Leggi anche: https://www.ilsussidiario.net/news/caso-mes-cosi-leuropa-grazie-a-conte-fara-fuori-le-nostre-banche
Vedi anche: https://www.byoblu.com/2019/11/21/la-lezione-che-la-germania-non-ha-imparato-vladimiro-giacche/
Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa ricerche (Cer), in audizione alla Camera davanti alle commissioni Bilancio e Politiche Ue sul funzionamento del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e sulle sue prospettive di riforma (https://webtv.camera.it/evento/15445#) ha dichiarato come sia forse venuto il momento
"di prendere atto che la soluzione - consistente nell'avviare un processo di generalizzazione del modello export driven tedesco, considerato tale da poter rendere simili tutti i Paesi dell'Eurozona e scongiurare l'eventualità si shock asimmetrici - non ha dato i frutti sperati. Né si può pensare di procedere introducendo, quasi per inerzia, sempre nuovi elementi di rigidità e sempre nuove condizionalità nelle politiche economiche e di bilancio. Occorrerebbe uscire da una trappola evoluzionista che, nonostante gli evidenti fallimenti, continua a incentrare ogni innovazione istituzionale dell'area sul principio originario dell'assimilazione ad un presunto modello migliore. Un modello che, peraltro, sta proprio in questi mesi incontrando i propri limiti strutturali".
Sul caso specifico dell'Italia e prendendo a riferimento anche le parole recenti del Governatore Visco ha aggiunto come:
"l'Italia appartiene al novero di Paesi che non sono mai incorsi in un default del debito pubblico in tempi di pace, mentre non altrettanto può dirisi di altre economia dell'Eurozona, quali in primis la Germania, ma anche l'Austria, il Portogallo, la Spagna e la Grecia. Il default del debito di Paesi economicamente avanzati è un fenomeno estremamente raro, e anzi mai verificatosi, con la sola eccezione della Grecia, negli ultimi 65 anni. E' importante tenere a mente questi dati di base, perchè nella proposta di riforma del Mes l'attenzione appare concentrata soprattutto sull'eventualità di un rischio sistemico generato all'interno dell'Eurozona dal default del debito pubblico di uno dei Paesi membri".
"La proposta di riforma del Mes va in direzione di accentuare, anzichè ridurre, questa inefficienza caratterizzata dal rallentamento del Pil nominale in proporzione più accentuato del miglioramento del saldo di bilancio. In questi anni, nell'Eurozona, è aumentata la dipendenza dalla crescita della domanda estera. A tale dipendenza si fa riferimento, almeno indirettamente, nella proposta di riforma del Mes. Si tratta tuttavia di un richiamo nettamente sottodimensionato rispetto all'attenzione prestata agli indicatori di finanza pubblica. Sebbene questa sproporzione possa sembrare ovvia, dal momento che si vuole associare il Mes a rischi inerenti il debito pubblico, essa rappresenta invece un ennesimo errore di prospettiva nell'impostazione della politica economica europea".
"Il Mes costituisce un ulteriore rafforzamento delle regole che disciplinano la politica di bilancio dei Paesi dell'Eurozona, muovendosi in perfetta linea di continuità con le modifiche apportate al Patto di stabilità nel 2012. Riguardo agli aspetti più tecnici della riforma, posso anticipare di condividere le argomentate perplessità già espresse in questa sede dal professor Giampaolo Galli. Occorre porsi due domande di fondo: il Mes è utile all'Eurozona? è utile all'Italia? Riguardo alla prima domanda, per rispondere occorre verificare in quale misura il debito pubblico - e in generale i problemi inerenti alla disciplina di bilancio - costituiscano oggi un fattore di rischio per la moneta unica. Ci sono pochi dubbi sul fatto che l'Eurozona si sia tenuta nel suo insieme ai precetti della disciplina di bilancio, e questo si è riflesso sulle dinamiche del debito, che sono più favorevoli nell'Eurozona rispetto a Stati Uniti e Regno Unito. Ciononostante, il debito è aumentato anche nell'Eurozona, e questo fatto sta spingendo verso l'adozione di meccanismi di controllo ancora più stringenti. Obiettivo a cui mira la riforma del Mes. In sostanza, si ritiene che, non essendo stato conseguito l'obiettivo di riduzione del debito, debba essere rafforzata la disciplina dei Paesi membri. Si compie, a nostro giudizio, un errore di analisi che non dovrebbe essere avallato".
"La discussione sulla riforma del Mes non può prescindere dalla possibile evoluzione" negativa "degli scambi mondiali e del ciclo di crescita, per un motivo molto semplice: si tratta di fattori che incidono direttamente anche sulle prospettive delle finanze pubbliche. Ci troviamo nuovamente di fronte al tipico problema di uno shock simmetrico - una contrazione degli scambi mondiali - che può generare effetti asimmetrici sulle singole economie. Di fronte ad un indebolimento delle previsioni di crescita, i mercati potrebbero adottare un comportamento di 'flight to quality', e penalizzare quindi i Paesi con maggiore livello di debito pubblico come l'Italia. Questo, indipendentemente dall'effettiva capacità del sistema economico di contrastare lo shock di origine. Capacità che, al momento, appare essere maggiore in Italia che in Germania".
E la conclusione di Giacchè è chiara:
"Per l'Italia è prioritaria l'esigenza di ritornare su un sentiero di rientro del debito pubblico ma deve essere chiaro che la riforma del Mes non è un meccanismo facilitatore in tal senso. Al contrario, così come sono stati predisposti, gli strumenti di assistenza finanziaria sembrano perfetti per innescare una nuova crisi del debito, perseverando in tal modo nei gravi errori del 2011-12"
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