Introduzione
I due
saggi di John Dewey Unity of Science as a social problem e Theory of Valuation
sono stati pubblicati tra il 1938 e il 1939 nella raccolta di scritti curata da
Otto Neurath dal titolo International Encyclopedia of Unified Science
dall’University of Chicago Press.
I due scritti
sono da leggere all’interno del contesto dell’opera, l’Enciclopedia unificata
della scienza, che rappresenta l’approdo della riflessione, che si sviluppò tra
le due guerre ad opera di un gruppo di studiosi scienziati e filosofi che
facevano riferimento come origine all’esperienza del Circolo di Vienna.
L’Enciclopedia può a ragione essere considerata come un tentativo di
raccogliere assieme le voci più autorevoli di quel movimento filosofico che
avendo per obiettivo l’unità della scienza
paradossalmente, in relazione alle differenze tra i diversi autori viene
definito, ora neopositivismo, ora positivismo logico e ancora come empirismo
logico.
L’Enciclopedia è dunque un opera
complessa che contiene lavori di taglio diverso il cui denominatore può essere
ritrovato nel tentativo di raggiungere un metodo scientifico comune ed
applicabile non solo nell’ambito delle discipline scientifiche in senso
stretto, ma al complesso dell’attività umana e nell’attribuzione al linguaggio
di una funzione detrminante in questo processo..
Il
neopositivismo si affermò nel periodo tra le due guerre mondiali a partire
dalle riflessioni che un gruppo di pensatori, scienziati e filosofi , il
Circolo di Vienna, sviluppò e diffuse. L’iniziativa del Circolo di Vienna, di
cui facevano parte studiosi come Moritz Schlick, Hans Hahn, Otto Neurath,
Philipp Frank, Rudolf Carnap, Victor Kraft, Felix Kaufmann, Kurt Reidmeister,
Herbert Feigl, fu affiancata da un altro autorevole gruppo di pensatori della
Scuola di Berlino (Hans Reichenbach, Alexander Hezberg, Walter Dubilav, Kurt
Grelling, Kurt Lewin, Wofang Koeler, Carl Gustav Hempel).
L’avvento
del nazismo e il conseguente scioglimento dei due gruppi spostò la riflessione
dal continente europeo negli Stati Uniti. In realtà il neopositivismo aveva già
trovato accoglienza in America soprattutto per opera di Charles Morris, ma con
l’abbandono dell’Europa da parte di pensatori come Carnap, Hampel, Reichenbach,
Franck e Kaufmann il neopositivismo assume i caratteri di una corrente
filosofica americana.
L’impatto
con il pensiero americano ed in particolare con il pragmatismo di Mead e di
Dewey, aiutò, come afferma Brancatisano,
il neopositivismo a liberarsi degli ultimi residui metafisici ed a mettere a
fuoco il rapporto tra discorso teoretico ed esperienza.
Abbiamo
sottolineato come la ricchezza e la varietà dei contributi che afferirono al
neopositivismo non consentano di considerarlo come una scuola unitaria di
pensiero, tuttavia è possibile identificare un denominatore comune nello sforzo
di questi ricercatori che possiamo sistetizzare nella avversione per le
posizioni irrazionali e preconcette e nello sforzo di trovare un linguaggio
comune tra diversi settori di indagine tale da consentire una concezione
scientifica del mondo.
Il
contributo di Dewey consiste appunto nel proporre l’esperienza e non solo
quella di laboratorio, ma l’esperienza umana nel suo complesso, come banco di
prova del metodo scientifico, che deve dunque poter trovare applicazione in
tutti gli ambiti dell’esperienza umana. Dunque il discorso sull’unità della
scienza deve necessariamente potersi estendere alle discipline umanistiche.
Il primo saggio si può leggere qui:
ESPERIENZA E EDUCAZIONE
PREFAZIONE
Tutti i movimenti sociali comportano conflitti che si
riflettono in dibattiti intellettuali. Non sarebbe segno di salute se un tema
di interesse sociale del peso dell'educazione non fosse dunque un campo di
scontri, teorici e pratici. Ma per la teoria, almeno per la teoria che
costituisce una filosofia dell'educazione, i conflitti prat ici
e le controversie sollevat e a
partire da questi conflitti, pongono unicamente un problema. Compito di una
intelligente teoria dell'educazione è quello di accertare le cause dei
conflitti in essere e poi, invece di prendere parte per gli uni o per gli
altri, indicare un piano di interventi che proceda da un livello più profondo e
più comprensivo di quello rappresentat o
dalle prat iche in conflitto.
Assegnare questo compito alla filosofia dell'educazione non
significa che essa debba tentare di trovare un compromesso fra opposte scuole
di pensiero, una specie di via media, e neppure una combinazione di elementi
presi qua e là da tutte le scuole. Significa che è necessario introdurre un
nuovo ordine di idee che avvii nuovi modi di prat ica.
È questa appunto la ragione perché è così difficile svolgere una filosofia
dell'educazione, quando ci si allontana dalla tradizione o dal costume. Per
questa ragione dirigere una scuola, che si ispira a un nuovo ordine di idee, è
molto più difficile che indirizzarla per il sentiero bat tuto.
Ne consegue che ogni movimento verso un nuovo ordine di idee e di at tività dirette da esse provoca, prima o poi, un
ritorno a quelle che sembrano le idee e le prat iche
più semplici e fondamentali del passat o
- come lo at testa ora
nell'educazione il tentat ivo di far
risorgere i principi della Grecia antica e del medioevo.
In questo
senso alla fine di questo volumetto ho suggerito a coloro che guardano innanzi
a un nuovo movimento nell’educazione, adat to
alle esigenze di un nuovo ordine sociale, che si preoccupino dell’educazione in
sé e per sé e non già di qualche “ismo” concernente la educazione, come sarebbe
per esempio il “progressismo”. Poiché, suo malgrado, ogni movimento che pensa
ed opera in base a un “ismo” è talmente coinvolto nella reazione contro altri
“ismi”, che finisce con l’essere involontariamente controllat o da essi. Il che lo induce a formulare i suoi
principi per reazione ad essi invece di muovere da una comprensiva visione
costruttiva dei bisogni, dei problemi e delle possibilità effettive. Quale esso
si sia, il valore di questo saggio consiste nel tentat ivo
di richiamare l’at tenzione su
problemi dell’educazione di più largo respiro e più profondi, tali da suggerire
il loro stesso inquadramento.
1. Educazione tradizionale - educazione progressiva
All'umanità piace di pensare per contrasto. Formula
volentieri le sue fedi con termini di opposizione[1],
fra i quali non sa scorgere possibilità intermedie. Quando è costretta a
riconoscere che gli estremi non si possono realizzare, è ancora incline ad
ammettere ch'essi hanno ragione in teoria, ma che quando si viene all'at to prat ico
si è costretti dalle circostanze al compromesso. Non fa eccezione la filosofia
dell'educazione. La storia della teoria dell'educazione è carat terizzat a
dall'opposizione fra l'idea che l'educazione è svolgimento dal di dentro e
l'idea ch'essa sia formazione dal di fuori; fra la tesi ch'essa è basat a nelle doti nat urali
e la tesi che l'educazione è un processo di soggiogamento delle inclinazioni nat urali e di sostituzione al loro posto di abiti
acquisiti mediante la pressione esteriore.
Attualmente l'opposizione, per quanto concerne l'oggetto prat ico della scuola, tende ad assumere la forma di
contrasto fra l'educazione tradizionale e la progressiva. Le idee che stanno
alla base della prima sono all'ingrosso, senza la precisione di una
formulazione rigorosa, le seguenti: la mat eria
dell'educazione consta di corpo di notizie e di abilità che sono stat i elaborat i
in passat o e, quindi, il compito
precipuo della scuola è di trasmetterli alla nuova generazione. Nel passat o sono stat e
svolte norme e regole di condotta; l'addestramento morale consiste nel formare
abiti di azione conformi a queste regole e norme. Insomma, il piano generale
dell'organizzazione scolastica (con la quale intendo i rapporti degli scolari
fra di loro e con gli insegnanti) fa della scuola un tipo di istituzione del
tutto diverso da quello delle altre istituzioni sociali. Richiamat e all'immaginazione un'aula scolastica consueta, i
suoi orari, i suoi sistemi di classificazione, di esame e di promozione, le
regole disciplinari; penso che intenderete che cosa voglio dire con «piano dell'organizzazione».
Se poi contrapponete questa scena a quanto accade in famiglia, per esempio
comprenderete che cosa si intende affermare quando si osserva che la scuola è
un tipo di istituzione del tutto diversa dalle altre organizzazioni sociali.
Le tre carat teristiche
che abbiamo testé elencat e
determinano i fini e i metodi dell'istruzione e della disciplina. Lo scopo o
obiettivo principale è di preparare il ragazzo alle responsabilità future e al
successo nella vita mediante l'acquisizione d'un insieme di conoscenze e di
forme di abilità ben fondat e che
costituiscono il mat eriale
dell'istruzione, dacché, la mat eria,
come le norme della condotta, è trasmessa dal passat o,
l'at titudine dei discenti deve pur
essere nell'insieme quella della docilità, della ricettività e dell'obbedienza.
Ai libri, e specialmente ai manuali, spetta in particolar modo il compito di
rappresentare il sapere e la saggezza del passat o,
mentre gli insegnanti sono il tramite che pone gli alunni a contat to col mat eriale.
Gli insegnanti sono i mezzi at traverso
i quali sono comunicat e abilità e
conoscenze e rafforzat e le regole
della condotta.
Non ho fat to
questa breve esposizione con lo scopo di criticare la filosofia che sta alla
base di questa educazione. Il sorgere di ciò che si suol chiamare nuova
educazione e scuole progressive è di per sé un effetto del disagio che suscita
l'educazione tradizionale. E' in sostanza una critica di essa. Quando la
critica implicita è fat ta esplicita
si formula su per giù così: il sistema tradizionale, nella sua essenza,
consiste in n'imposizione dall'alto e dal di fuori. Esso impone norme,
programmi e metodi di adulti a individui che si avviano solo lentamente alla mat urità. Il distacco è così grande che il programma
e i metodi di apprendere e di comportarsi, che si esigono, rimangono estranei
alle capacità effettive dell'alunno. Essi vanno al di là dell'esperienza
ch'egli possiede. Gli devono dunque essere imposti, anche quando buoni
insegnanti sanno con arte mascherare l'imposizione e addolcire i trat ti brutali.
Ma l'abisso tra i prodotti del mat uro
e dell'adulto e le esperienze o abilità del ragazzo è così profondo che la
situazione di fat to impedisce una
molto at tiva partecipazione degli
alunni a ciò che vien loro insegnat o.
Tocca loro di apprendere coma ai Seicento della "Brigat a leggera" toccava di morire. Imparare qui
significa acquisire ciò che è incorporat o
nei libri e nelle teste degli adulti. Inoltre ciò che è insegnat o è pensat o
come essenzialmente stat ico. Lo si
impartisce come un prodotto finito, senza troppo curarsi della sua origine e
dei cambiamenti che subirà certamente in avvenire. Esso, pur essendo in gran
parte il prodotto culturale di società che muovevano dalla persuasione che il
futuro sarebbe stat o come il passat o, si porge come alimento all'educazione di una
società in cui il cambiamento è la regola e non l'eccezione.
Se si tenta di formulare la filosofia dell'educazione
implicita nei procedimenti dell'educazione nuova, si può, a mio avviso,
scoprire certi principi comuni fra la varietà di scuole progressive at tualmente esistenti. All'imposizione dall'alto si
oppongono l'espressione e la cultura dell'individualità; alla disciplina
esterna la libera at tività;
all'imparare dai libri e dai maestri, l'apprendere at traverso
l'esperienza; all'acquisto di abilità e di tecniche isolat e
at traverso l'esercizio si oppone in
conseguimento di esse come mezzi per ottenere fini che rispondono a esigenze
vitali; alla preparazione per un futuro più o meno remoto si oppone il massimo
sfruttamento delle possibilità della vita presente; ai fini ed ai mat eriali stat ici
è opposta la familiarizzazione con un mondo in movimento.
Ora, tutti i principi per se stessi sono astrat ti. Essi si fanno concreti soltanto nelle
conseguenze della loro applicazione. Appunto perché i principi esposti sono
così fondamentali e di larga portat a,
tutto dipende dal modo in cui si interpretano quando si applicano nella scuola
e in casa. E' a questo punto che diventa peculiarmente pertinente il
riferimento che abbiamo fat to
innanzi alle filosofie dell'opposizione. La filosofia generale della nuova
educazione può essere eccellente, e tuttavia la differenza nei principi astrat ti può non indicarne la via per tradurre in prat ica la preferenza morale e intellettuale che essa
implica. In un nuovo movimento c'è sempre il pericolo che nel respingere i fini
e i metodi di quello che vuole soppiantare, esso sviluppi i suoi principi negat ivamente piuttosto che positivamente e
costruttivamente. Allora muove in prat ica
da ciò che è rigettat o anziché dallo
svolgimento costruttivo della sua propria filosofia.
Considero pacifico che l'unità fondamentale della più
recente filosofia sia nell'idea che c'è un'intima e necessaria relazione fra il
processo dell'esperienza effettiva, e l'educazione. Se è così, lo svolgimento
positivo e costruttivo della sua idea base dipende dall'avere una idea esat ta dell'esperienza. Prendiamo, per esempio, il
problema della mat eria di studio
organizzat a che sarà più
particolarmente discussa più in là. Per l'educazione progressiva il problema è:
quale è il posto e il significat o
della mat eria di studio e
dell'organizzazione dentro l'esperienza? Come funziona la mat eria di studio? C'è nell'esperienza qualcosa che
tende alla progressiva organizzazione dei suoi contenuti? Quali risultat i si hanno quando i mat eriali
dell'esperienza non sono organizzat i
progressivamente? Una filosofia che si limita a respingere, alla mera
opposizione, trascurerà questi problemi. Tenderà a supporre che, siccome la
vecchia educazione si fondava in un'organizzazione già bell'e fat ta, basta respingere il principio
dell'organizzazione in toto, invece di sforzarsi di scoprire che cosa esso
significa e come vi si può pervenire muovendo dall'esperienza. Potremmo
prendere in esame tutti i punti che differenziano la nuova e la vecchia
educazione e giungeremmo sempre a conclusioni analoghe. Quando è rigettat o il controllo esterno, il problema diventa quello
di trovare i fat tori del controllo
nel seno dell'esperienza. Il ripudiare ogni autorità esterna non significa
ripudiare qualsiasi autorità, ma cercare piuttosto una più effettiva fonte di
autorità. Per il fat to che
l'educazione di un tempo imponeva ai discendenti la conoscenza, i metodi e le
norme di condotta degli adulti, non ne segue, se non in base all'estrema
filosofia dell'opposizione, che la conoscenza e l'abilità degli adulti non
possono servire di guida all'esperienza degli immat uri.
Al contrario, col basare l'educazione sull'esperienza personale può darsi che
si moltiplichino e si rendano più intimi che nella scuola tradizionale i contat ti fra il mat uro
e l'immat uro e che per conseguenza
si accresca piuttosto che diminuire il valore dell'essere guidat i. Il problema è allora: come si possono istituire
questi contat ti senza violare il
principio dell'imparare mediante l'esperienza? La soluzione di questo problema
esige una filosofia bene a giorno dei fat tori
sociali che operano nella costituzione dell'esperienza individuale.
Nelle osservazioni che precedono abbiamo voluto far vedere
che i principi generali della nuova educazione non possono risolvere di per sé
nessuno dei problemi dell'effettiva e prat ica
gestione delle scuole progressive. Piuttosto essi pongono nuovi problemi che
devono essere affrontat i sulla base
di una nuova filosofia dell'esperienza. I problemi non solo non sono risolti,
ma non sono neppur posti, fino a che si ammette che basta ripudiare le idee e
le prat iche della vecchia educazione
per buttarsi all'estremo opposto. Eppure, sono sicuro che intenderete quel che
voglio dire quando affermo che molte delle scuole nuove tendono a dare un peso
minimo o nullo alla mat eria di
studio organizzat a; a comportarsi
come se qualsiasi forma di direzione o di guida da parte degli adulti fosse
un'usurpazione della libertà individuale; e come se l'idea che l'educazione
deve riguardare il presente e l'avvenire implicasse che il passat o ha poco a nulla da fare nella educazione. Senza
spingere questi difetti alla esagerazione, essi almeno fanno intendere cosa
significano una teoria ed una prat ica
dell'educazione che procedono negat ivamente
o per reazione a ciò che suole accadere nell'educazione, anziché tendere a uno
svolgimento costruttivo di fini, metodi e programmi sulla base di una teoria
dell'esperienza e delle sue possibilità educat ive.
Non è troppo dire che una filosofia dell'educazione che
professa di essere fondat a nell'idea
della libertà può diventare altrettanto dogmat ica
quanto l'educazione alla quale reagisce. Difat ti
qualsiasi teoria e qualsiasi sistema prat ico
è dogmat ico quando non è basat o in un esame critico dei propri fondamenti.
Diciamo che la nuova educazione pone l'accento sulla libertà dell'allievo.
Benissimo. Il problema è ora questo: che significa libertà e quali sono le
condizioni sotto le quali essa si realizza? Diciamo pure che l'imposizione
esteriore così comune nella scuola tradizionale limitava piuttosto che
promuovere il progresso intellettuale e morale del ragazzo. Di nuovo,
benissimo. Il riconoscere questo serio difetto pone un problema: Quale è la
funzione del maestro e dei libri nel promuovere lo sviluppo educat ivo dell'immat uro?
Ammettiamo pure che l'educazione tradizionale adoprava come mat eria studio fat ti
e idee così vincolanti al passat o da
recare poco aiuto per i problemi del presente e del futuro. Molto bene. Il
nostro problema è ora di scoprire il nesso che esiste at tualmente
dentro l'esperienza fra i risultat i
del passat o e i problemi del
presente. Ci tocca di accertare in che modo la conoscenza del passat o può essere trasformat a
in un potente strumento per agire effettivamente sul futuro. Quanto più
dobbiamo rifiutare la conoscenza del passat o
come fine dell'educazione, tanto più dobbiamo insistere sull'importanza di essa
come mezzo. Abbiamo dunque da fare con un problema nuovo nella storia
dell'educazione: in che modo il ragazzo deve imparare a conoscere il passat o per fare di questa conoscenza un potente ausilio
per giudicare la vita presente?
2. La necessità di una teoria dell'esperienza
In breve, voglio sottolineare che il rifiutare la filosofia
e la prat ica dell'educazione
tradizionale pone un nuovo tipo di difficile problema educat ivo a coloro che credono nel nuovo tipo di
educazione. Noi continueremo ad operare alla cieca e nella confusione sino a
che non avremo riconosciuto questo fat to,
fino a che non ci saremo profondamente persuasi che il semplice svincolarsi dal
passat o non risolve nessun problema.
Ciò che sarà detto nelle pagine che seguono è rivolto quindi a indicare
qualcuno dei principali problemi cui deve far fronte la nuova educazione e a suggerire
le vie maestre della loro soluzione. lo muovo dalla persuasione che fra tutte
le incertezze c'è un punto fermo; il nesso organico fra educazione ed
esperienza personale; ovvero, che la nuova filosofia dell'educazione si riat tacca a qualche tipo di filosofia empirica e
sperimentale. Ma esperienza e esperimento non sono idee ovvie di per se stesse.
Piuttosto, il loro significat o è
parte del problema che deve essere dibat tuto.
Per conoscere il significat o
dell'empirismo dobbiamo comprendere che cosa è l'esperienza.
Credere che ogni educazione autentica proviene dalla
esperienza non significa già che tutte le esperienze siano genuinamente o
parimenti educat ive. Esperienza ed
educazione non possono equivalersi. Ci sono difat ti
delle esperienze diseducat ive. È
diseducat iva ogni esperienza che ha
l'aspetto di arrestare o fuorviare lo svolgimento dell'esperienza ulteriore.
Un'esperienza può procurare incallimento; può diminuire la sensibilità e la
capacità di reagire. In questi casi sono limitat e
le possibilità di avere una più ricca esperienza nel futuro. E ancora, una dat a esperienza può aumentare l'abilità automat ica di una persona in una particolare direzione e
tuttavia tendere a restringere la sua libertà di mosse: l'effetto è di nuovo di
limitare il campo della futura esperienza. Un'esperienza può recare qualche
beneficio immediat o e tuttavia
promuovere la fiacchezza e la negligenza; questo at teggiamento
allora agisce sulla qualità delle future esperienze in modo da impedire
all'individuo di trarne tutto il frutto che potrebbero dargli. E ancora, le
esperienze possono essere così sconnesse fra di loro che, per quanto ognuna sia
gradevole o anche stimolante in sé, esse non costituiscono un tutto ben saldo.
L'energia allora si dissipa e l'at tenzione
si disperde. Le singole esperienze possono essere vive e
"interessanti" e tuttavia la sconnessione fra le parti può generare
artificialmente abiti dispersivi, disintegrat i,
centrifughi. La conseguenza della formazione di tali abiti è l'incapacità di
controllare le esperienze future. Queste sono allora prese come vengono, sia
come oggetto di divertimento sia come oggetto di scontentezza e di rivolta. In
questa situazione non si può parlare di autocontrollo.
L'educazione tradizionale offre una moltitudine di esperienze
dei tipi che abbiamo testé menzionat o.
È, un grande errore credere, anche tacitamente, che l'aula tradizionale non
fosse un luogo dove gli alunni facessero esperienze. Eppure questo è
tacitamente assunto, quando si oppone nettamente all'antica la nuova educazione
come quella in cui si impara at traverso
l'esperienza. Il punto da mettere in risalto è un altro, che le esperienze che
venivano fat te, così, dagli alunni
come dagli insegnanti, erano in gran parte cat tive.
Quanti studenti per esempio sono stat i
resi inetti alle idee e quanti hanno perduto l'appetito dell'apprendere a
cagione del modo in cui ne fecero l'esperienza? Quanti hanno acquistat o speciali abilità mercé l'addestramento automat ico in modo tale che il loro potere di giudicare e
la loro capacità ad agire intelligentemente in nuove situazioni si sono trovat i limitat i?
Quanti hanno finito con associare l'idea dell'imparare a quella della noia e
della stanchezza? Quanti hanno trovat o
ciò che imparavano così estraneo alle situazioni della vita del mondo da non
dare loro nessun potere di controllo su di essa? Quanti hanno finito con
l'associare i libri all'idea d'una fat ica
uggiosa, in modo da essere "manipolat i"
per tutto salvo che per l'oziosa lettura?
Se faccio queste domande, non è già per condannare in blocco
la vecchia educazione. È per tutt'altro scopo. È, per accentuare il fat to, in primo luogo, che i ragazzi nelle scuole
tradizionali hanno le loro esperienze; in secondo luogo, che il guaio non è
l'assenza di esperienza, ma il carat tere
erroneo e difettivo di essa dal punto di vista della relazione con l'esperienza
ulteriore. Il lat o positivo di
questo punto è ancora più importante per quanto concerne l'educazione
progressiva. Non basta insistere sulla necessità dell'esperienza, e neppure sulla
at tività nell'esperienza. Tutto
dipende dalla qualità della esperienza che si ha. La qualità di ogni esperienza
ha due aspetti: da un lat o può
essere immediat amente gradevole o
sgradevole, dall'altro essa esercita la sua influenza sulle esperienze ulteriori.
Il primo è ovvio e facile a cogliere. Invece l'effetto di un'esperienza non lo
si può conoscere subito. Pone un problema all'educat ore.
È suo compito disporre le cose in modo che le esperienze pur non allontanando
il discente e impegnando anzi la sua at tività
non si limitino ad essere immediat amente
gradevoli e promuovano nel futuro esperienze che si desiderano. Come nessun
uomo vive e muore per se stesso, nessuna esperienza vive e muore per se stessa.
In completa indipendenza dal desiderio o dall'intenzione ogni esperienza
continua a vivere nelle esperienze future. Ne consegue che il problema centrale
di un'educazione basat a
sull'esperienza è quello di scegliere il tipo di esperienze presenti che
vivranno fecondamente e creat ivamente
nelle esperienze che seguiranno.
Discuterò più innanzi in modo maggiormente particolareggiat o, della continuità dell'esperienza o di quello
che si può chiamare continuum sperimentale. Qui voglio semplicemente mettere in
risalto l'importanza di questo principio per la filosofia dell'esperienza educat iva. Una filosofia dell'educazione come qualsiasi
teoria, deve essere espressa in parole, in simboli. Ma nella misura in cui è
più di un insieme di parole è un piano educat ivo.
Come ogni piano, non può costituirsi senza riferimento a ciò che si persegue e
al come perseguirlo. Più si tien fermo, in modo definitivo e sicuro, che
l'educazione è svolgimento dentro, mediante e per l'esperienza, più importa che
sia ben chiarito che cosa l'esperienza è. Fino a che l'esperienza non è
concepita in modo che quello che ne risulta sia un piano che permetta di
decidere circa la mat eria di studio,
i metodi d'istruzione e di disciplina, l'arredamento mat eriale
e l'organizzazione sociale della scuola, essa è campat a
in aria. È ridotta a un contesto di parole che può eccitare dei sentimenti, ma
che può essere sostituito egualmente bene con un'altra serie di parole che
indichino operazioni da iniziarsi e da eseguirsi. Che l'educazione tradizionale
fosse una "routine" in cui i piani e i programmi erano trasmessi dal
passat o, non implica affat to che l'educazione progressiva debba essere una
improvvisazione.
La scuola tradizionale poteva tirare avanti anche senza una
filosofia coerentemente svolta. Bastava allo scopo una serie di parole astrat te: cultura, disciplina, grande pat rimonio culturale, ecc.; a dirigerla infat ti non erano esse, ma il costume e le routines
stabilite. Appunto perché le scuole progressive non possono affidarsi a
tradizioni cristallizzat e e ad abiti
istituzionali, se non vogliono procedere più o meno a casaccio, devono farsi
dirigere da idee che, quando sono articolat e
in modo coerente, costituiscono una filosofia dell'educazione. La rivolta
contro l'organizzazione carat teristica
della scuola tradizionale implica la richiesta di un'organizzazione basat a su idee. Io penso che basti una superficiale
conoscenza della storia dell'educazione a dimostrare che soltanto i riformat ori e gli innovat ori
della educazione hanno sentito il bisogno di una filosofia della educazione.
Coloro che accettarono il sistema esistente avevano bisogno soltanto di poche
parole ben risonanti per giustificare le prat iche
in uso. L'opera effettiva era compiuta dalle abitudini che erano talmente fissat e da essere istituzionali. Ne consegue che
l'educazione progressiva ha molto più urgenza che non i novat ori precedenti di una filosofia dell'educazione
fondat a in una filosofia
dell'esperienza.
Ho osservat o di
passaggio che codesta filosofia, per parafrasare un detto di Lincoln sulla
democrazia, è una filosofia educat iva
dell'esperienza, mediante l'esperienza per l'esperienza. Nessuno di questi
termini: di, mediante, per è per sé evidente. Ognuno di essi è un invito a
scoprire e ad at tuare un principio
di ordine e di organizzazione che consegue dalla comprensione di ciò che
significa esperienza educat iva.
È quindi molto più difficile di scoprire i tipi di mat eriali, di metodi e di relazioni sociali appropriat i alla nuova educazione che non fosse il caso per
l'educazione tradizionale. lo penso che molte delle difficoltà incontrat e nella condotta delle scuole progressive e che
molte delle critiche fat te ad essa
provengano da questa fonte. Le difficoltà non possono non aggravarsi e le
critiche aumentare quando si suppone che la nuova educazione deve essere in
qualche modo più facile dell'antica. Immagino che questo modo di pensare sia
più o meno diffuso. Esso è forse una nuova conferma di quella filosofia
dell'opposizione, nat e dall'idea che
quel che conta, è di non fare quello che si suol fare nelle scuole tradizionali.
Ammetto di buon grado che la nuova educazione nel principio
è più semplice dell'antica. Essa è in armonia coi principi della crescita,
mentre c'era molto artificio nell'antica scelta e sistemazione delle mat erie di studio e dei metodi, e l'artificio conduce
sempre ad una complessità non necessaria. Ma non bisogna confondere il facile
col semplice. Scoprire quello che è realmente semplice e operare in base alla
scoperta è un compito estremamente difficile. Quando l'artificiale e il
complesso sono diventat i istituzioni
e si sono ingranat i nel costume e
nella routine è più facile bat tere i
sentieri conosciuti che, scelto un nuovo punto di vista, operare in conformità
ad esso. Il vecchio sistema astronomico di Tolomeo era più complicat o, con i suoi cicli ed epicicli, del sistema
copernicano. Ma sino che non si è compiuta l'organizzazione dei fenomeni
astronomici in base al nuovo principio, la via più breve è stat a di seguire la linea di minore resistenza offerta
dall'antico abito intellettuale. Torniamo quindi all'idea che una coerente
teoria della esperienza che fornisca una direzione positiva alla scelta ed
all'organizzazione di metodi e mat eriali
educat ivi appropriat i, è indispensabile, se si vuole dare un nuovo
indirizzo alle scuole. Il processo è lento e arduo. Si trat ta
di crescita e ci sono molti ostacoli che tendono ad impedire la crescita ed a
farla deviare dalla linea giusta.
Più in là da dire qualcosa circa l'organizzazione. Ora,
forse basta osservare che dobbiamo sottrarci alla tendenza a pensare all'organizzazione
nei termini del tipo di organizzazione (sia riguardo al contenuto - o mat eria - sia riguardo ai metodi e alle relazioni
sociali) che carat terizza
l'educazione tradizionale. lo penso che una buona parte dell'at tuale opposizione derivi dal fat to che è così difficile liberarsi dalla immagine
degli studi della scuola antica. Appena si pronuncia la parola
"organizzazione", l'immaginazione corre quasi automat icamente al genere di organizzazione che ci è
familiare, e rivoltandoci contro di essa siamo condotti a ripudiare l'idea
stessa di organizzazione. Dall'altro lat o,
i reazionari nell'educazione, che stanno ora raccogliendo le loro forze, si
valgono della mancanza di una organizzazione intellettuale e morale adeguat a nel nuovo tipo di scuola non solo per dimostrare
che occorre un'organizzazione, ma per identificare qualsiasi specie di
organizzazione con quella che invalse prima del sorgere della scienza
sperimentale. Finora il fallimento dei tentat ivi
di concepire un'organizzazione su base empirica e sperimentale dà ai reazionari
una troppo facile vittoria. Ma il fat to
che le scienze empiriche offrono ora il miglior tipo di organizzazione
intellettuale e si possa trovare in qualsiasi campo at testa
che non c'è ragione perché noi, che ci denominiamo empiristi, si sia dei
"guastafeste" nell'ambito dell'ordine e dell'organizzazione.
3. Criteri dell'esperienza
Se c'è qualche verità in quanto è stat o
detto circa il bisogno di formare una teoria dell'educazione perché
l'educazione possa essere diretta intelligentemente sulla base dell'esperienza,
è chiaro che, a questo punto della discussione dobbiamo esporre i principi che
sono più significat ivi per
costituire questa teoria. Non mi scuserò quindi di impegnarmi in un certo
numero di analisi filosofiche, che altrimenti sarebbero fuori posto. Vi posso
tuttavia rassicurare in certo modo col dirvi che questa analisi non ha un fine
in sé, ma è intrapresa per conseguire criteri da applicare poi a un certo
numero di problemi concreti e, per il maggior numero di persone, più
interessanti.
Ho già accennat o
a quella che ho chiamat o la cat egoria della continuità o il continuum
sperimentale. Questo principio è implicito, a quanto ho già detto, in ogni tentat ivo di distinguere le esperienze che hanno un
valore educat ivo da quelle che non
lo hanno. Sembrerà superfluo dimostrare che questa scelta è necessaria non solo
per criticare il tipo tradizionale di educazione, ma anche per iniziare e
svolgere un tipo differente. Tuttavia, è opportuno trat tenersi
un poco sull'idea che essa è necessaria. Si può ammettere che l'animo
tranquillo, penso, che una delle ragioni che ha favorito il movimento
progressivo è stat o il fat to che esso sembra più conforme all'ideale democrat ico cui si at tiene
il nostro popolo che non i procedimenti della scuola tradizionale, che hanno un
aspetto così autocrat ico. Un'altra
ragione che ha contribuito a farlo accogliere favorevolmente è il fat to che i suoi metodi sono umani, paragonat i alla rudezza dei sistemi della scuola
tradizionale.
Vorrei domandarvi ora perché preferiamo i procedimenti
democrat ici e umani a quelli autocrat ici e duri. E con la parola "perché"
intendo accennare alla ragione della nostra preferenza non alle cause che ci
hanno condotto alla preferenza. Una delle cause può essere che ci è stat o insegnat o
non solo nelle scuole, ma sulla stampa, dal pulpito, dalla tribuna, nelle
nostre leggi e nei nostri codici che la democrazia è la migliore istituzione
sociale. Può darsi che siamo stat i
talmente imbevuti di questa idea per opera dell'ambiente circostante che essa è
diventat a una parte abituale del
nostro assetto intellettuale e morale. Ma cause analoghe hanno condotto altre
persone in differenti ambienti a conclusioni molto diverse, a preferire il
fascismo, per esempio. La causa della nostra preferenza non è la stessa cosa
della ragione per cui dobbiamo preferirla.
Non mi prefiggo qui di dilungarmi su la ragione. Ma vorrei
porre un solo quesito: possiamo trovare qualche ragione che alla fin fine non
faccia capo alla convinzione che gli ordinamenti sociali della democrazia
promuovono una qualità superiore di esperienza umana, una esperienza più
largamente accessibile e possibile che non le forme di vita sociale non democrat iche e antidemocrat iche?
Il principio del rispetto per la libertà individuale e per la correttezza e la
gentilezza nelle relazioni umane non risale in fondo alla convinzione che
questi principi sono dovuti a una più alta qualità di esperienza da parte di un
maggior numero che non i metodi di repressione o di coazione di forza? La
ragione della nostra preferenza non è forse la nostra fede che la consultazione
reciproca e le convinzioni ottenute mediante la persuasione rendono possibile
una qualità di esperienze migliore di quella che possa essere altrimenti
fornita su larga scala?
Se la risposta a questi quesiti è affermat iva (e personalmente non vedo come possiamo
giustificare altrimenti la nostra preferenza per la democrazia e l'umanità), la
ragione ultima dell'accoglienza fat ta
all'educazione progressiva, a cagione della sua fiducia nell'uso di metodi
umani e della sua parentela con la democrazia, risale alla discriminazione fat ta fra i valori che ineriscono alle diverse
esperienze. Ritorno quindi al principio della continuità della esperienza come
a un criterio discriminante.
In sostanza, questo principio poggia sull'abitudine, se si
dà dell'abitudine un'interpretazione biologica. La carat teristica
fondamentale dell'abito è che ogni esperienza fat ta
e subita modifica chi agisce, e al tempo stesso questa modificazione affetta,
lo vogliamo o no, la qualità delle esperienze seguenti. È difat ti un poco modificat o
il soggetto che la intraprende. Così inteso il principio dell'abitudine va, è
ovvio, più a fondo del concetto ordinario di un abito, vale a dire un modo più
o meno stabilito di fare le cose, sebbene lo assuma sotto di sé come uno dei
suoi casi particolari. Esso comprende la formazione di at titudini,
at titudini che sono emotive e
intellettuali; comprende le nostre sensibilità fondamentali e i modi di
rispondere a tutte le condizioni in cui c'imbat tiamo
nella vita. Da questo punto di vista, il principio della continuità
dell'esperienza significa che ogni esperienza riceve qualcosa da quelle che
l'hanno preceduta e modifica in qualche modo la qualità di quelle che seguiranno.
Come afferma il poeta: «Ogni esperienza è un arco at traverso il quale raggia quel non percorso
universo, il cui contorno vanisce via via ch'io avanzo».
Per ora, tuttavia, non abbiamo alcun mezzo per discernere le
esperienze, in quanto il principio è di applicazione universale. C'è qualche
genere di continuità in ogni caso. Gli è quando notiamo le differenti forme in
cui opera la continuità dell'esperienza che poniamo la base di scelta fra le
esperienze. Posso chiarire quel che intendo dire richiamandomi ad un'obiezione
che è stat a mossa alla seguente idea
che ho proposto una volta: il processo educat ivo
può essere identificat o con la
crescita a pat to che questa sia
espressa col participio presente "crescente".
La crescita, ovvero il crescere come svolgimento, non
soltanto fisicamente ma anche intellettualmente e moralmente, è un esempio del
principio di continuità. L'obiezione fat ta
è che quella crescita può prendere molte direzioni differenti: per esempio un
uomo che s'inizia al banditismo può crescere in quella direzione, e con la prat ica può diventare un espertissimo bandito. Donde
si è trat ta la conclusione che la
"crescita" non è sufficiente; dobbiamo dunque specificare la
direzione in cui cresce, il fine verso cui tende. Prima, però, di dedurne che
l'obiezione è conclusiva, occorre analizzare il caso un po' più a fondo.
Non c'è dubbio che un uomo possa perfezionarsi sulla via dei
banditismo, dei gangsterismo, della corruzione politica. Ma dal punto di vista
della crescita, come educazione e della educazione come crescita si trat ta di vedere se la crescita in questa direzione
promuove o ritarda la crescita in generale. Questa forma di crescita crea le
condizioni per una crescita ulteriore ovvero provoca condizioni che tolgono
all'individuo, che è cresciuto in questa particolare direzione, il modo di
valersi degli stimoli e delle opportunità che gli si offrono per crescere
ulteriormente in nuove direzioni? Quale è l'effetto del crescere in una
direzione speciale sulle at titudini
e le abitudini che sole sono in grado di aprire vie di sviluppo in altre
direzioni? Lascerò a voi di rispondere a questi quesiti, limitandomi a dire
che, quando e soltanto quando lo svolgimento in una direzione particolare
conduce alla continuazione della crescita, esso risponde al criterio
dell'educazione come crescita. Difat ti
questa concezione deve trovare un'applicazione universale e non limitat a a casi speciali.
Ritorno ora al problema della continuità come a criterio con
cui discernere le esperienze che sono educat ive
da quelle che sono diseducat ive.
Come abbiamo veduto c'è qualche genere di continuità in ogni caso in quanto
ogni esperienza influenza in bene o in male le at titudini
che aiutano a decidere della qualità delle esperienze che seguiranno, col
promuovere certe preferenze ed avversioni, e col rendere più facile o più
difficile l'agire per questo o per quel fine. Inoltre, ogni esperienza
influenza in qualche grado le condizioni obbiettive sotto le quali saranno fat te le esperienze future. Per esempio, un ragazzo
che impara a parlare ha una nuova facilità e un nuovo desiderio. Ma egli ha
anche ampliat o le condizioni esterne
dell'imparare ulteriore. Quando impara a leggere, egli s'apre ad un tempo un
nuovo ambiente intorno e sé. Se uno decide di diventare insegnante, avvocat o, medico o agente di cambio, appena si traduce
questa intenzione negli at ti, si
determina necessariamente in qualche grado l'ambiente nel quale opererà in
futuro. Egli si è reso più sensibile e più risponsivo a certe condizioni, e relat ivamente immune di fronte a quelle cose che
avrebbero costituito per lui degli stimoli se avesse fat to
un'altra scelta.
Ma, mentre il principio di continuità si applica in qualche
modo in ogni caso, la qualità della esperienza presente influenza il modo in
cui il principio si applica. Noi parliamo di guastare un ragazzo e di un
ragazzo guastat o. L'effetto di una
soverchia indulgenza verso un ragazzo continua. Promuove un at teggiamento che agisce come un'automat ica richiesta a persone e ad oggetti di soddisfare
i suoi desideri e i suoi capricci in futuro. Le induce a cercare il genere di
situazione che lo metta in grado di fare tutto quello che si sente di fare in
questo o quel momento. Lo rende ostile e relat ivamente
incompetente in situazioni che esigono sforzo e perseveranza nel superare
ostacoli. Non c'è paradosso nel fat to
che il principio della continuità dell'esperienza può operare in modo da
arrestare un individuo su un basso piano di svolgimento, incapace di
un'ulteriore crescita.
D'altra parte, se un'esperienza suscita curiosità, rafforza
l'iniziat iva e fa nascere desideri e
propositi che sono sufficientemente intensi per trasportare un individuo al di
là dei punti morti nel futuro, la continuità opera in un modo molto diverso.
Ogni esperienza è una forza propulsiva. Il suo valore può essere giudicat o solo in base all'oggetto verso cui o entro cui
si muove. La maggior mat urità
dell'esperienza che dovrebbe possedere l'adulto in quanto educat ore lo mette in grado di valutare ogni esperienza
del giovane da un punto di vista il in cui non può porsi chi ha meno mat ura esperienza. Tocca allora all'educat ore rendersi conto in quale direzione si muove
un'esperienza. A che gli serve essere più mat uro
se invece di adoperare il suo maggiore discernimento per aiutare l'immat uro ad organizzare le condizioni della esperienza,
lo sciupa? Mancare di cogliere la forza propulsiva di un'esperienza allo scopo
di conoscerla e di indirizzarla sulla base di ciò a cui muove significa essere
infedeli al principio dell'esperienza medesima. Questa infedeltà opera in due
direzioni. L'educat ore è venuto meno
alla comprensione che avrebbe dovuto trarre dalla sua esperienza passat a. Egli è pure infedele al fat to
che ogni esperienza umana alla fin fine è sociale, e che essa implica contat to e comunicazione.La persona mat ura, per esprimermi in termini morali, non ha il
diritto di sottrarre al giovane in dat e
circostanze qualsiasi capacità di comprensione simpat ica
che la sua esperienza ha fornito.
Ma bisogna affrettarsi ad aggiungere, che c'è una tendenza a
reagire verso l'altro estremo ed a prendere quel che è stat o
detto come la difesa di una qualche specie di imposizione dal di fuori. Vale la
pena, dunque di dire qualcosa circa il modo in cui l'adulto può esercitare
l'accorgimento che gli procura la sua più ampia esperienza senza imporre un
controllo meramente esterno. Da un lat o
occorre stare all'erta per vedere quali at titudini
e tendenze abituali si stanno creando. In questa direzione egli, se è un educat ore, deve essere in grado di giudicare quali at titudini avviano di fat to
ad un aumento di crescita e quali altre l'ostacolano. Deve poi, per di più,
avere quella comprensione simpat ica
dell'individuo in quanto individuo che dà un'idea di quel che sta accadendo
effettivamente negli spiriti di coloro che stanno imparando. È, fra l'altro, la
necessità di queste abilità da parte dei genitori o dell'insegnante che rende
il sistema dell'educazione basat o
sulla viva esperienza molto più difficile a seguire che non i modelli
dell'educazione tradizionale.
Ma c'è un altro aspetto della cosa. L'esperienza non si
compie semplicemente nell'interno della persona. Essa si svolge lì poiché
influenza la formazione di at titudini
di desideri e di propositi. Ma non è ancora tutto. Ogni esperienza autentica ha
un aspetto at tivo che cambia in
qualche modo le condizioni obbiettive sotto cui si compie l'esperienza. La
differenza fra la civiltà e lo stat o
selvaggio, per prendere un esempio di larga portat a,
consiste nel grado in cui le esperienze precedenti hanno cambiat o le condizioni oggettive sotto le quali sono stat e compiute le esperienze posteriori. L'esistenza
di strade, di mezzi di comunicazione e trasporti rapidi, di strumenti, di at trezzi, di mobilio, di luce e forza elettrica ne
sono altrettanti esempi. Se si distruggessero le condizioni esterne della
presente esperienza dei popoli civili, la loro civiltà retrocederebbe per un
certo tempo allo stat o dei popoli
barbari.
In breve, noi viviamo dalla nascita alla morte in un mondo
di persone e di cose che in larga misura è quel che è in virtù di ciò che è stat o fat to
e trasmesso dall'at tività degli
uomini che ci hanno preceduto. Quando lo si dimentica, l'esperienza la si
considera come qualcosa che si compia dentro un corpo ed una mente individuali.
Non dovrebbe essere necessario dire che l'esperienza non si compie nel vuoto.
Ci sono fonti dell'esperienza fuori dell'individuo. Essa è costantemente
alimentat a da tali fonti. Nessuno
metterà in dubbio che un ragazzo cresciuto in una stamberga ha un'esperienza diversa
da quello cresciuto in una casa civile, che il garzoncello di campagna ha una
esperienza diversa da quella del ragazzo di città, o il fanciullo che vive sul
mare dell'abitat ore delle prat erie dell'interno. Di solito consideriamo questi fat ti come luoghi comuni. Ma a chi ne colga la
importanza pedagogica, essi indicano il secondo modo di dirigere l'esperienza
degli alunni senza ricorrere all'imposizione. Una delle principali
responsabilità dell'educat ore è che
egli non solo deve essere at tento al
principio generale della formazione dell'esperienza mediante le condizioni
circostanti, ma che riconosca pure in concreto quali sono le condizioni che
facilitano le esperienze conducenti alla crescita. Sopra tutto, egli dovrebbe
conoscere in che modo utilizzare la situazione circostante, fisica e sociale,
per estrarne tutti gli elementi che debbono contribuire a promuovere esperienze
di valore.
L'educazione tradizionale non aveva da affrontare questo
problema; poteva sistemat icamente
sottrarsi alla sua responsabilità. L'ambiente scolastico fat to di banchi, di lavagne, di un piccolo cortile
pareva sufficiente. Non si chiedeva che il maestro s'informasse a fondo delle
condizioni di vita circostante, fisica, storica, economica, professionale, per
utilizzarle a scopo educat ivo. Un
sistema d'educazione basat o sul
necessario nesso della educazione con l'esperienza deve invece, se è fedele al
proprio principio, prendere costantemente in considerazione queste cose. Questa
partecipazione at tiva che la
educazione progressiva esige dall'insegnante è un'altra ragione della sua
maggiore difficoltà nei confronti del sistema tradizionale. È possibile
tracciare piani di educazione che in modo discretamente sistemat ico subordinino le condizioni oggettive a quelle
che risiedono negli individui da educare. Questo accade ogni volta che il posto
e la funzione dell'insegnante, dei libri, del mat eriale
e dell'equipaggiamento, di tutto ciò che rappresenta i prodotti della più mat ura esperienza degli adulti, è sistemat icamente subordinat o
alle inclinazioni ed ai sentimenti immediat i
degli educandi. Ogni teoria che ritiene poter essere assegnat a importanza a questi fat tori
oggettivi solo a pat to di imporre un
controllo esterno e di limitare la libertà dagli individui, si fonda alla fin
fine nella nozione che l'esperienza è vera esperienza solo quando le condizioni
oggettive sono subordinat e a ciò che
si verifica nell'interno degli individui che hanno l'esperienza.
Non voglio dire che si suppone che le condizioni oggettive
si possano eliminare. Si ammette che esse ci devono stare: è una concessione
all'ineliminabile fat to che viviamo
in un mondo di cose e di persone. Ma io penso che l'osservazione di ciò che
accade in certe famiglie e in certe scuole rivelerebbe che certi genitori e certi
insegnanti agiscono con l'idea che le condizioni oggettive devono essere
subordinat e a quelle interne. In
questo caso si ammette non solo che queste ultime sono le più importanti, il
che in un certo senso è vero, ma che durante la loro durat a
fissano l'intero processo educat ivo.
Permettetemi di chiarire la cosa con l'esempio di un bimbo.
I bisogni che ha un bimbetto, di nutrirsi, di riposare, di agire sono certo di
primaria importanza e decisivi sotto un certo rispetto. Si deve provvedere di
che nutrirlo, gli si deve procurare un sonno tranquillo e così via. Ma questo
non significa che il genitore nutrirà il bimbo ogni volta che egli mostra
stizza o malumore, che non ci sia un orario regolare per la nutrizione, per il
sonno ecc. La madre avveduta tien conto dei bisogni del bambino senza però
sottrarsi alle sue responsabilità per regolare le condizioni oggettive sotto le
quali i bisogni sono soddisfat ti. E
se essa è una madre accorta sotto questo aspetto, si baserà sulle passat e esperienze degli esperti non meno che sulle
proprie per rendersi conto quali sono le esperienze che meglio promuovono lo
svolgimento normale dei bambini. Queste condizioni, invece di essere subordinat e ai subitanei impulsi interni del piccolino, sono
predisposte in modo che ci possa essere una particolare specie di interazione
fra esse e questi subitanei stat i
interni.
La parola "interazione", che ho usat o, esprime il secondo principio essenziale, che
permette d'interpretare una esperienza nella sua funzione ed efficacia educat iva. Essa assegna eguali diritti ai due fat tori dell'esperienza: le condizioni obbiettive e
le interne. Qualsiasi esperienza normale è un gioco reciproco di queste due
serie di condizioni. Prese insieme, e nella loro interazione, costituiscono
quella che io chiamo situazione. Il guaio dell'educazione tradizionale non
consisteva già nel porre l'accento sulle condizioni esterne che partecipano al
controllo delle e esperienze, ma che si facesse così poca at tenzione ai fat tori
interni che pure fanno sentire il loro peso sul genere di esperienza che si
avrà. Si violava il principio dell'interazione da una parte. Ma questa
violazione non è una buona ragione perché la nuova educazione violi il
principio dall'altra parte, a meno che si accetti la filosofia dell'educazione
dell'"aut-aut", che già abbiamo menzionat o.
L'esempio trat to
dal bisogno di regolare le condizioni obbiettive dello svolgimento di un bimbo
indica, in primo luogo, che i genitori hanno la responsabilità di sistemare le
condizioni in cui si compie l'esperienza del nutrimento, del sonno ecc., e, in
secondo luogo, che assolvano il proprio dovere con l'utilizzare l'esperienza
accumulat a del passat o, quale essa è rappresentat a
ad esempio dal consiglio di medici competenti e di altri che hanno dedicat o studio speciale alla crescita normale del corpo.
Viene forse limitat a la libertà
della madre, quando essa si giova dell'insieme di conoscenze che si è procurat a in questo modo per regolare le condizioni
oggettive del nutrimento e del sonno? O piuttosto l'ampliamento della sua
intelligenza nell'adempiere il compito mat erno
accresce la sua libertà? Indubbiamente se informazione e consigli diventassero
feticci, in modo da trasformarsi in imperat ivi
intangibili da cui non fosse lecito allontanarsi in nessuna condizione, si
verificherebbe una diminuzione di libertà così della madre come del figlio. Ma
questa restrizione sarebbe pure una limitazione dell'intelligenza che è esercitat a nel giudizio personale.
Sotto quale rispetto la regolamentazione delle condizioni
oggettive limita la libertà del piccolo? Certo si limitano i suoi movimenti e
le sue inclinazioni immediat e,
quando lo si pone nella culla nel momento in cui desidererebbe continuare a
giocare, o non gli si dà da mangiare quando ne manifesta il desiderio o non lo
si prende in braccio o non lo si dondola nell'at to
in cui richiama la nostra at tenzione
con gli strilli. Ma c'è restrizione di libertà anche quando la madre o la
istitutrice afferrano il bambino che sta per cadere nel fuoco. Ritornerò ancora
più a lungo sul problema della libertà. Qui mi limito a chiedere se per libertà
si deve intendere qualcosa che si collega con incidenti relat ivamente fuggitivi o se essa si deve piuttosto
riporre nella continuità di svolgimento dell'esperienza.
Dire che gli individui vivono in un mondo significa, in
concreto. che essi vivono in una serie di situazioni. E quando si dice che essi
vivono in queste situazioni, il significat o
della parola "in" è diverso dal significat o
che essa ha quando si afferma che ci sono dei soldi "in" tasca o
della tinta "in" un bidone. Ancora una volta significa che è in corso
un'interazione fra un individuo e oggetti e altre persone. La situazione e
l'interazione non si possono concepire l'una scissa dall'altra. Un'esperienza è
sempre quel che è in virtù di una transazione che si stabilisce fra un
individuo, sia che quest'ultimo consista in persone con cui sta parlando di un
argomento o di un avvenimento, e in questo caso l'argomento fa parte della
situazione, sia che consista in giochi cui at tende;
in un libro che sta leggendo (nel quale le condizioni circostanti in quel
momento possono essere l'Inghilterra o la Grecia antica o una regione immaginaria), ovvero
in mat eriali di un esperimento in
corso. L'ambiente, in altre parole, sono le condizioni, quali si siano, che
interagiscono con i bisogni, i desideri, i propositi e le capacità personali
per creare la esperienza che si compie. Anche quando un individuo costruisce un
castello in aria, interagisce con gli oggetti che costruisce nella sua fantasia.
I due principi della continuità e dell'interazione non sono
separat i l'uno dall'altro. Essi si
collegano e uniscono. Essi sono, per così dire, gli oggetti longitudinale e lat erale dell'esperienza. Situazioni differenti si
succedono l'una all'altra, ma in virtù del principio della continuità qualcosa
passa da quella che precede a quella che segue. Via via che un individuo passa
da una situazione a un'altra, il suo mondo, il suo ambiente si espande o si
contrae. Egli non si trova già a vivere in un altro mondo, ma in una diversa
parte o in un diverso aspetto del suo medesimo mondo. Quello che ha acquistat o in conoscenza e abilità in una situazione
diventa strumento di comprensione di effettiva azione nella situazione che
segue. Il processo continua quanto la vita e l'apprendere. Se non è così, il
corso dell'esperienza è disordinat o,
poiché il fat tore individuale, che è
parte dell'esperienza, è spezzat o.
Un mondo diviso, un mondo le cui parti e i cui aspetti non si legano l'un
l'altro, è ad un tempo sintomo e causa di una personalità scissa. Quando questa
scissione raggiunge un certo punto noi diciamo che l'individuo è pazzo. D'altra
parte una personalità è pienamente una solo nel caso che le successive
esperienze si siano integrat e l'una
nell'altra. Essa può essere costruita soltanto come è costruito un mondo di
oggetti che sono in relazione vicendevole.
La continuità e l'interazione nella loro at tiva unione reciproca porgono la misura del
significat o e del valore educat ivo di un'esperienza. L'immediat a diretta preoccupazione di un educat ore è la situazione in cui ha luogo l'interazione.
L'individuo, che entra a far parte di essa, è quel che è in quel dat o momento. È l'altro fat tore,
quello delle condizioni oggettive, che può essere fino ad un certo punto regolat o dall'educat ore.
Come ho già notat o la frase
"condizioni oggettive" ha un senso molto lat o.
Implica quel che è fat to e il modo
in cui è fat to, non soltanto le
parole dette, ma il tono della voce con cui sono dette. Implica arredamento,
libri, at trezzi, giocat toli, giochi. Implica i mat eriali
con cui l'individuo interagisce e, più importante di tutti, il totale assetto
sociale delle situazioni in cui una persone è impegnat a.
Quando diciamo che le condizioni oggettive sono quelle che
l'educat ore ha il potere di
regolare, intendiamo, nat uralmente,
che la sua abilità di influenzare direttamente l'esperienza degli altri e
quindi la loro educazione, gli impone il dovere di determinare quell'ambiente
che interagirà con le capacità e i bisogni che posseggono coloro a cui insegna,
per creare un'esperienza che abbia valore. Il guaio dell'educazione
tradizionale non era già che gli educat ori
si assumessero la responsabilità di provvedere un ambiente. Il guaio si era che
non consideravano l'altro fat tore
nel creare un'esperienza, vale a dire i poteri e i propositi di quelli cui
insegnavano. Si muoveva dal presupposto che una certa serie di condizioni fosse
intrinsecamente desiderabile ma si estraeva dalla sua capacità di evocare una
certa qualità di riposta negli individui. Questo difetto di mutuo adat tamento rendeva accidentale il processo
dell'insegnare e dell'apprendere. Coloro per i quali le condizioni che si erano
provviste erano adat te riuscivano ad
imparare. Gli altri se la cavavano come potevano. La responsabilità di
scegliere condizioni oggettive porta allora con sé la responsabilità di
comprendere i bisogni e le at titudini
degli individui che imparano in un dat o
tempo. Non basta che certi mat eriali
e metodi si siano mostrat i efficaci,
con altri individui in altri tempi. Ci deve essere una ragione per pensare che
essi funzioneranno nel provocare un'esperienza che ha qualità educat iva con dat i
individui in un dat o tempo.
Non incide sulla qualità nutritiva della bistecca il dire
che essa non è cibo per bambini. Il dire che non insegniamo la trigonometria
nella prima o nella quinta classe, non significa offenderla. Non già l'oggetto
per sé è educat ivo o promuove la
crescita. A nessuna mat eria di
studio in sé e per sé, astraendo dal grado di svolgimento raggiunto da chi
impara, si può at tribuire un
intrinseco valore educat ivo. Al
vezzo di non prendere nel debito conto la necessità di adat tarsi
ai bisogni e alle at titudini degli
individui risale l'idea che certe mat erie
di studio e certi metodi siano intrinsecamente culturali o intrinsecamente
buoni per la disciplina mentale. L'idea che certi oggetti di studio e certi
metodi e che la conoscenza di certi fat ti
e di certe verità posseggono valore educat ivo
in sé e per sé è la ragione per cui l'educazione tradizionale ha ridotto in
gran parte il mat eriale
dell'educazione ad una dieta di mat eriali
predigeriti. Sulla base di questa idea, si è creduto che bastasse regolare la
quantità e la difficoltà del mat eriale
offerto secondo un piano di gradualità quantitat iva,
di mese in mese e di anno in anno. Si è supposto che l'alunno l'avrebbe preso
in base alle dosi prescritte dall'esterno. Se egli si rifiutava di prenderlo,
se disertava fisicamente la scuola, se la disertava mentalmente col
fantasticare e finalmente mostrava un senso di ripugnanza per l'argomento di
studio, lo si imputava a colpa sua. Nessuno si chiedeva se l'inconveniente non
risalisse alla mat eria offerta e al
modo in cui veniva offerta. Il principio dell'interazione ci fa intendere che
il mancat o adat tamento
del mat eriale ai bisogni e alle at titudini degli individui può provocare una
esperienza non educat iva quanto il
mancat o adat tamento
di un individuo al mat eriale.
Il principio di continuità nella sua applicazione alla
educazione significa tuttavia che il futuro deve essere tenuto presente in ogni
gradino dei processo educat ivo.
Questa idea è facilmente travisat a e
stravolta in malo modo nell'educazione tradizionale. Essa ammette che
l'acquisto di certe abilità e l'apprendimento di certe mat erie
che sarebbero necessarie più tardi (forse durante gli studi superiori, forse
nell'età mat ura) preparano nat uralmente gli alunni ad affrontare le esigenze e
le occorrenze del futuro. Ora "preparazione" è un'idea che si presta
ad equivoci. In un certo senso ogni e esperienza dovrebbe in qualche modo
preparare gli individui l'individuo alle esperienze posteriori più profonde e
più ampie. È questo il vero significat o
di crescita, continuità, ricostruzione dell'esperienza. Ma è erroneo supporre,
che la mera acquisizione di una certa quantità di nozioni di aritmetica, di
geografia, di storia ecc., insegnat e
e studiat e allo scopo di essere
utili ad un certo momento del futuro, abbia questo effetto. E non è meno
erroneo supporre che l'acquisto di abilità nel leggere e nel disegnare metta
automat icamente in grado di usarle
in modo corretto e redditizio, in altre condizioni molto diverse da quelle in
cui sono stat e acquistat e.
Quasi ognuno ha avuto l'occasione di volgere uno sguardo
indietro sul periodo scolastico e di osservare con meraviglia a che s'era
ridotta la conoscenza che supponeva di avere accumulat o
in quegli anni, e di chiedersi perché avrebbe dovuto riapprendere in nuova
forma le abilità tecniche già acquisite, se avesse voluto giovarsene. È fortunat o colui che non scopre che, per progredire, per
procedere innanzi col suo pensiero, deve disimparare molto di quello che aveva
appreso a scuola. Né si risolve il problema col dire che quelle nozioni non
sono stat e effettivamente apprese;
esse lo sono stat e almeno quanto è
bastat o per porre l'alunno in grado
di superare l'esame su di esse. Uno dei guai è che le mat erie
di cui si parla sono stat e apprese
isolat amente; ognuna di esse, per
così dire, in un compartimento stagno. Quando ci si chiede, poi, che cosa essa
è diventat a, dove è andat a a finire, c'è una sola risposta da dare; essa è
tuttora in quello speciale compartimento in cui è stat a
ficcat a in origine. Se si
ripetessero le medesime condizioni del momento in cui è stat a acquisita, essa riapparirebbe e ce ne potremmo
servire. Ma nell'at to in cui è stat a acquisita è stat a
segregat a ed ora è così scissa dal
resto dell'esperienza da essere inservibile nelle condizioni della vita at tuale. È contrario alle leggi dell'esperienza che
l'apprendere di questo tipo, anche se profondamente ingranat o, prepari sul serio.
Né il difetto nella preparazione si limita a questo. Forse
il maggiore degli errori pedagogici è il credere che un individuo impari
soltanto quel dat o particolare che
studia in quel momento. L'apprendimento collat erale,
la formazione di at titudini durat ure e di repulsioni, può essere e spesso è molto
più importante. Codeste at titudini
sono difat ti quel che conta
veramente nel futuro. L'at titudine
che più importa sia acquistat a è il
desiderio di apprendere. Se l'impulso in questa direzione viene indebolito
anziché rafforzat o, ci troviamo di
fronte a un fat to molto più grave
che a un semplice difetto di preparazione. L'alunno viene effettivamente privat o delle nat ive
capacità, che altrimenti lo avrebbero messo in grado di cavarsela nelle
circostanze della vita. Non è raro il caso di incontrare persone che hanno
frequentat o poco le scuole e che da
questa deficienza hanno trat to un
beneficio positivo. Esse hanno conservat o
il buon senso e l'accorgimento nat ivi,
il cui esercizio nelle condizioni in cui sono stat e
chiamat e a vivere ha dat o loro un prezioso dono: la capacità di apprendere
dalle loro esperienze. Che beneficio c'è ad accumulare le prescritte notizie di
geografia e di storia, ad apprendere a leggere ed a scrivere, se con questo
l'individuo perde la sua anima, il discernimento delle cose buone, dei valori
cui queste cose si riferiscono; se perde il desiderio di applicare ciò che ha
appreso e, soprat tutto, se ha
perduto la capacità di estrarre il significat o
dalle esperienze future in cui via via si imbat terà?
Quale è dunque il vero significat o
della preparazione sul piano educat ivo?
Il primo luogo, un individuo, giovane o vecchio, deve trarre dalla sua
esperienza presente tutto quanto essa gli offre in quel momento. Se si
considera che il fine che controlla è la preparazione alla vita le possibilità
deI presente sono sacrificat e a un
ipotetico futuro. Ogni volta che questo accade, l'at tiva
preparazione per il futuro vien meno o è falsat a.
L'ideale di adoperare il presente unicamente come preparazione al futuro è in
sé contraddittorio. Significa omettere o persino eliminare le sole condizioni
che permetterebbero a un individuo di preparare il proprio avvenire. Noi
viviamo sempre nel nostro tempo e non in un altro: solo estraendo in ogni
momento il pieno significat o di ogni
esperienza presente ci prepariamo a fare altrettanto nel futuro. È questa
l'unica preparazione che a lungo andare concluda qualche cosa. Tutto questo
significa che deve essere rivolta at tenta
cura alle condizioni che danno ad ogni esperienza presente un significat o degno di considerazione. Invece di affermare che
poco conta quel che è l'esperienza presente, se essa appaga, bisogna concludere
proprio l'opposto. Ecco un altro caso in cui è facile sdrucciolare per reazione
da un estremo nell'altro. Non già perché le scuole tradizionali tendevano a
sacrificare il presente al futuro remoto e più o meno ignoto, se ne deve
concludere che l'educat ore ha poca
responsabilità per il genere di esperienze presenti cui è sottoposto l'alunno.
La relazione fra presente e futuro non è un "aut-aut". Il presente fa
sempre sentire la sua influenza sul futuro. E persone che dovrebbero avere
un'idea del nesso fra i due sono quelle che sono pervenute alla mat urità. A loro dunque, spetta la responsabilità di
creare le condizioni per un genere di esperienza presente che abbia un effetto
favorevole sul futuro. L'educazione in quanto crescita o mat urità dovrebbe essere un processo sempre presente.
4. Controllo sociale
Se si considera l'educazione come un'esperienza di vita,
come ho detto, i piani e i progetti educat ivi
devono ispirarsi a una teoria intelligente o, se preferite, a una filosofia
dell'esperienza. Altrimenti sono alla mercé di ogni soffiar vento intellettuale.
Ho tentat o di chiarire il bisogno di
tale teoria col richiamare l'at tenzione
su due principi che sono fondamentali nella costituzione dell'esperienza: i
principi della interazione e della continuità. Se mi si chiede, perché ho speso
tanto tempo a esporre una filosofia piuttosto astrat ta,
risponderò che i tentat ivi prat ici di fondere scuole basat e
sull'idea che l'educazione ha le radici nella esperienza della vita non
potranno sottrarsi a incoerenze e a confusioni, sino a che non si faranno
dirigere da una concezione di ciò che l'esperienza è, e di ciò che distingue
nettamente l'esperienza educat iva
dalla non educat iva e diseducat iva. Vengo ora a un gruppo di problemi educat ivi effettivi la cui discussione, spero, offrirà
argomenti e mat eriale che saranno
più concreti della discussione fat ta
finora.
I due principi della continuità e dell'interazione come
criteri per valutare l'esperienza sono così intimamente connessi che non è
facile dire con quale problema educat ivo
speciale si debba cominciare. Può anche darsi che la comoda divisione fra
problemi della mat eria di studio e
problemi dei metodi di insegnare e di apprendere non regga nella scelta e
nell'organizzazione dei soggetti da discutere. Ne consegue che il succedersi
degli argomenti di studio non potrà sottrarsi ad un certo arbitrio. lo
comincerò, ad ogni modo, con il vecchio problema della libertà individuale e
del controllo sociale per passare poi ai problemi che ne scat uriscono nat uralmente.
Spesso giova, quando si prendono in esame i problemi dell'educazione,
cominciare dimenticando momentaneamente la scuola e pensando ad altre
situazioni umane. Considero pacifico per tutti che il buon cittadino medio sia
notevolmente soggetto al controllo sociale e che una considerevole parte di
questo controllo non sia sentita da lui come una restrizione della libertà
personale. Lo stesso anarchico teorico, che è indotto dalla sua filosofia a
pensare che il controllo dello stat o
e del governo è un male senza rimedio, crede che, abolito lo stat o politico, dovrebbero sorgere altre forme di
controllo sociale: in vero, la sua opposizione all'ordinamento governat ivo, nasce dalla sua convinzione che, abolito lo
stat o, agirebbero altri e per lui
più normali modi di controllo.
Senza assumere questa posizione estrema, esaminiamo qualche
esempio di controllo sociale che opera nella vita quotidiana, e indaghiamo su
quali principi si regga. Cominciamo dai ragazzi medesimi. Essi durante la
ricreazione o dopo scuola giocano, dal gioco del nascondino a quello della
palla o del calcio. I giochi implicano regole, e queste regole pongono un
ordine nella loro condotta. I giochi non si fanno a caso o con un seguito di
improvvisazioni. Senza regola non c'è gioco. Se nasce un contrasto c'è un
arbitro cui appellarsi ovvero si prende una decisione dopo una discussione ed
una specie di arbitrat o altrimenti
il gioco è interrotto, non prosegue.
In tali situazioni ci sono certi trat ti
che carat terizzano un ovvio
controllo, i quali meritano at tenzione.
Il primo è che le regole sono parte del gioco. Non sono fuori di esso. Senza
regole, niente gioco; regole diverse, gioco diverso. Sino a che il gioco si
svolge in modo ragionevolmente liscio, i giocat ori
non avvertono di essere sottomessi a una imposizione esterna, ma soltanto di
fare il loro gioco. Ma in secondo luogo può accadere che uno di essi senta che
la decisione non è giusta e può anche darsi che se ne irriti. Egli però non si
oppone alla regola, ma a quella che proclama una violazione di essa, un at to parziale e ingiusto. In terzo luogo, le regole
e di conseguenza la condotta del gioco sono per così dire elevat e a modello. Si accettano certi modi di calcolare,
di scegliere le parti, certe posizioni da prendere, dat i
movimenti da fare, ecc. Queste regole hanno la sanzione della tradizione.
Coloro che giocano hanno veduto, forse, gare di professionisti e desiderano
emulare i più anziani. Un elemento che è convenzionale ha una certa forza. Di
solito, un gruppo di giovani cambia le regole con cui gioca soltanto quando il
gruppo di adulti, cui guardano come a modello, ha introdotto dei mutamenti
nelle regole, a condizione che si supponga almeno che il mutamento introdotto
dai più anziani sia destinat o a
facilitare il gioco ed a renderlo più interessante per gli spettat ori.
Ora, la conclusione generale che vorrei trarre è che il
controllo delle azioni individuali è fat to
dall'intera situazione in cui -gli individui sono compresi, di cui sono parte e
di cui sono cooperat ori e interat tori. Perfino in un gioco di competizione c'è un
certo genere di partecipazione, di collaborazione in un'esperienza comune. In
altre parole, coloro che vi partecipano non avvertono di dover sottostare a un
individuo o di essere soggetti alla volontà di una persona che sovrasta dal di
fuori. Non sorgono dispute violente, di solito, se non nel caso che l'arbitro o
qualche persona dall'altra parte commetta ingiustizia; in altre parole, se non
nel caso che un individuo tenti di imporre altrui la sua volontà personale.
Può parere che si dia soverchio peso ad un singolo caso il
concludere che codesto esempio metta in chiaro il principio generale del
controllo sociale sopra l'individuo senza violazione della sua libertà. Ma se
si procedesse a fondo con lo stesso sistema per un certo numero di casi, penso
che sarebbe giustificat a la
conclusione che questo esempio particolare illustra un principio generale. I
giuochi implicano di solito competizione. Se scegliessimo esempi di at tività cooperat ive,
cui prendono parte tutti i membri di un gruppo, come accade ad esempio nella
vita di una famiglia ben ordinat a
nella quale la confidenza è reciproca, il punto sarebbe ancora più chiaro. In
tutti questi casi non è la volontà o il desiderio di una persona che mette
ordine, ma lo spirito motore dell'intero gruppo. Il controllo è sociale, ma gli
individui sono parte della comunità, non sono fuori di essa.
Non intendo con
questo che non ci siano occasioni in cui l'autorità, per esempio dei genitori,
non debba intervenire e esercitare un controllo per così dire diretto. Ma dico,
in primo luogo, che il numero di queste occasioni è limitat o
a paragone di quelle in cui il controllo si trova esercitat o
non da un'autorità personale ma da situazioni cui tutti prendono parte. E,
quello che più importa ancora, l'autorità di cui si parla quando viene esercitat a in una casa ben regolat a
o in altro gruppo comunitario, non è una manifestazione di volontà meramente
individuale; il genitore o l'insegnante la esercita in quanto rappresenta ed è
l'esecutore degli interessi del gruppo come un tutto. Riguardo al primo punto,
in una scuola bene ordinat a la
principale fiducia di controllare questo o quell'individuo s'ha da riporre nel
controllo esercitat o sulle at tività che vi si esplicano e sulle situazioni di
cui queste at tività fanno parte.
L'insegnante riduce al minimo le occasioni in cui deve esercitare un'autorità
personale. Quando è necessario, in secondo luogo, di parlare e di agire
fermamente, lo fa in nome dell'interesse del gruppo, non per far mostra di un
potere personale. Ecco ciò che differenzia l'azione arbitraria da quel che è
giusto e leale.
Inoltre, non è necessario che la differenza sia formulat a con parole, tanto dall'insegnante quanto
dall'allievo, per essere avvertita nell'esperienza. Piccolo è il numero dei
ragazzi che non avvertono la differenza (anche se essi non la sanno formulare e
ridurre a un principio intellettuale) fra un'azione motivat a
dal potere personale e dal desiderio di imporla e l'azione che è giusta perché
suggerita dall'interesse di tutti. Inclinerei anzi a dire che, nell'insieme, i
ragazzi sono più sensibili che non gli adulti alle manifestazioni ed ai sintomi
di questa differenza. I ragazzi imparano la differenza quando giocano fra loro.
Essi sono inclini, spesso fin troppo inclini, ad accogliere suggerimenti di un
ragazzo e a farlo capo, se la sua condotta aggiunge qualcosa al valore
sperimentat o di ciò che stanno
facendo, mentre si risentono contro ogni tentat ivo
di imposizione. In quest'ultimo caso si ritirano e quando si chiede loro il
perché, rispondono: «fa troppo il padrone».
Non voglio riferirmi alla scuola tradizionale per farne una
caricat ura invece di un ritrat to. Ma penso che sia giusto dire che se i comandi
dell'insegnante erano spesso illegittimi e l'ordine che vi regnava era per lo
più supina acquiescenza alla volontà di un adulto, ciò risaliva al fat to che l'insegnante vi era di solito costretto
dalla situazione. La scuola non era un gruppo o una comunità tenuta insieme
dalla partecipazione alle at tività
comuni. Mancavano quindi le varie condizioni normali di controllo. Alla loro
mancanza si suppliva e vi si doveva in notevole misura supplire mediante il
diretto intervento dell'insegnante, che si diceva, «teneva l'ordine». Egli lo
teneva perché l'ordine era nelle mani dell'insegnante, anziché nella
partecipazione collettiva al lavoro.
La conclusione è che in quelle che denominiamo scuole nuove,
la fonte principale del controllo sociale è riposta nella nat ura stessa del lavoro inteso come un'impresa
sociale, in cui tutti gli individui hanno modo di prender parte e di cui si
sentono responsabili. La maggior parte dei ragazzi è nat uralmente
"socievole". L'isolamento pesa più ancora ad essi che agli adulti.
Una schietta vita di comunità ha le sue radici in questa socialità nat urale. Ma la vita di comunità non si organizza
durevolmente in modo meramente spontaneo. Esige pensiero e piani precisi.
L'educat ore deve, sulla sua
responsabilità, conoscere tanto gli individui quanto la mat eria
di studio, conoscenza che gli permette di trarre le at tività
che si prestano all'organizzazione sociale, ad un'organizzazione cui ogni
individuo può portare il suo contributo e nella quale le at tività,
cui tutti partecipano, sono i mezzi principali del controllo.
Non m'illudo talmente nei riguardi dei ragazzi da supporre
che tutti gli alunni risponderanno o che tutti i ragazzi di impulsi normali
risponderanno in ogni occasione. Taluni di essi indubbiamente, quando iniziano
la scuola, sono già vittime di condizioni esterne sfavorevoli, e sono diventat i così passivi e inopportunamente docili che non
sono più in grado di collaborare. Altri, per colpa d'esperienze anteriori, sono
presuntuosi, indisciplinat i e,
forse, apertamente ribelli. Ma questi casi non possono certo mettere in forse
il principio generale dei controllo sociale. È altresì vero che non ci sono
regole generali per trat tare questi
casi. L'insegnante ha da regolarsi nei loro riguardi caso per caso. Essi
rientrano in classi generali, ma non ce ne sono due identici. L'educat ore deve scoprire meglio che può le cause delle
abitudini di recalcitrare. Se il processo dell'educazione deve aver corso, egli
non può farne un'occasione di opposizione di una volontà ad un'altra per il
gusto di vedere quale è la più forte, né può permettere che allievi turbolenti
e spiritualmente assenti ostacolino di continuo le at tività
educat ive degli altri. L'esclusione
è forse l'unica misura che si conviene in certi casi, ma non è una soluzione.
Può difat ti rafforzare proprio le
cause che hanno dat o origine
all'indesiderabile at teggiamento
antisociale, per esempio al desiderio di richiamare l'at tenzione
su di sé o di mettersi in evidenza.
Raramente le eccezioni confermano la regola o danno il filo
che ci mostri quel che essa deve essere. Non vorrei dunque annettere troppa
importanza a questi casi eccezionali, per quanto sia vero oggi che le scuole
progressive debbano spesso avere più che la loro parte di questi casi; difat ti i genitori, come ultimo scampo, possono inviare
i figli a queste scuole. Non credo che la insufficiente disciplina in certe
scuole progressive derivi da questi casi eccezionali. È molto più probabile che
si debba far risalire alla mancat a
predisposizione del genere di lavoro (con la quale parola intendo qualsiasi
tipo di at tività in cui si è impegnat i) suscettibile di creare situazioni che tendono
automat icamente a esercitare
controllo su ciò che fa ogni alunno e sul modo in cui lo fa. Questa omissione
per lo più risale a insufficiente meditazione del piano propostosi. Le cause di
questa insufficienza sono varie. Una, che è particolarmente importante
menzionare qui, è l'idea che non occorre predisporre un piano, che anzi esso
contrasti intimamente con la legittima libertà di coloro che vengono istruiti.
Nat uralmente può
darsi benissimo che il piano predisposto dall'insegnante lo sia stat o in un modo così rigido e intellettualmente
inflessibile da ridursi a un'imposizione dell'adulto, che non cessa di essere
esterna per il fat to che è esercitat a con tat to
e con apparente rispetto della libertà individuale. Ma questa specie di
pianificazione non deriva affat to
implicitamente dal principio medesimo. Io non so a che servirebbe la maggiore mat urità dell'insegnante e la sua più estesa
conoscenza del mondo, delle mat erie
di studio e degli individui, se egli non fosse in grado di disporre le condizioni
che promuovono, l'at tività della
comunità e l'organizzazione che esercita controllo sugli impulsi individuali
per il mero fat to che tutti sono
impegnat i in progetti comuni. Non è
già perché un dat o piano è stat o predisposto in forma così meccanica da lasciare
poco spazio al libero gioco del pensiero indipendente o ai contributi
dell'esperienza individuale, che s'ha da respingere ogni idea di piano. Al
contrario, incombe all'educat ore il
dovere di predisporre un genere di piano molto più intelligente, e di
conseguenza molto più difficile. Deve esaminare la capacità e i bisogni del
gruppo di allievi con cui ha da fare e disporre nello stesso tempo le
condizioni che forniscano mat eria di
studio e contenuto per esperienze che appaghino questi bisogni e sviluppino
queste capacità. Il piano deve essere abbastanza flessibile per permettere il
libero gioco dell'esperienza individuale e abbastanza fermo per indirizzare
verso uno svolgimento continuo del potere.
Colgo l'occasione per dire qualche cosa delle at tribuzioni e dell'ufficio dell'insegnante. Il
principio che lo sviluppo dell'esperienza si compie at traverso
l'interazione indica che l'educazione è essenzialmente un processo sociale.
Essa lo diventa tanto meglio quanto più gli individui formano un gruppo comunitario.
È assurdo escludere l'insegnante dai membri del gruppo. In quanto egli è il più
mat uro membro del gruppo egli ha la
specifica responsabilità di dirigere le interazioni e le intercomunicazioni,
che costituiscono la vera vita del gruppo in quanto comunità. I fanciulli sono
individui di cui occorre rispettare la libertà e la persona più mat ura non dovrebbe godere nessuna libertà come
individuo? Ecco un'idea assurda che non merita di essere confutat a. La tendenza a togliere all'insegnante una parte
positiva e dominante nella direzione delle at tività
della comunità di cui egli è membro è un altro esempio di reazione da un
estremo all'altro. Quando gli alunni erano una classe piuttosto che un gruppo
sociale, l'insegnante era costretto ad agire in gran parte al di fuori e non
già in veste di direttore di processi di scambio in cui tutti hanno la loro
parte. Se l'educazione è basat a
sull'esperienza e l'esperienza educat iva
viene concepita come un processo sociale, la situazione cambia radicalmente.
L'insegnante perde la sua posizione esterna di padrone o di dittat ore per assumere quella di direttore di at tività associat e.
Discutendo della condotta nel gioco come esempio di normale,
abbiamo accennat o alla presenza di
un fat tore convenzionale standardizzat o. Nella vita di scuola a questo fat tore fa riscontro il problema delle maniere,
specialmente delle buone maniere nelle manifestazioni di garbat ezza e di cortesia. Più impariamo a conoscere i
costumi di diverse parti del mondo in tempi diversi, più ci accorgiamo quanto
differiscono le maniere nei diversi luoghi e nei diversi tempi. Questo fat to at testa
che in questi cambiamenti la convenzione ha una parte notevole. Ma non c'è
gruppo in qualsiasi tempo e luogo che non abbia il suo codice di maniere, per
esempio circa il modo in cui conviene salutare. La forma particolare di
convenzione non ha nulla di fisso né di assoluto. Ma l'esistenza stessa di
qualche forma di convenzione non è una convenzione. Essa accompagna ogni
relazione sociale. In ultima analisi, è l'olio che previene e riduce le
frizioni.
È possibile, nat uralmente,
che queste forme sociali diventino, come si dice, "mere formalità".
Esse possono diventare pura apparenza esteriore, senza alcun intrinseco
significat o. Ma respingere le forme
vuotamente ritualisti che delle relazioni sociali non significa rinunciare a
ogni elemento formale. Attesta piuttosto l'esigenza che si sviluppino forme di
relazione fra gli uomini che siano intrinsecamente appropriat e alle situazioni sociali. Certi visitat ori di scuole progressive sono urtat i dal difetto di creanza che osservano. Un
conoscitore più addentro nella situazione s'accorge che l'assenza di essa è
dovuta in larga parte ad un interesse più vivo dei ragazzi per quello che
stanno facendo. Nel loro fervore per esempio possono urtarsi l'un l'altro al
passaggio e urtare persino i visitat ori
senza dire una parola di scusa. Si potrà dire che questa condizione è migliore
di un'ostentazione di mero ossequio esterno congiunto a una totale assenza
intellettuale e sentimentale di interesse per l'opera scolastica. Ma essa
rappresenta anche una deficienza nella educazione, una deficienza
nell'apprendimento di una delle più importanti lezioni della vita, quella di
sapersi acconciare e adat tare
reciprocamente. L'educazione procede per una via unilat erale,
poiché quegli abiti sono nel processo di formazione quelli che ostacolano il
futuro apprendere che nasce dal facile e pronto contat to
e comunicazione con altri.
5. La natura della liberta'
A rischio di ripetere quello che è stat o
detto spesso desidero fare qualche osservazione circa l'altro lat o del problema del controllo sociale, vale a dire
la nat ura della libertà. La sola
libertà che ha durevole importanza è la libertà dell'intelligenza vale a dire
la libertà di osservare e di giudicare esercitat a
nei riguardi di piani che hanno un valore intrinseco. Il più comune errore per
quanto concerne la libertà è quello, penso, di identificarla con la libertà di
movimento o con il lat o esterno o
fisico dell'at tività. Ora, questo lat o esterno e fisico dell'at tività
non può essere separat o dal lat o interno di essa, dalla libertà di pensare, di
desiderare, di fare progetti. La limitazione imposta esternamente dalle
disposizioni immutabili della tipica aula scolastica tradizionale, con le
immutabili file di banchi e col regime militare degli alunni, cui era concesso
di muoversi soltanto a certi dat i
segni, poneva una grave restrizione alla libertà intellettuale e morale. Se si
voleva creare un terreno propizio allo svolgimento degli individui, alle
sorgenti intellettuali della libertà, senza di cui non esiste sicurezza di
crescita, occorreva farla finita con i metodi della camicia di forza e della
corvée.
Non è meno vero però che una maggiore libertà di moto
esterno è un mezzo non un fine. Il problema educat ivo
non è risolto quando si è ottenuta questa forma di libertà. Tutto dipende, per
quanto concerne l'educazione, da ciò che si fa con questa maggiore libertà.
Parliamo anzitutto dei benefici che ci sono potenzialmente nell'accrescimento
della libertà esterna. In primo luogo, senza di essa è prat icamente
impossibile che un insegnante impari a conoscere l'individuo con cui ha che
fare. La calma e l'obbedienza imposte impediscono agli allievi di rivelare la
loro nat ura. Esse rafforzano l'uniformità
artificiale. Sacrificano l'essere al parere. Premiano le apparenze esterne
dell'at tenzione, del decoro e
dell'obbedienza. Tutti coloro che hanno prat ica
di scuole in cui vige questo sistema, sanno bene che pensieri, immaginazioni,
desideri e at tività clandestine
continuano ad avere libero corso dietro questa facciat a.
Il maestro se ne accorge soltanto quando qualche at to
malaccorto lo mette allo scoperto. Basta paragonare questa situazione altamente
artificiale con le relazioni normali che corrono fra gli uomini fuori della
classe, per esempio in una casa ben ordinat a,
per comprendere quanti ostacoli vi trovi l'insegnante alla conoscenza ed alla
comprensione degli individui che dovrebbe educare. Eppure, senza questa
conoscenza è un mero caso se il mat eriale
di studio e i metodi adoperat i
nell'istruzione si adat teranno
all'alunno in modo tale da assicurare lo sviluppo del suo intelletto e del suo
carat tere. L'uniformità meccanica
degli studi e dei metodi genera una specie di immobilità uniforme e questa, a
sua volta, contribuisce a perpetuare l'uniformità degli studi e delle
ripetizioni, mentre, dietro questa uniformità imposta, le tendenze individuali
operano in forme irregolari più o meno proibite. L'altro importante beneficio
dell'aumentat a libertà esteriore
consiste nella nat ura stessa del
processo di apprendere. Abbiamo già accennat o
al fat to che gli antichi metodi
premiano la passività e la ricettività. L'immobilità fisica accentua
paurosamente questi trat ti. L'unico
modo di sottrarsi ad essi in una scuola standardizzat a
è l'at tività irregolare e, forse,
indisciplinat a. Non c'è completa
quiete in un laborat orio o in
un'officina. Il carat tere non
sociale della scuola tradizionale appare in questo, che essa fa del silenzio
una delle sue prime virtù. Può esistere, nat uralmente,
un'intensa at tività intellettuale
non accompagnat a da at tività esteriore del corpo. Ma questa capacità
intellettuale è conquista relat ivamente
tarda, in seguito a un lungo periodo di tirocinio. Perfino il ragazzo dovrebbe
disporre di brevi intervalli di tempo da dedicare alla riflessione pacat a. Ma essi sono momenti di schietta riflessione
soltanto quando seguono a periodi di più esterna azione e sono usat i per organizzare quel che è stat o guadagnat o
in periodi di at tività in cui, oltre
il cervello, si sono adoperat i le
mani e altre parti del corpo. La libertà di movimento è dunque importante come
mezzo per mantenere la normale salute fisica e mentale. Noi abbiamo ancora da
imparare dall'esempio dei greci che hanno colto chiaramente la relazione fra un
corpo sano e un'anima sana. Ma sotto tutti i rispetti la libertà di azione
esterna è mezzo alla libertà del giudizio e del potere di eseguire fini deliberat amente scelti. La quantità di libertà esterna
necessaria varia da individuo a individuo. Nat uralmente
essa tende a diminuire col crescere dell'età, sebbene la mancanza totale di
essa impedirebbe anche ad un uomo mat uro
di avere quei contat ti che gli
fornirebbero i nuovi mat eriali sui
quali egli potrebbe esercitare la propria intelligenza. La quantità e la
qualità di questo genere di libera at tività
come mezzo di crescita è un problema che deve esser presente al pensiero
dell'educat ore in ogni stadio di
svolgimento.
Non ci può essere però più grande errore che quello di
considerare tale libertà come un fine in sé. Esso tende a distruggere le at tività che si svolgono a gruppi, che sono la
sorgente normale dell'ordine. D'altra parte fa della liberà, che dovrebbe
essere positiva, alcunché di negat ivo.
Poiché la libertà dal limite, l'aspetto negat ivo,
non ha valore se non in quanto è un mezzo alla libertà che è potere, potere di
fare progetti, di giudicare con assennat ezza,
di misurare i desideri dalle loro conseguenze; potere di scegliere e ordinare i
mezzi per realizzare i fini scelti.
Gli impulsi e i desidera nat urali
costituiscono in ogni caso il punto di partenza. Ma non c'è crescita
intellettuale senza qualche ricostruzione, qualche rifacimento degli impulsi e
dei desideri, nella forma in cui si manifestarono la prima volta. Questo
rifacimento implica inibizione dell'impulso nella sua forma prima. C'è alternat iva fra l'inibizione imposta dall'esterno e
l'inibizione conseguita at traverso
la riflessione e il giudizio individuale. Il vecchio adagio «se vuoi pensare
fermat i» è psicologicamente esat to. Il pensare è difat ti
arresto dell'immediat a
manifestazione dell'impulso sino a che quell'impulso sia stat o messo in rapporto con le altre possibili
tendenze at tive, sino a che si sia
format o un più comprensivo e
coerente piano d'at tività. Qualcuna
delle altre tendenze all'azione conduce all'uso dell'occhio, dell'orecchio e
della mano e mena ad osservare le condizioni oggettive; altre conducono al
richiamo di ciò che è accaduto in passat o.
Pensare è così posporre l'immediat a
azione ed effettuare nel frat tempo
l'interno controllo dell'impulso mediante un'unione di osservazione e di
memoria, unione che è il cuore della riflessione. La meta ideale
dell'educazione è la creazione del potere di autocontrollo. Ma la mera
rimozione del controllo esterno non basta a far nascere l'autocontrollo. È
facile cadere dalla padella nella brace. È facile in altre parole sottrarsi ad
una forma di controllo esterno per incappare in un'altra e più pericolosa forma
di controllo esterno. Gli impulsi e i desideri che non sono disciplinat i dall'intelligenza sono sotto il controllo di
circostanze accidentali. Può essere una perdita piuttosto che un guadagno
sottrarsi al controllo di un'altra persona soltanto per abbandonarsi all'impero
della stravaganza e del capriccio immediat o,
cioè alla mercé di impulsi nella cui formazione non è entrat o il giudizio dell'intelletto. Una persona la cui
condotta è controllat a in questo
modo ha tutt'al più la mera illusione della libertà. Effettivamente è diretta
da forze che non riesce a dominare.
A rischio di ripetere quello che è stat o
detto spesso desidero fare qualche osservazione circa l'altro lat o del problema del controllo sociale, vale a dire
la nat ura della libertà. La sola
libertà che ha durevole importanza è la libertà dell'intelligenza vale a dire
la libertà di osservare e di giudicare esercitat a
nei riguardi di piani che hanno un valore intrinseco. Il più comune errore per
quanto concerne la libertà è quello, penso, di identificarla con la libertà di
movimento o con il lat o esterno o
fisico dell'at tività. Ora, questo lat o esterno e fisico dell'at tività
non può essere separat o dal lat o interno di essa, dalla libertà di pensare, di
desiderare, di fare progetti. La limitazione imposta esternamente dalle
disposizioni immutabili della tipica aula scolastica tradizionale, con le
immutabili file di banchi e col regime militare degli alunni, cui era concesso
di muoversi soltanto a certi dat i
segni, poneva una grave restrizione alla libertà intellettuale e morale. Se si
voleva creare un terreno propizio allo svolgimento degli individui, alle
sorgenti intellettuali della libertà, senza di cui non esiste sicurezza di
crescita, occorreva farla finita con i metodi della camicia di forza e della
corvée.
Non è meno vero però che una maggiore libertà di moto
esterno è un mezzo non un fine. Il problema educat ivo
non è risolto quando si è ottenuta questa forma di libertà. Tutto dipende, per
quanto concerne l'educazione, da ciò che si fa con questa maggiore libertà.
Parliamo anzitutto dei benefici che ci sono potenzialmente nell'accrescimento
della libertà esterna. In primo luogo, senza di essa è prat icamente
impossibile che un insegnante impari a conoscere l'individuo con cui ha che
fare. La calma e l'obbedienza imposte impediscono agli allievi di rivelare la
loro nat ura. Esse rafforzano
l'uniformità artificiale. Sacrificano l'essere al parere. Premiano le apparenze
esterne dell'at tenzione, del decoro
e dell'obbedienza. Tutti coloro che hanno prat ica
di scuole in cui vige questo sistema, sanno bene che pensieri, immaginazioni,
desideri e at tività clandestine
continuano ad avere libero corso dietro questa facciat a.
Il maestro se ne accorge soltanto quando qualche at to
malaccorto lo mette allo scoperto. Basta paragonare questa situazione altamente
artificiale con le relazioni normali che corrono fra gli uomini fuori della
classe, per esempio in una casa ben ordinat a,
per comprendere quanti ostacoli vi trovi l'insegnante alla conoscenza ed alla
comprensione degli individui che dovrebbe educare. Eppure, senza questa
conoscenza è un mero caso se il mat eriale
di studio e i metodi adoperat i
nell'istruzione si adat teranno
all'alunno in modo tale da assicurare lo sviluppo del suo intelletto e del suo
carat tere. L'uniformità meccanica
degli studi e dei metodi genera una specie di immobilità uniforme e questa, a
sua volta, contribuisce a perpetuare l'uniformità degli studi e delle
ripetizioni, mentre, dietro questa uniformità imposta, le tendenze individuali
operano in forme irregolari più o meno proibite. L'altro importante beneficio
dell'aumentat a libertà esteriore
consiste nella nat ura stessa del
processo di apprendere. Abbiamo già accennat o
al fat to che gli antichi metodi
premiano la passività e la ricettività. L'immobilità fisica accentua
paurosamente questi trat ti. L'unico
modo di sottrarsi ad essi in una scuola standardizzat a
è l'at tività irregolare e, forse,
indisciplinat a. Non c'è completa
quiete in un laborat orio o in
un'officina. Il carat tere non
sociale della scuola tradizionale appare in questo, che essa fa del silenzio
una delle sue prime virtù. Può esistere, nat uralmente,
un'intensa at tività intellettuale
non accompagnat a da at tività esteriore del corpo. Ma questa capacità
intellettuale è conquista relat ivamente
tarda, in seguito a un lungo periodo di tirocinio. Perfino il ragazzo dovrebbe
disporre di brevi intervalli di tempo da dedicare alla riflessione pacat a. Ma essi sono momenti di schietta riflessione
soltanto quando seguono a periodi di più esterna azione e sono usat i per organizzare quel che è stat o guadagnat o
in periodi di at tività in cui, oltre
il cervello, si sono adoperat i le
mani e altre parti del corpo. La libertà di movimento è dunque importante come
mezzo per mantenere la normale salute fisica e mentale. Noi abbiamo ancora da
imparare dall'esempio dei greci che hanno colto chiaramente la relazione fra un
corpo sano e un'anima sana. Ma sotto tutti i rispetti la libertà di azione
esterna è mezzo alla libertà del giudizio e del potere di eseguire fini deliberat amente scelti. La quantità di libertà esterna
necessaria varia da individuo a individuo. Nat uralmente
essa tende a diminuire col crescere dell'età, sebbene la mancanza totale di
essa impedirebbe anche ad un uomo mat uro
di avere quei contat ti che gli
fornirebbero i nuovi mat eriali sui
quali egli potrebbe esercitare la propria intelligenza. La quantità e la
qualità di questo genere di libera at tività
come mezzo di crescita è un problema che deve esser presente al pensiero
dell'educat ore in ogni stadio di
svolgimento.
Non ci può essere però più grande errore che quello di
considerare tale libertà come un fine in sé. Esso tende a distruggere le at tività che si svolgono a gruppi, che sono la
sorgente normale dell'ordine. D'altra parte fa della liberà, che dovrebbe
essere positiva, alcunché di negat ivo.
Poiché la libertà dal limite, l'aspetto negat ivo,
non ha valore se non in quanto è un mezzo alla libertà che è potere, potere di
fare progetti, di giudicare con assennat ezza,
di misurare i desideri dalle loro conseguenze; potere di scegliere e ordinare i
mezzi per realizzare i fini scelti.
Gli impulsi e i desidera nat urali
costituiscono in ogni caso il punto di partenza. Ma non c'è crescita
intellettuale senza qualche ricostruzione, qualche rifacimento degli impulsi e
dei desideri, nella forma in cui si manifestarono la prima volta. Questo
rifacimento implica inibizione dell'impulso nella sua forma prima. C'è alternat iva fra l'inibizione imposta dall'esterno e
l'inibizione conseguita at traverso
la riflessione e il giudizio individuale. Il vecchio adagio «se vuoi pensare
fermat i» è psicologicamente esat to. Il pensare è difat ti
arresto dell'immediat a
manifestazione dell'impulso sino a che quell'impulso sia stat o messo in rapporto con le altre possibili
tendenze at tive, sino a che si sia
format o un più comprensivo e
coerente piano d'at tività. Qualcuna
delle altre tendenze all'azione conduce all'uso dell'occhio, dell'orecchio e
della mano e mena ad osservare le condizioni oggettive; altre conducono al
richiamo di ciò che è accaduto in passat o.
Pensare è così posporre l'immediat a
azione ed effettuare nel frat tempo
l'interno controllo dell'impulso mediante un'unione di osservazione e di
memoria, unione che è il cuore della riflessione. La meta ideale
dell'educazione è la creazione del potere di autocontrollo. Ma la mera
rimozione del controllo esterno non basta a far nascere l'autocontrollo. È
facile cadere dalla padella nella brace. È facile in altre parole sottrarsi ad
una forma di controllo esterno per incappare in un'altra e più pericolosa forma
di controllo esterno. Gli impulsi e i desideri che non sono disciplinat i dall'intelligenza sono sotto il controllo di
circostanze accidentali. Può essere una perdita piuttosto che un guadagno
sottrarsi al controllo di un'altra persona soltanto per abbandonarsi all'impero
della stravaganza e del capriccio immediat o,
cioè alla mercé di impulsi nella cui formazione non è entrat o il giudizio dell'intelletto. Una persona la cui
condotta è controllat a in questo
modo ha tutt'al più la mera illusione della libertà. Effettivamente è diretta
da forze che non riesce a dominare.
6. Il significato del proposito
Coglie dunque giusto l'istinto che identifica volontà e
potere di concepire propositi e di eseguirli o di portarli a compimento. Questa
libertà è, a sua volta, identica con l'autocontrollo; poiché la formazione di
propositi l'organizzazione di mezzi per eseguirli sono opera dell'intelligenza.
Plat one ha detto una volta che lo
schiavo è colui che eseguisce i propositi di un altro e, come è stat o esat tamente
osservat o, è schiava quella persona
che è tiranneggiat a dai ciechi
desideri. Non c'è, penso, nella filosofia dell'educazione progressiva nessun
punto più significat ivo dell'accento
posto sull'importanza della partecipazione dell'educando alla formazione dei progetti
che dirigono le sue at tività nel
processo dell'apprendere, come non c'è maggior difetto nell'educazione
tradizionale, che la sua incapacità ad assicurarsi l'at tiva
cooperazione dell'alunno nella costruzione dei progetti che sono impliciti nel
suo studio. Ma il significat o dei
propositi e dei fini non è di evidenza immediat a
e non si coglie da sé. Più si accentua la loro importanza educat iva, più importante è intendere che cosa è un
proposito, come sorge e come funziona nell'esperienza.
Un autentico proposito trova sempre il suo punto di partenza
in u impulso. L'impedimento all'immediat o
appagamento di un impulso lo converte in un desiderio. Tuttavia né impulso né
desiderio sono in sé un proposito. Il proposito è la visione di un fine. Vale a
dire involge una previsione dalle conseguenze che risulteranno dall'operare in
base a un impulso. La previsione delle conseguenze implica at tività dell'intelligenza. Essa richiede, in primo
luogo, osservazione delle condizioni e delle circostanze obbiettive. Difat ti impulso e desiderio producono conseguenze non
per se stessi soltanto, ma anche at traverso
l'interazione o la cooperazione con le condizioni circostanti. L'impulso ad
un'azione così semplice come il camminare non può essere appagat o se non mercé un collegamento at tivo col suolo su cui si posano i piedi. In
condizioni normali, non facciamo molta at tenzione
al suo «Se il terreno si fa difficile dobbiamo osservare con cura gli accidenti
di esso, come nell'inerpicarsi per una montagna scoscesa e impervia non solcat a ancora da piste. Allora l'esercizio
dell'osservazione è una condizione della trasformazione dell'impulso in
proposito. Così al segnale di un passaggio a livello ci dobbiamo fermare,
guardare, ascoltare.
Ma l'osservazione sola non basta. Dobbiamo comprendere il
significat o di ciò che vediamo,
udiamo e tocchiamo. Questo significat o
risulta dalle conseguenze dell'azione che si intraprende. Un piccino può vedere
lo splendore di una fiamma ed essere at trat to ad afferrarla. Il significat o della fiamma è allora non il suo splendore ma il
potere di bruciare, come risulterà dal fat to
di toccarla. potere di bruciare, come risulterà dal fat to
di toccarla. Possiamo essere fat ti
avvertiti dalle conseguenze soltanto in base alle esperienze anteriori. Nei
casi resi familiari da numerose esperienze antecedenti non dobbiamo fermarci a
ricordare quali sono stat e codeste
esperienze. Una fiamma significa per noi luce e calore senza doverci richiamare
espressamente ad esperienze passat e
di calore e di scottat ura. Ma nei casi
straordinari, è difficile dire con precisione quali potranno essere le
conseguenze delle condizioni osservat e,
a meno di richiamare alla memoria le esperienze passat e,
a meno di riflettere su di esse, di intendere che c'è in loro alcunché di
simiIe alle presenti e di formulare un giudizio su ciò che si può at tendere nella situazione presente.
La formazione di propositi è, dunque, un'operazione
intellettuale piuttosto complessa. Essa implica osservazione delle condizioni
circostanti; conoscenza di ciò che è accaduto in passat o
in situazioni analoghe, conoscenza ottenuta in parte con il ricordo e in parte
con l'informazione, la notizia, l'avvertimento di coloro che hanno fat to una più ampia esperienza; e giudizio che
raccoglie insieme quel che è stat o
osservat o e quel che è stat o richiamat o
per vedere che cosa significano. Un proposito differisce da un impulso e da un
desiderio originale per il fat to di
venire tradotto in un piano e metodo d'azione basat o
sulla previsione delle conseguenze dell'operare sotto certe condizioni dat e in un certo modo. «Se i desideri fossero
cavalli, tutti i mendichi cavalcherebbero». Il desiderio di qualcosa può essere
intenso. Può essere così forte da impedire un'esat ta
valutazione delle conseguenze che deriveranno dal soddisfacimento di esso. Non
si ha da cercare qui il modello dell'educazione. Il problema cruciale
dell'educazione è quello di ottenere che l'azione non segua immediat amente il desiderio, ma sia preceduta
dall'osservazione e dal giudizio. Se non erro, questo punto ha un'importanza
decisiva per le scuole progressive. La soverchia accentuazione della at tività in generale, anziché dell'at tività intelligente come fine dell'educazione
conduce a identificare la libertà con l'esecuzione immediat a
di impulsi e desideri. Codesta identificazione conduce ad una confusione di
impulso con proposito; mentre che, come abbiamo or ora detto, non c'è proposito
sino a che l'azione non è proposta alla previsione delle conseguenze che
l'esecuzione dell'impulso reca con sé, previsione che è impossibile senza
osservazione e giudizio. La mera previsione, anche se prende la forma di accurat a predizione, non è, nat uralmente,
sufficiente. L'anticipazione intellettuale, l'idea delle conseguenze deve
mescolarsi al desiderio ed all'impulso per acquistare forza propulsiva. Essa dà
allora direzione a ciò che altrimenti è cieco, mentre il desiderio dà alle idee
impeto e intensità. Allora un'idea diventa proposito dentro e per l'at tività da promuovere.
Supponiamo un individuo che abbia il desiderio di
assicurarsi una dimora, diciamo col costruire una casa. Per quanto sia forte il
suo desiderio, non lo può realizzare direttamente. Egli deve formarsi un'idea
del genere di casa che desidera, compresi il numero e la sistemazione delle
stanze, ecc. Deve tracciare un piano, fare la pianta e ritoccarla. Tutto questo
potrebbe essere un ozioso passat empo,
se non conoscesse bene le sue risorse. Deve considerare la relazione dei mezzi
a sua disposizione e delle sue possibilità di credito con l'esecuzione del suo
piano. Egli deve informarsi dei luoghi adat ti,
del loro prezzo, della loro vicinanza al centro dei suoi interessi, se il vicinat o gli va a genio, se ci sono scuole ecc. ecc.;
bisogna fare i conti con tutto questo: la sua capacità di pagare, l'ampiezza e
i bisogni della sua famiglia, le possibili località, ecc. ecc., sono fat ti obbiettivi. Non sono parte del desiderio
originale. Ma essi devono essere presi in esame e giudicat i
prima che il desiderio possa essere convertito in proposito e il proposito in
piano d'azione.
Ognuno di noi ha desideri, almeno sino a che non siamo
caduti in uno stat o pat ologico di completa apat ia.
Questi desideri sono in fondo le vere spinte all'azione. Un uomo d'affari
desidera di riuscire, un generale desidera di vincere la bat taglia; un padre di famiglia di avere una comoda
dimora per la sua famiglia, e di educare i suoi figli, e così all'infinito. La
intensità del desiderio misura l'intensità dello sforzo che sarà fat to. Ma i desideri sono vuoti castelli in aria sino
a che non vengono trasformat i in
mezzi con cui possono essere realizzat i.
Il problema del quando o dei mezzi prende il posto del fine progettat o nell'immaginazione, e poiché i mezzi sono
obbiettivi, occorre studiarli e comprenderli se si deve formare un autentico
proposito.
L'educazione tradizionale tendeva a ignorare l'importanza
dell'impulso e del desiderio personale come spinta iniziale all'azione. Ma non
è questa una buona ragione perché l'educazione progressiva identifichi impulsi
e desiderio con proposito e trascuri quindi alla leggera il bisogno di accurat a osservazione, di estesa informazione, di
giudizio, se gli alunni devono partecipare ai propositi che li mettono in at to. In un piano educat ivo,
l'esistenza di un desiderio e di un impulso non è lo scopo finale. È
un'occasione, è la richiesta della formazione di un proposito e di un metodo di
at tività. Un tale proposito, lo
ripeto, può essere format o soltanto
con lo studio delle condizioni e col procurarsi tutte le informazioni che
occorrono.
Il compito dell'insegnante è quello di vigilare perché sia
colta l'occasione. Poiché c'è libertà nelle operazioni dell'osservazione
intelligente e nel giudizio con cui viene sviluppat o
un proposito, l'indirizzo che dà l'insegnante all'esercizio dell'intelligenza
dell'alunno è un aiuto alla libertà, non una limitazione di essa. Talvolta pare
che gli insegnanti temano persino di dare suggerimenti ai membri di un gruppo
circa quello che dovrebbero fare. Ho sentito parlare di casi in cui gli alunni
sono messi fra gli oggetti e i mat eriali
e abbandonat i interamente a se
stessi, ripugnando all'insegnante di suggerire quel che si può fare coi mat eriali nel timore di violare la libertà. Ma
allora, perché fornire mat eriali, dat o che anch'essi non possono non suggerire qual
cosa? Ma quel che più importa è che il suggerimento, da cui prende le mosse il
lavoro degli alunni, deve pure provenire in ogni caso da qualche parte. Non si
capisce perché un suggerimento che proviene da uno che ha una più larga
esperienza e un più esteso orizzonte non debba essere almeno altrettanto valido
quando un suggerimento che provenga da una fonte più o meno accidentale.
È possibile nat uralmente
abusare del proprio ufficio e costringere i ragazzi a operare secondo direttive
imposte dal proposito dell'insegnante piuttosto che da quello degli scolari. Ma
il mezzo per evitare questo pericolo non consiste nel ritirarsi dell'adulto. La
via, per l'insegnante, è, in primo luogo, di rendersi intelligentemente conto
delle capacità, dei bisogni e delle esperienze passat e
degli alunni e, in secondo luogo, di permettere alla suggestione trat tane di trasformarsi in un piano e in un proposito
mediante gli ulteriori suggerimenti forniti e organizzat i
in un tutto dai membri del gruppo.
Il piano, in altre parole, é un'impresa cooperat iva e non un'imposizione: la sollecitazione
dell'insegnante non e una forma per ferro fuso, ma è un punto da cui prender le
mosse per svilupparlo in un piano at traverso
i contributi che provengono dall'esperienza di tutti quanti sono impegnat i col processo dell'apprendere. Lo svolgimento si
compie at traverso un reciproco
"dare e prendere"; l'insegnante prende, ma non teme anche di dare. Il
punto essenziale è che il proposito nasca e prenda forma at traverso
il processo dell'intelligenza sociale.
7. Organizzazione
progressiva della materia di studio
È stat o accennat o più volte di sfuggita alle condizioni oggettive
implicite nell'esperienza e alla loro funzione nel promuovere o meno
l'accrescimento e l'arricchimento della esperienza posteriore. Codeste
condizioni oggettive sia di osservazione, di memoria, di informazione procurat a dagli altri, che di immaginazione sono stat e implicitamente identificat e
con la mat eria dello studio e del
sapere; o, parlando più generalmente, con la mat eria
del corso degli studi. Tuttavia non è stat o
detto nulla esplicitamente intorno alla mat eria
di studia come tale. Dobbiamo ora trat tare
di essa. Quando l'educazione è concepita in termini di esperienza una
considerazione deve dominare chiaramente tutte le altre. Tutto ciò che può
essere chiamat o mat eria di studio, aritmetica, storia, geografia,
scienze nat urali, deve essere trat to dal mat eriale
che rientra nell'ambito dell'ordinat a
esperienza quotidiana. Sotto questa riguardo la nuova educazione contrasta
nettamente coi procedimenti che muovono da fat ti
e da verità che sono fuori dell'ambito dell'esperienza di coloro che vengono
istruiti, donde sorge il problema di scoprire vie e mezzi per portarli
nell'esperienza. Indubbiamente una delle ragioni principali del grande successo
dei nuovi metodi nella prima educazione elementare è stat a
l'osservanza del principio opposto.
Ma trovare il mat eriale
per l'insegnamento entro la esperienza é soltanto il primo passo. In un secondo
momento ciò che è stat o sperimentat o deve progressivamente assumere una forma più
piena e ricca e meglio organizzat a,
una forma che gradualmente si avvicini a quella in cui la mat eria del sapere si presenta ad una persona
competente, mat ura. Che questo
cambiamento sia possibile senza allontanarsi dal legame che avvince
organicamente l'educazione con l'esperienza è at testat o dal fat to
che questa trasformazione si compie fuori della scuola e di quella che si suol
chiamare educazione. Il bimbo, per esempio, all'inizio è circondat o da oggetti molto limitat i
nello spazio e nel tempo. Codesto mondo che lo circonda si estende
costantemente con l'estendersi dell'esperienza stessa senza aiuto di istruzione
scolastica. Mentre il bimbo impara a protendersi, a strascinarsi per terra, a
camminare, a parlare, l'intrinseco contenuto della sua esperienza si amplia e
si approfondisce. Entra in contat to
con nuovi oggetti ed eventi che suscitano nuove forze, mentre l'esercizio di
queste forze a sua volta raffina ed allarga il contenuto della sua esperienza.
Lo spazio e la durat a della sua vita
si dilat ano. Il mondo circostante,
il mondo dell'esperienza si fa sempre più largo e, per così dire, più fitto.
L'educat ore, che riceve il ragazzo
alla fine di questo periodo, deve trovare il modo di fare consapevolmente e
deliberat amente quel che la "nat ura" compie nei primi anni.
È appena necessario insistere sulla prima delle due
condizioni che abbiamo indicat o. È
un precetto cardinale _della nuova scuola, che gli inizi dell'istruzione si riat tacchino all'esperienza che gli educandi già
posseggono; che questa esperienza e le capacità che sono stat e sviluppat e
per suo mezzo forniscano il punto da cui deve muovere tutto il sapere
posteriore. Non sono sicuro che l'altra condizione, lo svolgimento ordinat o verso l'espansione e l'organizzazione del sapere
at traverso l'esperienza, riceva
altrettanta at tenzione. Tuttavia il
principio di continuità della esperienza educat iva
esige che eguale pensiero ed at tenzione
siano dedicat i alla soluzione di
codesto aspetto del problema educat ivo.
Indubbiamente questa fase del problema è più difficile dell'altra. Coloro che
hanno a che fare con gli istituti prescolastici, col bimbo dei giardino di
infanzia e col ragazzo e con la ragazza dei primi anni della scuola elementare
non incontrano molta difficoltà a determinare quale è stat a
l'esperienza del passat o o a trovare
at tività che si connettano con essa
in modo vitale. Con ragazzi di età più avanzat a
ambedue i fat tori del problema
offrono maggiori difficoltà all'educat ore.
È più difficile rendersi conto dello sfondo dell'esperienza dell'individuo e
più gravoso scoprire precisamente come si potrà dirigere il sapere già
contenuto nell'esperienza presente verso orizzonti più larghi e in forme meglio
organizzat e.
È, erroneo supporre che il principio che ogni esperienza
avvia a qualcosa di diverso sia adeguat amente
soddisfat to col dare agli alunni
delle nuove esperienze. Forse che acquistano maggiore perizia e facilità per il
fat to di manipolare cose che sono
già loro familiari? È dunque essenziale che i nuovi oggetti ed eventi siano
intellettualmente riferiti a quelli delle esperienze precedenti, il che
significa che ci deve essere qualche progresso nella consapevole articolazione
di fat ti e di idee. In tale modo
compito dell'educat ore diventa
quello di discernere, nell'ambito dell'esperienza at tuale,
quelle cose che contengono la promessa e la possibilità di presentare nuovi
problemi, i quali con lo stimolare nuove vie d'osservazione e di giudizio
allargheranno il campo dell'esperienza futura. Egli deve costantemente
considerare quello che è già acquisito non già come un possesso stat ico, ma come un mezzo ed uno strumento per aprire
nuovi campi, i quali esigono nuovi sforzi dai poteri dell'osservazione e
dall'intelligente uso della memoria. Continuità nella crescita deve essere il
suo motto d'ordine costante.
Più di qualsiasi altra at tività
l'educazione esige che si guardi lontano. Un medico può considerare esaurito il
suo compito quando ha ridat o la
salute al paziente. Egli ha certamente il dovere di suggerirgli come deve
vivere per evitare ricadute in futuro. Ma dopo tutto, la condotta del paziente
è affar suo e non del medico; e, quel che più importa in questo momento si è,
che il medico il quale bada a istruire e dar consigli al paziente per il futuro
assume la funzione di educat ore.
L'avvocat o ha il compito di vincere
la causa per il suo cliente o di trarlo fuori dagli impicci in cui s'è andat o a ficcare. Se oltrepassa il caso che gli è
presentat o, si trasforma a sua volta
in educat ore. L'educat ore per la stessa nat ura
della sua at tività è costretto a
considerare il suo compito at tuale
in funzione di ciò che esso produrrà o meno in un avvenire i cui oggetti sono
strettamente congiunti con quel del presente.
Qui, di nuovo, il problema per l'educat ore
progressivo è più arduo che per l'insegnante della scuola tradizionale. Anche
quest'ultimo doveva guardare innanzi a sé. Ma, a meno che la sua personalità e
il suo entusiasmo lo portassero al di là dei limiti della scuola tradizionale,
poteva contentarsi di pensare al prossimo periodo d'esami o alla promozione
alla classe superiore. Poteva prospettarsi il futuro nei termini dei fat tori che rispondono alle esigenze del sistema
scolastico convenzionale. Pesa sull'insegnante che congiunge educazione ed
esperienza effettiva un compito ben più serio e duro. Egli deve conoscere quali
possibilità ci sono di introdurre gli allievi in nuovi campi che appartengono
ad esperienze già fat te, e deve
servirsi di questa conoscenza come di criterio per scegliere di disporre le
condizioni che influenzano la loro presente esperienza.
Siccome gli studi della scuola tradizionale consistevano in
argomenti che venivano scelti e ordinat i
sulla base dei giudizio degli adulti circa ciò che sarebbe stat o utile per i giovani nel futuro, il mat eriale da studiare era stabilito senza tener conto
dell'at tuale esperienza di vita di
chi imparava. Ne conseguiva che esso aveva da fare col passat o: era quello che aveva dimostrat o di essere utile agli uomini nelle età trascorse.
Per reazione, giustificat e probabilmente
dalle circostanze, per quanto deplorevole, si è caduti in un eccesso opposto:
la sana idea che l'educazione dovrebbe derivare il suo mat eriale
dall'esperienza at tuale e mettere
chi impara in condizione di far fronte ai problemi del presente e del futuro è
stat a spesso trasformat a in quest'altra, che le scuole progressive
possono molto largamente ignorare il passat o.
Se il presente potesse essere tagliat o
fuori dal passat o, questa
conclusione sarebbe ragionevole. Ma soltanto quel che ha compiuto il passat o ci offre i mezzi per intendere il presente. Come
l'individuo deve rievocare nella memoria il suo passat o,
se vuol intendere le condizioni in cui si trova come individuo, così gli
avvenimenti e i problemi della vita sociale presente sono così intimamente e
direttamente congiunti col passat o
che i discenti non possono essere preparat i
a intendere o questi problemi o la miglior via di risolverli senza scavare a
fondo, sino alle loro radici, nel passat o.
In altre parole, il sano principio che gli obbiettivi dell'apprendere sono nel
futuro e i suoi immediat i mat eriali sono nell'esperienza presente, può
realizzarsi solo nel grado in cui l'esperienza presente si allunghi, per così
dire, all'indietro. Si può espandere nel futuro solo a pat to
che essa sia tanto allargat a da
comprendere il passat o.
Se il tempo me lo permettesse, renderei più precisa e
concreta questa affermazione generale con un esame degli avvenimenti politici
ed economici cui la generazione at tuale
sarà costretta a far fronte. Non si può intendere la nat ura
di questi avvenimenti, se non sappiamo come essi hanno avuto origine. Le
istituzioni e i costumi che esistono oggi e provocano i malanni e le
perturbazioni sociali del presente non sono nat i
d'un trat to. Hanno una lunga storia
dietro di sé. Tentare di comportarsi con essi semplicemente sulla base di quel
che appaiono oggi significa adottare misure superficiali che alla fin fine non
faranno che rendere più acuti gli at tuali
problemi e più difficili a risolvere. Una politica che muova semplicemente
dalla conoscenza del presente scisso dal passat o
è la controparte della negligenza stordita nella condotta individuale. L'unica
via di uscire dai sistemi scolastici che fanno del passat o
un fine in sé è quello di imparare a conoscere il passat o
come un mezzo per intendere il presente. Sino a che non si riceverà questo
problema, continuerà l'at tuale
conflitto fra idee e prat ica educat iva. Da un lat o
ci saranno i reazionari che protesteranno che il principale se non l'unico
compito dell'educazione è di trasmettere il pat rimonio
che dovremmo ignorare il passat o e
preoccuparci unicamente del presente e del futuro.
Che fino ad oggi il punto più debole nelle scuole
progressive sia stat o la scelta e
l'organizzazione della mat eria di
studio penso sia inevitabile nelle circostanze in cui ci troviamo. È
altrettanto inevitabile quanto è giusto ed ovvio che esse debbano farla finita
col mat eriale staccat o e inaridito che ha costituito il nucleo della
vecchia educazione. Aggiungerò, che il campo dell'esperienza è molto ampio ed
esso varia nel suo contenuto da luogo a luogo e da tempo a tempo. Un singolo
corso di studi per tutte le scuole progressive è fuori discussione;
significherebbe abbandono del principio fondamentale della connessione con le
esperienze della vita. Di più, le scuole progressive sono di dat a recente. Esse non hanno avuto dietro di sé più
di una generazione per svilupparsi. Era del tutto ovvio quindi che si
verificassero incertezza e indeterminat ezza
nella scelta e nell'organizzazione della mat eria
di studio. Non c'è ragione di far critiche a fondo o di dolersene troppo.
Le critiche sono invece legittime quando il movimento
dell'educazione progressiva non riconosce che il problema della scelta e
dell'organizzazione della mat eria
d''insegnamento è fondamentale. L'improvvisazione che trae profitto dalle
occasioni impedisce all'insegnare e all'apprendere di cadere in orme stereotipe
e morte. Ma il mat eriale di studio
fondamentale non può essere raccolto frettolosamente. Se c'è libertà
intellettuale, non mancano le occasioni, che non sono e non possono essere
previste. Ed esse devono essere utilizzat e.
Ma c'è una radicale differenza fra l'adoperarle lungo una linea di at tività svolgentesi ininterrottamente e l'affidare
ad esse il compito di fornire gran parte del mat eriale
di studio.
Se una dat a
esperienza non introduce in un campo non ancora familiare non sorgono problemi;
i problemi difat ti sono lo stimolo a
pensare. Che le condizioni trovat e
nell'esperienza presente debbano essere adoperat e
come fonti di problemi è una carat teristica
che differenzia l'educazione basat a
nell'esperienza dall'educazione tradizionale. In quest'ultima difat ti i problemi erano posti dal di fuori. Tuttavia
la crescita dipende dalla presenza di difficoltà da superare mediante
l'esercizio dell'intelligenza. Ancora una volta, fa parte della responsabilità
dell'educat ore di tener presenti due
cose ad un tempo: in primo luogo, che il problema nasca dalle condizioni
dell'esperienza presente e si contenga entro il raggio della capacità degli
alunni; in secondo luogo, che esso sia di tal nat ura
da suscitare nell'educando una richiesta at tiva
di informazioni e da stimolarlo a produrre nuove idee. I nuovi fat ti e le nuove idee che si ottengono in tal modo
diventano la base per ulteriori esperienze che danno origine a nuovi problemi.
Il processo è una spirale senza fine. L'insopprimibile vincolo del presente col
passat o è un principio la cui
applicazione non si limita allo studio della storia. Prendete, per esempio, la
scienza della nat ura. La vita
sociale contemporanea è quel che è in gran parte in seguito ai risultat i dell'applicazione della scienza fisica.
L'esperienza di ogni ragazzo e di ogni giovane, in campagna e in città, è quel
che è oggi, in virtù delle applicazioni che utilizzano elettricità, calore e
processi chimici. Il bambino non mangia cibo che non implichi nella sua
preparazione e nella sua assimilazione principi chimici e fisiologici. Non
legge alla luce artificiale o non sale su un auto o su un treno senza imbat tersi in operazioni e processi prodotti dalla
scienza.
È buon principio educat ivo
che gli alunni siano introdotti allo studio delle scienze e siano iniziat i ai fat ti
ed alle leggi di esse muovendo dalle quotidiane applicazioni che la società ne
vien facendo. L'at tenersi a questo
metodo è non soltanto il mezzo più diretto per intendere la scienza in sé, ma
per l'alunno cresciuto in età è anche la via più sicura per sollevarsi alla
comprensione dei problemi economici e industriali della società at tuale. Questi difat ti
sono in larga misura il prodotto dell'applicazione della scienza alla
produzione e alla distribuzione e alla distribuzione di beni e servizi, mentre
queste ultime sono il fat tore più
importante nel determinare le presenti relazioni fra gli esseri umani e fra i
gruppi sociali. È assurdo, allora, pensare che processi simili a quelli studiat i in laborat ori
e in istituti di ricerca non siano una parte dell'esperienza della vita
quotidiana dei ragazzi e non debbano quindi rientrare nell'ambito dell'educazione
basat a sull'esperienza. Che l'immat uro non possa studiat e
fat ti e principi nel mondo in cui li
studia l'adulto competente va da sé. Ma questo fat to,
invece di esentare l'educat ore dalla
responsabilità di adoperare le esperienze presenti in modo da condurre
gradualmente il discente, at traverso
l'estrazione di fat ti e di leggi,
alla esperienza di ordine scientifico, gli pone uno dei problemi più
importanti.
Poiché, se è vero che l'esperienza presente nei particolari
e anche nel suo complesso è quel che è in virtù dell'applicazione delle
scienze, in primo luogo, ai processi di produzione e di distribuzione dei beni
e dei servizi, e poi alle relazioni sociali reciproche fra gli esseri umani, è
impossibile imparare a comprendere le forze sociali (prima condizione per
dominarle e dirigerle) senza una educazione che conduca i discenti alla
conoscenza di quegli stessi fat ti e
principi che nella loro organizzazione finale costituiscono le scienze. Né
l'importanza del principio che gli educandi dovrebbero essere familiarizzat i con l'insegnamento scientifico vien meno per il
fat to che si addentrano nei problemi
della società presente. I metodi della scienza indicano quali misure e
direttive possono condurre all'instaurazione di un ordine sociale migliore. Le
applicazioni scientifiche che hanno prodotto in larga misura le condizioni
sociali esistenti non hanno esaurito tutte le loro possibilità. Poiché finora
la scienza è stat a applicat a più o meno casualmente e sotto l'influsso di
fini come il vantaggio e la potenza privat a,
che sono retaggio delle istituzioni di un'età prescientifica.
Ci si ripete quasi ogni giorno e da molte parti che è quasi
impossibile per l'essere umano dirigere intelligentemente la sua vita
quotidiana. Ci dicono che, da un lat o,
la complessità delle relazioni umane, domestiche e internazionali, e dall'altro
il fat to che gli uomini sono per lo
più creat ure emotive ed
abitudinarie, rendono impossibile di pianificare la società su larga scala e di
affidare la direzione della nostra condotta all'intelligenza. Questo punto di
vista sarebbe più accettabile se si fosse già tentat o
qualche sforzo sistemat ico, muovendo
dalla prima educazione e salendo su su ininterrottamente sino allo studio e
all'insegnamento dei giovani, per fare del metodo dell'intelligenza, che
vediamo esemplificat o nelle scienze,
il metodo supremo dall'educazione. Non c'è nulla nella nat ura
intrinseca dell'abitudine che impedisca al metodo intelligente di diventare
esso stesso abituale; e non c'è nulla nella nat ura
dell'emozione che impedisca all'emozione di subordinarsi al metodo.
Il caso della scienza è adoperat o
qui come un esempio della progressiva selezione della mat eria
di studio, trat ta dall'esperienza
presente, verso l'organizzazione: un'organizzazione che è libera, non imposta dall'esterno,
perché procede d'accordo con la crescita dell'esperienza stessa.
L'utilizzazione della mat eria di
studio trat ta dall'esperienza della
vita presente dell'alunno per avviarla alla scienza è forse il migliore esempio
che si può addurre del principio fondamentale, che occorre usare l'esperienza
esistente come mezzo per avviare il discente verso un mondo circostante, fisico
e umano, più ampio, più purificat o,
meglio organizzat o, di quel che si
trova nelle esperienze da cui muove la crescita educat iva.
La recente opera di Hogben, Mat emat iche per le masse, mostra come la mat emat ica,
se la si considera specchio della civiltà e mezzo importante per il progresso
di essa, può recare il suo contributo al fine desiderat o
non meno delle scienze fisiche. In ogni caso l'ideale che sta a fondamento di
essa è la progressiva organizzazione della conoscenza. È probabilmente in
riferimento all'organizzazione della conoscenza che possiamo trovare entrambe o
le filosofie particolarmente attive. Nella prat ica,
se non con tanta abbondanza di parole, si tiene spesso per certo che siccome
l'educazione tradizionale si basava su un concetto dell'organizzazione della
conoscenza che disprezzava in modo quasi assoluto l'esperienza presente della
vita, l'educazione fondat a nell'esperienza
della vita dovrebbe disprezzare l'organizzazione di fat ti
e idee.
Quando, poco fa, ho chiamat o
questa organizzazione un ideale, intendevo, da un punto di vista negat ivo, che l'educat ore
non può prendere le mosse dalla conoscenza già organizzat a
per distribuirla in pillole. Ma in quanto ideale il processo at tivo di organizzazione di fat ti
e di idee è un processo educat ivo
che non vien mai meno. Un'educazione che non tenda tanto a conoscere un maggior
numero di fat ti e ad accogliere un
maggior numero di idee quanto a meglio ordinarli non è educat iva. Non è vero che l'organizzazione è un
principio estraneo all'esperienza. In questo caso l'esperienza sarebbe non meno
dispersiva che caotica. L'esperienza dei ragazzi ha per centro le persone e la
casa domestica. Il perturbamento dell'ordine normale delle relazioni familiari,
come sanno gli psichiat ri, è una
fonte feconda, più tardi, di disordini mentali ed emotivi. Fat to questo che at testa
quanto sia reale per i ragazzi questa forma di organizzazione. Uno dei grandi
benefici della prima educazione scolastica nei giardini d'infanzia e nei primi
gradi, si è ch'essa preserva il centro sociale ed umano dell'organizzazione
dell'esperienza, impedendo che, come accadeva un tempo, il centro di gravità
venga violentemente cambiat o. Ma uno
dei problemi più importanti dell'educazione, come della musica, è la
modulazione. Nel caso dell'educazione, modulazione significa movimento da un
centro sociale e umano verso un piano intellettuale più obbiettivo di
organizzazione, tenendo però sempre fermo, che l'organizzazione intellettuale
non è fine in sé ma è il mezzo con cui le relazioni sociali, legami e vincoli
schiettamente umani, possono essere compresi e più intelligentemente ordinat i.
Quando l'educazione è basat a
in teoria e in prat ica sopra
l'esperienza, va da sé che la mat eria
del sapere organizzat o dell'adulto e
dello specialista non può costituire il punto di partenza. Rappresenta tuttavia
la mèta verso la quale l'educazione dovrebbe muovere ininterrottamente. È appena
necessario dire che uno dei principi fondamentali dell'organizzazione
scientifica della conoscenza è il principio di causa ed effetto. Il modo in cui
il principio è colto e formulat o
dallo scienziat o specialista è
certamente molto diverso da quello da cui lo può accostare nell'esperienza il
ragazzo. Ma né la relazione né il suo significat o
sono estranei all'esperienza del ragazzo anche piccolo. Quando un bimbo di due
o tre anni impara a non avvicinarsi troppo alla fiamma e tuttavia si avvicina
alla stufa quanto basta per goderne il calore, egli coglie la relazione causale
e se ne vale. Non c'è at tività
intelligente che non si conformi alle esigenze di questa relazione, ed essa è
intelligente nella misura non soltanto in cui vi si conforma ma in cui vi si conforma
consapevolmente.
Nelle prime forme di esperienza la relazione causale non si
presenta in astrat to, ma nella forma
di relazione tra mezzi impiegat i e
fini raggiunti; nella forma della relazione di mezzi a conseguenze. Progresso
nel giudicare e nell'intendere è essenzialmente progresso nell'abilità di fare
propositi e di scegliere e ordinare mezzi per realizzarli. Le esperienze più
elementari dei ragazzi sono riempite di casi di relazione di mezzi e
conseguenze. Non c'è cottura di cibo o impiego di illuminazione che non sia un
esempio di codesta relazione. L'inconveniente nell'educazione non è già però
l'assenza di situazioni in cui la relazione causale è esemplificat a nella relazione di mezzi e conseguenze. È invece
piuttosto nell'incapacità, ancora troppo comune, di sfruttare le situazioni per
condurre gli alunni a cogliere la relazione in quei determinat i casi di esperienza. I logici chiamano
"analisi e sintesi" le operazioni con cui sono scelti e organizzat i i mezzi in relazione a un proposito.
Questo principio determina l'ultima fondazione per
l'utilizzazione delle at tività nella
scuola. Nulla è più assurdo da un punto di vista educat ivo
che insistere per una varietà di occupazioni at tive
nella scuola e nello stesso tempo screditare il bisogno di organizzazione
progressiva della documentazione e delle idee. Attività intelligente è distinta
dall'at tività senza mèta per il fat to che implica una scelta di mezzi - analisi - at tivi nella varietà di condizioni esistenti, e la
loro sistemazione - sintesi - per conseguire uno scopo o un progetto che ha di
mira. È ovvio che quanto più sarà immat uro
il discente, tanto più semplici saranno i fini da perseguire e più rudimentali
i mezzi impiegat i. Ma il principio
dell'organizzazione dell'at tività
nei termini di una certa percezione della relazione delle conseguenze ai mezzi
vale anche per i piccolissimi. Altrimenti un'at tività
cessa di essere educat iva perché è
cieca. Col crescere della mat urità,
il problema della relazione reciproca fra i mezzi diventa più urgente. Nella
misura in cui l'osservazione intelligente è trasferita dalla relazione di mezzi
a fini al più complesso problema della relazione dei mezzi fra di loro, l'idea
di causa ed effetto diventa preminente ed esplicita. La giustificazione finale
del laborat orio, della cucina, e
così via nella scuola non è già nel fat to
che favoriscono questa specie di at tività
o l'acquisizione di quelle abilità meccaniche che avviano gli alunni a fare at tenzione alle relazioni fra mezzi e fini, e quindi
alla considerazione del modo in cui le cose interagiscono fra loro per produrre
certi effetti. In principio si trat ta
della medesima ragione che giustifica l'esistenza di laborat ori per la ricerca scientifica.
Se non si riuscirà a risolvere il problema
dell'organizzazione intellettuale sulla base dell'esperienza, si verificherà
certamente una reazione a favore dei metodi di organizzazione imposti
dall'esterno. Ci sono già sintomi di questa reazione. Ci si dice che le nostre
scuole, vecchie e nuove, falliscono nel loro compito fondamentale. Non
sviluppano, si dice, il discernimento critico e la capacità di ragionare. L'at titudine a pensare, si aggiunge, è soffocat a dal cumulo delle informazioni disparat e mal digerite, e dalla pretesa di acquistare
forme di perizia da operare immediat amente
negli affari e nel commercio. Si afferma che questi guai derivano dall'influsso
della scienza e dal soverchio peso dat o
alle esigenze del presente a scapito dello sperimentat o
retaggio culturale trasmessoci dal passat o.
Se ne deduce che la scienza ed il suo metodo debbono tenere un posto subordinat o; che dobbiamo tornare alla logica dei principi
primi quali sono formulat i nella
logica di Aristotele e di S. Tommaso, perché i giovani possano disporre di un
saldo punto di appoggio nella loro vita intellettuale e morale, e non siano
alla mercé di ogni soffio di brezza passeggera.
Se il metodo della scienza fosse stat o
adoperat o con maggiore coerenza e
continuità nel lavoro quotidiano della scuola, in tutte le mat erie, sarei maggiormente impressionat o da questo appello appassionat o. In fondo non vedo che due alternat ive fra cui l'educazione deve scegliere, se non
vogliamo andare alla deriva senza mèta. L'una consiste nel tentat ivo di indurre gli educat ori
a ritornare ai metodi e agli ideali intellettuali che sorsero secoli e secoli
prima che apparisse il metodo scientifico. L'esortazione a farlo può avere un
successo temporaneo in un periodo in cui l'inquietudine generale, tanto
sentimentale e intellettuale quanto economica, è al colmo. In queste condizioni
risorge vivo il bisogno di affidarsi a una salda autorità. Tuttavia, esso è
così estraneo a tutte le condizioni della vita moderna che considero stoltezza
cercare la salvezza in questa direzione. L'altra alternat iva
é la sistemat ica utilizzazione del
metodo scientifico considerat o come
modello ed ideale dell'intelligente esplorazione e sfruttamento delle
possibilità implicite nella esperienza.
Il problema si pone con una forza particolare per le scuole
progressive. Se non si dedica un'at tenzione
costante allo svolgimento del contenuto intellettuale delle esperienze e al
conseguimento di un'organizzazione incessantemente crescente di fat ti e idee, in fondo non si fa che rafforzare la
tendenza all'autoritarismo intellettuale e morale. Non è questo né il momento
né il luogo per approfondire la nat ura
del metodo scientifico. Ma certi trat ti
di esso sono così strettamente legat i
con qualsiasi piano di educazione basat o
sull'esperienza che essi non possono non essere noti.
Anzitutto il metodo sperimentale della scienza dedica non
minore, ma maggiore importanza alle idee in quanto idee di qualsiasi altro
metodo. Non ci può essere quel che si dice esperimento in senso scientifico
senza un'idea che diriga l'azione. Il fat to
che le idee adoperat e siano ipotesi
e non verità definitive, è la ragione per cui le idee sono più gelosamente
esaminat e e verificat e nella scienza che altrove. La ragione di
esaminarle scrupolosamente cessa soltanto dal momento in cui sono accolte come
verità. Come verità definitivamente fissat e
devono essere ricevute e non se ne parla più. Ma sino a che sono ipotesi devono
essere costantemente soggette alla verificazione ed alla revisione. Il che
implica che esse siano accurat amente
formulat e.
In secondo luogo, idee o ipotesi sono verificat e dalle conseguenze che provoca la loro at tuazione. Il che significa che occorre osservare
con cura e discernimento le conseguenze dell'azione. Un'at tività
che non è arrestat a per osservare
quali sono le sue conseguenze può suscitare gioia per un momento. Ma
intellettualmente non reca nessun frutto. Non fornisce conoscenza alle
situazioni in cui si compie l'azione e non può condurre al chiarimento e alla
espansione delle idee.
In terzo luogo, il metodo dell'intelligenza quale si
manifesta nelle diverse tappe del procedimento sperimentale esige che si
conservino tracce delle idee, delle at tività
e delle conseguenze osservat e.
Conservare tracce significa che la riflessione riconsideri e compendi
operazioni che comprendono tanto il discernimento quanto il ricordo dei trat ti più significat ivi
di un'esperienza in corso. Riconsiderare significa riesaminare
retrospettivamente quel che è stat o
fat to in modo da estrarne i significat i netti, che sono il capitale di cui si vale
l'intelligenza nelle esperienze future. È qui il cuore dell'organizzazione
intellettuale e della disciplina mentale.
Sono stat o
costretto ad esprimermi in termini generali e spesso astrat ti.
Ma quel che è stat o detto è
strettamente connesso con la seguente richiesta: le esperienze per essere educat ive devono sfociare in un mondo che si espande in
un programma di studio, programma di fat ti,
di notizie e di idee. A questa condizione si soddisfa solo a pat to che l'educat ore
consideri insegnare e imparare come un continuo processo di ricostruzione dell'esperienza.
Questa condizione a sua volta può essere soddisfat ta
solo a pat to che l'educat ore guardi lontano dinanzi a sé, e consideri ogni
esperienza presente come una forza propulsiva per le esperienze future. So che
l'accento che ho posto sul metodo scientifico può dar luogo ad erronee
interpretazioni; si può supporre che io intenda riferirmi alla tecnica speciale
delle ricerche di laborat orio come è
esercitat a dalla gente del mestiere.
Ma il risalto ch'io ho dat o al
metodo scientifico ha poco a che fare con le tecniche degli specialisti. Vuol
significare soltanto che il metodo scientifico è l'unico mezzo autentico a
nostra disposizione per cogliere il significat o
delle nostre esperienze quotidiane del mondo in cui viviamo. Vuol significare
che il metodo scientifico offre un modello efficace del modo in cui e delle
condizioni sotto le quali sono adoperat e
le esperienze per ampliare sempre più il nostro orizzonte. L'adat tare il metodo agli individui di vari gradi di mat urità è problema dell'educat ore,
e i fat tori costanti del problema
sono la formazione delle idee, operanti sulle idee, l'osservazione delle
condizioni che ne risultano e l'organizzazione di fat ti
e idee per l'uso futuro. Né le idee, né le at tività,
né le osservazioni, né l'organizzazione sono le medesime per un individuo di
sei, di dodici o di diciotto anni, per tacere dello scienziat o adulto. Ma in tutti i gradi, se l'esperienza è
effettivamente educat iva si constat a un processo d'espansione dell'esperienza. Ne
consegue che, quale sia il grado della esperienza, non abbiamo altra scelta: o
agire in conformità del modello ch'essa ci offre o trascurare la funzione
dell'intelligenza nello sviluppo e nel controllo di un'esperienza vivente e
propulsiva.
8. L’esperienza mezzo e fine dell'educazione
In quel che ho detto ho preso per concessa la solidità dal
principio che l'educazione per conseguire i suoi fini così nei riguardi
dell'alunno singolo come in quello della società, deve essere basata
sull'esperienza della vita di qualche individuo. Non ho perorato a favore di
questo principio né ho tentato di giustificarlo. I conservatori non meno dei
radicali nell'educazione sono profondamente insoddisfatti della presente
situazione dell'educazione presa nel suo complesso. C'è almeno fondamentale accordo
fra persone intelligenti di ambedue gli indirizzi educativi. Il sistema
educativo deve prendere l'una via o l'altra, o retrocedere ai principi
intellettuali e morali di un'età prescientifica o avanzare verso
un'utilizzazione sempre maggiore del metodo scientifico per promuovere le
possibilità di un'esperienza in via d'accrescimento e di espansione. Mi sono
limitato a mettere in rilievo qualcuna delle condizioni che devono essere
assolte in modo soddisfacente, se l'educazione si pone per la seconda via.
Ho tale fiducia nelle capacità di un'educazione che sia
diretta intelligentemente a sviluppare le possibilità implicite nell'esperienza
ordinaria che non credo necessario criticare qui l'altro indirizzo né addurre
argomenti a favore di chi prende la via dell'esperienza. C'è una sola
eventualità in cui l'indirizzo ch'io propugno potrebbe fallire, che si
concepiscano in modo inadeguato esperienza e metodo sperimentale. Non c'è nel
mondo disciplina più severa della disciplina dell'esperienza assoggettata al controllo
di uno svolgimento e di una direzione intelligente. Ne consegue che l'unico
motivo di una temporanea reazione contro le norme, i fini e i metodi della
nuova educazione non potrà essere che l'incapacità degli insegnanti che l'hanno
adottata a interpretarla in modo fedele nella pratica della loro scuola. Come
ho messo in risalto più di una volta, la via della nuova educazione non è più
agevole dell'antica; essa è più penosa e difficile. E così rimarrà sino a che
non avrà raggiunto la maggiore età e questa non sarà raggiunta se non dopo
molti anni di seria e attiva collaborazione di tutti coloro che aderiscono ad
essa. Il maggior pericolo, per il suo futuro, io credo sia l'idea che essa è
una via agevole, così agevole che la si può improvvisare, se non all'istante,
per lo meno di giorno in giorno, di settimana in settimana. Per questa ragione
invece di celebrare i suoi principi, mi sono dedicato a mostrare talune delle
condizioni che devono essere adempite, se essa deve ottenere il successo che ha
diritto di aspettarsi.
Ho adoperato spesso nelle pagine precedenti le parole
educazione "progressiva" o "nuova". Ma prima di chiudere
desidero ricordare la mia ferma fede, che il punto essenziale non è già la
contrapposizione di educazione nuova e vecchia, di educazione progressiva e
tradizionale, ma il problema che cosa si deve fare perché il nostro fare meriti
il nome di educazione. Non sono, spero e credo, favorevole a certi fini o a
certi metodi semplicemente perché si possono denominare progressivi. Il problema
fondamentale concerne la natura dell'educazione senza aggettivi. Quel che
desideriamo e che ci occorre è l'educazione pura e semplice, e faremo progressi
più sicuri e definitivi quando ci applicheremo a scoprire che cosa sia
propriamente l'educazione e quali condizioni l'educazione cessi di essere un
nome o uno slogan per diventare una realtà. Per questa ragione unicamente ho
insistito sulla necessità di una solida filosofia dell'esperienza.
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