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Riflessioni 14... - Stefano Garroni
Quanto segue è niente di più che una breve nota scritta da un non specialista che si sforza di leggere Marx.
Il testo preso in esame è “Per la critica della filosofia del diritto pubblico di Hegel. Introduzione” del 1844. Si tratta, com’è largamente noto, di uno degli scritti del giovane Marx ancora alle prese con la sua coscienza filosofica di hegeliano di sinistra ma già sulla via di arrivare, con essa, ad un resa dei conti che troverà le sue espressioni maggiori nella “Sacra famiglia” e, soprattutto, nell’“Ideologia tedesca”.
È famosa l’idea centrale che Marx espone in questo breve saggio e che si riporta di seguito integralmente:
“Dove è dunque” scrive Marx “la possibilità positiva dell’emancipazione tedesca? Si risponde: nell’educazione di una classe radicalmente incatenata , di una classe della società borghese che non è una classe della società borghese, di uno stato sociale che è la sparizione di tutti gli stati sociali; di una sfera che ottiene dalle sue universali sofferenze un carattere universale e non accampa nessun diritto speciale, perché essa non patisce una speciale ingiustizia ma l’ingiustizia semplicemente, che non può più fare appello a un titolo storico, ma solo a un titolo umano che non si trova in alcun contrasto particolare con le conseguenze, bensì in un universale contrasto con i presupposti dell’ordinamento pubblico tedesco; di una sfera, finalmente, che non si può emancipare senza emanciparsi da tutte le altre sfere della società e senza emanciparle a loro volta; che, in una parola, è il completo annientamento dell’uomo, e quindi si può riabilitare solo con la completa riabilitazione dell’uomo. Questo stato speciale in cui la società va a sciogliersi è il proletariato”.
È questo probabilmente il primo luogo dell’opera di Marx in cui avviene il riconoscimento del carattere rivoluzionario del proletariato. Ma l’osservazione principale che va fatta a questo proposito è che tale riconoscimento riguarda, in modo determinato, il proletariato di una nazione che Marx giudica, dal punto di vista politico e sociale, la più arretrata d’Europa. È infatti la Germania del 1844 uno stato in cui i caratteri feudali sono ancor ben presenti: e la stessa società tedesca, qualificata da Marx con epiteti quali “egoista” e “mediocre”, vive con supina acquiescenza la soggezione a una forma politica che per il resto dell’Europa costituisce sempre di più un residuo.
Paragonandola alla Francia, Marx si esprime in questi termini:
“...in Germania manca...ad ogni stato sociale quell’apertura di anima che l’identifica, sia pure momentaneamente, con l’anima del popolo; manca quella genialità che fa della forza materiale un potere politico, manca quell’andamento rivoluzionario che getta in faccia all’avversario l’insolente parola: Io non sono nulla e dovrei esser tutto“.
Manca cioè alla Germania quel soggetto consapevole di sé e dei propri interessi e capace di unificare l’intera società contro un nemico comune: insomma, qualcosa di simile al Terzo Stato francese dell’89. La borghesia francese ha isolato e combattuto le classi feudali perché contrastavano i suoi interessi e ha convinto una parte del clero e gli strati artigiani e operai delle città che conveniva loro schierarsi sotto le sue bandiere: tutto ciò in Germania non solo non è avvenuto ma, a giudizio di Marx, continuerà a non avvenire. Non saranno le classi medie a prendere l’iniziativa, non sarà la burocrazia nè l’aristocrazia nè, tantomeno, il re. Queste classi continueranno una sterile battaglia reciproca senza nessuna capacita nè volontà di trasformazione politica e, soprattutto, senza ideali.
Resta, sullo sfondo, il solo proletariato che è però, e va sottolineato, il proletariato tedesco.
A questo punto è opportuno sottolineare, ricorrendo a una schematizzazione, il complesso movimento della riflessione di Marx. Ci troviamo di fronte a una doppia articolazione:
1. la Germania ha portato a termine, attraverso lo mascheramento dell’alienazione religiosa (Feuerbach) “la premessa d’ogni critica” ma esclusivamente sul piano teorico. Ha anche sviluppato, con la Filosofia del diritto pubblico di Hegel, una teoria compiuta dello stato moderno ma solo “nel pensiero” mentre, sul piano politico, si trova ancora presa nelle maglie di una versione, seppur farsesca, dell’ancient régime. Differentemente:
2. le nazioni politicamente più avanzate (Francia e Inghilterra) nel momento in cui Marx scrive stanno già facendo i conti con le contraddizioni dello stato moderno che in quelle nazioni sono ormai effettive e urgenti. In conseguenza di questo stato di cose:
3. Marx ritiene che il cambiamento delle condizioni politiche in Germania non possa arrestarsi alla liberazione dai residui feudali e all’instaurazione di una forma moderna di stato borghese ma richieda ormai una critica radicale di questa stessa forma statuale. Tale necessità si pone oggettivamente a fronte della mancanza, in Germania, di una borghesia rivoluzionaria capace di assumere l’iniziativa. Insomma, la Germania, con Hegel , ha “pensato” ciò che gli altri hanno fatto: ma non disponendo del soggetto politico e storico in grado di trasformare in senso borghese la società, non può che superare, cioè negarla realizzandola, la stessa filosofia hegeliana. È proprio questo che:
4. porta Marx a individuare nel proletariato (tedesco) la sola forza in grado di cambiare le cose. Sembra che debba, o almeno possa, essere questa classe-non classe a prendere in mano una situazione stagnante e senza sbocchi. Perciò la trasformazione tedesca avrà, o potrà avere, un carattere di radicalità così profondo da configurarsi come una totale emancipazione umana oltre che politica.
La filosofia non potrà realizzarsi che negandosi in una prassi rivoluzionaria: e quest’ultima annienterà la filosofia realizzandola. Ma tale realizzazione dovrà avere come esito una società che, nelle sue forme politiche e nella sua dimensione etica, superi lo stato e la società borghesi e la stessa filosofia che in esse si esprime.
Questo ardito movimento dialettico mette in luce, a me sembra, due aspetti che torneranno nel pensiero e nell’esperienza marxista del novecento.
Il primo è quello che, con l’Ottobre sovietico, vedrà saltare l’ “anello debole” grazie all’azione di un proletariato che agisce con determinazione, certo, ma in condizioni che, secondo il marxismo di Kautsky e Plekhanov, non potevano prestarsi a trasformazioni rivoluzionarie. Si tratta della famosa “Rivoluzione contro il Capitale” di Gramsci e dell’emergere del fattore politico come determinante e prevalente anche sopra e contro le “condizioni oggettive”.
Il secondo è lo stabilirsi, trasparente nell’allusione di Marx all’ ”istruzione” del proletariato (tedesco), di quel rapporto dialettico fra classe rivoluzionaria e teoria politica che somiglia molto all’idea leninista dell’apporto “dall’esterno” della coscienza operaia attraverso il partito.
È evidente che nel Marx del 1844 la rivoluzione proletaria non ha ancora assunto il senso determinato di una fuoriuscita dal modo di produzione capitalistico ma ha bensì l’aspetto di una liberazione umana dall’oppressione politica e dalla minorità sociale intesa in senso generico. Ma i due elementi della struttura teorica di fondo, che si rivelerà così importante nel secolo successivo appaiono, almeno in nuce, in questo scritto.
Arretratezza che si rovescia in iniziativa politica rivoluzionaria e alleanza fra intellettualità (filosofia) e diseredati: è possibile che i semi ideali di tutto ciò fossero già presenti nel ventiseienne Karl Marx. Forse circostanze sociali e politiche simili, almeno per alcuni aspetti, possono riflettersi in idee che a loro volta si somigliano e che, nel corso della storia, finiranno con l’incontrarsi di nuovo settant’anni dopo.
A questo punto è opportuno sottolineare, ricorrendo a una schematizzazione, il complesso movimento della riflessione di Marx. Ci troviamo di fronte a una doppia articolazione:
1. la Germania ha portato a termine, attraverso lo mascheramento dell’alienazione religiosa (Feuerbach) “la premessa d’ogni critica” ma esclusivamente sul piano teorico. Ha anche sviluppato, con la Filosofia del diritto pubblico di Hegel, una teoria compiuta dello stato moderno ma solo “nel pensiero” mentre, sul piano politico, si trova ancora presa nelle maglie di una versione, seppur farsesca, dell’ancient régime. Differentemente:
2. le nazioni politicamente più avanzate (Francia e Inghilterra) nel momento in cui Marx scrive stanno già facendo i conti con le contraddizioni dello stato moderno che in quelle nazioni sono ormai effettive e urgenti. In conseguenza di questo stato di cose:
3. Marx ritiene che il cambiamento delle condizioni politiche in Germania non possa arrestarsi alla liberazione dai residui feudali e all’instaurazione di una forma moderna di stato borghese ma richieda ormai una critica radicale di questa stessa forma statuale. Tale necessità si pone oggettivamente a fronte della mancanza, in Germania, di una borghesia rivoluzionaria capace di assumere l’iniziativa. Insomma, la Germania, con Hegel , ha “pensato” ciò che gli altri hanno fatto: ma non disponendo del soggetto politico e storico in grado di trasformare in senso borghese la società, non può che superare, cioè negarla realizzandola, la stessa filosofia hegeliana. È proprio questo che:
4. porta Marx a individuare nel proletariato (tedesco) la sola forza in grado di cambiare le cose. Sembra che debba, o almeno possa, essere questa classe-non classe a prendere in mano una situazione stagnante e senza sbocchi. Perciò la trasformazione tedesca avrà, o potrà avere, un carattere di radicalità così profondo da configurarsi come una totale emancipazione umana oltre che politica.
La filosofia non potrà realizzarsi che negandosi in una prassi rivoluzionaria: e quest’ultima annienterà la filosofia realizzandola. Ma tale realizzazione dovrà avere come esito una società che, nelle sue forme politiche e nella sua dimensione etica, superi lo stato e la società borghesi e la stessa filosofia che in esse si esprime.
Questo ardito movimento dialettico mette in luce, a me sembra, due aspetti che torneranno nel pensiero e nell’esperienza marxista del novecento.
Il primo è quello che, con l’Ottobre sovietico, vedrà saltare l’ “anello debole” grazie all’azione di un proletariato che agisce con determinazione, certo, ma in condizioni che, secondo il marxismo di Kautsky e Plekhanov, non potevano prestarsi a trasformazioni rivoluzionarie. Si tratta della famosa “Rivoluzione contro il Capitale” di Gramsci e dell’emergere del fattore politico come determinante e prevalente anche sopra e contro le “condizioni oggettive”.
È evidente che nel Marx del 1844 la rivoluzione proletaria non ha ancora assunto il senso determinato di una fuoriuscita dal modo di produzione capitalistico ma ha bensì l’aspetto di una liberazione umana dall’oppressione politica e dalla minorità sociale intesa in senso generico. Ma i due elementi della struttura teorica di fondo, che si rivelerà così importante nel secolo successivo appaiono, almeno in nuce, in questo scritto.
Arretratezza che si rovescia in iniziativa politica rivoluzionaria e alleanza fra intellettualità (filosofia) e diseredati: è possibile che i semi ideali di tutto ciò fossero già presenti nel ventiseienne Karl Marx. Forse circostanze sociali e politiche simili, almeno per alcuni aspetti, possono riflettersi in idee che a loro volta si somigliano e che, nel corso della storia, finiranno con l’incontrarsi di nuovo settant’anni dopo.
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