Sebbene
residente in Israele, “Stato del popolo ebraico”, ho seguito da
vicino il dibattito in Francia su antisemitismo e antisionismo. Se
qualsiasi discorso antiebraico nel mondo continua a preoccuparmi,
avverto una certa repulsione contro il diluvio di ipocrisia e
manipolazione orchestrata da tutti quelli che ora vogliono
incriminare chiunque critichi il sionismo.
Iniziamo con i
problemi di definizione. Già da molto tempo mi sento a disagio, non
solo per la recente formula in voga: “civiltà giudaico-cristiana”,
ma anche davanti all’uso tradizionale del vocabolo “antisemitismo”.
Questo termine, come sappiamo, è stato inventato nella seconda metà
del 19° secolo da Wilhelm Marr, nazional-populista tedesco che
detestava gli ebrei. Nello spirito di quel tempo, coloro che usavano
quel termine avevano come presupposto fondamentale l’esistenza di
una gerarchia di razze in cima alla quale si trova l’uomo bianco
europeo, mentre la razza semita occupa un rango inferiore. Uno dei
fondatori della “scienza della razza” fu, come sappiamo, il
francese Arthur Gobineau.
Ai nostri giorni, la Storia un pochino
più seria non conosce altro che delle lingue semitiche (l’aramaico,
l’ebraico e l’arabo, che si sono diffuse nel Vicino Oriente),
mentre, al contrario, non conosce nessuna razza semitica. Sapendo che
gli ebrei d’Europa non parlavano correntemente l’ebraico, che era
utilizzato solo per la preghiera (come i cristiani usavano il
latino), è difficile considerarli come semiti.
Bisogna forse
ricordare che il moderno odio razziale contro gli ebrei è,
soprattutto, un’eredità delle chiese cristiane? Dal quarto secolo,
il cristianesimo si è rifiutato considerare l’ebraismo come una
religione legittima concorrente, e da lì, ha creato il famoso mito
dell’esilio: gli ebrei sono stati esiliati dalla Palestina per
avere partecipato all’omicidio del figlio di Dio – pertanto, è
opportuno umiliarli per dimostrare la loro inferiorità. Ma occorre
sapere che non c’è mai stato un esilio degli ebrei di Palestina,
e, fino ad oggi, non troveremo alcun testo di ricerca storica sul
tema!
Personalmente, faccio parte di quella scuola di pensiero
tradizionale che rifiuta di vedere gli ebrei come un popolo-razza
estraneo all’Europa. Già nel 19° secolo, Ernest Renan, dopo
essersi liberato del suo razzismo, aveva affermato che: “L’ebreo
delle Gallie … era, molto spesso, solo un gallo che professava la
religione israelita.” Lo storico Marc Bloch ha specificato che gli
ebrei sono: “Un gruppo di credenti reclutati precedentemente in
tutto il mondo mediterraneo, turco-cazaro e slavo”. E Raymond Aron
aggiunge: “I cosiddetti ebrei, per la maggior parte, non sono
biologicamente dei discendenti delle tribù semitiche …”. La
giudeofobia, tuttavia, si è sempre ostinata a vedere gli ebrei non
come un’importante fede, ma come una nazione straniera.
Il
lento declino del cristianesimo come credo egemonico in Europa,
purtroppo non è stato accompagnato da un declino della forte
tradizione giudeofobica. I nuovi “laici” hanno trasformato l’odio
e la paura ancestrale in moderne ideologie “razionaliste”.
Possiamo quindi trovare pregiudizi sugli ebrei e sull’ebraismo non
solo in Shakespeare o Voltaire, ma anche in Hegel e Marx. Il nodo
gordiano tra ebrei, ebraismo e denaro sembrava ovvio tra le élite
istruite. Il fatto che la stragrande maggioranza dei milioni di ebrei
nell’Europa orientale abbiano sofferto di fame e vissuto in povertà
non ha avuto assolutamente alcun effetto su Charles Dickens, Fiodor
Dostoevskij, né su una larga parte della sinistra europea. Nella
Francia moderna la giudeofobia ha conosciuto bei giorni non solo con
Alphonse Toussenel, Maurice Barrès e Edouard Drumont, ma anche con
Charles Fourier, Pierre-Joseph Proudhon e anche, per un certo tempo,
con Jean Jaures e Georges Sorel.
Con il processo di
democratizzazione la giudeofobia ha costituito un elemento immanente
tra i pregiudizi delle masse europee: l’affair Dreyfus si è
dimostrato un evento “emblematico”, in attesa di essere superato,
e di gran lunga, dallo sterminio di ebrei durante la seconda guerra
mondiale. È tra questi due avvenimenti storici che il sionismo è
nato come idea e movimento.
Va ricordato, tuttavia, che fino
alla seconda guerra mondiale, la stragrande maggioranza degli ebrei e
dei loro discendenti laici erano antisionisti. Non c’era solo
l’ortodossia, forte e organizzata, ad indignarsi all’idea di
accorciare i tempi della redenzione emigrando in Terra Santa; anche
le correnti religiose più moderniste (riformatori o conservatori)
erano fortemente contrarie al sionismo. Il Bund, partito laico
dell’Impero russo e poi della Polonia indipendente in cui la
maggior parte dei socialisti era di madre lingua yddish, considerava
i sionisti come alleati naturali dei giudeofobi. I comunisti di
origine ebraica non perdevano occasione di condannare il sionismo
come complice del colonialismo britannico.
Dopo lo sterminio
degli ebrei d’Europa, i sopravvissuti che non erano riusciti a
trovare in tempo rifugio nell’America del Nord, o nell’URSS,
addolcirono la loro relazione ostile al sionismo, anche perché la
maggior parte dei paesi occidentali e del mondo comunista avevano
riconosciuto lo stato di Israele. Il fatto che la creazione di questo
stato sia stata effettuata nel 1948 a spese della popolazione araba
indigena non disturbò granché. L’ondata della decolonizzazione
era ancora agli inizi e non era un dato da prendere in
considerazione. Israele fu quindi percepito come uno stato-rifugio
per gli ebrei erranti, senza ricovero né focolare.
Il fatto che
il sionismo non sia riuscito a salvare gli ebrei d’Europa e che i
sopravvissuti desiderassero emigrare in America, e nonostante la
percezione del sionismo come un’impresa coloniale nel pieno senso
del termine, non altera un dato significativo: la diagnosi sionista
riguardante il pericolo che incombeva sulla vita degli ebrei nella
civiltà europea del ventesimo secolo (non affatto
giudeo-cristiana!), si era rivelata corretta. Theodore Herzl, il
pensatore dell’idea sionista, aveva, meglio dei liberali e dei
marxisti, compreso i giudeofobi del suo tempo.
Ciò non
giustifica, tuttavia, la definizione sionista secondo cui gli ebrei
formano un popolo-razza. Né giustifica la visione dei sionisti che
la Terra Santa è la patria nazionale sulla quale avrebbero diritti
storici. I sionisti hanno tuttavia creato un fatto politico compiuto
e qualsiasi tentativo di cancellarlo si tradurrebbe in nuove tragedie
di cui sarebbero vittime le due popolazioni che ne sono risultate:
israeliana e palestinese.
Allo stesso tempo bisogna ricordarsi e
ricordarlo: se non tutti i sionisti rivendicano la continuazione del
dominio sui territori conquistati nel 1967, e se molti di loro non si
sentono a proprio agio con il regime di apartheid che Israele vi
esercita da 52 anni, tutti quelli che si definiscono sionisti
continuano a vedere in Israele, almeno nei suoi confini del 1967, lo
stato degli ebrei del mondo intero e non una Repubblica per tutti gli
israeliani, un quarto dei quali non sono considerati ebrei, di cui il
21% sono arabi.
Se una democrazia è fondamentalmente uno stato
che aspira al benessere di tutti i suoi cittadini, di tutti i suoi
contribuenti, di tutti i bambini che vi nascono, Israele, al di là
del pluralismo politico esistente, è, in realtà, una vera e propria
etnocrazia come erano la Polonia, l’Ungheria e altri stati
dell’Europa orientale, prima della seconda guerra mondiale.
Il
tentativo del presidente francese Emmanuel Macron e del suo partito
di criminalizzare oggi l’anti-sionismo come una forma di
antisemitismo mostra di essere una manovra cinica e manipolatoria. Se
l’antisionismo diventa un crimine, mi sento di raccomandare a
Emmanuel Macron di far condannare con effetto retroattivo, il
bundista Marek Edelman, che fu uno dei leader del ghetto di Varsavia
e totalmente anti-sionista. Si potrebbe anche inviare a processo i
comunisti anti-sionisti che, piuttosto che emigrare in Palestina,
scelsero di combattere, armi in pugno, contro il nazismo, cosa che ha
loro conquistato un posto sul “manifesto rosso”.
Se intende
essere coerente nella condanna retroattiva di tutti i critici del
sionismo, Emmanuel Macron dovrà aggiungere la mia insegnante
Madeleine Rebérioux, che ha presieduto la Lega dei diritti umani,
l’altro mio insegnante e amico Pierre Vidal-Naquet e, naturalmente,
anche Eric Hobsbawm, Edward Saïd e molte altre eminenti figure, ora
scomparse, ma i cui scritti sono ancora autorevoli.
Se Emmanuel
Macron desidera attenersi a una legge che reprime gli anti-sionisti
ancora viventi, la cosiddetta futura legge dovrà applicarsi anche
agli ebrei ortodossi di Parigi e New York che rifiutano il sionismo,
a Naomi Klein, Judith Butler, Noam Chomsky e molti altri umanisti
universalisti, in Francia e in Europa, che si autoidentificano come
ebrei pur dichiarandosi anti-sionisti.
Si troveranno,
naturalmente, molti idioti antisionisti e giudeofobi, come non
mancano dei pro-sionisti imbecilli, pure giudeofobi, ad augurare che
gli ebrei lascino la Francia e emigrino nello Stato di Israele. Li
includerà in questa grande impennata giudiziaria? Stia attento,
signor Presidente, a non lasciarsi trascinare in questo ciclo
infernale, proprio quando la popolarità è in declino!
Per
concludere, non penso ci sia un aumento significativo
dell’antigiudaismo in Francia. Questo è sempre esistito, e temo,
purtroppo, che abbia davanti a sé ancora giorni buoni. Non ho dubbi,
tuttavia, che uno dei fattori che gli impedisce di regredire, in
particolare in alcuni quartieri in cui vivono persone immigrate, è
precisamente la politica praticata da Israele contro dei palestinesi:
quelli che vivono come cittadini di seconda classe all’interno
dello “stato ebraico” e quelli che, da 52 anni, subiscono
un’occupazione militare e una colonizzazione brutali.
Facendo
parte di coloro che protestano contro questa tragica situazione,
sostengo con tutte le mie forze il riconoscimento del diritto
all’autodeterminazione dei palestinesi e sono favorevole alla
“desionizzazione” dello Stato di Israele. Dovrò, in questo caso,
temere che la mia prossima visita in Francia mi porti davanti a un
tribunale?
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