domenica 24 novembre 2019

Geraldina Colotti intervista Alessandra Ciattini

Da: Le Monde Diplomatique, il manifesto, 2019 -
DALLA MAGIA ALLA STREGONERIA Cambiamenti sociali e culturali e la caccia alle streghe, Alessandra Ciattini (a cura di), LA CITTA' DEL SOLE, 15 euro.



L'ultimo lavoro curato dalla studiosa Alessandra Ciattini s'intitola Dalla magia alla stregoneria. Cambiamenti sociali e culturali e la caccia alle streghe. Una raccolta di saggi che, in prospettiva marxista e con taglio multidisciplinare, analizza il rapporto fra credenze e strutture sociali, aggiungendo altri spunti di riflessione a un filone di studi sempre stimolante. Ne abbiamo parlato con la curatrice, docente di Antropologia culturale alla Sapienza.



Come è nato questo lavoro? 

Il libro è nato per mettere insieme studiosi con competenze diverse che hanno indagato i vari aspetti della magia-stregoneria: storia, antropologia, diritto, arte, scienza. In questo senso, costituisce probabilmente una novità, i cui obiettivi sono mettere in evidenza la complessità dei processi storici, la non linearità del rapporto fra struttura e sovrastruttura, l'idea della storia come continuo progresso. Infatti come si può ricavare dal libro, in particolare dal saggio di Federico Martino, se la storia faticosamente avanza, fa anche dei clamorosi passi indietro, come stiamo sperimentando oggi. Per questa ragione mi piace la metafora, utilizzata da Luciano Canfora, che descrive il processo storico come una spirale.

In che termini avete indagato la relazione fra credenza e politica? 

Parlare della relazione tra i vari sistemi di credenze o ideologie presenti in una certa società è certo una questione ardua, soprattutto se si vuole agire nella dimensione politica, in cui la coscienza costituisce un fattore determinante. Una visione semplicistica, a proposito del valore di verità delle ideologie, è quella che contrappone la verità intesa come assoluta (dogma) alla verità relativa (ognuno crede quello che vuole). Quest'ultima tesi scaturisce dal relativismo, che giunge fino a negare l'esistenza di una realtà esterna alla nostra mente, e che è stato oggetto di forti critiche da parte dei papi. E' abbastanza chiaro che se un punto di vista non ha basi conoscitive solide, l'agire su cui si basa è paralizzato, e si cade nel nichilismo. Niente di nuovo sotto il sole. Un marxista, in quanto dialettico, propone una terza via, quella della storicità della verità: qualcosa è più vero di qualcos'altro perché qualcuno in un certo momento storico ha a disposizione schemi teorici più potenti, elementi documentali ed argomentativi più convincenti che lo conducono ad una spiegazione più esauriente e completa di altre spiegazioni. Nessuna ricerca dell’assoluto e nessuna fiducia nel soggettivismo. Questo è il senso del famoso nesso tra teoria e prassi, che implica l’inevitabile legame tra i due momenti per evitare sia l’astratto intellettualismo che il gretto pragmatismo. E’ questo vincolo che consente la verifica della conoscenza acquisita.

A quali filoni di pensiero attinge la ricerca su un tema così frequentato dagli studiosi? 

L’approccio adottato dal libro è multifattoriale, evita, pertanto, ogni forma di riduzionismo e si richiama ad autori operanti in ambiti diversi. Direi che in esso è centrale il concetto di formazione sociale che si articola in vari livelli, i quali reagiscono l’uno sull’altro mutuamente. Ogni autore ha scelto liberamente i suoi riferimenti bibliografici a seconda del tema trattato; naturalmente non abbiamo potuto dar conto di tutti gli studi che si sono sviluppati sul tema della stregoneria, sulla sua trasformazione in eresia alla fine del Quattrocento; trasformazione che ha dato luogo alla caccia alle streghe meno sanguinosa di quel che si pensa comunemente. Altro tema centrale è l’emergere della riflessione scientifica, non seccamente contrapposta a quell’interesse per la magia naturale, che appare nella stessa epoca e che trasmette al filosofo della natura l’immagine dell’uomo non più pavidamente sottomesso alle leggi divine.

Qual è stato il tuo percorso politico e professionale e quali correnti di pensiero ti hanno formato?

Provengo da una famiglia toscana, in cui gli uomini sono sempre stati dei militanti e degli intellettuali, pur non raggiungendo la notorietà. Per essere breve, mio nonno, era autodidatta, aveva nei primi anni del Novecento una casa editrice che pubblicava una rivista intitolata Pagine libere e tante altre cose. Mio padre ha militato nei GAP, per diventare poi giornalista dell’Unità e di Paese sera, ma era anche un poeta e ha pubblicato racconti e romanzi. Lui si è occupato della mia educazione: mi dava libri da leggere, anche in francese e mi aiutava negli studi. Per farmi comprendere la società schiavistica mi fece leggere parte del famoso Sergeij Kovaliov, per esempio, avviandomi al marxismo, di cui però non era uno specialista. Soprattutto non era dottrinario. Mi ricordo che aveva una speciale predilezione per Joice e che leggeva Nietzsche, cosa non ben vista dai membri del PCI, di cui ha fatto parte sino alla sua morte, avvenuta prima della sua vergognosa dissoluzione. Quando presi la maturità mi fece leggere Tristi tropici di Levi-Strauss, sollecitando in me l’interesse per il mondo extra-occidentale, che rappresentava allora un’alternativa al nostro e che sembrava si sarebbe liberato dall’oppressione imperialistica. Per questo mi misi a studiare Etnologia alla Sapienza (l’Antropologia culturale ancora non esisteva).

Il tuo è anche un impegno sindacale. Puoi spiegarci in che consiste e come si manifesta nella crisi conclamata del sistema universitario? 

Sono decenni che, dopo aver abbandonato la CGIL, appartengo all’Associazione Nazionale Docenti Universitari, assai combattiva negli anni ‘70. Siamo quattro gatti, ma continuiamo con le nostre proposte a difendere l’università pubblica, democratica ed inclusiva. Un compito assai difficile per vari motivi. I docenti universitari si considerano dei privilegiati (e lo sono per il loro stipendio, per il facile accesso alla carriera politica), non sono sindacalizzati e quindi sono sempre pronti a difendere lo status quo. Proporre loro uno sciopero per salvaguardare il numero degli studenti (sono diminuiti 40.000), dei docenti (ne mancano 20.000), il diritto allo studio (studenti idonei senza borsa), misure per ristrutturare gli atenei degradati, per creare laboratori, attrezzature mancanti, per affrontare e risolvere il problema gravissimo del precariato (50.000 individui ormai con più di 45 anni), per finanziare adeguatamente la ricerca di base costituisce per loro un’idea sconvolgente. Bisogna evitare che gli studenti perdano le lezioni – dicono, dimenticandosi che non fare nulla ha portato a tutto questo, da cui deriva l’emigrazione dei nostri laureati, la stagnazione dei centri di ricerca, il mancato rinnovo del corpo docente, l’orientamento della ricerca verso gli interessi delle imprese, i cui rappresentanti del resto ora sono presenti nei consigli di amministrazione etc. Il degrado culturale si condensa nella crisi della riflessione teorica (parlo delle scienze sociali) e nell’orientamento verso ricerche altamente specializzate e parcellizzate, che mettono in discussione l’esistenza stessa della scienza come ricerca di regolarità sia pure probabilistiche o tendenziali. Nell’ambito scientifico-naturale prevalgono le ricerche orientate all’acquisizione di brevetti spendibili sul mercato. Dopo decenni di tagli occorrono misure straordinarie. Accludo il link dell’ultimo nostro documento: http://www.andu-universita.it/2019/09/17/ruolo-unico/

Geraldina Colotti


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