sabato 31 marzo 2012

Le Introduzioni a Marx - Pannekoek e il materialismo

Per quanto ormai poco conosciuto (e lo ‘stalinismo’ ha le sue colpe in
proposito), l’olandese Anton Pannekoek (1873-1960) giocò un ruolo di
un certo rilievo nella storia del movimento operaio comunista,
appunto.
Due motivi caratterizzano la produzione teorica di Pannekoek: 1) la
problematica dei consigli operai; 2) la polemica contro il modo
leniniano di intendere il  materialismo.
Per entrambi gli argomenti toccherà svolgere un’argomentazione, assai
più ampia ed articolata, di quanto sia ora possibile. Tuttavia,
qualcosa possiamo già dire riguardo al punto 2).
Com’è noto, secondo la tradizione dell’ortodossia
terzointernazionalista, l’opera d Lenin Materialismo ed
empiriocriticismo è il testo chiave per intendere i concetti di
dialettica e di materialismo, nell’accezione marxiana.
Senonché, proprio in questo testo Lenin oscilla tra la critica del
materialismo,nell’accezione positivistica, e la critica a quella
scienza ed a quella filosofia, che nascono dalla ‘crisi dei
fondamenti’, che segna l’universo culturale tra fine Ottocento e
inizio Novecento.
In questo modo Lenin si chiude la strada alla comprensione delle
profonda dialetticità, che caratterizza la nuova cultura (la quale non
può essere esaurita dal concetto di irrazionalismo).
Ebbene Pannekoek si rende conto di questo limite della riflessione
leniniana, senza tuttavia -e questo è paradossale-  riuscire a
superarla.
                                                                                 S.G. (Collettivo di formazione marxista "Maurizio Franceschini")

Le Introduzioni a Marx - Iniziamo con queste note la rassegna di alcuni testi marxisti di diverso orientamento. Attraverso il loro confronto, crediamo, si possano ricostruire alcune categorie basilari del marxismo ed anche mostrare la non linearità della sua formazione e sviluppo storici.

Anche Trockij si cimentò nella stesura di una Introduzione a Marx ed,
esattamene, al Capitale. In questa sede non  tanto ci intessa
l’esposizione riassuntiva e semplificata del contenuto dell’opera
marxiana, che Trockij tratteggia ; quanto piuttosto il metodo .-ed in
questo senso la teoria, che Trockij segue nel suo lavoro.
Leggiamo ad es. alle pp.7s che in genere non ci si dà  pena di
considerare perchè gli uomini si disfanno di oggetti di valore in
cambio di qualche pezzo di certi metalli.
Questa mancanza di curiosità dipende dal fatto che, in generale, le
categorie economiche capitalistiche vengono considerate come ovvie,
come cose che vanno da sé. Ed effettivamente questo è il caso, ma a
patto che si diano per scontati i rapporti capitalistici di
produzione, ovvero si consideri quale ultima istanza del
conoscere l’immediata esperienza di chi vive in un certo tipo di
società.
Arriviamo così ad un tema fondamentale: l’analisi scientifica –questo
Trockij-  afferma- ha un nemico dal quale deve ben  guardarsi: il
senso comune, con la sua immediata evidenza.
Si tratta di una tesi ben nota –sia nell’’epoca di Hegel e pure in
quella di Trotkij; tuttavia è vero anche che a metà  del Novecento
questa tesi fu messa in discussione e si sviluppò tutto un movimento
(detto post-moderno, ma in realtà pre-moderno), il quale, appunto
‘scoprendo’ che l’evidenza scientifica ha carattere mediato (dalla
ragione) e non l’immediatezza del puramente percepito, dichiara non
attendibile la pretesa della scienza di produrre  sapere oggettivo.
Per Trockij, dunque, al contrario da ogni teoria fondata
sull’immediatezza del percepito, il conoscere acquista l’aspetto d un
autentico lavoro, di un’Arbitsmuehe ( di una specifica fatica, come si
esprimevano Hegel e Marx). Nel senso che la scienza produce conoscenza
in  quanto,  con i suoi strumenti logici e teorici, definisce
l’oggetto, in modo stoicamente determinato, gli dà certe
caratteristiche  e una determinata collocazione.
Inoltre, definita la scienza come la conoscenza delle leggi obiettive
della natura, l’uomo –continua Trockij-- ha voluto assegnarsi un posto
privilegiato nell’universo, dando a se stesso il ruolo eccezionale di
chi ha relazioni  con la divinità e, con questo, la conoscenza degli
oggettivi principi morali - di base. Questo è il senso, afferma Trockij
dell’orientamento idealistico.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                S.G. (Collettivo di formazione marxista "Maurizio Franceschini")

mercoledì 7 marzo 2012

SU UN ARTICOLO DI FABRIZIO GALIMBERTI

24ORE del 26/2 pubblica un articolo di Fabrizio Galimberti, dal titolo "Nella scienza esatta C'è UN BRICIOLO DI FOLLIA" su cui vale la pena soffermarsi allo scopo di chiarire alcuni punti di teoria/scienza.
La tesi di Galimberti è che, anche nella sua costruzione nella teoria scientifica non intervenga la sola ragione, ma si anche elementi irrazionali.
Come si vede si tratta di una tesi tutt’altro che originale, nel senso che forse oggi non esiste epistemologo che non la condivida. C’è però qualcosa che Galimberti dovrebbe meglio chiarire. Ad es., il significato del termine irrazionale. Gia Leibniz vedeva l’ambiguità del termine, che può significare o “ciò che si oppone tout court alla ragione”; sia “ciò che si oppone ad una determinata ragione circoscritta da un’epoca ed una tradizione.” Qual è l’importanza di questa distinzione? E’ chiaro che se l’irrazionale è preso come ciò, che si oppone ad una fase determinata della storia della ragione (ovvero il contrario di quanto si intende con il secondo senso del termine) ciò che oggi è irrazionale può domani divenire razionale. Nel secondo caso invece appunto l’opposizione ragione /irrazionale non è superabile.
A quale dei due sensi Galimberti fa riferimento? Nel suo testo non c’è risposta a tale domanda.
Il secondo tema, su cui vale richiamare l’attenzione, è il seguente: quando deve definire l’economia in quanto scienza teorica, Galimberti ripropone né più né  meno il classico presupposto utilitaristico (l’individuo astorico, che sulla base di una valutazione costi-benefici, decide quale sia la più conveniente tra le scelte, che di fatto si danno.
Come si vede è un presupposto del tutto astratto, che si oppone ad un'altra tradizione (che fu di Sismondi, di A. Smith, di Hegel e di Marx), secondo cui l’economia è un’articolazione della totalità sociale e dunque è determinata storicamente, come è determinato storicamente l’uomo, agente del fare economico. Perché Galimberti sceglie di definire come fa la teoria economica? Ecco l’altro punto su cui egli non dà chiarimenti.
Stefano Garroni.                                                                                                                                                                                                                                                                                     http://www.scienzaevita.org/rassegne/51bbe6d999e1dd48f544f9473cec645f.PDF