lunedì 29 gennaio 2018

"Riflesssioni" 7... - Stefano Garroni


"...qualunque lettore del Capitale.1 non può non convenire sul fatto che un aspetto centrale dell’analisi, che lì conduce Marx, è la denuncia del feticismo e della reificazione. In altri termini, Marx attribuisce al modo di produzione capitalistico lo stravolgimento di ciò, che è frutto di una forma storico-sociale, a <cosa>, ovvero a realtà a se stante e indifferente al soggetto umano (nel senso di quel soggetto collettivo, che, in condizioni date, organizza così e così i suoi rapporti con la natura, attraverso la mediazione di certi, storici rapporti sociali). Naturalmente, questa posizione di Marx non ha solo senso in ambito strettamente storico-sociale, se è vero –com’è vero- che sullo sfondo dell’indagine marxiana c’è una presa di posizione filosofica, che poi è quella che fa centro su una visione dialettica del movimento storico e delle procedure metodologiche. 

Insomma, se è vero –com’è vero- che alle spalle di Marx, per così dire, c’è Hegel.

Fin qui penso di poter incontrare poche opposizioni. La faccenda si fa più complessa se mi azzardo a ricordare una cosa (per altro ben nota a chi realmente si occupa di filosofia e non si limita a costruire frasi con terminologia filosofica): che lo stesso Hegel considerava Kant un momento centrale della riflessione filosofica ed una condizione imprescindibile per comprendere il suo stesso atteggiamento; d’altra parte, più volte anche Engels vede in Kant un momento centrale della prospettiva dialettica.

Insomma la netta alternativa <o con Kant o con Hegel> è semplicemente falsa e frutto della dogmatizzazione sovietico-stalinista del marxismo.

Per fare un solo esempio contemporaneo, ricordo che il compagno H.H.Holz –uno dei filosofi marxisti più eminenti e sciaguratamente morto di recente- nella sua monumentale storia del pensiero dialettico, scrive un ampio ed importante capitolo su Kant, nello spirito di quanto sto sostenendo. Mi si obietterà che quella storia della dialettica non è mai stata tradotta e, quindi, si trova solo in tedesco. Ma –come si dice?- l’ignoranza non scusa nessuno: se mi occupo di filosofia e non so il tedesco, debbo essere io il primo ad esprimermi con cautela e cartesiana coscienza del dubbio, in particolare quando tratto di classici della filosofia appunto tedesca (Hegel, Kant).

Che cosa spiega l’atteggiamento, che critico, cioè, quello di chi, appresa dai manuali sovietici la lezioncina del materialismo dialettico -di cui quello storico sarebbe un caso- non demorde dalla fedeltà a quel testo, e addirittura cita con piena sicumera Engels, trascurando l’ampia discussione, intorno al senso della sua diversità da Marx?

Mi pare semplice la risposta: il campo socialista europeo è ‘crollato’ (come erroneamente si dice, ma anche si crede) ed anni ed anni di militanza comunista sembrano così essere stati un clamoroso errore. Di qui l’attaccamento fideistico ai sacri testi della tradizione - come potrebbe fare un cattolico che, di fronte alla criminalità della chiesa di Roma, piuttosto che fare un’analisi storica per comprendere il perché e il per come di quella criminalità, si abbarbichi al testo dei Vangeli.

Scripsi et salvavi animam meam."

sabato 27 gennaio 2018

Ausmerzen - Marco paolini

Da: Jolefilm  - Marco_Paolini è un drammaturgo, regista, attore, scrittore e produttore italiano. 
Leggi anche: Wannsee Aristide Bellacicco 

«Ausmerzen ha un suono dolce e un’origine popolare. È una parola di pastori, sa di terra, ne senti l’odore. 
Ha un suono dolce ma significa qualcosa di duro, che va fatto a marzo. 
Prima della transumanza, gli agnelli, le pecore che non reggono la marcia vanno soppressi». 


giovedì 25 gennaio 2018

Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi - Antonio Gramsci

Da:  https://quadernidelcarcere.wordpress.com  Quaderni_del_carcere Quaderno 13 (XXX) § (30) 

Uno dei luoghi comuni più banali che si vanno ripetendo contro il sistema elettivo di formazione degli organi statali è questi, che il «numero sia in esso legge suprema» e che la «opinione di un qualsiasi imbecille che sappia scrivere (e anche di un analfabeta, in certi paesi), valga, agli effetti di determinare il corso politico dello Stato, esattamente quanto quella di chi allo Stato e alla Nazione dedichi le sue migliori forze» ecc. (le formulazioni sono molte, alcune anche più felici di questa riportata, che è di Mario da Silva, nella «Critica Fascista» del 15 agosto 1932, ma il contenuto è sempre uguale). Ma il fatto è che non è vero, in nessun modo, che il numero sia «legge suprema», né che il peso dell’opinione di ogni elettore sia «esattamente» uguale. I numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente di più. E che cosa poi si misura? Si misura proprio l’efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc. ecc. cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire che non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia «esattamente» uguale. Le idee e le opinioni non «nascono» spontaneamente nel cervello di ogni singolo: hanno avuto un centro di formazione, di irradiazione, di diffusione, di persuasione, un gruppo di uomini o anche una singola individualità che le ha elaborate e presentate nella forma politica d’attualità. La numerazione dei «voti» è la manifestazione terminale di un lungo processo in cui l’influsso massimo appartiene proprio a quelli che «dedicano allo Stato e alla Nazione le loro migliori forze» (quando lo sono). Se questo presunto gruppo di ottimati, nonostante le forze materiali sterminate che possiede, non ha il consenso della maggioranza, sarà da giudicare o inetto o non rappresentante gli interessi «nazionali» che non possono non essere prevalenti nell’indurre la volontà nazionale in un senso piuttosto che in un altro. «Disgraziatamente» ognuno è portato a confondere il proprio «particulare» con l’interesse nazionale e quindi a trovare «orribile» ecc. che sia la «legge del numero» a decidere; è certo miglior cosa diventare élite per decreto. Non si tratta pertanto di chi «ha molto» intellettualmente che si sente ridotto al livello dell’ultimo analfabeta, ma di chi presume di aver molto e che vuole togliere all’uomo «qualunque» anche quella frazione infinitesima di potere che egli possiede nel decidere sul corso della vita statale.
Dalla critica (di origine oligarchica e non di élite) al regime parlamentaristico (è strano che esso non sia criticato perché la razionalità storicistica del consenso numerico è sistematicamente falsata dall’influsso della ricchezza), queste affermazioni banali sono state estese a ogni sistema rappresentativo, anche non parlamentaristico, e non foggiato secondo i canoni della democrazia formale. Tanto meno queste affermazioni sono esatte. In questi altri regimi il consenso non ha nel momento del voto una fase terminale, tutt’altro. Il consenso è supporto permanentemente attivo, fino al punto che i consenzienti potrebbero essere considerati come «funzionari» dello Stato e le elezioni un modo di arruolato volontario di funzionari statali di un certo tipo, che in un certo senso potrebbe ricollegarsi (in piani diversi) al self-government. Le elezioni avvenendo non su programmi generici e vaghi, ma di lavoro concreto e immediato, chi consente si impegna a fare qualcosa di più del comune cittadino legale, per realizzarli, a essere cioè una avanguardia di lavoro attivo e responsabile. L’elemento «volontariato» nell’iniziativa non potrebbe essere stimolato in altro modo per le più larghe moltitudini, e quando queste non siano formate di cittadini amorfi, ma di elementi produttivi qualificati, si può intendere l’importanza che la manifestazione del voto può avere. (Queste osservazioni potrebbero essere svolte più ampiamente e organicamente, mettendo in rilievo anche altre differenze tra i diversi tipi di elezionismo, a seconda che mutano i rapoprti generali sociali e politici: rapporto tra funzionari elettivi e funzionari di carriera ecc.). 

mercoledì 24 gennaio 2018

Diritti umani: una prospettiva marxiana.- Zoltan Zigedy

Zoltan Zigedy è lo pseudonimo di un militante comunista, con base negli Stati Uniti, che ha abbandonato il mondo accademico alcuni anni fa, con una tesi di dottorato in filosofia incompiuta. Scrive regolarmente su ZZ’s blog e Marxist-Leninism Today. Suoi scritti sono stati pubblicati a Cuba, in Grecia, Italia, Canada, Gran Bretagna, Argentina e Ucraina. 


Per quasi trecentocinquanta anni, i diritti umani sono stati un importante, se non dominante, strumento dell’impegno mirante alla giustizia sociale. Nel corso di buona parte di questa storia, i diritti umani son stati invocati al fine di demarcare la propria posizione sul campo di battaglia. È altrettanto importante notare che, prima del XVII secolo, la giustizia sociale veniva promossa, il più delle volte, attraverso una lingua diversa da quella dei diritti umani. Se bisogna dare credito alle Chroniques di Froissart, le Jacquerie della campagna francese ed i contadini inglesi coinvolti nella rivolta del 1381 non possedevano una vera e propria nozione di diritti umani universali. Tentavano, invece, di rimpiazzare dei signori ritenuti iniqui, o facevano appello ai loro reggenti in modo da ottenere riparazione all’ingiustizia. Essi non reclamavano i propri diritti – poiché non ne avevano conoscenza – bensì equità e un trattamento umano. John Ball, uno dei leader della rivolta inglese, la quale giunse a un momento di illusoria “liberazione” contadina nel 1381, si riferisce abbia predicato: “Veniamo chiamati servi e picchiati se siamo lenti al loro servizio, eppure non abbiamo un signore cui rivolgere le nostre lamentele, nessuno che ci ascolti e ci renda giustizia. Andiamo dal Re – egli è giovane – e mostriamogli a qual punto siamo oppressi, riferiamogli che vogliamo che le cose cambino, o altrimenti le cambieremo noi stessi” [1]. Non ci si appellava, dunque, ad un insieme di diritti, bensì  alla saggezza ed al senso di giustizia incarnati da un potere superiore, potere superiore che, per altro, si sarebbe infine rivelato infido. Come affermato dal traduttore delle Chroniques, Geoffrey Brereton, Froissart “non si serve di una parola esattamente corrispondente di “eguale”. Invece, ricorre a “tutt’uno” o “tutti insieme” per indicare un destino condiviso. L’uguaglianza, sembrerebbe, è una condizione necessaria del ricorso moderno al concetto di “diritti universali”, priva di riscontro in Froissart. 

lunedì 22 gennaio 2018

Gramsci. Una nuova biografia - Angelo D'Orsi

Da: Centro Sociale 28 Maggio
Angelo D'Orsi è uno storico italiano. Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche presso il Dipartimento di Studi Storici dell'Università di Torino.

Prima parte:



                                                              Seconda parte:  https://www.youtube.com/watch?v=sF4GKJM6WLo

domenica 21 gennaio 2018

"Husserl e la Lebenswelt" - Carlo Sini

Da:  CarloSiniNoema - Carlo_Sini è un filosofo italiano.
Vedi anche: Lezione 1 - Hegel,"Filosofia e Metodo"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/hegelfilosofia-e-metodo-carlo-sini.html
                       Lezione 2 - Heidegger,"Il compito del pensiero"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/il-compito-del-pensiero-carlo-sini.html 
                         Lezione 3 - Nietzsche,"Il difetto ereditario dei filosofi"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/il-difetto-ereditario-dei-filosofi.html 
                             Lezione 4 - Nietzsche,"Il problema psicologico della conoscenza"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/01/il-problema-psicologico-della.html 

Lezione 5 - "Husserl e la Lebenswelt": 



sabato 20 gennaio 2018

Italia in armi dal Baltico all’Africa - Manlio Dinucci

Da: PandoraTV - Manlio Dinucci è un geografo italiano (http://www.voltairenet.org/auteur124610.html?lang=it

                    (il manifesto, 16 gennaio 2018)

Che cosa avverrebbe se caccia russi Sukhoi Su 35, schierati nell’aeroporto di Zurigo a una decina di minuti di volo da Milano, pattugliassero il confine con l’Italia con la motivazione di proteggere la Svizzera dall’aggressione italiana? A Roma l’intero parlamento insorgerebbe, chiedendo immediate contromisure diplomatiche e militari. 

Lo stesso parlamento, invece, sostanzialmente accetta e passa sotto silenzio la decisione Nato di schierare 8 caccia italiani Eurofighter Typhoon nella base di Amari in Estonia, a una decina di minuti di volo da San Pietroburgo, per pattugliare il confine con la Russia con la motivazione di proteggere i paesi baltici dalla «aggressione russa». La fake news con la quale la Nato sotto comando Usa giustifica la sempre più pericolosa escalation miitare contro la Russia in Europa.


Per dislocare in Estonia gli 8 cacciabombardieri, con un personale di 250 uomini, si spendono (con denaro proveniente dalle casse pubbliche italiane) 12,5 milioni di euro da gennaio a settembre, cui si aggiungono le spese operative: un’ora di volo di un Eurofighter costa 40 mila euro, l’equivalente del salario lordo annuo di un lavoratore.

Questa è solo una delle 33 missioni militari internazionali in cui l’Italia è impegnata in 22 paesi. A quelle condotte da tempo nei Balcani, in Libano e Afghanistan, si aggiungono le nuove missioni che – sottolinea la Deliberazione del governo – «si concentrano in un'area geografica, l'Africa, ritenuta di prioritario interesse strategico in relazione alle esigenze di sicurezza e difesa nazionali». 

In Libia, gettata nel caos dalla guerra Nato del 2011 con la partecipazione dell’Italia, l’Italia oggi «sostiene le autorità nell'azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento del controllo e contrasto dell'immigrazione illegale». L’operazione, con l’impiego di 400 uomini e 130 veicoli, comporta una spesa annua di 50 milioni di euro, compresa una indennità media di missione di 5 mila euro mensili corrisposta (oltre la paga) a ciascun partecipante alla missione. 

In Tunisia l’Italia partecipa alla Missione Nato di supporto alle «forze di sicurezza» governative, impegnate a reprimere le manifestazioni popolari contro il peggioramento delle condizioni di vita. 

In Niger l’Italia inizia nel 2018 la missione di supporto alle «forze di sicurezza» governative, «nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area», comprendente anche Mali, Burkina Faso, Benin, Mauritania, Ciad, Nigeria e Repubblica Centrafricana (dove l’Italia partecipa a una missione Ue di «supporto»). 

È una delle aree più ricche di materie prime strategiche – petrolio, gas naturale, uranio, coltan, oro, diamanti, manganese, fosfati e altre – sfruttate da multinazionali statunitensi ed europee, il cui oligopolio è però ora messo a rischio dalla crescente presenza economica cinese. 

Da qui la «stabilizzazione» militare dell’area, cui partecipa l’Italia inviando in Niger 470 uomini e 130 mezzi terrestri, con una spesa annua di 50 milioni di euro. 

A tali impegni si aggiunge quello che l’Italia ha assunto il 10 gennaio: il comando della componente terrestre della Nato Response Force, rapidamente proiettabile in qualsiasi parte del mondo. 

Nel 2018 è agli ordini del Comando multinazionale di Solbiate Olona (Varese), di cui l’Italia è «la nazione guida». Ma – chiarisce il Ministero della difesa – tale comando è «alle dipendenze del Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa», sempre nominato dal presidente degli Stati uniti. L’Italia è quindi sì «nazione guida», ma sempre subordinata alla catena di comando del Pentagono.

venerdì 19 gennaio 2018

«Capo» - Antonio Gramsci

Da: L'Ordine Nuovoin occasione dell'anniversario della scomparsa di Lenin (21/01/1924) e della nascita di Gramsci (22/01/1891) 
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare. 

   L'Ordine Nuovo, 1° marzo 1924. Non firmato.

Ogni Stato è una dittatura. Ogni Stato non può non avere un governo, costituito da un ristretto numero di uomini, che a loro volta si organizzano attorno a uno dotato di maggiore capacità e di maggiore chiaroveggenza. Finché sarà necessario uno Stato, finché sarà storicamente necessario governare gli uomini, qualunque sia la classe dominante, si porrà il problema di avere dei capi, di avere un «capo».

Che dei socialisti, i quali dicono ancora di essere marxisti e rivoluzionari, dicano poi di volere la dittatura del proletariato, ma di non volere la dittatura dei «capi», di non volere che il comando si individui, si personalizzi, che si dica, cioè, di volere la dittatura, ma di non volerla nella sola forma in cui è storicamente possibile, rivela solo tutto un indirizzo politico, tutta una preparazione teorica «rivoluzionaria».

Nella quistione della dittatura proletaria il problema essenziale non è quello della personificazione fisica della funzione di comando. Il problema essenziale consiste nella natura dei rapporti che i capi o il capo hanno col partito della classe operaia, nei rapporti che esistono tra questo partito e la classe operaia: sono essi puramente gerarchici, di tipo militare, o sono di carattere storico e organico?

Il capo, il partito sono elementi della classe operaia, sono una parte della classe operaia, ne rappresentano gli interessi e le aspirazioni piú profonde e vitali, o ne sono una escrescenza, o sono una semplice sovrapposizione violenta? Come questo partito si è formato, come si è sviluppato, per quale processo è avvenuta la selezione degli uomini che lo dirigono? Perché è diventato il partito della classe operaia? È ciò avvenuto per caso?

mercoledì 17 gennaio 2018

Gorgia e il potere del "logos" - Fiorinda Li Vigni


Da:  AccademiaIISF http://www.iisf.it/programma/indicepl...
florinda-li-vigni è Segretario Generale dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dove svolge, inoltre, la sua attività didattica e di ricerca.

Il Gorgia di Platone: http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/GORGIA.PDF 
Gorgia, Encomio di Elenahttp://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaG/GORGIA_%20ENCOMIO%20DI%20ELENA.htm 

Terza lezione - Gorgia e il potere del "logos":



Prima lezione - "Civiltà e barbarie per i Greci dell’età classica": https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/civilta-e-barbarie-per-i-greci-delleta.html 

Seconda lezione - "Protagora e la democrazia ateniese": https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/01/protagora-e-la-democrazia-ateniese.html 

lunedì 15 gennaio 2018

"La società artificiale" - Renato Curcio

Da: Centro Sociale 28 Maggio - Renato Curcio è un saggista e sociologo italiano, tra i fondatori delle Brigate Rosse. 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/la-societa-artificiale-renato-curcio.html 

Parte prima: 


"in che rapporto sta questa innovazione tecnologica con l'idea storica di progresso? Il passo che oggi mi sento di problematizzare è proprio questo: ora io sono assolutamente convinto che siamo di fronte a una divaricazione netta tra l'innovazione tecnologica e il progresso sociale. Oggi il progresso sociale deve riprendere in mano seriamente la questione dei legami, vale a dire la questione della capacità di vivere in modo evoluto insieme, e quindi deve accoppiare l'idea di classe all'idea di specie. Oggi lotta di classe è la possibilità di evitare a questa specie una terribile deriva, che è la deriva robotica e, come dicono alcuni, cyborg, dei cittadini e di questa nostra futura società." (R. Curcio)

Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=UCbtuTN7jM8

mercoledì 10 gennaio 2018

"Marx, la rivoluzione scoppiata in suo nome e il problema della libertà."- Domenico Losurdo


Da:  AccademiaIISF - MARX A CENT’ANNI DALLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE http://www.iisf.it/pdfsito/LOSURDO.pdf
Domenico_Losurdo (Università di Urbino)  è un filosofo, saggista e storico italiano. 
Vedi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/rivoluzione-dottobre-e-democrazia_2.html

Seconda lezione:


Prima lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/decrescita-o-sviluppo-delle-forze.html

martedì 9 gennaio 2018

È un romanzo filosofico Delitto e castigo? - Sergio Givone


*Da:  Teatro Franco Parenti Sergio_Givone è un filosofo italiano.                   Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/soren-kierkegaard-sergio-givone.html 
                                                                                                                                           https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/creazione-come-invenzione-e-come.html 



                                                                                                                           Ennio Fantastichini legge "Delitto e castigo": https://www.youtube.com/watch?v=dVKbxtIJYso 


lunedì 8 gennaio 2018

In qualche modo… - Alessandra Ciattini

Da:  https://www.lacittafutura.it - alessandraciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. 

Tornando sull’importanza delle parole e sul come il loro impiego spieghi la concezione del mondo soggiacente e talvolta volutamente nascosta, avrete probabilmente osservato che il linguaggio semi-colto, quello dei mass media, quello degli uomini di cultura, professori universitari, “esperti” che vengono intervistati per gettarci le perle del loro sapere è costantemente infarcito, in maniera a mio dire fastidiosa, dall’avverbio modale “in qualche modo”. Ci si potrebbe chiedere se non si tratti di una sciocchezza, di una minuzia, su cui non vale la pena riflettere. Eppure a me non sembra tale, perché getta luce su alcuni aspetti di quella che può essere definita “ideologia quotidiana” o anche “senso comune” [1], nell’accezione gramsciana, a sua volta definito dallo studioso marxista “il folclore della filosofia”, prodotto dalla sedimentazione dei contenuti delle correnti culturali e filosofiche precedenti.
Aggiungo che questo mio fastidio per “in qualche modo” è stato preceduto nel 2008 da un articolo di Adriano Sofri su Panorama, nel quale scrive che tale avverbio: “sembra riportare una vaghezza, un’attenuazione, in qualche modo (anche lui non ne fa a meno) un’attenuante generica alla sciocchezza che si sta dicendo…”. Tuttavia, Sofri ne fa una sorta di vezzo e non ne approfondisce le radici sociali.
Tale insistenza sull’uso di “in qualche modo” mostra che si prova una grande paura nei confronti della parola dichiarativa, categorica, e che non si intende assumere pienamente la responsabilità del significato di una parola pronunciata nell’interazione sociale. L’uso dichiarativo e categorico sembra essere limitato agli scritti scientifici, negli altri ambiti ci si contenta di esprimere opinioni opinabili che è sempre possibile rimangiare o rielaborare a seconda della reazione degli ipotetici interlocutori (basti pensare allo squallido dibattito politico, cui partecipano sempre i soliti protagonisti).
Naturalmente non voglio sostenere che in alcuni casi “in qualche modo” sia del tutto inutile, ma affermazioni del tipo: “I problemi ambientali ci mettono tutti in qualche modo nelle stesse condizioni” oppure “Dobbiamo in qualche modocapire noi stessi per migliorarci” non richiedono nessuna specificazione e nessuna ulteriore sfumatura, la frase aggiunge solo un senso di confusione e di oscurità e quindi avvolge di incertezza l’affermazione fatta. E sollecita altre domande: cosa significa capire noi stessi e in che misura dovremo modificarci? 

sabato 6 gennaio 2018

"Il problema psicologico della conoscenza" - Carlo Sini

Da:  CarloSiniNoema - Carlo_Sini è un filosofo italiano.
Vedi anche: Lezione 1 - Hegel,"Filosofia e Metodo"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/hegelfilosofia-e-metodo-carlo-sini.html
                       Lezione 2 - Heidegger,"Il compito del pensiero"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/il-compito-del-pensiero-carlo-sini.html 
                          Lezione 3 - Nietzsche,"Il difetto ereditario dei filosofi"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/il-difetto-ereditario-dei-filosofi.html 

Lezione 4 - Nietzsche, "Il problema psicologico della conoscenza"(Parte prima):


Lezione 4 - Nietzsche, "Il problema psicologico della conoscenza"(Parte seconda): 
https://www.youtube.com/watch?annotation_id=annotation_855086&feature=iv&src_vid=yc_FzHhg7W4&v=lOjThiJ8Xps 


giovedì 4 gennaio 2018

Gramsci e gli intellettuali

Da: http://tramedoro.eu/wp-content/uploads/2017/06/GLI-INTELLETTUALI-GRAMSCI.pdf
Si è utilizzata questa edizione: Antonio Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1955, sesta edizione, p. xv + 203. I saggi che compongono questo volume furono scritti da Gramsci nel 1930, in uno dei primi Quaderni del carcere, e poi ritrascritti con alcuni ritocchi e modificazioni. Attualmente sono raccolti in: Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 2014, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Giarratana, pp. LXVIII + 3370.


RIASSUNTO

L’intellettuale organico

Gli intellettuali sono un gruppo sociale autonomo e indipendente, oppure ogni gruppo sociale ha una sua propria categoria specializzata di intellettuali? Il problema è complesso, perché il processo storico reale di formazione delle diverse categoria di intellettuali ha assunto finora due forme diverse. Abbiamo innanzitutto gli intellettuali “organici”, che sono espressione della classe sociale dominante. Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale della produzione economica, sviluppa come proprio organo un ceto intellettuale che gli dà omogeneità e consapevolezza della propria funzione storica non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico.

Per fare un esempio, l’imprenditore capitalistico crea con sé il tecnico dell’industria, lo scienziato dell’economia politica, l’organizzatore di una nuova cultura e di un nuovo diritto. Occorre notare che l’imprenditore possiede già una certa capacità intellettuale, di tipo dirigenziale e tecnico. Egli deve avere una certa capacità tecnica non solo nella sfera circoscritta della sua attività e della sua iniziativa, ma anche in altre sfere, almeno in quelle più vicine alla produzione economica: dev’essere un organizzatore di masse d’uomini; dev’essere un organizzatore della “fiducia” dei risparmiatori nella sua azienda e dei compratori della sua merce.

Se non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve avere anche una capacità di organizzatore della società in generale, compreso l’organismo statale, per la necessità di creare le condizioni più favorevoli all’espansione della propria classe. O quantomeno deve possedere la capacità di scegliere i “commessi”, cioè degli impiegati specializzati cui affidare questa attività organizzatrice dei rapporti esterni all’azienda. 

Gli intellettuali come ceto autonomo 

Anche i signori feudali erano detentori di una particolare capacità tecnica, quella militare, ed è appunto dal momento in cui l’aristocrazia perde il monopolio della capacità tecnicomilitare che inizia la crisi del feudalesimo. La categoria intellettuale organicamente legata all’aristocrazia fondiaria è però quella degli ecclesiastici, che era equiparata giuridicamente all’aristocrazia, di cui divideva l’esercizio della proprietà feudale della terra e l’uso dei privilegi legati alla proprietà. La massa dei contadini, pur svolgendo una funzione essenziale non elabora però propri intellettuali “organici”, anche se dalla massa dei contadini gli altri gruppi sociali traggono molti dei loro intellettuali.

martedì 2 gennaio 2018

"Protagora e la democrazia ateniese" - Fiorinda Li Vigni


Da:  AccademiaIISF http://www.iisf.it/programma/indicepl...
florinda-li-vigni è Segretario Generale dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dove svolge, inoltre, la sua attività didattica e di ricerca.

Il Protagora di Platone: http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/Protagora.pdf
Il Teeteto di Platone: http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/Teeteto.pdf

Seconda lezione:


Prima lezione, "Civiltà e barbarie per i Greci dell’età classica": https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/civilta-e-barbarie-per-i-greci-delleta.html