo giocato dai razionalisti tedeschi era ancora abbastanza modesto, l'in-fluenza reale dell'insegnamento degli intellettuali russi sulla vita e sulla morale del po-polo era addirittura trascurabile. A conti fatti, il ruolo storico giocato dai razionalisti russi, movimento popolare compreso, si limita all'aver preparato le condizioni per l'av-vento dei partiti del proletariato rivoluzionario.

Solo dopo che la classe operaia ha conquistato il potere, si sono create le condizioni per una reale trasformazione della vita fin nelle sue radici più profonde. Non è possibile ra-zionalizzare la vita, cioè trasformarla secondo i dettami della ragione, senza razionaliz-zare la produzione, poiché le radici della vita e delle sue condizioni si trovano nell'eco-nomia. Solo il socialismo si è posto il compito di seguire fino in fondo la strada della ragione e di subordinare tutte le attività umane a questo scopo. La classe borghese nelle sue tendenze più avanzate si è limitata solo alla razionalizzazione della tecnologia da un lato (tramite le scienze naturali, la chimica, le invenzioni, le macchine) e la politica dall'altro (tramite il parlamento); non ha però razionalizzato l'economia, che è divenuta il terreno di scontro della concorrenza cieca. Quindi l'ignoranza e la cecità continuano a regnare nella vita della società borghese. Il potere che è stato conquistato dalla classe operaia si trova di fronte al compito di dare alle fondamenta dei rapporti umani un con-11

trollo cosciente e una direzione. Solo così si aprirà la strada della ricostruzione razionale della vita.

Tutto ciò significa che il nostro successo nel campo degli usi e dei costumi dipende dal successo in campo economico. E' tuttavia vero che anche nelle attuali condizioni eco-nomiche potremmo introdurre nella nostra vita un elemento maggiore di critica, di ini-ziativa e di razionalità. Questo è uno dei compiti del periodo in cui viviamo. Ciò che è tuttavia ancora ovvio è che la ricostruzione della vita, l’emancipazione delle donne dalla condizione di schiave domestiche, l'educazione comunista dei bambini, la liberazione del matrimonio dagli elementi di costrizione economica, e così via, sono risultati che si possono ottenere nella misura in cui la crescita di forme socialiste di economia controbi-lanciano i residui del capitalismo.

Un esame critico degli usi e dei costumi è divenuto una necessità per far sì che la vita, che è conservatrice per le sue tradizioni che risalgono a migliaia di anni, non resti indie-tro rispetto alle possibilità di progresso che si presentano, anche nelle risorse economi-che di oggi, e possa aprirsi al domani. D'altro canto, successi anche minimi nel campo degli usi e dei costumi ovviamente destinati ad elevare il livello culturale dei lavoratori e delle lavoratrici, avrebbero come effetto l'ampliamento delle possibilità di razionaliz-zazione dell'industria e la realizzazione più rapida delle istituzioni socialiste; a sua volta ciò apre la strada a nuove conquiste nel campo della socializzazione della vita. La di-pendenza a questo punto è logica. Il fattore principale è l'economia ma, per influenzare l'economia, noi, in qualità di partito comunista e di Stato operaio, possiamo operare solo tramite la classe operaia elevando costantemente la conoscenza tecnica e il grado di cul-tura dei suoi elementi costitutivi. In uno Stato operaio la cultura serve il socialismo e il socialismo si batte per una espansione notevole della cultura, di una vera cultura al di fuori delle classi, di una cultura dell'uomo e dell'umanità. 12

Vodka, Chiesa e cinema

Due grossi avvenimenti hanno lasciato una nuova impronta nella vita operaia. Uno è l'avvento della giornata lavorativa di otto ore, l'altro la proibizione della vendita della vodka in quanto rappresentava un'entrata trascurabile rispetto al notevole aumento delle entrate dello Stato. La rivoluzione ha ereditato la liquidazione del monopolio della vo-dka; essa ha riconfermato questo provvedimento ma nel farlo è stata mossa da motivi di principio. Solo con la conquista del potere da parte della classe operaia, che è divenuta creatrice di un nuovo ordinamento economico, la lotta contro l'alcoolismo tramite l'edu-cazione e il proibizionismo ha potuto ricevere un significato storico. Il fatto che si sia rinunciato alla rendita proveniente dallo sfruttamento dell'alcoolismo durante la guerra imperialista non altera il fatto fondamentale che l'abolizione del sistema per il quale il paese incoraggiava a bere costituisce una delle conquiste della rivoluzione.

Per ciò che riguarda la giornata lavorativa di otto ore, si tratta di una conquista diretta della rivoluzione. Come fatto in sé, la giornata lavorativa di otto ore ha portato a un mu-tamento radicale nella vita dell'operaio, liberandolo per due terzi della giornata dalla sua attività lavorativa in fabbrica. Tutto ciò ha gettato le basi per un mutamento radicale di vita, per uno sviluppo culturale, per l'educazione sociale e cosi via; ne ha solamente, ri-petiamo, gettato le basi. Il significato principale della rivoluzione d'ottobre risiede nel fatto che il miglioramento economico di ogni operaio eleva automaticamente il livello materiale e culturale della classe operaia nel suo complesso.

«Otto ore per lavorare, otto ore per dormire, otto ore per svagarsi », dice la vecchia for-mula del movimento operaio. Nel nostro caso essa assume un nuovo significato. Più viene utilizzata con profitto la settimana lavorativa di otto ore, più aumenta la possibilità e la capacità di fruire in modo più igienico delle otto ore di sonno, e più le otto ore di ri-poso possono essere impiegate a scopi culturali e in senso pieno.

La questione degli svaghi assume un'importanza maggiore per ciò che riguarda la cultu-ra e l'istruzione. Il carattere del bambino si rivela e si forma nel gioco. Il carattere dell'adulto si manifesta chiaramente nei suoi svaghi. Ma nella formazione del carattere di tutta una classe, quando questa classe è giovane e si muove in avanti, come è il caso del proletariato, gli svaghi debbono occupare una posizione preminente. Il grande ri-formista e utopista francese Fourier, ripudiando l'ascetismo cristiano e la soppressione degli istinti naturali, costruì la sua phalanstère [comune del futuro] sull'utilizzo e sulla fusione giusta e razionale degli istinti e delle passioni umane. Si tratta di un'idea pro-fonda. Lo Stato operaio non è né un ordinamento spirituale né un monastero. Noi pren-diamo la gente cosi come è stata generata dalla natura, e come in parte è stata educata e in parte diseducata dal vecchio ordinamento. In questo materiale umano cerchiamo un punto d'appoggio, la leva costituita dal nostro partito e dal nostro Stato rivoluzionario. Il desiderio di svago, distrazione, viaggi e divertimento è uno dei più legittimi della natura umana. Possiamo, e in realtà dobbiamo, dare alla soddisfazione di questo desiderio un carattere artistico più elevato e allo stesso tempo fare degli svaghi uno strumento di e-ducazione collettiva, libero dal controllo dei pedagogisti e dalle tendenze moralizzatrici che operano senza posa.

L'arma più potente in questo senso, un'arma che eccelle su tutte le altre, è oggi il cine-ma. Questa stupenda innovazione ha: operato nella vita dell'uomo con rapidità straordi-naria, che non ha precedenti. Nella vita quotidiana delle città capitalistiche il cinema è 13

diventato una parte integrante della vita cosi come lo è il bagno, la birreria, la chiesa e le altre istituzioni indispensabili, raccomandabili e cosi via. La passione per il cinema è radicata nel desiderio di distrazione, nel desiderio di vedere qualcosa di nuovo e di in-trovabile, di ridere, e di piangere non sulle proprie sfortune ma su quelle degli altri. Il cinema soddisfa questa richiesta in modo diretto, visivo, pittoresco e vitale, non richie-dendo nulla dal pubblico; non richiede neanche che si sappia leggere e scrivere. Ecco perché il pubblico mostra una passione così grata verso il cinema come fonte inesauribi-le di impressioni e di emozioni. Tutto ciò fornisce una base, e non solamente modesta ma di grandi dimensioni, per l'impiego delle nostre energie educatrici in senso sociali-sta.

Il fatto che siano trascorsi sei anni senza che abbiamo preso possesso del cinema, mo-stra che siamo lenti e incapaci di comprendere, per non dire francamente che siamo inet-ti. Questa arma che non chiede altro che di essere adoperata, costituisce il migliore strumento di propaganda, di una propaganda tecnica, educativa ed industriale, di una propaganda contro l'alcoolismo, di una propaganda igienica, di una propaganda politica, di qualsiasi tipo di propaganda vogliate fare, accessibile a tutti e attraente per tutti, che penetra nella memoria e può anche divenire fonte di entrate per lo Stato.

In fatto di capacità di attrazione e di svago il cinema è già un rivale della birreria e del bar. Non so se New York o Parigi al momento abbiano più cinema o più bar e quali di queste attività renda di più. Mi sembra però chiaro che, al di là di ogni altra considera-zione, il cinema sia un concorrente del bar per ciò che riguarda il modo di passare le ot-to ore di svago. Riusciremo ad assicurarci quest'arma senza paragoni? E perché no? Il governo dello zar nel giro di pochi anni aveva creato una rete fitta di bar statali che for-nivano un'entrata di quasi un miliardo di rubli oro. Perché il governo operaio non do-vrebbe essere capace di creare una rete di cinema? Questo apparato di divertimento e di educazione potrebbe diventare sempre più parte integrante della vita nazionale. Usato per combattere l'alcoolismo potrebbe nello stesso tempo divenire una fonte di entrate. E' possibile tutto ciò? Perché no? Naturalmente non è facile. In ogni caso sarebbe assai più naturale e più consono alle energie e capacità organizzative dello Stato operaio di quan-to, ad esempio, non sia il tentativo di ripristinare il monopolio della vodka.

Il cinema entra in concorrenza non solo con il bar ma anche con la Chiesa; questa rivali-tà potrebbe essere fatale a quest'ultima se potessimo contrapporre alla chiesa separata dallo Stato socialista la fusione dello Stato socialista con il cinema.

Il sentimento religioso praticamente non esiste, e in realtà non è mai esistito, fra la clas-se lavoratrice russa. La chiesa ortodossa rappresentava un'abitudine quotidiana e un’istituzione governativa che non è riuscita mai a penetrare profondamente nella co-scienza delle masse né a fondere i propri dogmi e canoni con le emozioni più intime del popolo. La ragione di tutto ciò è sempre la stessa: le condizioni di arretratezza della vecchia Russia, compresa la sua chiesa. Quindi, risvegliato dalla cultura, l'operaio russo si libera facilmente dei suoi rapporti puramente esterni con la chiesa, trattandosi di un rapporto che si è sviluppato con l'abitudine. Per il contadino ovviamente tutto ciò diven-ta più difficile, non perché abbia assimilato l'insegnamento della chiesa più profonda-mente e intimamente - il che ovviamente non è affatto vero - ma perché l'inerzia e la monotonia della sua vita sono intimamente legate all'inerzia e alla. monotonia delle fun-zioni della chiesa.

Il rapporto fra l'operaio e la chiesa {parlo dell'operaio proveniente dalla massa dei non iscritti al partito) si basa in gran parte su una abitudine, e ciò è particolarmente vero per le donne. Le icone addobbano le pareti della casa che, prive di esse, sembrerebbero nu-de; non ci si è abituati a farne a meno. L'operaio non si preoccuperà di procurarsi nuove icone, ma non è sufficientemente pronto a liberarsi di quelle vecchie. Come si può fe-14

steggiare la primavera se non mangiando la torta pasquale? E questa torta deve essere benedetta dal prete altrimenti non avrebbe senso. Per ciò che riguarda l'andare in chiesa, la gente non ci va perché è religiosa: la chiesa è piena di luci sfolgoranti, affollata di uomini e donne vestiti con gli abiti migliori, è bello cantare - tutta una serie di attrazioni socio-estetiche che non fornisce né la fabbrica né la famiglia di un quartiere operaio. Non c'è molta fede o praticamente non ce ne è affatto. In ogni caso non c'è né rispetto per il clero né fede in una forza magica rituale, ma non c'è neanche una volontà attiva che possa rompere con tutto ciò.

L'elemento di distrazione, di piacere e di svago gioca un ruolo importante nei rituali del-la Chiesa. Con metodi teatrali la Chiesa opera sulla vista, sull'olfatto (con l'incenso) e, mediante questi sensi, sull'immaginazione. L'uomo ha un grande desiderio, di cui non può fare a meno, di cose teatrali, desidera vedere e sentire cose insolite e cose che colpi-scono, vuol rompere la monotonia della vita quotidiana; questi desideri continuano ad essere alimentati dalla fanciullezza alla vecchiaia.

Per liberare le masse dai riti e dalla sottomissione alla Chiesa acquisiti dall'abitudine la propaganda antireligiosa non basta. Essa è ovviamente necessaria ma la sua influenza pratica, diretta, si limita ad una ristretta minoranza di gente più coraggiosa spiritualmen-te. La maggioranza della gente non risponde alla propaganda antireligiosa non perché abbia un rapporto profondo con la religione ma, al contrario, perché questo rapporto spi-rituale non esiste affatto e invece ne esiste uno inerte, meccanico e informe che non è passato per la coscienza, un rapporto come quello dell'uomo della strada che di volta in volta non ha nulla in contrario ad unirsi ad una processione o ad una cerimonia pompo-sa, ad ascoltare canti o ad agitare la mano.

Rituali senza significato che poggiano sulla coscienza come un peso inerte non possono essere distrutti con la sola critica ma debbono essere sostituiti con nuove forme di vita, nuovi svaghi, nuovi spettacoli pieni di significato culturale. E di nuovo pensiamo natu-ralmente al più potente di questi spettacoli, il cinema, perché è anche uno strumento più democratico del teatro. Non avendo bisogno di un clero vestito di broccati ecc., il cine-ma proietta sullo schermo immagini spettacolari che hanno una capacità di presa assai più grande di quelli che potrebbe realizzare la chiesa più ricca, la chiesa che abbia un' esperienza millenaria, oppure una moschea o sinagoga. Nella chiesa si rappresenta un solo dramma e sempre lo stesso di anno in anno, mentre col cinema si possono far vede-re tutte le cerimonie pagane, ebraiche e cristiane in sequenza storica con l'evidenza della somiglianza dei rituali. Il cinema diverte, educa, colpisce l'immaginazione con quello che proietta e libera dalla necessità di passare la soglia della chiesa. Il cinema è un grande concorrente non solo del bar, ma anche della chiesa. Ecco uno strumento che dobbiamo assicurarci ad ogni costo! 15

Dalla vecchia alla nuova famiglia

I rapporti interni alla famiglia e le vicende familiari sono, per la loro stessa natura, ele-menti assai difficili da conoscere soprattutto dal punto di vista statistico. Non è quindi facile dire se i legami familiari oggi (nella vita reale e non solamente sulla carta) si rompano più facilmente e più frequentemente di prima; in larga misura dobbiamo ac-contentarci di formulare giudizi di massima. Inoltre il periodo precedente la rivoluzione differisce da quello in cui viviamo per il fatto che prima tutti i turbamenti e i conflitti drammatici nelle famiglie operaie passavano sotto silenzio per la classe operaia stessa, mentre ora, la vita di una gran parte degli operai degli strati più elevati che ricoprono funzioni di responsabilità avviene assai di più alla luce del giorno e ogni suo conflitto interno diventa oggetto di commenti e a volte di pettegolezzi.

Fatte queste riserve, non si può tuttavia negare che le relazioni familiari, comprese quel-le della classe operaia, siano a pezzi. Nei dibattiti che si sono avuti nelle riunioni dei propagandisti della zona di Mosca questo fatto è stato presentato come chiaramente ac-certato e incontestabile. I partecipanti alle discussioni sono stati tutti, ciascuno a suo modo, impressionati da questo fatto; alcuni hanno manifestato apprensione, altri sono stati un po' più prudenti, altri ancora sembravano perplessi. In ogni, caso era a tutti chia-ro che si stava sviluppando un grosso processo in maniera molto caotica, che questo processo assumeva a volte caratteristiche malsane e rivoltanti, a volte forme ridicole o tragiche, e che non era ancora riuscito a estrinsecare tutte le possibilità nascoste di pro-muovere un nuovo e più elevato ordinamento di vita familiare. Nella stampa sono filtra-te informazioni sulla disintegrazione della famiglia, ma solamente occasionalmente e in termini assai vaghi e generici. Ho letto in un articolo che la disintegrazione della fami-glia nella classe operaia veniva presentato come un caso di «influenza borghese sul pro-letariato». Non si tratta di una cosa così semplice. Le radici della questione sono assai più profonde ed intricate. E' vero che esiste l'influenza del presente e del passato bor-ghese, ma il processo principale consiste nell'evoluzione penosa della stessa famiglia proletaria, un’evoluzione che conduce alla crisi. Stiamo ora assistendo alle prime caoti-che fasi di questo processo.

E' assai nota l'influenza profondamente distruttiva della guerra sulla famiglia. Tanto per cominciare, la guerra dissolve automaticamente la famiglia separandone i componenti per un lungo tempo o mettendo insieme la gente a caso. Questa influenza della guerra è continuata e si è rafforzata con la rivoluzione. Gli anni della guerra hanno frantumato tutto quello che aveva resistito per la sola forza di inerzia della tradizione storica: il po-tere dello zarismo, i privilegi di classe, la vecchia famiglia tradizionale. La rivoluzione ha cominciato col costruire un nuovo Stato e con ciò ha raggiunto il suo scopo più sem-plice e urgente. L'aspetto economico del problema si è dimostrato assai più complicato. La guerra ha scosso il vecchio ordine economico, la rivoluzione l'ha rovesciato e ora ne stiamo costruendo uno nuovo ricavandolo ancora in gran parte dai vecchi elementi rior-ganizzati in nuove forme e in nuovi modi. In campo economico solo recentemente sia-mo usciti da un periodo di crisi profonda e abbiamo cominciato a sollevarci. I nostri progressi sono ancora lenti, il raggiungimento di nuove forme socialiste di vita econo-mica è ancora assai lontano, ma abbiamo superato completamente il periodo peggiore. Il punto più' basso era stato raggiunto nel periodo tra il 1920 e il 1921.

Per ciò che riguarda la vita familiare il periodo di crisi è ancora lungi dall'essere supera-to e il processo di disintegrazione opera ancora a pieno ritmo. Dobbiamo ricordarcelo 16

bene. La vita familiare e domestica sono ancora, per così dire, nel loro 1920-21 e non hanno ancora raggiunto il livello del 1923. La vita domestica è più conservatrice di quella economica anche perché la prima è assai meno cosciente dell'ultima. In politica e in economia la classe operaia agisce come un sol blocco e spinge avanti la sua avan-guardia, il partito comunista, cercando di realizzare per suo tramite i compiti storici del proletariato. Nella vita domestica la classe operaia è suddivisa nelle cellule costituite dalle famiglie. Il mutamento di regime politico, il mutamento di regime economico - il passaggio delle fabbriche e delle officine nelle mani degli operai - hanno avuto certa-mente influenza sulle condizioni familiari, ma solo indirettamente ed esternamente, sen-za toccare le tradizioni domestiche ereditate dal passato.

Una riforma radicale della famiglia, e più in generale di tutta la vita domestica, richiede uno sforzo cosciente enorme da parte di tutta la classe operaia e presuppone nella classe stessa l'esistenza di una potente forza molecolare rappresentata dal desiderio di cultura e di progresso; ci vuole un aratro che ari in profondità per rovesciare il suolo più compat-to. L’introduzione dell'uguaglianza politica fra uomini e donne nello Stato sovietico era uno dei problemi più semplici. Assai più difficile era quell'altro: introdurre l'uguaglian-za in campo industriale tra uomini e donne che lavorano nelle fabbriche, nelle officine e nei sindacati e in modo tale da non mettere le donne in posizione di svantaggio rispetto agli uomini. Raggiungere invece una eguaglianza reale fra l'uomo e la donna all'interno della famiglia è un problema infinitamente più arduo. Prima che ciò accada si debbono rivoluzionare tutte le nostre abitudini domestiche. Tuttavia è ovvio che a meno che non si raggiunga un’eguaglianza reale fra uomo e donna in seno alla famiglia, sia in senso generale sia nelle condizioni di vita, non possiamo parlare seriamente di uguaglianza sociale e nemmeno di eguaglianza politica. Finché la donna è incatenata al lavoro do-mestico, alla cura della famiglia, alla cucine e al cucito, sono estremamente ridotte tutte le sue possibilità di partecipare alla vita politica e sociale.

Il problema più facile da risolvere era quello della conquista del potere; ciò malgrado ha assorbito tutte le nostre forze nel primo periodo della rivoluzione e ha richiesto infiniti sacrifici. La guerra civile richiedeva misure estremamente vigorose. Gente sciocca e dalla mentalità ristretta ha denunciato ad alta voce l'immoralità e la depravazione san-guinaria del proletariato, mentre ciò che in realtà stava succedendo era che, costretto ad adoperare la violenza rivoluzionaria, il proletariato cominciava a combattere per nuovi livelli di cultura e per un reale umanitarismo. Nei primi quattro o cinque anni abbiamo passato un periodo di crisi sconvolgente in campo economico. La produttività del lavoro crollava mentre i prodotti erano di qualità straordinariamente bassa. Il nemico vedeva, o meglio voleva vedere, in una situazione del genere il segno della putrefazione del regi-me sovietico. Ma in realtà non era che una fase inevitabile della distruzione delle vec-chie forme economiche e dei primi infruttuosi tentativi di creare nuove forme.

Nel campo dei rapporti familiari e delle forme di vita individuale si dovrà inevitabil-mente attraversare un periodo di disintegrazione che metterà in crisi le vecchie tradizio-ni ereditate dal passato che non siano ancora state oggetto di riflessione. Ma nel campo della vita domestica il periodo di critica e di distruzione inizia più tardi, dura assai di più ed assume forme dolorose e poco corrispondenti a criteri sani; tali forme sono comples-se e non sempre percepibili, se ci si limita ad osservazioni superficiali. Queste fasi pro-gressive di mutamenti critici nelle condizioni dello Stato, dell'economia e della vita in generale debbono essere chiaramente definite se si vuole impedire che l'osservazione di questi fenomeni crei allarme. Dobbiamo imparare a giudicare in moda corretto. tali fe-nomeni, a comprendere la loro giusta collocazione nello sviluppo della classe operaia e a sviluppare coscientemente le nuove condizioni verso forme socialiste di vita. 17

Questo avvertimento. è necessario poiché già sentiamo voci di allarme. Al dibattito fra i partecipanti alla conferenza di Mosca a cui ha già accennato, alcuni compagni sono in-tervenuti mostrando grande preoccupazione per la facilità con cui si rompono i vecchi legami familiari e per l'estrema debolezza dei nuovi legami. In tutti i casi citati le vitti-me sono la madre e i figli. D'altro canto chi fra di noi non ha sentito, in conversazioni private, lamentare la demoralizzazione dei giovani sovietici e specialmente di quelli che appartengono alle organizzazioni giovanili, ai Komsomol? Non tutto quello che si dice a tale proposito è esagerazione; c'è anche una parte di verità. Certamente dobbiamo com-battere i lati più oscuri e più negativi di questi aspetti reali in quanto ciò rientra nella lot-ta per una nuova cultura e per lo sviluppa della personalità umana. Ma per cominciare il nostro lavoro, per partire dall'a b c del problema senza assumere atteggiamenti di rea-zionario moralismo o di scoraggiamento sentimentalista, dobbiamo innanzi tutto accet-tare i fatti e renderci conto di quello che sta in realtà succedendo.

Come abbiamo detto, avvenimenti di enorme portata, come la guerra e la rivoluzione, lasciano il loro segno sulla famiglia e sulla sua vecchia struttura. Sulla scia di questi av-venimenti è intervenuta una talpa che scava sotto la superficie, e questa talpa è il pensie-ro critico, lo studio e la valutazione cosciente dei rapporti familiari e delle forme della vita. La forza dirompente dei grandi avvenimenti, unita alla forza critica delle menti ri-svegliate, ha generato un periodo distruttivo per i rapporti familiari, il periodo che stia-mo vivendo ora. Dopo la conquista del potere, l'operaio russo deve ora muovere in molti settori della sua vita i primi passi coscienti versa la cultura. Sotto l'impulso di grandi conflitti per la prima volta la sua personalità si libera. da tutte le forme tradizionali della vita, da tutte le abitudini domestiche, dalle pratiche e dai vincoli religiosi. Non c'è quin-di da meravigliarsi se all'inizio la protesta dell'individuo, la sua rivolta contro le tradi-zioni del passato, assumono forme anarchiche o, se volete chiamarle così, dissolute. Abbiamo osservato questo fenomeno in politica, nell'esercito, nell’economia; in questi settori l'individualismo anarchico si è palesato sotto forma di estremismo, di settarismo, di retorica da comizio. Non ci si meravigli quindi se questo processo agisce in profondi-tà e quindi con reazioni dolorose per i rapporti familiari. La personalità risvegliata, de-siderando riorganizzarsi in nuove forme dopo essersi liberata dalle vecchie influenze, si presenta con tendenze alla «dissipazione», alla «malvagità», e a tutti gli aspetti deleteri che vengono denunciati nelle discussioni che si fanno a Mosca.

Strappato dal suo ambiente abituale a seguito della mobilitazione, il marito si trasforma in cittadino rivoluzionario sul fronte della lotta. Si tratta di un mutamento profondo: i suoi orizzonti si allargano, le sue aspirazioni spirituali si elevano e assumono aspetti as-sai più complessi. Ne risulta un uomo completamente diverso; quando torna a casa, tro-va che nella famiglia tutto è rimasto praticamente immutato. Salta quindi per aria il vec-chio rapporto di armonia e comprensione con gli altri componenti della famiglia, mentre non se ne costruisce uno nuovo. Il disorientamento di tutti diventa ben presto scontento e poi irritazione. La famiglia si sfascia.

Il marito è comunista. Vive attivamente, si impegna nel lavoro sociale, la mente gli si apre, la vita personale viene assorbita dal lavoro. Ma anche la moglie è comunista. Ella vuole partecipare al lavoro sociale, alle riunioni pubbliche, vuole lavorare nel Soviet o nel sindacato. La vita a casa praticamente incomincia a non esistere prima che i due se ne accorgano; la mancanza di un'atmosfera casalinga produce continui conflitti. Marito e moglie cominciano a litigare. La famiglia si sfascia.

Il marito è comunista, la moglie è apolitica. Il marito viene assorbito dal lavoro mentre la moglie continua ad occuparsi della casa. I rapporti sono «pacifici» e nei fatti basati sul solito distacco. Ma il comitato di partito, la cellula del marito decide che egli debba eliminare le icone dalla casa. Egli è pronto ad obbedire perché trova che la decisione è 18

giusta, ma la moglie la considera una catastrofe. Un avvenimento di portata limitata come questo mette immediatamente in luce l'abisso che separa la mentalità del marito da quella della moglie. I rapporti si deteriorano e la famiglia si sfascia.

Una vecchia famiglia. Dieci o quindici anni di vita in comune. Il marito è un buon ope-raio, dedito alla famiglia; anche la moglie vive per la casa, a cui dà tutte le sue energie. Ma per caso ella entra in contatto con un’organizzazione di donne comuniste e le si apre davanti agli occhi un nuovo mondo. Le sue energie si indirizzano verso un obiettivo nuovo e di portata più ampia. La famiglia viene trascurata, il marito è irritato, la moglie si sente colpita nella sua nuova coscienza civica. La famiglia si sfascia.

Si potrebbero moltiplicare all'infinito esempi di tragedie familiari come queste, tutti conclusi allo stesso modo: la rottura dei legami familiari. Ci siamo limitati ad indicare i casi più tipici. In tutti gli esempi citati la rottura è dovuta a un conflitto fra comunisti ed elementi senza partito, ma la rottura della famiglia, o meglio della famiglia vecchio tipo, non avviene solo nei settori della classe che hanno posizioni di responsabilità e che sono quindi più esposti alle influenze derivanti dalla nuova situazione; il movimento di disin-tegrazione dei rapporti familiari penetra in profondità. L'avanguardia comunista si limita a subire prima, e in maniera più violenta, ciò che è inevitabile per la classe nel suo com-plesso. L'atteggiamento fortemente critico verso le vecchie condizioni di vita e i nuovi diritti che si creano nell'ambito della famiglia vanno oltre la linea di demarcazione fra i comunisti e la classe operaia nel suo complesso. L’istituzione del matrimonio civile ha rappresentato un duro colpo alla famiglia «consacrata» che si nutriva in larga misura di apparenze. Le forze esterne, le tradizioni sociali e in particolare i riti religiosi hanno perduto di capacità di attrazione nella misura in cui si sono indeboliti i vecchi legami familiari nell'ambito della famiglia tradizionale. I colpi subiti dalla Chiesa erano anche colpi diretti verso la famiglia tradizionale. Vediamo ancora che continuano ad essere praticati, per forza di inerzia, riti religiosi, sia pur privi del carattere di obbligatorietà e del riconoscimento statale; questi riti servono da puntelli alla vacillante istituzione della famiglia. Ma quando non esistono legami profondi all'interno della famiglia, quando so-lo la forza di inerzia impedisce che la famiglia crolli, allora qualsiasi spinta esterna è de-stinata a mandare tutto in frantumi e nello stesso tempo a vibrare ulteriori colpi alle ce-rimonie religiose. Queste spinte esterne sono destinate ad esercitarsi ora assai più di prima. Ecco la ragione perché la famiglia vacilla, non riesce a recuperare il proprio e-quilibrio e finisce col cadere. La vita si erge a giudice delle sue stesse condizioni e con-danna in modo crudele e doloroso la famiglia. La storia fa cadere le vecchie querce e i frantumi volano via.

La vita sta indubbiamente mettendo in luce alcuni elementi di un nuovo tipo di famiglia. Non resta che comprendere chiaramente la natura di questi elementi e il processo della loro formazione. Come in altri casi, dobbiamo distinguere condizioni fisiche e psicolo-giche, generali e individuali. Dal punto di vista psicologico l'evoluzione della nuova famiglia, dei nuovi rapporti umani in generale, significa, per la classe operaia, un passo in campo culturale, lo sviluppo dell'individuo, l'innalzamento delle sue esigenze e della sua disciplina interna a un livello più alto. Da questo punto di vista la rivoluzione in se stessa ha ovviamente comportato un grande passo in avanti, mentre i fenomeni peggiori della disintegrazione della famiglia non fanno altro che mettere semplicemente in luce l'anormalità del modo in cui si esprime il risveglio della classe e degli individui che la compongono. Tutto il nostro lavoro culturale, sia quello che facciamo sia quello che do-vremmo fare, sotto questo aspetto diventa una preparazione per nuovi rapporti e per una nuova famiglia. Senza un elevamento del livello culturale dell'operaio e dell'operaia presi individualmente; non può esistere un tipo nuovo e più elevato di famiglia, perché in questo campo non possiamo che ovviamente parlare di disciplina interna e non di co-19

strizione esterna. La forza della disciplina dell'individuo nell'ambito della famiglia viene condizionata dalla vita interna, dall'ampiezza e dal valore dei legami che uniscono mari-to e moglie.

La preparazione fisica per le condizioni della vita e della famiglia nuova non possono anche in questo caso essere separate essenzialmente dal lavoro più generale della co-struzione del socialismo. Lo Stato operaio deve diventare più ricco in modo da affronta-re seriamente il problema dell'educazione pubblica dei ragazzi e della liberazione della famiglia dal fardello della cucina e dell'educazione pubblica dei bambini; ciò è impen-sabile senza un miglioramento sensibile di tutta la nostra economia. Abbiamo bisogno di fare grandi passi avanti in campo economico e solo se riusciremo a farli potremo libe-rare la famiglia dalle funzioni e dai lavori che ora l'opprimono e la disintegrano. Il buca-to deve essere fatto in una lavanderia pubblica, i pasti debbono essere consumati in ri-storanti pubblici e le riparazioni dei vestiti debbono essere fatte in laboratori pubblici. I figli debbono essere educati da buoni insegnanti che abbiano una vocazione reale per questo lavoro. Allora il legame fra marito e moglie sarà libero da qualsiasi elemento e-sterno e accidentale e ciascuno smetterà di assorbire la vita dell'altro. Si avrà finalmente una vera e propria eguaglianza e nell'ambito di questa eguaglianza il legame dipenderà dall’affetto reciproco e acquisterà una stabilità interna che ovviamente non sarà la stessa per tutti e non sarà obbligatoria per nessuno.

Possiamo così costruire la nuova famiglia percorrendo due strade:

a) elevando il livello culturale della classe operaia sia nel suo complesso sia per ciò che riguarda gli individui che la compongono;

b) migliorando le condizioni materiali della classe organizzata dallo Stato.

Questi due processi sono intimamente connessi l'uno all'altro.

Quello che abbiamo affermato non implica naturalmente che in un dato momento del progresso materiale emergerà di colpo la famiglia del futuro. Anche ora è possibile fare alcuni passi verso la costruzione della nuova famiglia. E' vero che lo Stato non può an-cora accollarsi l'educazione dei ragazzi e la creazione di una catena di ristoranti e di la-vanderie a carattere pubblico, ma ciò non significa che le famiglie più intraprendenti e progressiste non possano raggrupparsi in unità collettive di lavoro domestico. Esperi-menti di questo genere debbono ovviamente farsi con cautela: l'equipaggiamento tecni-co del collettivo deve rispondere agli interessi e alle esigenze del gruppo stesso e deve fornire vantaggi evidenti, sia pure dapprima modesti, a ciascuno dei suoi membri.

«Questo compito - ha scritto recentemente il compagno Semasko a proposito della ne-cessità di ricostruire la nostra vita familiare - viene realizzato meglio da un punto di vi-sta pratico; le prescrizioni e gli inviti moralizzatori avranno di per sé scarsa efficacia. Ma un esempio, un’illustrazione di nuove forme, servirà assai più di mille opuscoli ec-cellenti».

Questa propaganda pratica viene condotta assai meglio in base al metodo che i chirurgi chiamano trapianto. Quando un paziente presenta una superficie ampia di carne viva in conseguenza di una ferita o di una bruciatura e non si può sperare che la pelle cresca sufficientemente in modo da coprirla, si trapiantano brandelli di pelle presi da altre parti del corpo che poi vengono attaccati pezzo per pezzo sulla superficie da ricoprire. Questi brandelli di pelle aderiscono alla carne e crescono fino a coprire tutta la superficie senza pelle.

Lo stesso accade nel campo della propaganda pratica. Quando una fabbrica o un'officina adottano forme di vita comunista, altre fabbriche seguiranno prima o poi. Le unità-collettivo familiari per i lavori di casa debbono essere accuratamente studiate prima di essere realizzate. Il primo passo deve essere un’iniziativa di vari individui appoggiati dal potere governativo, e in primo luogo dai soviet e dagli organi economici locali. La 20

costruzione di nuove abitazioni - dopo tutto dobbiamo costruirle! - deve essere adattata alle esigenze delle comunità familiari di .nuovo tipo. Il primo successo evidente e inne-gabile, sia pur limitato nella portata, in questa direzione farà inevitabilmente sorgere nell'ambito di settori più ampi il desiderio di organizzarsi su linee simili. Non siamo an-cora pronti a varare un piano ben congegnato e iniziato dall'alto, sia dal punto di vista delle risorse materiali dello Stato, sia in considerazione della preparazione dello stesso proletariato. Possiamo sfuggire al punto morto in cui ci troviamo attualmente solo cre-ando comunità modello. Dobbiamo consolidarci il terreno sotto i piedi e quindi non dobbiamo lanciarci in avventure o in esperimenti a carattere burocratico o fantasioso. Ad un certo momento lo Stato sarà capace di socializzare, ampliare e approfondire il la-voro fatto, con l'aiuto dei soviet, delle cooperative e degli altri organi locali. In questo modo la famiglia, così come ci ha detto Engels, «passerà dalla sfera della necessità a quella della libertà ». 21

Famiglie e cerimonie religiose

Il cerimoniale della Chiesa schiavizza anche l'operaio privo di sentimenti religiosi o scarsamente religioso in tre grandi momenti della vita: nascita, matrimonio e morte. Lo Stato operaio ha rifiutato le cerimonie religiose e ha detto ai suoi cittadini che essi han-no il diritto di nascere, sposarsi e morire senza i gesti e le esortazioni misteriose di per-sone abbigliate con tonache, vesti ed altri abbigliamenti ecclesiastici. Le usanze rendono però più difficile l’eliminazione di cerimoniali del genere. La vita della famiglia operaia è troppo monotona ed è questa monotonia che logora il sistema nervoso. Ecco quindi il desiderio dell'alcool, una fiaschetta contenente tutto un mondo di immagini. Ecco la ne-cessità della Chiesa e dei suoi rituali. Come si può celebrare il matrimonio o la nascita di un bambino in famiglia? Come si può pagare il tributo di affetto ad un caro estinto? Il rituale della Chiesa poggia sulla necessità di forgiare e decorare i principali segnali da apporre lungo la strada della vita.

Con che cosa possiamo opporci a tutto ciò? Dobbiamo ovviamente contrapporre una cri-tica razionalistica, un atteggiamento ateo e realistico verso la natura e le sue forze, per contrastare la superstizione che si trova alle radici del rituale. Ma tale questione concer-nente la propaganda scientifica e critica non esaurisce l'argomento e in primo luogo si rivolge solo a una minoranza, anch'essa stimolata ad arricchire, migliorare ed elevare la vita individuale e in ogni caso gli aspetti più salienti di essa.

Lo Stato operaio ha già le sue feste, i suoi cortei, le sue riviste e parate, i suoi spettacoli simbolici, le nuove cerimonie teatrali dello Stato. E' vero che nel complesso questi spet-tacoli sono troppo vicini alle vecchie forme, che cercano di imitare e perpetuare, ma il simbolismo rivoluzionario dello Stato operaio è nuovo, distinto e impetuoso: la bandiera rossa, la stella rossa, l'operaio, il contadino, il compagno, l'internazionale. Ma nei vinco-li ristretti della vita familiare il nuovo non è penetrato, o almeno è presente in misura as-sai ridotta, mentre la vita dell'individuo è strettamente legata alla famiglia. Ciò spiega perché in fatto di icone, di battesimi, di funerali religiosi ecc. il piatto della bilancia pende verso le usanze. I componenti rivoluzionari di una qualsiasi famiglia non hanno nulla da offrire in sostituzione di queste abitudini: gli argomenti teorici agiscono solo sulla mente, mentre le cerimonie spettacolari agiscono sui sensi e sull'immaginazione. L'influenza di queste ultime è di conseguenza maggiore. Nella gran parte dei circoli comunisti si sente la necessità di opporsi alle vecchie pratiche mediante nuove forme, nuovi simboli, non solamente nel campo della vita dello Stato, dove tutto ciò è stato fat-to in grande misura, ma anche in campo familiare.

Fra gli operai ora si nota la tendenza a celebrare i compleanni al posto della festa del santo patrono, e a dare ai neonati nomi che simboleggiano nuovi avvenimenti e nuove idee, piuttosto che nomi di santi. Nella conferenza dei propagandisti della zona di Mo-sca ho appreso per la prima volta che il nuovo nome di Ottobrina era collegato al diritto di cittadinanza.

Si danno anche i nomi di Ninel (vale a dire il nome di Lenin detto all'incontrario) e di Rem che sta per rivoluzione, elettrificazione, Mir [pace]. Si danno anche i nomi di Vla-dimir, Il'ic ed anche di Lenin e Rosa (in onore di Rosa Luxemburg) e così via, con lo scopo di mettere in luce il desiderio di collegare i nomi dei ragazzi alla rivoluzione.

A Favzavkom si sono avuti casi in cui la nascita di un bambino è stata celebrata con una finta cerimonia di «ispezione» e con uno speciale protocollo con il quale si è aggiunto il nome del bambino alla lista dei cittadini sovietici. E' poi seguita una festa. Nelle fami-22

glie operaie si celebra anche l'avvio del ragazzo al lavoro come apprendista. Si tratta di un avvenimento di importanza reale in quanto influenza la scelta del mestiere e il corso della vita stessa. Si tratta anche per il ragazzo di un'occasione per cominciare a interve-nire nel lavoro sindacale.

Nel complesso i sindacati dovrebbero giocare un ruolo assai più importante nella crea-zione delle forme di vita nuova. Le corporazioni del Medioevo erano potenti perché in-fluivano sulla vita dell'apprendista, dell'operaio e del mastro in ogni suo aspetto. Esse salutavano il bambino il giorno della nascita, lo portavano fino alla porta della scuola e alla chiesa quando si sposava e lo seppellivano quando aveva compiuto i doveri per i quali era nato. Le corporazioni non erano semplicemente federazioni di mestieri: esse costituivano la vita organizzata della comunità. Lungo queste linee i nostri sindacati in-dustriali si stanno ampiamente sviluppando con una sola differenza: in opposizione alle forme di vita medioevale, quelle della nuova vita saranno libere dalla Chiesa e dalla sua superstizione e imbevute della tendenza e dall'aspirazione a utilizzare ogni conquista della scienza e della tecnica per arricchire e abbellire la vita.

Il matrimonio, se volete, è l'atto che più facilmente può prescindere dalle cerimonie re-ligiose. Tuttavia anche a tale riguardo occorre domandarci: quante «incomprensioni» ed espulsioni dal partito si sono avute a seguito di matrimoni religiosi? Le usanze rifiutano il matrimonio puro e semplice se non viene beatificato da cerimonie spettacolari.

La questione del funerale è infinitamente più difficile. Essere sotterrato senza funerale è insolito, spiacevole e mostruoso; è come crescere senza battesimo. Nei casi in cui la po-sizione del defunto ha richiesto funerali a carattere politico, si è creata la scena per nuo-ve cerimonie spettacolari imbevute del simbolismo della rivoluzione: la bandiera rossa, la marcia funebre del rivoluzionario, il saluto sparando colpi di arma da fuoco per aria. Alcuni dei partecipanti alla conferenza dei propagandisti di Mosca di cui abbiamo già parlato hanno sottolineato la necessità dell'adozione pratica della cremazione proponen-do di dare l'esempio cremando i corpi degli operai rivoluzionari più importanti. Essi giustamente consideravano questo atto un'arma potente da usare per la propaganda con-tro la Chiesa e contro la religione. Ma la cremazione - sarebbe ora che l'adottassimo - non significa l'abbandono dei cortei, dei discorsi funebri, del saluto con forme rituali. La necessità di manifestazioni esterne emotive è forte e legittima. Se l'elemento spettacola-re nel passato è stato collegato strettamente alla Chiesa, non c’è ragione, come abbiamo già detto, che esso non possa esserne separato. Il teatro si è separato dalla Chiesa prima di quanto non abbia fatto la Chiesa dallo Stato. In antichità la Chiesa ha combattuto vio-lentemente contro il teatro «mondano» rendendosi pienamente conto che era pericoloso in quanto rivale in campo spettacolare. Il teatro è morto: vive solo come spettacolo spe-ciale tra quattro mura. Ma l'usanza giornaliera che si serviva della forma spettacolare ha contribuito a conservare la Chiesa.

La Chiesa aveva in questo campo altri rivali, costituiti da società segrete come quella dei framassoni. Ma queste erano completamente imbevute di mentalità da sacerdote lai-co. La creazione di un «cerimoniale» rivoluzionario (adoperiamo la parola «cerimonia-le» per mancanza di termini migliori) e la sua contrapposizione al «cerimoniale» della Chiesa è possibile non solo in occasioni pubbliche o in circostanze in cui è impegnato lo Stato, ma nei rapporti di vita familiare. Anche ora una banda che suona a un funerale compete con successo con le musiche funebri della Chiesa. E noi dobbiamo naturalmen-te allearci alla banda nella lotta contro il rituale della Chiesa che si basa sul convinci-mento da schiavo dell'esistenza di un altro mondo in cui saremmo ripagati centinaia di volte per le miserie ed i mali di questo mondo. Ma un alleato ancora più potente è il ci-nema. 23

La creazione di nuove forme di vita e di nuove abitudini nel campo dello spettacolo si muoverà di pari passo con la diffusione dell'istruzione e con il crescere della sicurezza economica. Abbiamo motivo di osservare questo processo con la massima cura. Ovvia-mente non si dovrà, in nessun caso, esercitare costrizioni dall'alto, cioè si dovrà in ogni caso evitare di burocratizzare le nuove abitudini. Solo con la creatività delle masse, as-sistita dalla immaginazione e dall'iniziativa artistica, potremo nel corso di anni e di de-cenni costruire nuove e più elevate forme di vita. Dovremo aiutare questo processo crea-tivo in ogni modo, pur rinunciando a regolarlo. A tale scopo innanzitutto dobbiamo far sì che la tendenza alla cecità lasci il posto al discernimento. Dobbiamo attentamente os-servare tutto ciò che accade nella famiglia operaia a tale riguardo e più in generale nella famiglia sovietica. Ogni forma nuova, sia essa un fallimento o un semplice tentativo, deve essere registrata nella stampa e portata a conoscenza del pubblico allo scopo di stimolarne l'immaginazione e l'interesse e di dare impulso alla creazione collettiva di nuove abitudini.

Il Komsomol ha un ruolo importante in questo lavoro. E anche se non tutte le invenzioni riescono, né tutti i progetti si realizzano, che importa? La scelta più opportuna verrà. La nuova vita adotterà nuove forme quasi spontaneamente. Il risultato sarà una vita più ric-ca, più ampia, più densa di colore e di armonia. Questa è l'essenza del problema. 24

Un comportamento civile e gentile

è 1'indispensabile lubrificante

dei rapporti quotidiani

Nel corso delle numerose discussioni a proposito del nostro apparato statale, il compa-gno Chiselev, presidente del Consiglio sussidiario dei commissari del popolo, ha ricor-dato un aspetto estremamente importante di tale questione. L'apparato statale in che modo entra in contatto diretto con la popolazione? Come «tratta» con il popolo? Come si comporta verso una persona che ad esso si rivolge, con lamentele, con «petizioni»? Come considera l'individuo? Come si rivolge a lui, quando lo fa?... Anche questi sono aspetti importanti della «vita». A tale riguardo dobbiamo distinguere due aspetti: quello che si riferisce alla forma e quello che si riferisce alla sostanza.

In tutti i paesi «democratici» civili la burocrazia «è al servizio» del popolo. Ciò non le impedisce di porsi al di sopra del popolo in quanto casta professionale chiusa. La buro-crazia in realtà serve i magnati capitalisti; si fa piccola al loro cospetto, mentre tratta l'operaio e il contadino con arroganza, in Francia come in Svizzera e in America. Nelle «democrazie» civili tutto ciò viene presentato, in forma più o meno accentuata, con ca-ratteristiche esteriori di civiltà e di cortesia. Quando è però necessario (e circostanze del genere si presentano quotidianamente), si getta da una parte il paravento della civiltà e appare il pugno del poliziotto: gli scioperanti vengono picchiati nei commissariati di polizia di Parigi, di New York e di altre città del mondo.

Tuttavia, nel suo complesso, la civiltà «democratica» dei rapporti fra burocrazia e po-polazione è il prodotto e il retaggio delle rivoluzioni borghesi. Lo sfruttamento dell'uo-mo sull'uomo è rimasto, ma in forme diverse: meno «brutale », addobbato con il man-tello dell'eguaglianza e delle buone maniere.

Il nostro apparato burocratico sovietico è unico nella sua complessità in quanto com-prende tradizioni di epoche diverse e germi di rapporti futuri. Da noi la civiltà non esi-ste come regola generale; non manchiamo certamente di maniere brusche ereditate dal passato. Tuttavia questo aspetto in sé non è omogeneo. C'è la semplice scortesia di ori-gine contadina, che certamente non è piacevole ma nello stesso tempo non è degradan-te. Essa diventa insopportabile e obiettivamente reazionaria solo quando i nostri giova-ni romanzieri la vantano come una acquisizione «artistica». Gli elementi più in vista degli operai guardano questa falsa semplicità con ostilità istintiva poiché essi vedono nel carattere rude del linguaggio e del comportamento un segno della vecchia schiavitù e aspirano ad acquisire una capacità espressiva colta, fornita di disciplina interna. Ma di ciò parleremo più avanti.

Accanto a questa semplice, abituale e passiva rozzezza del contadino, ne abbiamo un'altra di tipo particolare: quella del rivoluzionario, quella del dirigente, che ha le sue radici nell'impazienza e nell'ardente desiderio di migliorar le cose, nell'irritazione pro-vocata dall'indifferenza verso ogni forma di iniziativa. Anche questa rozzezza, se presa in sé, ovviamente non è piacevole e intendiamo dissociarci da coloro che la praticano, ma al fondo essa è spesso alimentata dalla nostra stessa carica morale rivoluzionaria e in più di un'occasione in questi ultimi anni è riuscita a muovere montagne. In questo caso non è la sostanza che si deve cambiare, che nel complesso è sana, creativa e pro-gressiva, ma la sua forma distorta...

Ma abbiamo un altro genere di scortesia - e questo è l'ostacolo principale - quella della 25

vecchia aristocrazia, caratterizzata da un tocco di feudalesimo. Si tratta di un compor-tamento profondamente negativo e dannoso in tutti i suoi aspetti; ce lo troviamo ancora di fronte, in quanto non è facile da sradicare.

Negli uffici di Mosca, e specialmente nei più importanti, questa scortesia aristocratica non si manifesta in forme aggressive mediante urla e minacce verso il pubblico: assai spesso si palesa con un formalismo pregno di insensibilità che ovviamente non costitui-sce l'unica causa del burocratismo, la causa più importante essendo rappresentata dall'indifferenza più completa verso l'essere umano e verso le sue condizioni di lavoro. Se potessimo impressionare su una lastra fotografica la maniera, le risposte, le spiega-zioni, gli ordini e le firme di tutte le cellule dell'organismo burocratico, sia pure nel cor-so di una sola giornata moscovita, ciò che avremmo sarebbe un risultato di straordinaria confusione. E tutto ciò peggiora nelle province, in particolare lungo la linea di confine tra città e campagna, che è una tra le più importanti.

Il burocratismo è un fenomeno complesso, ma niente affatto omogeneo; si tratta piutto-sto di un agglomerato di fenomeni e di processi di origine storica diversa. I principi che mantengono in vita e alimentano il burocratismo sono anch'essi vari; il più importante è dato dalle condizioni della nostra cultura, cioè dall'arretratezza e dall'analfabetismo di una percentuale assai alta della nostra popolazione. L’estrema confusione provocata da un apparato statale in continua ricostruzione, inevitabile in un periodo di rivoluzione, è la causa di molte frizioni superflue che giocano un ruolo importante nella produzione del burocratismo. Il carattere eterogeneo di classe dell'apparato sovietico - un misto di tradizioni aristocratiche, borghesi e sovietiche - è alla radice delle sue forme più ripu-gnanti.

La lotta contro il burocratismo non può quindi che assumere un carattere diversificato. Al fondo c'è la lotta contro l'arretratezza della cultura, l'analfabetismo, la sporcizia e la povertà. Il miglioramento tecnico dell'apparato, la riduzione del personale impiegatizio, l'introduzione di maggior ordine, accuratezza e precisione nel lavoro e altre misure del genere non esauriscono ovviamente il problema storico, ma contribuiscono ad attenuare gli aspetti più negativi del burocratismo. Si attribuisce grande importanza alla forma-zione di un nuovo tipo di burocrate sovietico: il nuovo «spet» [specialista]. Ma anche in ciò non dobbiamo ingannare noi stessi. Esistono notevoli difficoltà nel formare migliaia di nuovi operai nello spirito della semplicità, dell'umanità, in condizioni transitorie, con educatori ereditati dal passato. Queste difficoltà sono grandi, ma non insuperabili, tra-mite una «edizione»molto migliorata di giovani sovietici.

Ci vorranno lunghi anni per far sì che vengano realizzate le misure che abbiamo elenca-to, ma tutto ciò non esclude affatto che si inizi immediatamente una lotta senza quartie-re contro il burocratismo, contro il disprezzo ufficiale per l'essere umano e per i suoi problemi, verso quel nichilismo corruttore che nasconde una profonda indifferenza ver-so tutto, una vile insensibilità che porta a rifiutare di riconoscere la dipendenza dal cit-tadino, un sabotaggio cosciente o un odio istintivo dell'aristocratico spodestato verso la classe che l'ha deposto. Queste sono le cause principali della rozza scortesia che deve essere oggetto di attenzione da parte dei rivoluzionari.

Dobbiamo raggiungere una situazione in cui l'individuo medio proveniente dalle masse lavoratrici cessi di temere gli uffici governativi coi quali entra in contatto. Più egli si sentirà impotente, più sarà incapace di valersi degli strumenti della cultura, più dob-biamo accordargli attenzione e dedicargli le nostre cure. Si tratta di un principio fon-damentale che dobbiamo tenere sempre presente. A tale scopo, oltre a richiedere l'ap-plicazione delle varie misure di cui abbiamo parlato, è essenziale che la nostra opinione pubblica sovietica mantenga costantemente tale questione in primo piano e la consideri da un angolo di visuale più ampio possibile. Si deve in particolare controllare i rivolu-26

zionari, i comunisti e gli altri elementi impiegati nell'apparato dello Stato di cui fortu-natamente un buon numero è sano e disponibile a un'azione contro il burocratismo.

La stampa può avere un ruolo decisivo. Sfortunatamente i nostri giornali si occupano poco e in modo non molto edificante della vita quotidiana. Se si toccano argomenti re-lativi alla vita di ogni giorno ciò viene spesso fatto mediante corrispondenze stereotipa-te prive di espressioni del genere: «abbiamo una fabbrica che si chiama... In questa fab-brica c'è un comitato e un direttore; il. comitato fa questo e quello, il direttore dirige». Invece la nostra vita reale è piena di colore e ricca di episodi istruttivi che in particolare si verificano nella linea di demarcazione in cui l'apparato dello Stato entra in contatto con le masse. Non dobbiamo fare altro che rimboccarci le maniche. Naturalmente porci compiti istruttivi ed edificanti in questo campo significa nello stesso tempo guardarci dall'intrigo, dalle frasi fatte e da ogni forma di demagogia.

Un «programma calendario» esemplare potrebbe essere costituito dal mettere alla ber-lina, dopo averli vagliati attentamente e imparzialmente, un centinaio di impiegati dello Stato, che abbiano mostrato un inveterato disprezzo per le masse operaie nel corso del loro lavoro, per poi cacciarli via dall'apparato statale con procedura pubblica, arrivando fino a processarli, in modo da non consentir loro di tornare. Sarebbe un buon inizio da cui ovviamente non si possono aspettare miracoli, ma un piccolo mutamento dal vec-chio al nuovo costituisce un passo avanti che ha un valore maggiore di tutte le chiac-chiere e di tutti i discorsi. 27

La battaglia per un linguaggio colto

Ho letto ultimamente in uno dei nostri giornali che in una assemblea generale degli o-perai della fabbrica di scarpe Comune di Parigi è stata approvata una risoluzione che raccomanda di astenersi dalle imprecazioni e di imporre multe per le espressioni trivia-li.

Si tratta di un piccolo episodio nel tumulto di questo periodo, ma un piccolo episodio assai eloquente. La sua importanza dipenderà, tuttavia, dalle ripercussioni che l’iniziativa della fabbrica di scarpe avrà tra la classe operaia.

Il linguaggio sguaiato e le imprecazioni sono l'eredità della schiavitù, dell'umiliazione e del disprezzo per la dignità umana - la propria e quella degli altri. Ciò vale in particola-re per le imprecazioni in Russia. Mi piacerebbe sapere dai nostri filologi, dai nostri glottologi e dagli esperti di folklore se esistono espressioni ingiuriose altrettanto sguaia-te, triviali e degradanti in qualche altra lingua. Che ne sappia io, non c'è niente, o quasi niente, del genere al di fuori della Russia. L'imprecare russo nelle «profondità più ver-tiginose» era il frutto della disperazione, dell'amarezza e soprattutto della condizione di schiavitù senza speranza e senza scampo. Le imprecazioni delle classi superiori, d’altro lato, le imprecazioni che uscivano dalla bocca dei nobili, delle autorità, erano il frutto della dominazione di classe, della superbia di proprietari di schiavi, di un incrollabile potere. I proverbi dovrebbero contenere la saggezza delle masse; i proverbi russi rive-lano anche la mentalità ignorante e superstiziosa delle masse e la loro condizione di schiavitù. «L'insulto non si attacca al colletto» dice un vecchio proverbio russo, non so-lo accettando la schiavitù come un fatto, ma accettando anche l'umiliazione che com-porta. Due flussi di insulti russi - quello dei padroni, degli ufficiali, dei poliziotti, grassi e nutriti, e l'altro, l’imprecare affamato, disperato, tormentato delle masse - hanno colo-rito tutta la vita russa di forme spregevoli di termini insultanti. Tale era l’eredità che, tra l'altro, la rivoluzione riceveva dal passato.

Ma la rivoluzione è in primo luogo il ridestarsi della personalità umana delle masse, che si consideravano prive di personalità. Malgrado l'occasionale crudeltà e l'implaca-bilità sanguinosa dei suoi metodi, la rivoluzione è prima di tutto e soprattutto un risve-glio dell'umanità, una sua marcia in avanti, ed è caratterizzata da un crescente rispetto per la dignità personale di ogni individuo, da una sempre maggiore sollecitudine per i deboli. Una rivoluzione non è degna di questo nome se, con tutta la sua potenza e con tutti i mezzi di cui dispone, non aiuta la donna - due, tre volte schiava nel passato - a imboccare la strada del progresso personale e sociale. Una rivoluzione non è degna di questo nome se non si prende la massima cura dei bambini - le generazioni future nel cui interesse è stata fatta. E come si può creare, giorno per giorno, sia pure poco a poco, una nuova vita basata sul rispetto reciproco, sul rispetto di sé, sull’eguaglianza effettiva della donna considerata come collaboratrice, su una cura efficace dei bambini, in un’atmosfera avvelenata dal rumoreggiare, .dal. rotolare, dallo squillare e dal risuonare delle imprecazioni dei padroni e degli schiavi che non risparmiano nessuno e non si ar-restano di fronte a nulla? La lotta contro le «brutte parole» è una condizione di igiene intellettuale, come la lotta contro la sporcizia e i vermi è una condizione dell'igiene fisi-ca.

Rompere radicalmente con il linguaggio volgare non è facile, poiché l'esprimersi senza restrizioni ha radici psicologiche ed è il prodotto di un ambiente incivile. Salutiamo na-turalmente con favore l'iniziativa degli operai della fabbrica di scarpe e soprattutto au-guriamo ai promotori del nuovo movimento una grande perseveranza. Abiti psicologici 28

che si trasmettono da una generazione all'altra saturando tutta l'atmosfera della vita, so-no assai tenaci e, d’altro canto, ci capita spesso in Russia di dare giusto una violenta spinta in avanti, di spremere le nostre forze e poi di lasciare che tutto continui come prima.

Speriamo che le operaie - quelle che appartengono alle file comuniste in primo luogo - sosterranno l'iniziativa della fabbrica Comune di Parigi. Di regola - ci sono naturalmen-te le eccezioni - gli uomini che usano espressioni volgari disprezzano le donne e non si curano dei bambini. Ciò non vale solo per le masse incolte, ma anche per gli elementi progrediti e cosiddetti « responsabili» del presente ordine sociale. Non si può negare che le vecchie espressioni volgari prerivoluzionarie siano ancora in uso attualmente, sei anni dopo l'ottobre, e che al «vertice» siano di moda. Quando sono lontani dalla città, in particolare da Mosca, i nostri dignitari considerano in certo modo loro dovere usare e-spressioni forti. Pensano evidentemente di stabilire un contatto più stretto con i conta-dini.

La nostra vita russa è caratterizzata dalle più stridenti contraddizioni, sul piano econo-mico come su qualsiasi altro. Al centro stesso del paese, vicino a Mosca, ci sono chi-lometri e chilometri di acquitrini, ci sono strade impraticabili - e proprio nelle vicinanze potete vedere improvvisamente una fabbrica che impressionerebbe un ingegnere euro-peo o americano per la sua attrezzatura tecnica. Contrasti del genere abbondano nella nostra vita nazionale. Accanto al tirannico e rapace profittatore vecchio stampo, che è tornato in vita nell'attuale generazione, che è passato attraverso la rivoluzione e l'espro-priazione, indaffarato a truffare e a realizzare profitti legali o clandestini, e conservando intatta la sua volgarità e ingordigia da suburbio, incontriamo il tipo migliore di operaio comunista, che dedica quotidianamente la propria esistenza agli interessi del proletaria-to mondiale ed è pronto a battersi in qualsiasi momento per la causa della rivoluzione in qualsiasi paese, anche in un paese che non sarebbe capace di individuare sulla carta ge-ografica.

Oltre a questi contrasti sociali - tra l'ottusa bestialità e il più elevato idealismo rivolu-zionario - spesso assistiamo a contrasti psicologici in uno stesso individuo. Un uomo è un comunista leale, devoto alla causa, ma le donne per lui non sono che «femmine», da non prendere sul serio in nessun modo. O può accadere che un comunista che pure si è distinto quando parla delle nazionalità minori, cominci a parlare in tono irrimediabil-mente reazionario. Ricercando la causa di tutto questo dobbiamo ricordarci che le di-verse parti della coscienza umana non mutano e non si sviluppano simultaneamente e lungo linee parallele. C'è una certa economia nel processo. La psicologia umana è assai conservatrice e i mutamenti dovuti alle esigenze e agli stimoli della vita investono, in primo luogo, i settori della mente che vi sono coinvolti direttamente.

In Russia, lo sviluppo sociale e politico degli ultimi decenni ha proceduto in un modo del tutto inconsueto, e con salti e balzi sorprendenti: e ciò è alla base della nostra attua-le disorganizzazione, che non si limita alla economia e alla politica. Le stesse carenze si manifestano nella mentalità di molta gente, dando come risultato una strana mescolanza di concezioni politiche avanzate e ben maturate e di tendenze, abitudini e, in una certa misura, idee che sono un’eredità diretta di leggi domestiche ancestrali. Per ovviare a questo, dobbiamo rafforzare il fronte intellettuale, cioè dobbiamo sottoporre a verifica con metodi marxisti tutta la mentalità di un uomo; e questo dovrebbe essere lo schema generale di educazione e auto-educazione del nostro stesso partito, cominciando dai vertici. Ma ancora una volta il problema è estremamente complesso e non può essere risolto solo con l'insegnamento scolastico e con i libri: le radici delle contraddizioni e delle incongruenze psicologiche risiedono nella disorganizzazione e nella confusione delle condizioni in cui la gente vive. Dopo tutto, la psicologia è determinata dalla vita. 29

Ma la dipendenza non è puramente meccanica e automatica: è attiva e reciproca. Il pro-blema deve quindi essere affrontato in molte forme diverse: quella della fabbrica Co-mune di Parigi è una tra le altre. Auguriamole il migliore successo.

P.S. - La lotta contro le espressioni volgari è parte della lotta per la purezza, la chiarez-za e la bellezza della lingua russa.

Gli stolti reazionari sostengono che la rivoluzione, anche se non l'ha rovinata comple-tamente, è sulla via di devastare la lingua russa. Ci ,sono effettivamente una gran quan-tità di parole ora in uso che sono sorte per caso: e alcune sono espressioni provinciali perfettamente inutili, altre sono contrarie allo spirito della nostra lingua. Eppure gli stolti reazionari si sbagliano completamente sul futuro della lingua russa, come su tutto il resto. La nostra lingua uscirà dal vortice rivoluzionario rinvigorita, ringiovanita, con una maggiore duttilità e delicatezza. Il nostro vecchio linguaggio prerivoluzionario, ov-viamente ossificato, burocratico e influenzato dalla stampa liberale, si è già considere-volmente arricchito di nuove forme descrittive, di nuove espressioni più precise e più dinamiche. Ma durante tutti questi anni tempestosi la nostra lingua è stata certo gran-demente bloccata e parte del nostro progresso culturale consisterà, tra l'altro, nell'e-spungere dai nostri discorsi tutte le parole e le espressioni inutili e tutte quelle che non sono in armonia con lo spirito della lingua, pur conservando le acquisizioni indiscutibili e inestimabili dell'epoca rivoluzionaria.

La lingua è uno strumento del pensiero. La precisione e la correttezza del discorso è una condizione indispensabile per la precisione e la correttezza del pensiero. Il potere politico è ora passato, per la prima volta nella nostra storia, nelle mani dei lavoratori. La classe operaia possiede un'abbondante scorta di esperienze di lavoro e di vita e un linguaggio basato su queste esperienze. Ma il nostro proletariato non ha la preparazione scolastica necessaria per leggere e scrivere, per non parlare dell'educazione letteraria. E questa è la ragione per cui la classe operaia ora al potere, che di per se stessa e per la sua natura sociale è un’enorme garanzia di integrità e di grandezza della lingua russa nel futuro, non ha sinora la necessaria energia per opporsi all'intrusione di nuove parole e di espressioni inutili, corrotte e talvolta orribili...

La lotta per l'educazione e per la cultura assicurerà a tutti gli elementi avanzati della classe operaia tutte le risorse della lingua russa nella sua estrema ricchezza, sottigliezza e raffinatezza. Per salvaguardare la grandezza della lingua tutte le parole e le espressio-ni criticabili devono essere espunte dal linguaggio quotidiano. Anche il linguaggio ha bisogno di igiene. E la classe operaia ha bisogno di un linguaggio sano più e non meno delle altre classi: per la prima volta nella storia comincia a pensare in modo indipen-dente sulla vita e sui suoi fondamenti e per pensare ha bisogno dello strumento di un linguaggio chiaro ed incisivo. 30

Contro la burocrazia di ogni genere

Debbo tornare di nuovo a parlare, e non sarà l'ultima volta, dei problemi della vita della classe operaia. Lo scopo a cui tendo è la difesa, contro gli attacchi di critiche più buro-cratiche che progressive, dell'interesse cosciente e a mio parere estremamente valido delle masse verso i problemi della loro vita.

La burocrazia «progressista» disapprova le discussioni sui problemi della vita che si svolgono sulla stampa, nelle riunioni e nei circoli. A che serve, dicono, perdere tempo in discussioni? Facciamo sì che si dia inizio ad un programma di realizzazione di cuci-ne comuni, di nidi, di lavanderie, di ostelli ecc... E i più ottusi tra di loro di solito ag-giungono (o piuttosto danno per inteso o dicono a bassa voce, in quanto preferiscono questo modo di esprimersi al discorso franco): «Tutte parole e null'altro ». Il burocrate spera - e mi domando se non abbia già pronto un brillante piano finanziario - che quan-do diventeremo ricchi, senza neanche il bisogno di parlare regaleremo al proletariato condizioni di vita culturale elevate così come si fa un regalo per il compleanno. Non c'è bisogno, dicono questi critici, di condurre fra le masse una propaganda per illustrare quali saranno le condizioni di vita socialiste, in quanto il processo del lavoro crea di per se stesso «un senso di socialità».

Cosa si deve rispondere ad argomenti del genere? Che bisogno c'è di avere un partito comunista se quel «senso di socialità» creato dal processo del lavoro è sufficiente a ri-solvere i problemi del socialismo? In realtà c'è una lunga strada da percorrere da quel vago «senso di socialità » fino alla volontà decisa di ricostruzione della vita. II lavoro del nostro partito deve essere svolto proprio lungo questa strada. I problemi della vita debbono essere fatti penetrare nella coscienza delle masse. Nessun governo, anche il più attivo e intraprendente, può riuscire a trasformare la vita senza l'iniziativa delle masse. Lo Stato può organizzare le condizioni di vita fino all'ultima cellula della comu-nità, cioè la famiglia, ma a meno che queste cellule non si combinino di loro spontanea volontà in un’unione e in una comunità, non si possono ottenere mutamenti seri e radi-cali nelle condizioni economiche e nella vita familiare.

Nel nostro caso il problema non è costituito solo dalla mancanza di nuove istituzioni, come cucine comunitarie, nidi, case gestite da comuni. Sappiamo assai bene che molte donne hanno rifiutato di affidare i loro bambini ai nidi e sappiamo anche che non lo fa-rebbero neanche ora, essendo vittime di una mentalità ristretta creata dall'inerzia e dal pregiudizio contro tutte le innovazioni. Molte case assegnate a famiglie che vivono in comune sono state ridotte in pessime condizioni e sono divenute inabitabili. Coloro che vi abitavano non consideravano le case comunitarie come l'inizio di nuove condizioni di vita ma come specie di caserme fornite dallo Stato. Le comuni assai spesso si sono quindi dimostrate un completo fallimento a causa dell’impreparazione, dei metodi af-frettati, della mancanza di autodisciplina e di cultura. I problemi della vita richiedono uno studio critico approfondito e metodi ben ponderati. Per fare una avanzata è neces-sario assicurarsi le retrovie, che sono rappresentate dalla crescente coscienza nei ri-guardi delle condizioni di vita familiare e dalla richiesta di cultura sempre maggiore da parte di uomini e donne della classe operaia, specialmente da parte delle donne.

Vi indicherò alcuni casi recenti che illustrano i rapporti fra l'iniziativa dello Stato e quella delle masse, nel campo dei problemi della vita quotidiana. Al momento, grazie all'energia del compagno Cherjentzev, è stato posto in modo organico un problema e-stremamente importante della vita quotidiana: la puntualità. Se si esamina questo pro-blema da un punto di vista esclusivamente burocratico, si potrebbe dire: «Perché ci di-31

sturbiamo a discuterne? A che serve fare una certa azione di propaganda, fondare un’associazione i cui membri si identificano anche con fasce da portare al braccio, ecc.? Le autorità non dovrebbero fare altro che ottenere il rispetto della puntualità per mezzo di un provvedimento che preveda sanzioni per i ritardatari». Esiste già un decre-to che va in questo senso. Circa tre anni fa avevo fatto approvare, con l'appoggio deciso del compagno Lenin, un provvedimento che si occupava della partecipazione puntuale alle riunioni operative, alle sessioni dei comitati, ecc., approvato e debitamente ratifica-to dal partito e dai soviet, che comportava le solite sanzioni nei riguardi di coloro che lo avessero violato. Qualcosa di buono in realtà fu fatto mediante questo provvedimento, ma sfortunatamente non si tratta di molto.

Anche gli operai più responsabili continuano attualmente a venire con mezz'ora e più di ritardo alle riunioni dei comitati. In buona fede essi credono che il loro ritardo sia dovu-to al fatto che hanno troppi impegni, ma in realtà è dovuto a trascuratezza e a mancanza di rispetto per il tempo loro e degli altri. Uno che è sempre in ritardo perciò è «terribil-mente occupato», di solito lavora assai meno accuratamente ed efficientemente di un altro che arriva sempre puntuale. E' assai curioso notare che durante le discussioni a proposito della «lega del tempo» la gente sembrava avesse dimenticato l'esistenza di un provvedimento del genere. Non mi sembra di averne mai sentito parlare neanche nella stampa. Tutto ciò dimostra quanto sia difficile far cambiare le cattive abitudini serven-dosi solamente della legislazione. Si sarebbe dovuto senz’altro riesumare il provvedi-mento di cui abbiamo parlato per appoggiare l'azione della «lega del tempo», ma se non siamo sostenuti dallo sforzo di elementi operai avanzati nell'ottenere puntualità ed effi-cienza, le misure amministrative serviranno a ben poco. Gli operai «responsabili» sa-rebbero forse assai più cauti nel rubare il tempo di centinaia e di migliaia di operai se fossero sottoposti a un reale controllo esercitato pubblicamente.

Si prenda un altro caso. Le «autorità responsabili» combattono da anni contro la cattiva stampa, l'inaccuratezza della lettura delle bozze, la pessima rilegatura dei libri e la orri-bile impostazione tecnica di libri e giornali. Si sono fatti progressi, ma non molti. Que-sti difetti nella nostra attività tipografica ed editoriale non sono certamente dovuti a de-ficienze tecniche. Il problema è che i lettori non sono sufficientemente esigenti e competenti. Il «Giornale dell'operaio» - per fare un solo esempio - non si sa perché venga piegato per largo invece che per lungo. Prima di cominciare a leggerlo si deve ripiegare il giornale in modo più funzionale e rimettere a posto le pagine. Fare tutto ciò, ad esempio in tram, non è affatto facile. Nessun editore borghese oserebbe presentare un giornale del genere ai suoi lettori. «Mosca operaia», giornale a otto pagine, viene venduto senza essere tagliato. I lettori debbono tagliare le pagine con qualsiasi cosa ab-biano sottomano, e spesso arrivano a farlo con la mano; la conseguenza è che rompono anche una parte del testo. Il giornale diventa grinzoso e non può essere passato ad un altro lettore dopo che il primo lo ha letto. Perché si tollera questa mancanza di attenzio-ne? La burocrazia operaia naturalmente ha la tendenza a dare tutta la colpa all'inerzia degli editori, che ovviamente si deve condannare e contro cui combattiamo con tutte le armi che abbiamo a disposizione, e costituite dalle risoluzioni delle conferenze del par-tito. Ma la passività dei lettori è un elemento ancora peggiore, così come lo è la loro noncuranza per le proprie comodità, la loro mancanza di abitudini culturali. Se un letto-re andasse un paio di volte a battere i pugni - intendo ovviamente dire in un modo for-malmente accettabile - sul tavolo dell'editore, questi non oserebbe mai più fare uscire un giornale con le pagine non tagliate. Ecco perché questioni anche minori come quella delle pagine di un giornale non tagliate o della rilegatura dei libri debbono essere atten-tamente analizzate e discusse in pubblico. Si tratta di un mezzo interessante per elevare il livello culturale delle masse. 32

Tutto ciò si applica ancor più al complicato sistema di rapporti interni della vita fami-liare e personale. Nessuno in realtà immagina che il governo sovietico stia per costruire case ottimamente ammobiliate e comuni fornite di ogni comodità, che stia per invitare il proletariato ad abbandonare le abitazioni dove vive ora per trasferirsi in nuove abita-zioni. Supponiamo che si fosse capaci di realizzare questa gigantesca impresa (il che ovviamente è fuori questione), tutto ciò non recherebbe un grande vantaggio. La gente non può essere spinta ad abbracciare di punto in bianco nuove condizioni di vita; essa deve crescere gradualmente in queste nuove condizioni così come è cresciuta nel vec-chio sistema di vita. Oppure deve coscientemente e deliberatamente creare una nuova vita, cosa che farà nel futuro.

La riorganizzazione della vita può e deve cominciare già partendo dai salari che si per-cepiscono in regime sovietico. Il fatto che questi salari siano più o meno elevati non to-glie nulla ad una constatazione evidente: condurre le faccende domestiche in comune è più pratico che condurle separatamente in ogni famiglia. Avere la cucina in una grande stanza realizzata unendo due o tre stanze rappresenta una sistemazione assai più conve-niente di cinque o anche dieci cucine una separata dall'altra. Ma se non si operano que-sti mutamenti tramite l'iniziativa delle masse, sostenuta dalle autorità, è anche ovvio che un vago «senso di socialità» non riuscirà da solo allo scopo. Si deve avere una chia-ra comprensione di quella che è la situazione attuale e di come si deve tendere a tra-sformarla. Sappiamo bene quali sono stati gli enormi vantaggi ottenuti dalla classe ope-raia dal passaggio dagli accordi individuali agli accordi collettivi; conosciamo bene il lavoro che è stato svolto dai sindacati e quante discussioni anche sugli aspetti tecnici siano state necessarie e quante riunioni per raggiungere questo scopo. Il passaggio dalla vita in abitazioni separate alla vita in abitazioni comunitarie è per molte famiglie assai più complicato, ma nello stesso tempo riveste una maggiore importanza. Il vecchio tipo di famiglia isolata si è sviluppato alle spalle della gente, mentre la nuova vita su basi comunitarie non può cominciare ad esistere se non è aiutata dallo sforzo cosciente di tutti coloro che partecipano al mutamento. Il primo passo verso questa nuova organiz-zazione della vita deve di conseguenza essere rappresentato dall’indicazione delle con-traddizioni sempre maggiori fra le nuove esigenze e le vecchie abitudini. Ecco che cosa deve fare il partito rivoluzionario. La classe operaia deve diventare cosciente delle con-traddizioni della sua vita familiare, deve affrontare il problema alla radice con piena comprensione della sua essenza; e quando tutto ciò sarà realizzato, almeno da parte de-gli elementi più avanzati della classe, non ci sarà inerzia di burocrati sovietici che riu-scirà a ergersi contro la volontà illuminata del proletariato.

Consentitemi di terminare questa mia polemica contro le concezioni burocratiche della vita quotidiana con un racconto assai interessante del compagno Charcevskij, che ha cercato di occuparsi del problema della riforma delle abitazioni domestiche servendosi di metodi cooperativi.

«Il giorno in cui si celebrava la cooperazione internazionale - scrive il compagno Char-cevskij (cito da una lettera che mi ha inviato) - ebbi una discussione con i miei vicini di casa, che in gran parte sono operai di modeste condizioni. All'inizio questa discussione non sembrava promettente. "Al diavolo le cooperative – dicevano. A che servono? Ci fanno pagare prezzi superiori a quelli del mercato, mentre si debbono fare chilometri per arrivare agli spacci". E i discorsi continuavano su questo tono. Provai un altro si-stema. "Bene - dissi - supponiamo che il nostro sistema di cooperazione sia sbagliato al 90%. Ora analizziamo gli scopi e i fini della cooperazione e, per avere una migliore comprensione e cercando di superare le nostre abitudini in fatto di proprietà, conside-riamo in primo luogo i nostri interessi e le nostre esigenze".

« Subito tutti si trovarono d'accordo sul fatto che avevamo bisogno di un circolo, di un 33

nido, di una cucina comunitaria, di una scuola, di una lavanderia, di un luogo in cui far giocare i bambini, ecc. Poi cominciammo a riflettere su come fare ad avere tutte queste cose. Uno dei partecipanti alla discussione cominciò a perdere la pazienza e gridò: "Ci avete detto che avremmo avuto una comune, ma non ne vediamo ancora neanche l'om-bra". Lo interruppi dicendogli: "A chi ti riferisci quando dici voi? Noi tutti ci siamo tro-vati d'accordo circa la necessità di organizzare tutte queste iniziative. Non hai proprio ora lamentato il fatto che i bambini soffrono per l'umidità nel tuo appartamento semin-terrato e che tua moglie è legata alla cucina come una schiava? Cambiare queste condi-zioni è interesse comune di noi tutti. Cerchiamo di condurre le cose in modo da miglio-rarle. Come faremo? Ci sono otto appartamenti nella nostra casa. Il cortile è piccolo. Non c'è spazio per molte altre cose e qualsiasi iniziativa siamo .in grado di prendere ci costerà molto". Ci mettemmo a discutere e avanzai un suggerimento: "Perché non con-vinciamo una comunità più ampia, quella che corrisponde al nostro quartiere, ad unirsi alla nostra iniziativa per realizzarla?" .

« Cominciarono a fiorire i suggerimenti e si iniziò a discuterne la realizzazione. Un uomo con concezioni abbastanza borghesi in fatto di proprietà fece un’offerta assai ca-ratteristica: "La proprietà privata delle abitazioni è abolita - disse - quindi abbattiamo le staccionate divisorie e costruiamo un canale di scolo per tutto il quartiere per impedire l'avvelenamento dell'aria". E un altro aggiunse: "Lasciamo nel mezzo di questa area uno spazio per far giocare i bambini". E quindi un terzo se ne uscì fuori con un altro suggerimento: "Chiediamo alle autorità sovietiche di costruirci un locale nel nostro quartiere o almeno di sistemare le abitazioni in modo da lasciarne libero uno da utiliz-zare come circolo e come scuola". Seguirono altre richieste ed altri suggerimenti: Che ne pensate di una cucina comune? E di un nido? Voi uomini pensate solamente a voi stessi - quest'ultimo proveniva da una donna che aggiunse: "Non pensate mai a noi".

« Ora, ogni volta che li rincontro, mi chiedono – le donne in particolare: "E il tuo pro-getto? Quando cominciamo? Verrebbe assai bene". Poi propongono di fare una riunio-ne di quartiere con questo ordine del giorno. Ogni quartiere ha da dieci a venti comuni-sti fra i suoi abitanti e spero che con l'aiuto del partito e delle istituzioni sovietiche potremo fare qualcosa...».

Questo caso rientra nell'idea che ho esposto e dimostra chiaramente quanto giovi far macinare i problemi della vita dal mulino del pensiero proletario collettivo. La macina è robusta ed è capace di lavorare qualsiasi cosa le venga data.

Si può ricavare un'altra lezione da questo racconto. «Pensate solo a voi stessi» dicevano le donne al compagno Charcevskij, «e non pensate mai a noi». E' assai vero che non e-sistono limiti all'egoismo degli uomini nella vita quotidiana. Per mutare le condizioni della vita dobbiamo imparare a vederle con gli occhi delle donne. Questo però è un problema che spero di avere il tempo di trattare adeguatamente in un'altra occasione. 34

Come iniziare

I problemi della vita operaia, specialmente quelli relativi alla vita familiare, hanno co-minciato a interessare, se non addirittura ad assorbire; i corrispondenti dei giornali ope-rai. Questo interesse è in larga misura giunto inaspettato.

Il corrispondente medio del giornale operaio incontra grandi difficoltà nei suoi tentativi di descrivere la vita operaia. Come affrontare il problema? Come iniziare? Su cosa ri-chiamare l'attenzione? Le difficoltà non riguardano lo stile letterario, che costituisce un problema a sé, ma sorgono dal fatto che il partito non ha ancora preso in considerazione in modo specifico i problemi della vita quotidiana delle masse operaie. Non abbiamo mai trattato questi problemi in modo concreto come abbiamo fatto per quelli relativi ai salari, alle multe, alla durata della giornata lavorativa, alla persecuzione poliziesca, alla costituzione dello Stato, alla proprietà terriera, e così via. Non abbiamo ancora fatto nulla del genere per ciò che riguarda la famiglia e la vita privata del singolo operaio.

Nello stesso tempo è indispensabile rilevare che il problema in sé è estremamente vasto non fosse che per il fatto di riguardare due terzi della vita, cioè sedici delle ventiquattro ore della giornata. Abbiamo già osservato l’esistenza del pericolo di un tentativo di in-terferenza grossolana e quasi brutale nella vita privata dell'individuo. In alcune occa-sioni - fortunatamente rare - corrispondenti di giornali operai hanno trattato le questioni della vita familiare nello stesso modo in cui si occupano di quelle relative alla produ-zione e alla fabbrica, cioè hanno scritto articoli sulla vita di questa o quella famiglia fa-cendo il nome di ogni suo componente. Si tratta di un’abitudine sbagliata, pericolosa e ingiustificabile. I direttori di fabbrica e i componenti di comitati operai svolgono fun-zioni pubbliche, sono continuamente di fronte all'opinione pubblica e sono esposti a cri-tiche che debbono essere manifestate liberamente. La vita familiare è tutt'altra cosa.

Ovviamente anche la famiglia svolge funzioni pubbliche in quanto assicura la conti-nuazione della popolazione e in parte educa le nuove generazioni. Da questo punto di vista lo Stato operaio ha perfettamente ragione di tenere in mano le redini del controllo e della regolazione della vita familiare nel campo dell'igiene e dell'istruzione. Ma lo Stato deve essere assai cauto quando fa incursioni nella vita familiare; deve adoperare grande tatto e moderazione; le sue interferenze debbono tendere solamente ad assicura-re alla famiglia condizioni di vita più normali e dignitose; deve tutelare l'igiene ed oc-cuparsi di altri problemi della vita degli operai e così gettare le fondamenta per la for-mazione di generazioni più felici in condizioni sanitarie e igieniche migliori.

Per ciò che riguarda la stampa, si debbono condannare le sue incursioni casuali e arbi-trarie nella vita familiare quando la famiglia stessa non le desidera.

Nella vita privata della gente che è legata da vincoli familiari nuocciono enormemente, se non vengono attentamente spiegate, le maldestre e inopportune interferenze della stampa che possono solamente aumentare il numero delle perplessità. Va inoltre ag-giunto che la mancanza di qualsiasi possibilità di controllo su informazioni del genere, a causa del carattere estremamente privato della vita familiare, può far sì che corri-spondenze di questo tipo, cadute in mani senza scrupoli, possano diventare mezzi per la regolazione di conti privati, per ridicolizzare, ricattare, compiere vendette e così via.

In alcuni dei numerosi articoli che sono stati pubblicati di recente su questioni relative alla vita familiare ho notato la ripetizione del concetto secondo cui per il partito è im-portante non solo l'attività pubblica, ma anche la vita privata dell'individuo. Si tratta di un’affermazione di innegabile giustezza, tanto più che le condizioni della vita individu-ale si riflettono sulle attività pubbliche dello stesso individuo. Il problema consiste nel 35

come reagire nei riguardi della vita individuale. Se le condizioni materiali, il livello cul-turale, la situazione internazionale impediscono di mutare radicalmente la vita, ne con-segue che la trattazione pubblica di problemi riguardanti singole famiglie e loro com-ponenti non porterà a nessun risultato pratico e minaccerà di far penetrare nel partito tutta una serie di frasi fatte e di luoghi comuni che costituiscono una malattia da cui dobbiamo ben guardarci.

Questa malattia, come tante altre, si presenta sotto forme diverse. I luoghi comuni a volte sorgono da motivi elevati e da una sollecitudine sincera, ma sbagliata, verso gli interessi del partito; ma a volte succede invece che gli interessi del partito vengano a-doperati per coprire quelli personali, di gruppo, o di settori della burocrazia. Suscitare interesse nell'opinione pubblica sulle questioni della vita familiare attraverso un'attività da predicatore non serve che a intossicare il movimento attraverso la somministrazione del veleno letale dei luoghi comuni. Un’attenta indagine nel campo delle consuetudini familiari deve avere come scopo l'informazione e l'aggiornamento del partito, deve mi-gliorare dal punto di vista psicologico l'individuo e aprire la strada a un nuovo orienta-mento nelle istituzioni statali, nei sindacati e nelle cooperative. Per nessuna ragione si deve incoraggiare un'attività basata su luoghi comuni.

In queste circostanze, cosa dobbiamo fare per illuminare e migliorare la famiglia? Co-me dobbiamo iniziare il nostro lavoro? Essenzialmente le strade sono due. La prima è quella degli articoli o dei racconti a carattere popolare. Ogni operaio maturo e pensante ha immagazzinato nella memoria una serie di impressioni di vita familiare che vengono rinfrescate dalle osservazioni che egli fa quotidianamente. Prendendo come base questo materiale, possiamo elaborare articoli che trattino della vita familiare nel suo comples-so e che si occupino dei suoi mutamenti e dei suoi aspetti particolari, dando esempi si-gnificativi senza tuttavia fare nomi di persone o di famiglie. Nel caso si debbano fare nomi, si dovrà ricorrere a pseudonimi in modo da non rivelare il vero nome delle per-sone o delle famiglie di cui ci si sta occupando. La «Pravda», nelle sue edizioni provin-ciali, ha pubblicato molti articoli interessanti e validi da questo punto di vista.

La seconda strada consiste nell'occuparsi di una famiglia, e questa volta facendone il nome, così come viene presentata all'opinione pubblica. Una catastrofe familiare porta una determinata famiglia di fronte all'opinione pubblica e al suo giudizio; ciò accade nel caso di omicidi, suicidi, processi, atti derivanti dalla gelosia, dalla crudeltà; dal di-spotismo dei genitori e così via. Gli strati di una montagna possono essere meglio visti dopo una frana; nello stesso modo le catastrofi familiari mettono in maggior risalto le caratteristiche comuni a migliaia di famiglie che sono sinora riuscite a sfuggire a queste catastrofi.

In passato abbiamo già accennato al fatto che la nostra stampa non ha il diritto di igno-rare i fatti e gli episodi che giustamente provocano agitazione nell'alveare umano. Quando una moglie abbandonata si rivolge al tribunale per costringere il marito a con-tribuire al sostegno dei bambini; quando la moglie cerca protezione pubblica dalla cru-deltà e dalla violenza del marito; quando la crudeltà dei genitori verso i figli diventa una questione che si pone all'attenzione del pubblico o, viceversa, quando genitori ma-lati e sofferenti lamentano la crudeltà dei figli, la stampa non solo ha il diritto ma anche il dovere di occuparsi di tali questioni e di far luce sugli aspetti di cui il tribunale o altri istituti pubblici non si occupano sufficientemente.

I fatti emersi durante le udienze di un tribunale non vengono sufficientemente utilizzati per trattare i problemi della vita; meriterebbero invece una collocazione importante. In un periodo di ascesa e di ricostruzione dei rapporti della vita quotidiana, il tribunale so-vietico dovrebbe divenire un fattore importante nell'organizzazione di nuove forme di vita, nell'evoluzione di nuove concezioni a proposito di ciò che è giusto o sbagliato, di 36

ciò che è vero o falso. La stampa deve seguire l'attività dei tribunali, fiancheggiarne il lavoro e in un certo senso dirigerlo, aiutando a chiarirne alcuni aspetti. Iniziative del genere forniscono un campo vasto ad attività educative. I nostri giornalisti migliori do-vrebbero creare una specie di rubrica che si occupa delle udienze dei tribunali. E' ovvio che in ciò debbono essere evitati i metodi del giornalismo tradizionale: ciò di cui ab-biamo bisogno è immaginazione e coscienza. Trattare pubblicamente, in modo ampio e rivoluzionario, cioè in modo comunista, le questioni della famiglia non significa esclu-dere gli aspetti psicologici e non considerare l'individuo e il suo mondo interno.

Citerò ora un piccolo esempio di cui sono venuto a conoscenza di recente. A Piatigorsk una giovane di diciassette anni si è uccisa perché la madre rifiutava il consenso al ma-trimonio con un comandante dell'Armata Rossa. Nel commentare questo episodio, il giornale locale «Terek» ha finito inopinatamente col rimproverare al comandante dell'Armata Rossa di aver consentito di unirsi con una ragazza proveniente da una fa-miglia così arretrata! Avrei voluto scrivere una lettera al direttore di questo giornale per esprimere la mia indignazione non solo in difesa del comandante dell' Armata Rossa, che non conoscevo, ma per chiedere la pubblicazione di una valutazione esatta del caso. Non è stato necessario questo mio intervento perché due o tre giorni dopo sullo stesso giornale è apparso un articolo che si occupava della questione in un modo assai più cor-retto. Si debbono instaurare nuovi rapporti con il materiale umano di cui disponiamo; il comandante dell'Armata Rossa non fa eccezione a questa regola; naturalmente i genito-ri hanno il diritto di interessarsi del destino dei loro figli e di influenzarlo con la loro esperienza e con il loro consiglio, ma i giovani non sono affatto obbligati a sottometter-si ai genitori, specialmente per ciò che riguarda la scelta di un amico o di un compagno di vita; il dispotismo dei genitori non deve essere combattuto con il suicidio, ma con l'unione dei giovani, con l'appoggio reciproco e così via. Tutto ciò è assai elementare ma assolutamente vero. Non c'è dubbio che un articolo di questo genere, pubblicato su-bito dopo un episodio commovente di cui si è occupata tutta la cittadina, abbia contri-buito a far riflettere il lettore, specialmente il lettore giovane, più di quanto non posso-no fare le frasi irritanti a proposito degli elementi piccolo borghesi, ecc.

Si sbagliano profondamente i compagni che sostengono che non sia utile «chiarificare» le questioni della vita familiare in quanto «noi» le conosciamo e le abbiamo già risolte molto tempo fa. Essi dimenticano semplicemente che dal punto di vista politico abbia-mo ancora da fare moltissima strada! Se la vecchia generazione, le cui file si restringo-no sempre più, ha appreso il comunismo dai fatti della lotta di classe, la nuova genera-zione è destinata ad apprenderlo dagli elementi della costruzione della vita quotidiana. Le formule del nostro programma sono, in linea di principio, vere. Dobbiamo però in continuazione verificarle, rinnovarle, renderle concrete nell'esperienza viva e diffonder-le in settori sempre più vasti.

Ci vorrà molto tempo, grande concretezza e specializzazione per gettare le nuove fon-damenta dei costumi. Dobbiamo formare nostri propagandisti e agitatori specializzati nelle questioni dei costumi, così come abbiamo preparato i nostri agitatori per l'eserci-to, per i settori industriali, per la propaganda antireligiosa. Poiché le donne sono in condizioni di inferiorità per i limiti di cui soffrono attualmente, e i costumi costituisco-no una pressione maggiore nei loro riguardi, possiamo presupporre che gli agitatori più adatti in questo campo dovrebbero provenire dalle loro file. Noi non vogliamo entusia-sti e fanatici, vogliamo gente che abbia un'apertura mentale sufficientemente ampia, che sappia come comportarsi nei riguardi della tenacità che presentano i costumi, che introducano considerazioni creative in ogni peculiarità, in ogni dettaglio dei vincoli fa-miliari invisibili ad occhio nudo. E' indispensabile avere gente del genere, e l'avremo, perché le esigenze e le questioni attuali sono troppo pressanti e brucianti. Ciò non signi-37

fica ovviamente che svuoteremo subito le montagne in quanto non si può sfuggire al peso delle condizioni materiali. Tuttavia avremo tutto ciò che sarà possibile ottenere te-nendo conto dei limiti attuali quando saremo riusciti a rompere il silenzio di tomba che circonda i nostri attuali costumi.

Dobbiamo accelerare l'educazione degli agitatori contro i costumi e render loro più fa-cile il lavoro. Dobbiamo creare biblioteche dove si possa radunare tutto il materiale di-sponibile relativo ai costumi quotidiani - opere classiche sull'evoluzione della famiglia e scritti popolari sulla storia dei costumi - per condurre un’indagine sui vari aspetti del-la nostra vita quotidiana. Dobbiamo tradurre tutte le opere di valore che siano state re-centemente pubblicate in lingua straniera su tale argomento. Più tardi potremo svilup-pare dei settori della nostra stampa dedicati a questi problemi. Chissà? Forse in uno o due anni saremo capaci di organizzare corsi e conferenze sulle questioni relative ai co-stumi e alle abitudini della vita quotidiana.

Ma tutto ciò che ho detto si limita a toccare il campo dell'educazione, della propaganda, della stampa, dei libri. Che cosa dobbiamo fare per ciò che riguarda l'aspetto pratico? Alcuni compagni sostengono la necessità della formazione immediata di una lega per l’introduzione di nuove forme di vita. Questa proposta mi sembra piuttosto prematura perché il terreno non è stato sufficientemente preparato e le condizioni generali non so-no abbastanza propizie. In linea di massima la formazione di uno strumento organizza-tivo del genere sarà inevitabile prima o poi. Non possiamo permetterci di attendere che tutto ci venga dato dall'alto, su iniziativa governativa. Le nuove strutture sociali debbo-no svilupparsi simultaneamente su tutti i lati. Lo Stato proletario è l'impalcatura, non la struttura stessa. L'importanza di un governo rivoluzionario in un periodo di transizione è enorme; anche il settore migliore degli anarchici internazionalisti ha cominciato a comprendere questa verità, proprio per la loro .esperienza. Ciò non significa quindi che tutto il lavoro di costruzione sarà affidato dallo Stato. Il feticcio dello Stato, anche quando si tratta di uno Stato proletario, non è degno di noi marxisti. Anche nel campo degli armamenti, che costituisce un settore tipico dell'attività dello Stato, abbiamo do-vuto - e con successo - fare ricorso all'iniziativa volontaria dell'operaio e del contadino. Il lavoro preliminare dello sviluppo dell'aviazione è stato condotto anch'esso su questa base. Non c'è dubbio che l’Associazione degli amici dell'aereo abbia un brillante avve-nire. Gruppi e associazioni a carattere volontario, siano essi locali o federali, in campo industriale, in quello dell'economia nazionale, e particolarmente in quello degli usi e costumi quotidiani, sono destinati a giocare un grosso ruolo. Possiamo già distinguere una tendenza verso la libera cooperazione, da parte dei direttori rossi, dei corrisponden-ti operai, degli scrittori proletari e contadini, ecc. Si è recentemente formata una lega con lo scopo di studiare l'Unione Sovietica per influenzarne ulteriormente ciò che noi chiamiamo il carattere nazionale. Si pensa ad esempio che prima o poi - direi più prima che poi - il dipartimento statale che si occupa del cinema verrà aiutato dall’Associazione degli amici del cinema rosso, di recente costituzione, associazione che è destinata a diventare una poderosa istituzione rivoluzionaria.

Associazioni volontarie del genere non possono che essere salutate con gioia e interes-se. Esse contraddistinguono il risveglio delle attività pubbliche nei vari settori della co-munità. Naturalmente la struttura socialista è innanzitutto basata sul piano, non su un piano precostituito, onniveggente e onnisciente, che precisi tutti i particolari prima che si cominci il lavoro, ma un piano che, pur essendo stato preparato nelle sue linee fon-damentali, venga verificato e migliorato nel corso della sua applicazione e diventi sem-pre più vitale e concreto nella misura in cui l'iniziativa pubblica si diriga verso la sua evoluzione e la sua formulazione. Nell'ambito della pianificazione statale esistono am-pie possibilità per le attività di associazioni volontarie e di organizzazioni a carattere 38

cooperativistico. Fra i molti milioni di individui che formano la nostra popolazione esi-stono innumerevoli interessi, forze, energie, di cui tramite lo Stato non riusciamo a uti-lizzare la centesima parte. ma che possono essere portate a fare un lavoro eccellente, a fianco dello Stato, se riescono a trovare la formula organizzativa adatta. La direzione reale dell'organizzazione creativa, specialmente nel nostro periodo di sviluppo cultura-le, deve mirare alla scoperta di modi capaci di utilizzare le energie costruttive di gruppi, di singole persone e di organizzazioni a carattere cooperativistico, e deve fondarsi sull'incremento delle attività indipendenti di massa.

Molte di queste associazioni a carattere volontario si dissolveranno o cambieranno di natura ma nel loro complesso aumenteranno di numero via via che il nostro lavoro si approfondisce e si allarga. La lega che si occuperà dell'introduzione di nuove forme di vita indubbiamente avrà un posto di maggior rilievo fra tutte le altre, lavorerà in stretto collegamento con lo Stato, con i soviet locali, con i sindacati e in particolare con le co-operative. Al momento è prematura la formazione di un’organizzazione centrale di questo tipo. E' assai meglio limitarsi a costituire gruppi locali nelle fabbriche per stu-diare le questioni operative della vita operaia; le attività di questi gruppi dovrebbero avere un carattere eminentemente volontario.

Si deve prestare un'attenzione maggiore ai fatti della vita quotidiana. Si devono condur-re sperimentazioni centralizzate laddove le condizioni materiali e ideali potranno contri-buire al loro successo. L'ampliamento dei confini di un gruppo di fabbricati, di un grup-po di case, di un quartiere, contribuirà al progresso pratico. Inizialmente le associazioni dovranno avere carattere locale e dovranno porsi compiti ben delimitati come la crea-zione di nidi, di lavanderie comuni, di cucine comunitarie, per gruppi di case. L'allar-gamento del campo della loro attività sarà la conseguenza dell'acquisizione di una mag-giore esperienza nel miglioramento delle condizioni materiali. Per concludere, ciò di cui abbiamo bisogno è iniziativa, competizione ed efficienza!

Il compito principale, quello più grave ed urgente, è la rottura del silenzio che circonda i problemi della vita quotidiana. 39

I compiti dell'educazione comunista5 Si afferma spesso che il comunismo deve svolgere la sua funzione educatrice principal-mente verso l'uomo nuovo. Si tratta di un'affermazione alquanto generica e patetica: dobbiamo fare particolarmente attenzione a non consentire interpretazioni astrattamente umanitarie del concetto di «uomo nuovo» o dei compiti dell'educazione comunista. Non c'è alcun dubbio che l'uomo del futuro, il cittadino della comune, sarà un essere estre-mamente interessante e attraente e che la sua psicologia (i futuristi mi perdoneranno, ma io ritengo che l'uomo del futuro possiederà una psicologia) sarà estremamente diversa dalla nostra. Sfortunatamente il nostro compito attuale non può consistere nell'educazione dell'essere umano del futuro. Il carattere utopistico e psicologico-umanitaristico di questa conce-zione risiede nell’affermazione che si debba innanzitutto formare l'uomo nuovo, che creerà poi le nuove condizioni. Non possiamo essere d'accordo poiché sappiamo che l'uomo è il prodotto delle condizioni sociali. Tuttavia sappiamo anche che fra esseri u-mani e condizioni esiste un rapporto reciproco complesso che opera in modo costante. L'uomo stesso è uno strumento, e non il meno importante, di questo sviluppo storico e in questa complessa interazione storica che riflette le condizioni degli esseri umani attivi non creiamo cittadini della comune perfetti e astrattamente armoniosi, ma esseri umani concreti del nostro tempo che debbono ancora battersi per la creazione delle condizioni da cui possono emergere i cittadini della comune. Si tratta ovviamente di un compito as-sai diverso per la semplice ragione che i nostri nipoti, cittadini della comune, non saran-no dei rivoluzionari. L'«uomo nuovo» e il rivoluzionario Questa affermazione a prima vista sembra sbagliata e anche offensiva, ma non lo è. Il concetto di «rivoluzionario» è permeato da elevati ideali e principi morali che sono stati recepiti durante tutto un periodo di evoluzione culturale. Potrebbe sembrare calunnioso verso i nostri posteri il non pensare a loro come rivoluzionari, ma non dobbiamo dimen-ticare che il rivoluzionario è il prodotto di condizioni storiche ben precise, di una società classista. Il rivoluzionario non è una astrazione psicologica: la rivoluzione in sé non è un principio astratto, ma un fatto storico materiale che cresce dagli antagonismi di clas-se e dalla sottomissione violenta di una classe all'altra. Così il rivoluzionario è un tipo storico completo e di conseguenza contemporaneo.

5 Questo scritto è stato per la prima volta pubblicato nel numero del 16 agosto del 1923 di «Inprecorr», bollettino in lingua inglese dell'Internazionale Comunista.

Siamo orgogliosi di appartenere a questa categoria, ma con il nostro lavoro creiamo le condizioni per l'affermazione di un ordine sociale in cui non esisteranno antagonismi di classe, non ci saranno rivoluzioni e quindi non ci sarà più bisogno di rivoluzionari. E' vero che possiamo estendere il significato del termine «rivoluzionario» fino a compren-dervi tutta l'attività cosciente dell'uomo diretta alla sottomissione della natura all'espan-sione delle conquiste tecniche e culturali. Tuttavia non abbiamo il diritto di fare un'a-strazione del genere estendendo illimitatamente il concetto di «rivoluzionario», poiché non abbiamo ancora realizzato il nostro fine storico concreto e rivoluzionario: il rove-sciamento della società classista. Di conseguenza siamo lungi dall'essere adatti all'edu- 40

cazione del cittadino della comune, e neppure alla sua formazione, che nella fase attuale non potrebbe essere che un'attività da laboratorio, in un'epoca di transizione sociale che è anche assai poco armoniosa. Un compito del genere costituirebbe un’utopia puerile. Ciò che noi intendiamo fare è formare rivoluzionari, quadri che ereditino e completino le nostre tradizioni storiche e che realizzino i compiti che abbiamo ancora di fronte.

Rivoluzione e misticismo

Quali sono le caratteristiche principali del rivoluzionario? Si deve innanzitutto sottoli-neare che non abbiamo il diritto di separare il rivoluzionario dalla sua base di classe senza la quale egli non è nulla. Il rivoluzionario dei nostri tempi, che può essere collega-to solamente con la classe operaia, possiede particolari caratteristiche nel campo della psicologia, dell'intelletto e della volontà. Laddove è necessario e possibile, il rivoluzio-nario abbatte gli ostacoli storici ricorrendo alla forza. Ove ciò non sia possibile, cerca di aggirare questi ostacoli, di minarli e di abbatterli con pazienza e decisione. Egli è un ri-voluzionario perché non teme di eliminare gli ostacoli e di impiegare inesorabilmente la forza; nello stesso tempo è cosciente dei valori storici di questi ostacoli. La sua attività costante mantiene la sua opera distruttiva e creativa ad un alto livello di attività, cioè riesce a sfruttare al massimo le condizioni storiche a beneficio del movimento rivolu-zionario di classe.

Il rivoluzionario conosce solo ostacoli esterni alla sua attività. Ciò vuol dire che egli de-ve sviluppare in se stesso la capacità di valutare il campo della sua attività in tutta la sua concretezza, con tutti i suoi aspetti negativi e positivi, e di raggiungere un giusto equili-brio politico. Nello stesso tempo egli è nel suo interno impedito nell'azione da remore soggettive se gli manca la comprensione o la forza di volontà, se è paralizzato da con-flitti interni, da pregiudizi religiosi, nazionali o corporativistici; in questo caso egli è, al massimo, un rivoluzionario a metà. Esistono già troppi ostacoli nelle condizioni ogget-tive: il rivoluzionario non può permettersi il lusso di moltiplicare gli ostacoli e le con-traddizioni obiettive aggiungendone altre di carattere soggettivo. Quindi l'educazione del rivoluzionario deve innanzitutto consistere nella sua emancipazione dai residui di ignoranza e di superstizione che si trovano di frequente in coscienze assai «sensibili». Dobbiamo quindi avere un atteggiamento duro e senza compromessi verso chiunque spenda una sola parola per affermare che il misticismo o il sentimentalismo religioso possa essere unito al comunismo. La religione è irreconciliabile con la concezione mar-xista. Siamo dell'opinione che l'ateismo, in quanto elemento inseparabile di una conce-zione materialista della vita, sia una condizione necessaria per l'educazione teorica del rivoluzionario. Chi crede in un altro mondo non è capace di concentrare tutta la sua pas-sione nella trasformazione del mondo attuale.

Darwinismo e marxismo

Anche se Darwin, come egli stesso affermò, non avesse perso la sua fede in Dio avendo respinto la concezione biblica della creazione, il darwinismo sarebbe in ogni caso irre-conciliabile con questa fede. In ciò, e in altri aspetti, il darwinismo rappresenta un pre-cursore, una concezione preparatoria del marxismo. Considerato in senso ampiamente materialistico e dialettico, il marxismo costituisce l'applicazione del darwinismo alla so-cietà. Il liberalismo manchesteriano ha cercato di introdurre meccanicamente il darwini-smo nella sociologia. Tentativi del genere rappresentano puerili analogie che tradiscono 41

il loro carattere apologetico borghese: il concetto marxista di concorrenza era spiegato come la legge «eterna» della lotta per l'esistenza. Si tratta di assurdità. Solo l'intima connessione fra darwinismo e marxismo rende possibile la comprensione dello sviluppo dell'essere nel suo collegamento primordiale con la natura inorganica; nella sua ulteriore evoluzione e specificazione; nella sua dinamica; nella distinzione fra regno vegetale e animale, per ciò che riguarda la necessità di vita delle prime varietà elementari; nelle sue lotte; nell'apparizione del «primo» uomo o della prima creatura umana, che comin-cia a servirsi dei primi strumenti; nello sviluppo della cooperazione primitiva, attraverso organi associativi; nell’ulteriore stratificazione sociale conseguente allo sviluppo dei mezzi di produzione, cioè dei mezzi per sottomettere la natura; nella lotta di classe e, in-fine, nella lotta per l’eliminazione delle classi.

Per arrivare a una comprensione più ampia e approfondita della realtà mondiale si deve far sì che la coscienza dell'uomo si liberi finalmente dei residui di misticismo e si assi-curi una base solida. Ciò significa essere estremamente chiari sul fatto che nel futuro non ci saranno impedimenti soggettivi alla lotta; i soli ostacoli e le sole reazioni saranno esterni e debbono essere superati in vari modi, a seconda delle condizioni del conflitto.

Quante volte abbiamo detto: «La pratica finisce col prevalere». Ciò è giusto nel senso che l'esperienza collettiva di una classe e di tutta l'umanità spazza via gradualmente le illusioni e le false teorie fondate su generalizzazioni frettolose. Ma si deve anche dire con la stessa convinzione: «Alla fine prevale la teoria », quando vogliamo dire che la teoria in realtà comprende tutta l'esperienza dell'umanità. Considerata da questo punto di vista, l'opposizione fra teoria e pratica scompare, poiché la teoria non è null'altro che pratica considerata correttamente e generalizzata. La teoria non sconfigge la pratica, ma l'atteggiamento improvvisato, empirico e irriflessivo verso di essa. Per poter vagliare esattamente le condizioni della lotta, la situazione della nostra classe, dobbiamo impos-sessarci di un metodo valido di orientamento politico e storico. Questo metodo è il mar-xismo o, per ciò che riguarda il periodo più recente, il leninismo.

Marx e Lenin: ecco i due teorici principali nel campo della ricerca sociale. Per la nuova generazione la strada per Marx passa per Lenin. Una strada diversa diventerebbe sempre più difficile, per il periodo abbastanza lungo che separa la nuova generazione dal genio dei fondatori del socialismo scientifico, Marx ed Engels. Il leninismo costituisce la per-sonificazione e la condensazione del marxismo al livello più alto, per l'azione rivoluzio-naria diretta nel periodo dell’agonia mortale della società borghese e dell'imperialismo. L'Istituto Lenin di Mosca deve diventare un’accademia di strategia rivoluzionaria. Il no-stro partito comunista è permeato del potente spirito di Lenin. Il suo genio rivoluziona-rio è con noi. Noi respiriamo l'atmosfera di una dottrina che è il prodotto dello sviluppo precedente del pensiero umano. Ecco perché siamo così profondamente convinti che il domani è nostro. 42

La trasformazione della morale6 La teoria comunista è in anticipo di alcune decine di anni, e in alcuni campi anche di un secolo, rispetto alla realtà della Russia di oggi. Se non fosse così, il partito comunista non sarebbe la forza rivoluzionaria più grande della storia. La teoria comunista, per mezzo del suo realismo e della sua acutezza dialettica, trova i mezzi politici per assicu-rare l'influenza del partito in ogni situazione. Tuttavia le idee politiche sono una cosa, la concezione popolare della morale è un'altra. La politica muta rapidamente mentre la morale si afferra tenacemente al passato. Perché è fallito l'illuminismo borghese Ciò spiega molti dei conflitti in seno alla classe operaia, in cui elementi nuovi di cono-scenza lottano contro la tradizione. Questi conflitti sono tanto più aspri quanto più non trovano il modo di esprimersi pubblicamente nella vita sociale. La stampa e la letteratu-ra non si occupano di essi. Le nuove tendenze letterarie, ansiose di tenere il passo con la rivoluzione, non si occupano delle abitudini e delle usanze basate sulle attuali concezio-ni morali, in quanto vogliono trasformare, e non descrivere, la vita! Ma la nuova morale non può essere prodotta dal nulla; si deve arrivare ad essa con l'aiuto di elementi già esi-stenti e capaci di svilupparsi. E' quindi necessario reperire questi elementi e riconoscer-li. Questo discorso va fatto non solo nei riguardi della trasformazione della morale, ma di ogni forma di attività cosciente. E' quindi necessario prima conoscere ciò che già esi-ste e in che modo si sta attuando la trasformazione di ciò che esiste, se vogliamo colla-borare a creare una nuova morale. Dobbiamo innanzitutto vedere ciò che accade nelle fabbriche, fra gli operai, nelle coo-perative, nei circoli. nella scuola, nei locali pubblici e nelle strade. Dobbiamo cercare di comprendere tutto ciò, vale a dire dobbiamo riconoscere i residui del passato e i germi del futuro. Dobbiamo richiedere ai nostri autori e giornalisti di lavorare in questa dire-zione. Essi debbono descriverci la vita così come sgorga dalla tempesta della rivoluzio-ne. Lo studio della morale dei lavoratori deve diventare uno dei compiti principali dei nostri giornalisti, o almeno di quelli che hanno occhi e orecchie. La nostra stampa deve fare in modo di scrivere la storia della morale rivoluzionaria richiamando l'attenzione dei suoi collaboratori operai su tali questioni. La maggioranza dei nostri giornali po-trebbe fare molto di più e molto meglio al riguardo. Per raggiungere un livello culturale più elevato, la classe operaia - e soprattutto la sua avanguardia - deve alterare coscientemente la sua morale lavorando in questa direzione. Prima di conquistare il potere, la borghesia aveva assolto a questo compito in larga mi-sura tramite i suoi intellettuali. Quando questa classe era ancora all'opposizione, c'erano poeti, pittori e scrittori che già pensavano per lei. Osserviamo la vita così come si presenta

6 Questo scritto è stato pubblicato per la prima volta nel bollettino in lingua inglese dell'Internazionale Comunista «Inprecorr », vol. 3, n. 67. In parte riprende argomenti sviluppati nell’articolo su Usi, costumi, abitudini, che era stato pubblicato sulla «Pravda».

In Francia il XVIII secolo, che è stato chiamato secolo dell'Illuminismo, era esattamente 43

il periodo in cui i filosofi borghesi stavano trasformando la concezione della morale so-ciale e privata e si sforzavano di subordinare la morale al dominio della ragione. Essi si occupavano di questioni politiche, della chiesa, dei rapporti tra uomini e donne, dell'i-struzione, ecc. Non c'è dubbio che per il semplice fatto di discutere questi problemi si contribuiva largamente all’elevazione del livello culturale fra la borghesia. Ma tutti gli sforzi fatti dai filosofi del XVIII secolo in direzione della subordinazione dei rapporti sociali e privati al dominio della ragione furono annullati da un semplice fatto: che i mezzi di produzione erano nelle mani dei privati e ciò costituiva la base su cui si doveva costruire la società secondo i principi della ragione. Proprietà privata significa infatti li-bero gioco delle forze economiche, che non sono affatto controllate dalla ragione; le condizioni economiche determinano la morale e, finché le esigenze del mercato domi-nano la società, è impossibile subordinare la morale popolare alla ragione. Ciò spiega i grossi limiti dei risultati pratici delle idee dei filosofi del XVIII secolo, malgrado l'inge-gno e l'audacia delle loro conclusioni.

«La Giovane Germania»

In Germania il periodo dell'illuminismo e della critica si sviluppò intorno alla metà del secolo scorso. La Giovane Germania, sotto la direzione di Heine e Boerne, si mise alla testa del movimento. Assistiamo quindi al lavoro critico realizzato dall'ala sinistra della borghesia che dichiara guerra al servilismo, alla educazione borghese anti-illuminista e ai pregiudizi della guerra, pensando di instaurare il dominio della ragione con uno scet-ticismo ancora più grande di quello dei predecessori francesi. Questo movimento più tardi si fuse con la rivoluzione piccolo-borghese del 1848 che, non solo non riuscì a tra-sformare la vita dell'umanità, ma non fu neanche capace di spazzar via le molte piccole dinastie tedesche.

Nella nostra Russia arretrata, l'illuminismo e la critica della società non ha mai raggiun-to un livello di una certa importanza fino alla seconda metà del XIX secolo. Cernisce-vskij, Pisarev e Dobrolubov, che avevano studiato alla scuola di Belinskij, diressero i loro strali critici assai più contro l'arretratezza e il carattere reazionario asiatico della morale che contro le condizioni economiche. Essi contrapposero al tipo tradizionale di uomo il nuovo essere umano realistico, un essere umano deciso a vivere secondo ragio-ne e che diventa personalità fornita dell'arma del pensiero critico. Questo movimento, collegato ai cosiddetti evoluzionisti «populisti» (narodniki), aveva scarso significato culturale. Infatti, se i pensatori francesi del XVIII secolo furono capaci di conquistare solo una leggera influenza sulla morale - in quanto furono dominati dalle condizioni e-conomiche e non dalla filosofia - e se l'influenza culturale immediata dei critici tedeschi sulla società fu ancora minore, l'influenza diretta del movimento russo sulla morale po-polare fu insignificante. Il ruolo storico di questi pensatori russi, compresi i narodniki, si riduceva alla preparazione della formazione del partito del proletariato rivoluzionario.

Premesse per la trasformazione della morale

Solo la conquista del potere da parte della classe operaia crea le premesse per la tra-sformazione completa della morale. La morale non può essere razionalizzata, cioè adat-tata alle esigenze della ragione, se nello stesso tempo non si razionalizza la produzione, poiché le radici della morale vanno ricercate nella produzione. Il socialismo mira a sot-tomettere tutta la produzione alla ragione umana. Anche i pensatori borghesi più avan-44

zati si sono limitati a idee relative alla tecnica razionalizzatrice da un lato (mediante l'applicazione della scienza naturale, della tecnologia, della chimica, dell'invenzione, delle macchine) e alla politica dall'altro (mediante il parlamentarismo); tuttavia non hanno cercato di razionalizzare l'economia, che è rimasta preda della concorrenza cieca. Così la morale della società borghese resta dipendente da un elemento cieco e non ra-zionale.

Quando la classe operaia assume il potere, essa si pone il compito di sottoporre i princi-pi economici delle condizioni sociali al controllo e a un ordinamento cosciente. Nel far ciò, e solo con quèsto atto, realizza la possibilità della trasformazione cosciente della morale. I successi che otteniamo in questa direzione dipendono dai nostri successi in campo economico. Ma anche nella nostra attuale situazione saremmo in grado di intro-durre un maggiore spirito critico, una maggiore iniziativa e razionalità nella morale. Questo è uno dei compiti del nostro tempo. E' ovvio naturalmente che un mutamento profondo della morale - l'emancipazione della donna dalla schiavitù dei lavori domesti-ci, l'educazione sociale dei ragazzi, l'emancipazione del matrimonio da tutti gli elementi di costrizione economica, ecc. - potrà seguire solo in un lungo periodo di sviluppo e sarà realizzato nella misura in cui le forze economiche del socialismo prevarranno sulle forze del capitalismo. La trasformazione critica della morale è necessaria per impedire che continuino a riprodursi le forme tradizionali conservatrici della vita malgrado le possibi-lità di progresso che ci sono offerte già oggi dalle nostre fonti economiche attuali o che almeno ci saranno offerte domani.

D'altro canto successi anche minimi nel campo della morale, ottenuti attraverso l'eleva- mento del livello culturale dell'operaio e dell'operaia, aumentano la nostra capacità di produzione razionalizzante e di promozione dell'accumulazione socialista. Ciò ci ridà la possibilità di realizzare nuove conquiste nel campo della morale. Fra i due campi esiste quindi una dipendenza dialettica. E' vero che le condizioni economiche costituiscono il fattore fondamentale della storia, ma è anche vero che, in quanto partito comunista e Stato operaio, possiamo influenzare l'economia solo con l'aiuto della classe operaia e per far ciò dobbiamo lavorare incessantemente per promuovere la capacità tecnica e cul-turale dei singoli componenti della classe operaia. Nello Stato operaio la cultura lavora per il socialismo e il socialismo offre nuove possibilità di creare una nuova cultura per l'umanità, una cultura che non conosce differenze di classe. 45

Cultura e socialismo7 Ricordiamo innanzitutto che cultura significò originariamente campo arato e coltivato, distinto dalla foresta vergine e dal suolo vergine. La cultura si contrapponeva alla natu-ra; in altri termini, quello che era conquistato dagli sforzi dell'uomo si contrapponeva a quello che era dato dalla natura. Questa antitesi conserva ancora il suo valore sostanzia-le. Cultura è tutto quello che è stato creato, costruito, appreso, conquistato dall'uomo nel corso di tutta la sua storia, in contrapposizione a quanto ha dato la natura, compresa la storia naturale dell'uomo come specie animale. La scienza che studia l'uomo come pro-dotto dell'evoluzione animale è l'antropologia (fisica). Ma dal momento in cui l'uomo si separò dal regno animale - e questo accadde quando afferrò per la prima volta gli stru-menti primitivi della pietra e del legno e ne armò gli organi del suo corpo - da quel mo-mento cominciò la creazione e l'accumulazione della cultura, cioè di conoscenze e di capacità di tutti i tipi nella lotta con la natura e per il soggiogamento della natura. Quando parliamo della cultura accumulata dalle generazioni passate, pensiamo in primo luogo e soprattutto alle prime realizzazioni materiali sotto forma di strumenti, di mac-chine, di costruzioni, di monumenti e così via. E' questa la cultura? Senza dubbio si trat-ta delle forme materiali in cui la cultura si è depositata, della cultura materializzata. Questa cultura crea, sulla base fornita dalla natura, l'assetto di fondo delle nostre vite, dal nostro modo di vivere quotidiano, del nostro lavoro creativo. Ma la parte più prezio-sa della cultura è quello che deposita nella coscienza dell'uomo stesso: i metodi, gli usi, le capacità, le abilità che abbiamo acquisito e che si sono sviluppati partendo da tutta la cultura materiale preesistente e che, pure prendendo da questa, la fa contemporanea-mente progredire. Considereremo, quindi, come acquisito che la cultura si è sviluppata grazie alla lotta dell'uomo contro la natura per la sua esistenza, per il miglioramento del-le sue condizioni di vita. Ma partendo da questa stessa base si sono sviluppate anche le classi. Nel processo di adattamento alla natura, in conflitto con le forze ostili della natu-ra, la società umana si è venuta delineando come una complessa organizzazione di clas-si. La struttura classista della società ha determinato in misura decisiva il contenuto e la forma della storia umana, cioè i rapporti materiali e i loro riflessi ideologici. Ciò signifi-ca che la cultura storica ha assunto un carattere di classe. La società dei proprietari di schiavi, la società feudale dei proprietari di servi, la società capitalista hanno prodotto ciascuna una cultura corrispondente, diversa nelle diverse fasi e con una molteplicità di forme transitorie. Una società di sfruttatori ha dato origine a una cultura di sfruttatori. Ma significa questo che siamo contro tutta la cultura del passa-to?

7 Da «Novij Mir», gennaio 1927.

Qui c'è effettivamente una profonda contraddizione. Tutto quello che è stato conquista-to, creato, costruito dagli sforzi dell'uomo e che serve ad accrescere il potere dell’uomo è cultura. Ma siccome non si tratta dell'uomo considerato individualmente, ma dell'uo-mo considerato socialmente, siccome la cultura è un fenomeno socio-storico per la sua natura, e siccome la società storica è stata e continua a essere una società di classe, la cultura si è trovata a essere lo strumento fondamentale dell'oppressione di classe. Marx diceva: «Le idee dominanti in una data epoca sono essenzialmente le idee della classe dominante di quell'epoca». Questo vale anche per la cultura nel suo insieme. Eppure noi diciamo alla classe operaia: impadronisciti di tutta la cultura del passato, altrimenti non 46

costruirai il socialismo. Qual è la spiegazione?

Molti sono inciampati su questa contraddizione e vi sono inciampati così spesso perché hanno una comprensione superficiale, semi-idealista della società di classe e dimentica-no che fondamentalmente è l'organizzazione della produzione. Ogni società di classe si è formata sulla base di forme ben definite di lotta contro la natura e queste forme sono mutate in connessione allo sviluppo della tecnica. Qual è la base delle basi: l'organizza-zione di classe della società o le sue forze produttive? Senza dubbio le forze produttive. Proprio sulla base di esse, a un certo livello del loro sviluppo, si sono formate e riforma-te le classi. Nelle forze produttive si esprime materialmente l'abilità economica dell'u-manità, la sua capacità di assicurare la propria esistenza.

Su queste dinamiche fondamenta sorgono le classi che nei loro reciproci rapporti deter-minano il carattere della cultura.

E a questo punto dobbiamo anzitutto e soprattutto chiederci a proposito della tecnica: è solo uno strumento di oppressione di classe? Basta porre la domanda, per avere subito la risposta: no, la tecnica è la conquista fondamentale dell'umanità; benché sia servita, si-nora, come strumento di sfruttamento, è al tempo stesso condizione essenziale per l'e-mancipazione dello sfruttato. La macchina soffoca lo schiavo salariato. Ma questi può liberarsi solo per mezzo della macchina. Qui è la radice di tutta la questione.

Se non dimentichiamo che la forza motrice del processo storico sono le forze produttive che liberano l'uomo dal dominio della natura, allora comprendiamo che il proletariato ha bisogno di impadronirsi di tutta la somma di conoscenze e di capacità elaborate dall'u-manità nel corso della sua storia, per potersi emancipare e per poter ricostruire la vita sulla base di principi di solidarietà.

«E' la cultura che fa progredire la tecnica o è la tecnica che fa progredire la cultura?» mi è stato chiesto in una delle domande che ho qui dinnanzi. E' sbagliato porre la questione in questo modo. La tecnica non può essere contrapposta alla cultura, perché è la molla principale. Senza tecnica non c'è cultura. Lo sviluppo della tecnica fa progredire la cul-tura. Ma la scienza e la cultura in genere che sono sorte sulla base della tecnica costitui-scono un poderoso aiuto per un ulteriore sviluppo della tecnica. Qui abbiamo una inter-dipendenza dialettica.

Compagni, se volete un esempio semplice ma significativo della contraddizione insita nella tecnica stessa, il migliore è quello delle ferrovie. Se date un'occhiata ai treni-passeggeri dell'Europa occidentale, vedrete che hanno vagoni di «classi» diverse. Que-ste classi ci ricordano le classi della società capitalista. I vagoni di prima classe sono per gli strati superiori privilegiati, quelli di seconda per la media borghesia, quelli di terza per la piccola borghesia e quelli di quarta per il proletariato, che in passato era definito, a ragion veduta, Quarto Stato. Di per sé i treni sono una grandiosa conquista tecnico-culturale dell'umanità che ha enormemente trasformato la faccia della terra nel corso di un solo secolo. Ma la struttura di classe della società influenza anche la struttura dei mezzi di comunicazione. E le nostre ferrovie sovietiche sono ancora ben lontane dall'e-guaglianza - non solo perché usano i vagoni ereditati dal passato, ma anche perché la NEP solo crea le condizioni dell'eguaglianza senza poterla realizzare.

Prima dell'era delle ferrovie la civiltà era circoscritta alle coste del mare o alle rive dei grandi fiumi. Le ferrovie hanno aperto interi continenti alla cultura capitalista. Una delle cause fondamentali, se non la fondamentale, dell'arretratezza e della desolazione delle nostre campagne russe è la mancanza di ferrovie, di strade asfaltate e di strade seconda-rie. Da questo punto di vista la maggior parte dei nostri villaggi vivono in condizioni precapitalistiche. Dobbiamo vincere il nostro grande alleato che è al tempo stesso il no-stro maggiore avversario: i grandi spazi. L'economia socialista è un'economia pianifica-ta. La pianificazione presuppone innanzitutto le comunicazioni. I più importanti mezzi 47

di comunicazione sono le strade e le ferrovie. Ogni nuova linea ferroviaria è un cammi-no verso la cultura e nella nostra situazione è anche un cammino verso il socialismo. Per di più, con il perfezionamento della tecnica delle comunicazioni e con la proprietà del paese, le caratteristiche sociali dei nostri treni muteranno pure: la divisione in «classi» scomparirà, tutti viaggeranno in vagoni «molleggiati»... se, quando sarà giunto quel momento, la gente viaggerà ancora in treno e non preferirà servirsi degli aerei che sa-ranno accessibili a tutti.

Facciamo un altro esempio, quello degli strumenti militari, dei mezzi di sterminio. In questo campo la natura di classe della società si esprime in modo particolarmente chiaro e rivoltante. Ma non c'è sostanza distruttiva (esplosiva o velenosa) la cui scoperta non sia di per sé un'inestimabile conquista scientifica e tecnica. Le sostanze esplosive e ve-lenose possono essere usate anche per scopi creativi e non solo a fini di distruzione, ma aprono nuove possibilità nel campo della scoperta e dell'invenzione.

Il proletariato può conquistare il potere solo spezzando la vecchia macchina dello Stato di classe. Abbiamo assolto a questo compito con risolutezza come nessun altro aveva fatto. Ma, nel costruire la nuova macchina statale, ci siamo accorti che, in una misura davvero considerevole, dovevamo usare elementi della vecchia. L'ulteriore ricostruzione socialista della macchina statale è legata indissolubilmente alla nostra attività politica, economica e culturale in generale.

Non dobbiamo distruggere la tecnica. Il proletariato si è impadronito delle fabbriche at-trezzate dalla borghesia nelle condizioni in cui la rivoluzione le ha trovate. Le vecchie attrezzature ci servono ancor oggi. Questo fatto dimostra nella maniera più eloquente e più diretta che non rinunciamo all'«eredità». Come potrebbe essere altrimenti? Dopo tutto, la rivoluzione è stata intrapresa soprattutto per prendere possesso dell'«eredità». Ma la vecchia tecnica, nella forma in cui l'abbiamo conquistata, è del tutto inadatta al socialismo. E' una cristallizzazione dell'anarchia dell'economia capitalista. La concor-renza tra aziende diverse alla caccia di profitti, lo sviluppo ineguale dei diversi settori dell'economia, la parcellizzazione dell'agricoltura, il saccheggio delle energie umane, tutto questo, nella tecnica, si esprime in ferro e in bronzo. Ma, mentre la macchina dell'oppressione di classe può essere spezzata da un colpo rivoluzionario, la macchina produttiva dell'anarchia capitalistica può essere ricostruita solo gradualmente. Il chiu-dersi della fase di restauro, sulla base delle vecchie attrezzature, ci ha portati solo alle soglie di questo compito terribile. Dobbiamo assolverlo a tutti i costi.

La cultura spirituale è contraddittoria come la cultura materiale. E come dai depositi e dagli arsenali della cultura materiale prendiamo e mettiamo in circolazione non archi e frecce, non strumenti di pietra o strumenti dell'età del bronzo, ma gli strumenti più per-fezionati che si possano avere, frutto della tecnica più aggiornata, nello stesso modo dobbiamo affrontare anche la cultura spirituale.

L'elemento fondamentale della cultura della vecchia società era la religione. Aveva una enorme importanza come forma di conoscenza e di unità umana: ma in questa forma si rifletteva soprattutto la debolezza dell'uomo di fronte alla natura e la sua impotenza nel-la società. Noi respingiamo completamente la religione, con tutti i suoi surrogati.

Le cose stanno diversamente per quanto riguarda la filosofia. Dobbiamo prendere dalla filosofia creata dalla società di classe due elementi inestimabili: il materialismo e la dia-lettica. In realtà, proprio dalla combinazione del materialismo con la dialettica è nato il metodo di Marx e ha tratto origine il suo sistema. Questo metodo è alla base del lenini-smo.

Se passiamo alla scienza in senso stretto, è per noi assolutamente ovvio che ci troviamo di fronte un'immensa riserva di conoscenze e di capacità accumulate dalla umanità nel corso della sua lunga vita. Certo, si può dimostrare che nella scienza, il cui scopo è la 48

conoscenza della realtà, vi sono molte tendenziose adulterazioni di classe. È proprio co-sì. Se anche le ferrovie esprimono la condizioni di privilegio degli uni e la povertà degli altri, ciò vale ancor di più per la scienza, la cui materia è assai più flessibile del metallo e del legno con cui si fanno i vagoni ferroviari. Ma dobbiamo tener conto del fatto che il lavoro scientifico è fondamentalmente alimentato dall'esigenza di acquisire la cono-scenza della natura. Benché gli interessi di classe abbiano introdotto e ancora stiano in-troducendo tendenze erronee anche nelle scienze naturali, il processo di falsificazione è tuttavia contenuto entro i limiti oltre i quali comincia a ostacolare direttamente il pro-gresso della tecnologia. Se considerate le scienze naturali da cima a fondo, dal campo dell'accumulazione dei fatti elementari sino alle generalizzazioni più elevate e più com-plesse, vedrete che quanto più un aspetto della ricerca scientifica è empirico, quanto più è vicino al contenuto materiale, ai fatti, tanto più indiscutibili sono i risultati che forni-sce. Quanto più ampio è il campo della generalizzazione, quanto più le scienze naturali si avvicinano ai problemi filosofici, tanto più sono soggette all'influenza dell'ispirazione di classe.

Le cose sono più complesse e più negative nel caso delle scienze sociali e di quelle che vengono definite le scienze «umanistiche». Indubbiamente anche in questa sfera l'ele-mento fondamentale è tendere ad acquisire la conoscenza di quello che esiste. Grazie a questo, sia detto incidentalmente, abbiamo avuto la brillante scuola degli economisti classici. Ma gli interessi di classe, che nelle scienze sociali si esprimono assai più diret-tamente e imperiosamente che nelle scienze naturali, ben presto intimavano l'alt allo svi-luppo del pensiero economico della società borghese.

In questo campo, però, noi comunisti siamo meglio preparati che in qualsiasi altro. I te-orici socialisti, destati dalla lotta di classe del proletariato, sulla base della scienza bor-ghese e della critica a questa scienza, ci hanno dato con l'insegnamento di Marx e di Engels il poderoso metodo del materialismo storico e la incomparabile applicazione di questo metodo nel Capitale. Questo non significa ovviamente che siamo garantiti contro l'influenza delle idee borghesi sul terreno dell'economia e della sociologia in generale. No, le più volgari tendenze professionali socialiste e piccolo-borghesi populiste entrano in circolazione tra noi uscendo dalle vecchie «camere di sicurezza» della conoscenza e trovando alimento nei rapporti non ben definiti e contraddittori dell'epoca di transizione. Ma in questo campo possiamo valerci dei criteri indispensabili del marxismo, verificato e arricchito nelle opere di Lenin. E tanto più sapremo confutare vittoriosamente gli eco-nomisti e i sociologi volgari, quanto meno ci rinchiuderemo nelle esperienze del passato e quanto più ampiamente sapremo abbracciare lo sviluppo mondiale nel suo insieme, di-stinguendo le sue tendenze di fondo dai mutamenti semplicemente congiunturali.

Nelle questioni concernenti la legge, la moralità, e l'ideologia in generale, le condizioni della scienza borghese sono ancora più lamentevoli che in campo economico. Una perla di genuina conoscenza può essere trovata in questi campi solo dopo aver rivoltato doz-zine di letamai professionali.

La dialettica e il materialismo sono gli elementi fondamentali della conoscenza marxista del mondo. Ma ciò non significa affatto che possano essere applicati a qualsiasi sfera della conoscenza come una chiave che apra tutte le porte. La dialettica non può essere imposta ai fatti, deve essere dedotta dai fatti, dalla loro natura, dal loro sviluppo. Solo un lavoro minuzioso su un'enorme massa di dati ha permesso a Marx di far progredire il sistema dialettico dell'economia sino alla concezione del valore come lavoro sociale. Le opere storiche di Marx sono costruite allo stesso modo e così pure i suoi articoli di gior-nali: Il materialismo dialettico può essere applicato a nuove sfere della conoscenza solo padroneggiandole dal di dentro. L'epurazione della scienza borghese presuppone la co-noscenza della scienza borghese. Non otterrete mai nulla con una critica sommaria e con 49

brusche intimazioni. Imparare ed applicarsi sono condizioni di una rielaborazione criti-ca. Abbiamo il metodo, ma c'è abbastanza da fare per generazioni. La critica marxista nella scienza deve essere non solo vigilante, ma anche prudente: al-trimenti può degenerare in sicofantismo, in famusovismo. [Famusov è un personaggio di Griboedov, che raffigura un funzionario di grado elevato che ha orrore di tutto quello che possa offendere l'autorità e turbare cosi la sua condizione confortevole.] Prendete pure la psicologia. La concezione pavloviana dei riflessi si sviluppa sulla linea del mate-rialismo dialettico. Abbatte in modo decisivo il muro tra fisiologia e psicologia. Il rifles-so più semplice è fisiologico, ma un sistema di riflessi ci dà la «coscienza ». L'accumu-larsi di una quantità fisiologica ci dà una nuova qualità «psicologica». Il metodo della scuola di Pavlov è sperimentale e minuzioso. Le generalizzazioni sono conquistate pas-so passo: dalla bava del cane alla poesia, cioè al meccanismo mentale della poesia, non al suo contenuto sociale, anche se il cammino che ci porta alla poesia non è stato ancora rivelato. La scuola dello psicanalista viennese Freud procede in modo diverso. Presuppone in partenza che la forza motrice dei processi psichici più complessi e delicati è il bisogno fisiologico. In questo senso generale è materialistica, lasciando da parte la questione se non attribuisca un peso eccessivo al fattore sessuale a spese di altri (questa è già una di-scussione entro i confini del materialismo). Ma lo psicanalista affronta i problemi della coscienza non in modo sperimentale, passando da fenomeni inferiori a quelli superiori, dal riflesso semplice al riflesso complesso, ma tenta di afferrare tutti questi stadi inter-mediari con un solo balzo, dall'alto in basso, dal mito religioso, dal poema lirico o dal sogno direttamente alla base fisiologica della psiche. Gli idealisti ci dicono che la psiche è un'entità indipendente, che 1'«anima» è un pozzo senza fondo. Pavlov e Freud pensano entrambi che il fondo dell'anima è la fisiologia. Ma Pavlov, come un palombaro, discende sino al fondo e fruga attentamente il pozzo dal basso verso l'alto, mentre Freud sta sopra il pozzo e con sguardo acuto cerca di pe-netrarne le acque sempre mosse e sconvolte e di afferrare o di intravedere l'immagine delle cose giù in basso. Il metodo di Pavlov è l'esperimento, quello di Freud è la conget-tura; a volte la fantastica congettura.

Il tentativo di dichiarare la psicanalisi «incompatibile» con il marxismo e di voltare semplicemente le spalle al freudismo è troppo semplice o, per dire meglio, troppo sem-plicistico. Ma comunque non siamo obbligati ad adottare il freudismo. Si tratta di un’ipotesi di lavoro che può consentire e indubbiamente consente deduzioni e congettu-re che si sviluppano lungo la linea di una psicologia materialistica. Il procedimento spe-rimentale fornirà al momento debito la verifica di queste congetture. Ma non abbiamo nessun motivo e nessun diritto di mettere al bando l'altro procedimento che, anche se può sembrare meno valido, cerca tuttavia di anticipare le conclusioni verso cui il proce-dimento sperimentale sta avanzando solo molto lentamente.8 Con questi esempi volevo solo dimostrare, sia pure parzialmente, l'eterogeneità della nostra eredità scientifica e la complessità dei modi con cui il proletariato può progredire nel dominio di questa eredità. Se è vero che nella costruzione economica i problemi non vengono risolti per decreto e dobbiamo «imparare a commerciare», anche nella scienza il semplice ricorso a secche intimazioni non può che provocare grossi guai. In questo campo dobbiamo «imparare ad imparare».

8 Questa questione non ha, naturalmente, nulla in comune con il culto di un falso freudismo come indulgenza erotica o manifestazione di «oscenità». Simili truffe non hanno niente a che vedere con la scienza e non fanno che esprimere stati d'animo decadenti: il centro di gravità viene spostato dalla corteccia al midollo spinale...

L'arte è uno dei modi con cui l'uomo si orienta nel mondo: in questo senso l'eredità 50

dell'arte non si distingue dall'eredità della scienza e della tecnica; e non è meno contrad-dittoria. Diversamente dalla scienza, tuttavia, l'arte è una forma di conoscenza del mon-do, non come un insieme di leggi, ma come un insieme di immagini e, allo stesso tem-po, è un modo di ispirare certi sentimenti e certi stati d'animo. L'arte dei secoli passati ha reso l'uomo molto più complesso e duttile, ha elevato la sua mentalità a un livello più alto, lo ha arricchito in tutti i sensi. Questo arricchimento è una conquista preziosa della cultura. La padronanza dell'arte del passato è quindi una condizione necessaria non solo per la creazione della nuova arte, ma anche per la costruzione di una nuova società, poi-ché ha bisogno di gente con un'intelligenza altamente sviluppata. Ma come può 1'arte del passato arricchirci di una conoscenza artistica del mondo? Lo può fare appunto per-ché è in grado di dare alimento ai nostri sentimenti e di educarli. Se dovessimo ripudiare senza motivo l'arte del passato, diverremmo nello stesso tempo più poveri spiritualmen-te.

Oggi si nota qua e là una tendenza ad avanzare l'idea che l'arte ha come scopo solo l'i-spirazione di certi stati d'animo e in nessun modo la conoscenza della realtà. La conclu-sione che se ne ricava è: con quale tipo di sentimenti può contaminarci l'arte della nobil-tà o della borghesia? Ciò è radicalmente falso. Il significato dell'arte come mezzo di conoscenza - anche per la massa del popolo e in particolare per la massa del popolo - non è per niente inferiore al suo significato «sentimentale». L'antica epica, la favola, il canto, il racconto tradizionale, il ritmo popolare forniscono una conoscenza in forma grafica, gettano luce sul passato, generalizzano l'esperienza, allargano l'orizzonte e solo in connessione con tutto questo e grazie a questa connessione è possibile «sintonizzare l'apparato ricevente». Questo vale per tutta la letteratura in generale, non solo per la po-esia epica ma anche per la lirica. Vale per la pittura e per la scultura. La sola eccezione, in una certa misura, è la musica, il cui effetto è potente, ma unilaterale. Certo, anche la musica si basa su una particolare conoscenza della natura, sui suoi suoni e sui suoi ritmi. Ma qui la conoscenza è nascosta così profondamente, i frutti dell'ispirazione della natu-ra sono a tal punto rifratti attraverso i nervi di una persona, che la musica opera come una «rivelazione» autosufficiente. Tentativi di accostare tutte le forme d'arte alla musica considerata come arte di «contaminazione» sono stati compiuti di frequente e hanno sempre implicato una sottovalutazione nell'arte della funzione dell'intelligenza a favore di un informe modo di sentire; e in questo senso sono stati e sono reazionari... Ancora peggiori, naturalmente, quelle opere d'arte che non forniscono né una conoscenza grafi-ca né una «contaminazione» artistica, ma in compenso avanzano pretese esorbitanti. Nel nostro paese vengono stampate non poche opere di questo tipo e, purtroppo, non nei manuali delle scuole d'arte, ma in molte migliaia di esemplari...

La cultura è un fenomeno sociale. Proprio per questo la lingua, come mezzo di comuni-cazione tra gli uomini, è il suo strumento più prezioso. La cultura linguistica è la condi-zione più importante per uno sviluppo di tutti i settori della cultura, in particolare della scienza e dell'arte. Come la tecnica non si accontenta dei vecchi strumenti di misurazio-ne, ma ne crea sempre di nuovi, micrometri, voltametri e così via, sforzandosi di rag-giungere una precisione sempre maggiore, così per quanto riguarda la lingua, la capacità di scegliere le parole appropriate e di combinarle insieme adeguatamente, è necessario un attento lavoro per poter raggiungere il più alto grado di precisione, di chiarezza e di vivacità. La base di questo lavoro deve essere la lotta contro l'analfabetismo, il semia-nalfabetismo e il .quasi analfabetismo. La fase successiva sarà la padronanza della lette-ratura classica russa.

Sì, la cultura è lo strumento principale dell'oppressione di classe. Ma anche la cultura, e solo la cultura, può diventare uno strumento dell'emancipazione socialista. 51

Indice

1. Nota introduttiva

2. Non si vive solo di politica

8. Usi, costumi, abitudini

12. Vodka, Chiesa e cinema

15. Dalla vecchia alla nuova famiglia

21. Famiglie e cerimonie religiose

24. Un comportamento civile e gentile

è l'indispensabile lubrificante dei rapporti quotidiani

27. La battaglia per un linguaggio colto

30. Contro la burocrazia di ogni genere

34. Come iniziare

39. I compiti dell'educazione comunista

42. La trasformazione della morale

45. Cultura e socialismo                                                                                                                                           Copyright 1971 Edizioni Samonà e Savelli, Roma Traduzione: Sirio Di Giuliomaria 2 W. REICH, La rivoluzione sessuale, Feltrinelli, 1965, p. 133. 3 Shav si riferisce rispettivamente agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. 4 G. B. SHAW, To a Young Actress, in Letters of Bernard Shaw to Molly Tompkins, citate dal «Militant», settimanale del Socialist Workers Party degli Stati Uniti, 26 giugno 1961. 

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