giovedì 29 gennaio 2015

LA LEGGE LA LIBERTA' LA GRAZIA - Remo Bodei, Antonio Delogu

                                           


"La reminiscenza sartriana, il "siamo condannati a essere liberi", non vuole alludere alla libertà come peso dell'esistenza. Vuole alludere invece - e direi che nello stesso Sartre, nel Sartre filosofo della libertà, c'è questo motivo - vuole dunque alludere alla morale della responsabilità e - aggiungerei - alla durezza di Hegel nei confronti del singolo. Penso specialmente all'ultima parte del quinto capitolo della Fenomenologia, in cui la Cosa stessa, come Hegel dice, cioè il corso storico e la sua razionalità, ricomprende in sé l'azione del singolo, che fatuamente ne rivendica la proprietà. La pietra lanciata dalla mano è del diavolo, dice Hegel riprendendo un antico proverbio. Agendo mi espongo ai voleri della Fortuna, cioè la mia azione si intreccia con quelle altrui e con il complesso delle circostanze, la Cosa stessa ora accennata. E tuttavia la Cosa stessa non mi è estranea, perché si appunta nell'autocoscienza, è la "mia" Cosa, ho comunque contribuito a produrla. È stato detto che in guerra non vi sono vittime innocenti, e Hegel potrebbe condividere questa espressione che allude alla universale responsabilità. Per un verso dunque la mia azione è poca cosa, perché è destinata a perdersi nel miro gurge del corso storico, per un altro verso il corso storico mi appartiene o - ma in questo caso è la stessa cosa - io appartengo al corso storico. Hegel spinge sino in fondo la sua geniale tesi. Il corso storico ha la sua logica di fronte a cui l'opera del singolo è irrilevante. Persino il famoso grand'uomo di Hegel, Alessandro magno, Giulio Cesare, non sono dei veri creatori, non somigliano per nulla agli uomini di Nietzsche o di Carlyle, perché la loro azione non va oltre il portare alla luce una situazione virtualmente presente. La repubblica romana era virtualmente cesariana quando Cesare vi dispiegò la sua azione politica. Hegel infatti parla di un "cupo tessere dello spirito", cioè di un corso delle cose che si viene svolgendo inconsciamente, sicchè l'uomo d'azione interviene a cose quasi fatte, l'uomo di pensiero, il filosofo, interviene a cose fatte e anzi quando la situazione non solo si è consolidata, ma è già in crisi, sta per mutare (l'uccello di Minerva che inizia il suo volo al crepuscolo). Potrebbe sembrare che questa dottrina possa spingere a un atteggiamento quietista: se la mia azione è poca cosa non vale la pena di impegnarsi troppo. E invece abbiamo visto che l'atteggiamento hegeliano è di assoluta responsabilità. Certo la mia azione è eminentemente rischiosa, può perdersi nel non-senso e comunque solo tardi, solo a processo compiuto saprò o altri saprà quale sarà stato il risultato e quindi il significato del mio impegno. Ma nel mio agire devo credere (qui il temine è appropriato) di realizzare il Bene (l'ineludibile motivo kantiano). È una illusione necessaria che governa la mia libertà. E Hegel mostra che sfuggire a questa libertà è impossibile perché è impossibile sfuggire alla mia essenza di uomo."

Francesco Valentini

mercoledì 28 gennaio 2015

FREUD E LA MASSENPSYCHOLOGIE* - Stefano Garroni

*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore - (Prima parte)
                                                                                          
(Seconda parte):
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/02/freud-e-la-massenpsychologie-2-stefano.html                                                                                                                                                                                                                               




 "...ripensare Freud all'interno della tradizione scientifica e morale classica, nella situazione presente, ha un certo senso salutarmente -inattuale- 


lunedì 26 gennaio 2015

ESPERIENZA E EDUCAZIONE - John Dewey

Introduzione

            I due saggi di John Dewey Unity of Science as a social problem e Theory of Valuation sono stati pubblicati tra il 1938 e il 1939 nella raccolta di scritti curata da Otto Neurath dal titolo International Encyclopedia of Unified Science dall’University of Chicago Press.
            I due scritti sono da leggere all’interno del contesto dell’opera, l’Enciclopedia unificata della scienza, che rappresenta l’approdo della riflessione, che si sviluppò tra le due guerre ad opera di un gruppo di studiosi scienziati e filosofi che facevano riferimento come origine all’esperienza del Circolo di Vienna.
            L’Enciclopedia può a ragione essere considerata come un tentativo di raccogliere assieme le voci più autorevoli di quel movimento filosofico che avendo per obiettivo l’unità della scienza  paradossalmente, in relazione alle differenze tra i diversi autori viene definito, ora neopositivismo, ora positivismo logico e ancora come empirismo logico.
            L’Enciclopedia è  dunque un opera complessa che contiene lavori di taglio diverso il cui denominatore può essere ritrovato nel tentativo di raggiungere un metodo scientifico comune ed applicabile non solo nell’ambito delle discipline scientifiche in senso stretto, ma al complesso dell’attività umana e nell’attribuzione al linguaggio di una funzione detrminante in questo processo..
            Il neopositivismo si affermò nel periodo tra le due guerre mondiali a partire dalle riflessioni che un gruppo di pensatori, scienziati e filosofi , il Circolo di Vienna, sviluppò e diffuse. L’iniziativa del Circolo di Vienna, di cui facevano parte studiosi come Moritz Schlick, Hans Hahn, Otto Neurath, Philipp Frank, Rudolf Carnap, Victor Kraft, Felix Kaufmann, Kurt Reidmeister, Herbert Feigl, fu affiancata da un altro autorevole gruppo di pensatori della Scuola di Berlino (Hans Reichenbach, Alexander Hezberg, Walter Dubilav, Kurt Grelling, Kurt Lewin, Wofang Koeler, Carl Gustav Hempel).
            L’avvento del nazismo e il conseguente scioglimento dei due gruppi spostò la riflessione dal continente europeo negli Stati Uniti. In realtà il neopositivismo aveva già trovato accoglienza in America soprattutto per opera di Charles Morris, ma con l’abbandono dell’Europa da parte di pensatori come Carnap, Hampel, Reichenbach, Franck e Kaufmann il neopositivismo assume i caratteri di una corrente filosofica americana.
            L’impatto con il pensiero americano ed in particolare con il pragmatismo di Mead e di Dewey,  aiutò, come afferma Brancatisano, il neopositivismo a liberarsi degli ultimi residui metafisici ed a mettere a fuoco il rapporto tra discorso teoretico ed esperienza.
            Abbiamo sottolineato come la ricchezza e la varietà dei contributi che afferirono al neopositivismo non consentano di considerarlo come una scuola unitaria di pensiero, tuttavia è possibile identificare un denominatore comune nello sforzo di questi ricercatori che possiamo sistetizzare nella avversione per le posizioni irrazionali e preconcette e nello sforzo di trovare un linguaggio comune tra diversi settori di indagine tale da consentire una concezione scientifica del mondo.
            Il contributo di Dewey consiste appunto nel proporre l’esperienza e non solo quella di laboratorio, ma l’esperienza umana nel suo complesso, come banco di prova del metodo scientifico, che deve dunque poter trovare applicazione in tutti gli ambiti dell’esperienza umana. Dunque il discorso sull’unità della scienza deve necessariamente potersi estendere alle discipline umanistiche.

giovedì 22 gennaio 2015

Corso sul "Capitale" (5) - Riccardo Bellofiore

                                                                                                                                                        Video del quinto incontro del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).


Precedenti:

http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/10/corso-sul-capitale-1-riccardo-bellofiore.html

http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/11/corso-sul-capitale-2-riccardo-bellofiore.html

http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/12/corso-sul-capitale-3-riccardo-bellofiore.html

http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/corso-sul-capitale-4-riccardo-bellofiore.html

lunedì 19 gennaio 2015

LA COSIDDETTA ACCUMULAZIONE ORIGINARIA - Karl Marx, IL CAPITALE, LIBRO I, SEZIONE VII, CAPITOLO 24




Non è certo una facile lettura quella del Capitale di Marx... ma il capitolo 24° è un passaggio unico per la sua limpida chiarezza... è affascinante cogliere la tensione morale che guida tutto il discorso di ricostruzione storica. Tutti dovrebbero leggerlo...





1. L’ARCANO DELL’ACCUMULAZIONE ORIGINARIA.

Abbiamo visto come il denaro viene trasformato in capitale, come col capitale si fa il plusvalore, e come dal plusvalore si trae più capitale, Ma l’accumulazione del capitale presuppone il plusvalore, e il plusvalore presuppone la produzione capitalistica, e questa presuppone a sua volta la presenza di masse di capitale e di forza-lavoro di una considerevole entità in mano ai produttori di merci. Tutto questo movimento sembra dunque aggirarsi in un circolo vizioso dal quale riusciamo ad uscire soltanto supponendo un’accumulazione «originaria»(«previous accurnulation» in A. Smith) precedente l’accumulazione capitalistica: una accumulazione che non è il risultato, ma il punto di partenza del modo di produzione capitalistico.

venerdì 16 gennaio 2015

Su Piketty e il “suo” capitale del nuovo secolo - Francesco Schettino

"... il fenomeno a cui si assiste e di cui si discute, ormai anche a livello colloquiale in qualsiasi bar di periferia, è che, quella parte della classe proletaria, spesso animata da ambizioni piccolo-borghesi, che fino alla fine del secolo scorso riusciva a strappare, senza troppa fatica, salari in grado di garantire una vita pressoché agiata – a scapito del proletariato meno specializzato che, seppur indirettamente, era costretto a sostenerne vizi e comodità (non a caso Engels, riferendosi al caso inglese, parlava di costoro come di quelli a cui lo stato regalava le briciole estorte dal proletariato indiano) – si è improvvisamente destata dal sogno di avvicinarsi al sole del potere del capitale e, in quanto non proprietaria delle condizioni di produzione, come Icaro, ha iniziato un precipitoso ammaraggio nelle torbide acque del proletariato, classe a cui ha sempre appartenuto al di là delle artificiose apparenze."
"...i processi di concentrazione e di centralizzazione del capitale, cresciuti sensibilmente dal 1970, hanno traghettato la disuguaglianza in termini di proprietà patrimoniale (e dunque non solamente delle condizioni oggettive di produzione) a livelli superiori rispetto a quelli individuabili nella distribuzione dei redditi da lavoro, nonostante la crescita e l’affermazione dei mostruosi salari dei supermanagers in stile Marchionne. Al 2010, infatti, se il 10% dei salariati più ricchi ottiene il 25% della massa salariale corrisposta in Europa, lo stesso decile della distribuzione ottiene il 35% del totale negli Usa, valore che dovrebbe giungere al 45% nel giro di meno di un ventennio. E tutto ciò viene calcolato non comprendendo chi viene liberato dal lavoro che, percependo salario nullo, non viene incluso nelle elaborazioni numeriche. Quindi, esprimendo il tutto in termini dell’indice di Gini, si osserva come nel 2010 la disuguaglianza tra i lavoratori europei fosse sufficientemente bassa (0,26), mentre quella statunitense già raggiungeva livelli più sostenuti (0,36) puntando per il 2030 a un pesantissimo 0,46, qualora non ci sia una decisa inversione di rotta."
"Per quanto riguarda, invece la distribuzione della proprietà patrimoniale (e dei redditi che ne derivano) che, appunto, oltre alle condizioni oggettive della produzione include immobili, terra ecc., la situazione è ben diversa. Se nei paesi storicamente con un basso livello di disparità, come quelli scandinavi degli anni 70-80, il 10% dei proprietari più ricchi detiene il 50% del patrimonio complessivo, in Europa tale coefficiente sale a 60%, mentre negli Usa addirittura al 70%. I corrispondenti indici di Gini raggiungono lo 0,58 (+0,29 rispetto all’in­dice calcolato sui soli redditi da lavoro), 0,67 (+0,41) e 0,73 (+0,37). È chiaro che incrociando dunque i dati, ossia effettuando il calcolo della disuguaglianza sui redditi complessivi, ossia di lavoro e “capitale” i risultati mostrano una disparità nettamente più pronunciata rispetto a quella dei soli redditi da lavoro, mostrando così come la struttura delle condizioni di proprietà (produzione) siano fondamentali nella determinazione della disuguaglianza complessiva."
"... porre, dunque, come fa Piketty, il discorso della conflittualità su un piano della “lotta di percentile” (centile struggle) come aggiornamento della più nota “lotta di classe” (class strugle): ma ciò, a differenza di quello che sostiene l’economista francese, non determina unicamente una “perdita di fascino” della stessa ma semplicemente un errore macroscopico che non è solo di natura statistica ma assume rilevanti connotati economici e politici."
"...In sostanza ciò che viene negato nell’analisi di Piketty, così come dalla totalità degli economisti, è la natura del profitto in quanto forma monetaria del plusvalore, entità che, al pari del salario – ossia il valore complessivo della forza-lavoro – viene determinato nella fase, distinta solo logicamente, della produzione di merce."

"I cosiddetti rapporti di distribuzione corrispondono, quindi, a forme storicamente determinate, specificamente sociali, del processo di produzione e dei rapporti in cui gli uomini entrano nel processo di riproduzione della loro vita e derivano da queste forme. Il carattere storico di questi rapporti di distribuzione è il carattere storico dei rapporti di produzione, dei quali essi esprimono soltanto un aspetto. La distribuzione capitalistica è distinta dalle forme di distribuzione che derivano da altri modi di produzione, ed ogni forma di distribuzione scompare insieme con la forma di produzione determinata a cui essa corrisponde e da cui deriva”.(K. Marx, III libro del Capitale)

giovedì 15 gennaio 2015

il grande Scott - Aristide Bellacicco

Hanno un senso i miei capelli?’ disse Scott ‘Dai, rispondi. Hanno un senso, secondo te?’
Si afferrò una ciocca fra due dita e la tirò verso l’alto, come fanno i barbieri prima di tagliare. Quella settimana se li era fatti biondo scuro.
‘Allora? Parlo con te, Milli. Hanno un senso o no?’
Milli non riuscì a trattenere un sorriso.
‘Sei buffo. Oddio, se ti vedessi. Scott, non immagini quanto sei buffo.’
Era seduta sul divano a fumare una sigaretta, non resisteva più a sentirlo parlare e voleva solo andarsene a letto.
‘Ma a te non viene mai sonno?’ disse.
Scott lasciò andare i capelli. Sospirò come un uomo seriamente deluso e tirò giù un sorso.
‘Sant’iddio, Milli. Ogni volta che comincio un discorso serio mi smonti. Lo fai apposta, lo so. Sei cattiva. Sei proprio una donna cattiva.’
Era seduto accanto al biliardo, con un gomito sulla sponda. Aveva poggiato la bottiglia sul drappo verde e ogni volta che la sollevava le biglie sembravano lanciargli sguardi furtivi e disordinati.
Bevve ancora. Poi infilò il bicchiere fra le ginocchia e le strinse. Contemplò il risultato con soddisfazione, aprendo le braccia come un giocoliere che conclude un numero difficile.
‘Ecco’ disse ‘ conosci qualcuno capace di fare altrettanto?’
Nella stanza c’era molto caldo. Dalla portafinestra spalancata sulla notte immobile non entrava un filo d’aria. Milli cercò di immaginare che aspetto avessero le stelle sepolte in quel calore buio.
‘Assolutamente no’ disse ‘Tu sei unico. Anzi, sei l’unico. L’unico Scotch della mia vita. Oh, perdonami. Volevo dire Scott.’
Scott battè piano le mani, annuendo più volte ostinatamente.
‘Ottimo’ disse ‘addirittura un gioco di parole. Fantastico, Milli.’
Afferrò la bottiglia e cercò di riempire di nuovo il bicchiere tenendolo in quella strana posizione, ma si sbilanciò sulla sedia e il liquore gocciolò sul pavimento.
‘Fa niente’ disse ‘ una piccola defaillance. Capita anche ai più grandi.’
Tornò a posare la bottiglia sul biliardo e la fissò corrugando la fronte.
‘Guardala, Milli. La mia boccia preferita. L’unica con un numero di quattro cifre. L’unica che non rotola e che non finisce in una di quelle maledette buche. Ora, quello che mi manca per concludere in bellezza è una cannuccia. Amore, guarda se di là abbiamo una cannuccia di…circa mezzo metro, direi. Per andare da qui a qui.’
Si toccò alternativamente le ginocchia e labbra.
‘E’ per il colpo di scena. L’effetto conclusivo, quello che lascia tutti a bocca aperta. Hai presente? Una specie di finale da maestro.’
Milli si avvicinò. Prese il bicchiere per il bordo e lo tirò via vincendo la debole resistenza di Scott, che istintivamente allargò le gambe. Rovesciando il capo, Milli ingoiò il liquore fino all’ultima goccia.
‘Ecco fatto, Scott. Ci ho pensato io. L’importante era finirlo, no? E perdonami se ti ho guastato l’effetto, ma purtroppo non esistono cannucce di mezzo metro. Per certi numeri, ci vuole la collaborazione di un altro essere umano.’
Tornò barcollando verso il divano e vi si lasciò cadere.
‘Meglio ancora se ubriaco’ soggiunse.

mercoledì 7 gennaio 2015

Corso sul "Capitale" (4) - Riccardo Bellofiore




Video del quarto incontro del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).

(Per una migliore fruizione consigliamo, al minuto 17,18, di saltare e riprendere al minuto 28,18) 


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