martedì 31 dicembre 2019

L’infamia riversata nella Storia: chi furono i veri alleati dei nazisti. - Fabrizio Poggi

Da: contropiano.org -
Leggi anche: A letto col Terzo Reich: L'alleanza nascosta degli USA con la Germania nazista contro l'Unione Sovietica. - Michel_Chossudovsky


Il mondo non è ancora entrato nel 2020, quando si celebreranno 75 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, che già si infuocano le discussioni – accese peraltro da molti mesi – sulle responsabilità per il suo scatenamento. O meglio: si infittiscono le grida dell’intera democrazia liberale sulle presunte “colpe di Stalin e dell’URSS”, per cercare di coprire le proprie, autentiche e verificate, collusioni col nazismo. 

Nella marcia a tappe forzate per la messa al bando del comunismo, la famigerata “risoluzione” settembrina del cosiddetto parlamento europeo è, per ora, il più raffinato capolavoro di menzogne su quelle responsabilità. Ma, nei prossimi mesi, con l’avvicinarsi del 9 maggio e dell’anniversario della capitolazione nazista, ci saranno infinite occasioni e necessità di tornare sul tema, che sicuramente farà il paio con quello di chi siano stati gli artefici della vittoria sul nazismo. 

Andrà ancora bene se la Wehrmacht e Casa Savoia non saranno associate agli Alleati nell’aver contribuito alla disfatta degli hitleriani: tutti, ovvio, dalla parte dei “buoni”; meno chi ha sopportato il 90% del peso della guerra, cioè l’Esercito Rosso e i popoli dell’URSS.

sabato 28 dicembre 2019

I danni economici dell’analfabetismo funzionale - Guglielmo Forges Davanzati

Da: Nuovo Quotidiano di Puglia” - Guglielmo Forges Davanzati 
Guglielmo Forges Davanzati, Università del Salento, è un economista italiano.
Leggi anche: Federico Caffè e l’«intelligente pragmatismo». (in appendice “Intervista a Federico Caffè” di «Sinistra 77») - Fernando Vianello  
                        L’economista in tuta da lavoro: Federico Caffè e il capitalismo in crisi - Riccardo Bellofiore 

Vi è ampia evidenza teorica ed empirica in merito al fatto che un’istruzione diffusa – oltre a essere desiderabile in quanto tale – è un rilevante fattore di crescita economica. Ciò fondamentalmente a ragione del fatto che l’acquisizione di conoscenze e competenze, sia attraverso i canali formali della scolarizzazione, sia attraverso i canali informali dell’acquisizione di conoscenze mediante reti amicali e relazionali (le c.d. soft skills), entra come input nel processo produttivo e agevola la crescita della produttività del lavoro.
La crescita economica italiana è al palo dalla svolta dei primi anni novanta, con le manovre restrittive dei Governi Amato e Ciampi (1992-1993), anche a causa del sistematico disinvestimento in istruzione, ricerca e sviluppo, dal momento che minore istruzione implica minore crescita. E vi è ampio accordo fra economisti in merito al fatto che il ventennio che inizia a far data dal 1998 è il peggiore della recente storia economica italiana in termini di tasso di crescita e andamento dell’occupazione.
A partire da quella data si fa strada quello che uno dei maggiori economisti italiani della seconda metà del Novecento, Federico Caffè, ebbe a definire l’allarmismo economico, con particolare riferimento – negli anni novanta e ancora più nel successivo decennio – alla convinzione diffusa che la disoccupazione italiana e, in particolare, la disoccupazione giovanile dipenda dal mismatch qualitativo fra domanda e offerta di lavoro. Ci si riferisce, in particolare, al fatto che si è incominciato a ritenere che la disoccupazione giovanile italiana dipenda dalla scarsa preparazione dei nostri giovani, quest’ultima imputabile all’incapacità delle nostre università di fornire conoscenze e soprattutto competenze tecniche adeguate a quelle domandate dalle nostre imprese.
Sia chiaro che il problema esiste, ma la narrazione dominante (e il connesso allarme) ne amplifica notevolmente le dimensioni. La realtà è che i nostri lavoratori, soprattutto giovani, ricevono per contro una preparazione adeguata, ma vengono assunti, laddove cioè accade, con contratti a tempo determinato, spesso in condizioni di sottoccupazione intellettuale e spesso costretti a emigrare o ad accettare forme di part-time involontario. Una condizione di precariato diffusa, con contratti di lavoro intermittenti, di incerta durata, che amplifica la spirale perversa composta da bassa crescita e peggioramento della qualità dell’occupazione. 

giovedì 26 dicembre 2019

HEGEL, PREFAZIONE DELLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO

Da: Hegel, Fenomenologia dello spirito, "Prefazione". - https://www.facebook.com/carla.fabiani/ - http://www.filosofico.net/Antologia_file/



La celebre Prefazione della Fenomenologia, portata a termine nel gennaio del 1807, fu concepita dal filosofo non solo come avviamento alla lettura dell’opera, ma come presentazione della posizione dell’autore; per questo si può considerare come una introduzione al sistema filosofico hegeliano. Nella Prefazione, Hegel ripercorre con un unico sguardo tutte le tappe del cammino fenomenologico, per coglierne il significato complessivo ed esporre la concezione di un sapere rigorosamente scientifico. Condizione essenziale di un tale sapere è che l’Assoluto non sia concepito come identità immota, ma come realtà che include anche le differenze; non solo come sostanza, ma anche come soggetto vivente che esce da sé, si fa altro da sé, negandosi, e, attraverso "il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo", ritorna a se stesso. L’assoluto, dunque, è il risultato di un processo di scissione e di riunificazione; ciò si può esprimere dicendo che "il vero è l’intero". 


"La vita di Dio e il conoscere divino potranno bene venire espressi come un gioco dell'amore con se stesso; questa idea degrada fino all'edificazione e a dirittura all'insipidezza quando mancano la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo. In sé quella vita è l'intatta eguaglianza e unità con sé, che non è mai seriamente impegnata nell'essere-altro e nell'estraneazione, e neppure nel superamento di questa estraneazione. Ma siffatto in-sé è l'universalità astratta, nella quale, cioè, si prescinde dalla natura di esso di essere per sé e quindi, in generale, dall'automovimento della forma (3). Qualora la forma venga espressa come eguale all'essenza, si incorre poi in un malinteso se si pensa che il conoscere stia pago allo in-sé o all'essenza, e possa invece fare a meno della forma; - se si pensa che l'assoluto principio fondamentale o l'intuizione assoluta rendano superflua l'attuazione progressiva della prima o lo sviluppo della seconda. Appunto perché la forma è essenziale all'essenza, quanto questa lo è a se stessa, quest'ultima non è concepibile né esprimibile meramente come essenza, ossia come sostanza immediata o come pura autointuizione del divino; anzi, proprio altrettanto come forma, e in tutta la ricchezza della forma sviluppata; solo così è concepita ed espressa come Effettuale. Il vero è l'intero. Ma l'intero è soltanto l'essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell'Assoluto devesi dire che esso è essenzialmente risultato, che alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell'essere effettualità, soggetto o divenir-se-stesso. 

Per quanto possa sembrare contraddittorio che l'Assoluto sia da concepire essenzialmente come risultato, basta tuttavia riflettere alquanto per rendersi capaci di questa parvenza di contraddizione. Il cominciamento, il principio o l'Assoluto, come da prima e immediatamente viene enunciato, è solo l'Universale. Se io dico: « tutti gli animali», queste parole non potranno mai valere come una zoologia; con altrettanta evidenza balza a gli occhi che le parole: « divino», « assoluto», « eterno», ecc. non esprimono ciò che quivi è contenuto; e tali parole in effetto non esprimono che l'intuizione intesa come l'immediato. Ciò che è più di tali parole, e sia pure il passaggio a una sola proposizione, contiene un divenir-altro che deve venire ripreso, ossia una mediazione (4). Della mediazione peraltro si ha un sacro orrore, come se, quando non ci si limiti ad affermare che essa non è niente di assoluto e non si trova nell'assoluto, si debba rinunziare alla conoscenza assoluta. Ma, in effetto, quel sacro orrore deriva dall'ignoranza della natura della mediazione e della stessa conoscenza assoluta. Infatti la mediazione non è altro che la moventesi eguaglianza con sé o la riflessione in se stesso, il momento dell'Io che è per sé, la negatività pura o abbassata alla sua pura astrazione, il Divenire semplice. L'Io o il divenire in generale, questo atto del mediare, in virtù della sua semplicità è appunto l'immediatezza che è in via di divenire, nonché l'immediato stesso. - Si disconosce quindi la ragione, quando la riflessione, esclusa dal vero, non viene accolta come momento positivo dell'Assoluto. È la riflessione che eleva a risultato il vero, ma che anche toglie questa opposizione verso il suo divenire; giacché il divenire è altrettanto semplice e quindi non diverso da quella forma del vero, la quale fa sì che esso, nel suo risultato, si mostri semplice: esso è, per meglio dire, l'esser ritornato nella semplicità. - Se, indubbiamente, l'embrione è in sé uomo, non lo è tuttavia per sé; per sé lo è soltanto come ragione spiegata, fattasi ciò che essa è in sé; soltanto questa è la sua effettuale realtà. Ma tale risultato è esso stesso immediatezza semplice; esso è infatti la libertà autocosciente, che riposa in se stessa, senza aver messo da parte, per poi lasciarvela abbandonata, l'opposizione; che è, anzi, conciliata con l'opposizione." 


martedì 24 dicembre 2019

Che cosa resta del comunismo? - Luciano Canfora, Sergio Romano

Da: LEZIONI DI STORIA - Luciano Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano. -  Sergio Romano è uno storico, scrittore, giornalista e diplomatico italiano. 
Vedi anche: Come si viveva ai tempi dell'URSS? 
                   Gli USA e il Pacifico - Dario Fabbri
                                                                                 

lunedì 23 dicembre 2019

Rosa Luxemburg critica dell’economia politica - Marco Palazzotto

Da: https://jacobinitalia.it/ - palazzotto-marco ricopre incarichi direttivi nella Cgil in Sicilia, è tra i fondatori di www.Palermo-Grad.com.  
Vedi anche: "Rosa Luxeburg e Karl Liebknecht" 
Leggi anche: Una candela che brucia dalle due parti. Rosa Luxemburg tra critica dell’economia politica e rivoluzione - Riccardo Bellofiore

"L'atto più rivoluzionario è una chiara visione del mondo così com'è."

In questo centenario dalla morte della rivoluzionaria polacca pochi hanno approfondito il suo apporto alla teoria economica, che è stato invece fondamentale per lo sviluppo del marxismo

Nel centenario della morte, Rosa Luxemburg (1871-1919) è stata ricordata come socialista, per il suo ruolo nel pensiero femminile e per la straordinaria personalità che viene fuori dal suo epistolario. Qui vogliamo ricordare anche il suo fondamentale contributo alla critica dell’economia politica, in primo luogo con i libri L’accumulazione del capitale (1913) e Introduzione all’economia politica (1912 ). 
L’accumulazione è senz’altro da considerare l’opera principale di Rosa Luxemburg. Lo scopo dell’opera era rispondere al quesito «dove sono i consumatori del plusvalore?». La risposta della rivoluzionaria polacca è che dentro un sistema puramente capitalistico sarebbe impossibile reperire la domanda per il consumo di merci prodotte in regime di accumulazione. Tale domanda dovrebbe ricercarsi altrove. E proprio per trovare questa domanda aggiuntiva nasce secondo Rosa Luxemburg l’imperialismo. Infatti, la conquista di nuove colonie da parte degli Stati a economia capitalistica andò di pari passo con la concorrenza, militare ed economica, per accaparrarsi nuovi spazi di accumulazione dopo la saturazione delle economie interne. Ma la lotta per la spartizione di queste zone pre-capitalistiche porta prima o poi alla saturazione dell’intera economia globale, in un mondo divenuto integralmente capitalistico. A quel punto si verifica il crollo del sistema per la carenza della domanda del sovrappiù. 
Per questa sua teoria Rosa Luxemburg è stata accusata – anche da illustri marxisti come Lenin o Sweezy – di «crollismo sottoconsumista». Ma andiamo con ordine. Alla fine proveremo a spiegare come si difende da queste accuse e perché il suo contributo fu sottovalutato dai marxisti suoi contemporanei e successivi. 

domenica 22 dicembre 2019

I VECCHI MOSTRI: IL “CASO CASTRUCCI” - Cinzia Nachira

Da: http://rproject.it/ - CINZIA NACHIRAricercatrice universitaria. 

                     Il cortometraggio "1943-1997" di Ettore Scola proiettato al Palazzo del Quirinale in occasione della celebrazione della "Giornata della memoria" -
                                                                        

  • Vi hanno detto che sono stato un mostro per non farvi sapere che ho combattuto contro i veri mostri che oggi vi governano dominando il mondo”
Questa è la pietra dell’ultimo scandalo in ordine di tempo scoppiato nel nostro Paese perché oggetto di un tweet messo in linea giorni fa da Emanuele Castrucci, docente ordinario di filosofia del diritto all’università di Siena, una delle più prestigiose. Il fatto che questo messaggio fosse corredato da una fotografia che ritrae Adolf Hitler mentre rimira un paesaggio montuoso in compagnia di un cane, ha tratto molti nell’inganno di credere che quell’affermazione mostruosa fosse da addebitare al Fuhrer. Ma leggendola bene emerge qualcosa di più grave: quello è un pensiero “hitlerizzato” del Castrucci medesimo. Perché quelle cose Hitler non può averle dette, a meno che non le abbia pronunciate alla fine della guerra, magari nel bunker di Berlino poco prima di suicidarsi. Ma ciò è ben poco credibile, mentre è assai più credibile che Castrucci, nel tentativo di non incorrere in sanzioni disciplinari, abbia espresso il suo pensiero e affiancandolo a quell’immagine abbia voluto riferirsi agli ebrei e ai migranti.
Questo non diminuisce, ma al contrario aggrava tutta la faccenda. In maniera subdola, ma altrettanto efficace questo docente ribadisce vecchi stereotipi antisemiti, razzisti e xenofobi che nel nostro Paese sono tutto fuorché estranei.

sabato 21 dicembre 2019

COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SULLA LOGGIA MASSONICA P2 - RELAZIONE DI MAGGIORANZA dell'onorevole TINA ANSELMI


Tina Anselmi





"La prima imprescindibile difesa contro questo progetto politico, metastasi delle istituzioni, negatore di ogni civile progresso, sta appunto nel prenderne dolorosamente atto, nell'avvertire, senza ipocriti infingimenti, l'insidia che esso rappresenta per noi tutti - riconoscendola come tale al di là di pretestuose polemiche, che la gravità del fenomeno non consente - poiché esso colpisce con indiscriminata, perversa efficacia, non parti dei sistema, ma il sistema stesso nella sua più intima ragione di esistere: la sovranità dei cittadini, ultima e definitiva sede del potere che governa la Repubblica." 





LA COMMISSIONE PARLAMENTARE (Da: https://it.wikipedia.org/wiki/P2

Dopo la scoperta delle liste Arnaldo Forlani nominò un comitato di tre saggi (Vezio Crisafulli, Lionello Levi Sandri e Aldo Mazzini Sandulli) per fornire elementi conoscitivi e critici sull'attività della P2.

Negli anni successivi fu istituita, per volontà della Presidente della Camera Nilde Iotti, una commissione parlamentare d'inchiesta, guidata dalla deputata democristiana Tina Anselmi, ex partigiana «bianca» e prima donna a diventare ministro nella storia della Repubblica Italiana. La commissione affrontò un lungo lavoro di analisi per far luce sulla Loggia, considerata un punto di riferimento in Italia per ambienti dei servizi segreti americani intenzionati a tenere sotto controllo la vita politica italiana fino al punto, se necessario, di promuovere riforme costituzionali apposite o di organizzare un colpo di Stato. La commissione parlamentare chiuse i suoi lavori nel 1984 e diede luogo a una relazione di maggioranza e a una di minoranza. La prima, molto più articolata, mise in luce molti aspetti, ad esempio:

Giudicò la lista attendibile ma presumibilmente incompleta.
Giudicò la Loggia «responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale» della strage dell'Italicus.
Giudicò la Loggia «un complotto permanente che si plasma in funzione dell'evoluzione della situazione politica ufficiale».
Sottolineò l'«uso privato della funzione pubblica da parte di alcuni apparati dello stato» legati alla Loggia.
Sottolineò la divisione funzionale della Loggia e quindi che, benché tutti gli affiliati fossero consapevoli del fine surrettizio della Loggia, fosse necessario individuare il settore di appartenenza dei singoli affiliati per risalire alle responsabilità personali.
Sottolineò che la presenza di alcuni imprenditori si poteva spiegare con i benefici economici che il legame con alti dirigenti di imprese pubbliche e banche poteva potenzialmente portare loro, per esempio sotto forma di credito concesso in misura superiore a quanto consentito dalle caratteristiche dell'impresa da finanziare.
Sottolineò come ci fossero «poche ma inequivocabili prove documentali» che provavano l'esistenza della Loggia di Montecarlo (ora Massonic Executive Committee) e della più elitaria P1, considerandole entrambe creazioni di Licio Gelli.
Secondo la commissione d'inchiesta, la Loggia P2 e Gelli stesso godevano di «una sorta di cordone sanitario informativo posto dai Servizi a tutela ed a salvaguardia del Gelli e di quanto lo riguarda» a partire dal 1950 (anno in cui venne segnalato ai servizi il rapporto Cominform", a cui però non seguirono indagini), che permise al gruppo di agire indisturbato, arrivando alla conclusione che Gelli stesso facesse parte dei servizi segreti. [...] 

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 INDICE:   (Da: http://www.strano.net/stragi/

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venerdì 20 dicembre 2019

Come funziona l’imperialismo moderno: l’esempio di Cuba.

Da: https://lottobre.wordpress.com/ - ALBERTO FERRETTI -
Tratto da Il capitale monopolistico. Baran, Paul A. – Sweezy, Paul M., 1978, Einaudi pp. 167-173 -  



Quali sono i meccanismi economico-militari che caratterizzano l’imperialismo contemporaneo, cioè l’imperialismo per come si è sviluppato dal secondo dopoguerra a oggi? 

La loro genesi è ben descritta da Paul Baran e Paul Sweezy, due eminenti marxisti statunitensi, nella loro opera “Il capitale monopolistico” del 1966. Da allora, l’unica differenza è che i monopoli dominanti non sono più quelli industriali bensì quelli finanziarizzati – i “mercati” in linguaggio corrente, con un avvilupparsi sempre più stretto tra industria e finanza in cui l’elemento finanziario tende a prendere saldamente il controllo (1) – sorti a partire dagli anni ’80 sulla base delle multinazionali oggetto di studio dei due autori. Tuttavia, la  politica dei gruppi monopolistici resta sostanzialmente la stessa. 

Vi proponiamo dunque questo passaggio del libro in cui, attraverso l’esempio di Cuba – ancor valido vista l’attualità delle recenti misure USA atte a rafforzare l’embargo e lo strangolamento dell’isola – gli autori illustrano il funzionamento e le ragioni profonde e strutturali di questo sistema mondiale di sfruttamento che affligge le classi lavoratrici e le nazioni oppresse del pianeta. 

giovedì 19 dicembre 2019

Sullo "Storytelling" - Alessandro Baricco

Da: Massimo Arras - Alessandro_Baricco è uno scrittore, saggista, critico musicale e conduttore televisivo italiano.

                                         "Sfila via i fatti dalla realtà: quel che resta è 'Storitelling'." 

                                                                             

                                                                                                                        "Un 'fatto' senza Storitelling non esiste, non è 'reale'." 

mercoledì 18 dicembre 2019

Sarà così il suicidio nucleare? - Giulietto Chiesa

Da: PandoraTV - Giulietto_Chiesa è un giornalista e politico italiano.
Leggi anche: "NATO" Breve storia dell’alleanza - Manlio Dinucci

"A Princeton fanno le simulazioni al computer (naturalmente accusando la Russia di aver cominciato), 
ma involontariamente ci annunciano, a tutti noi europei, che saremo i primi a morire, a centinaia di milioni." 

                                                              

martedì 17 dicembre 2019

"Hegel e i Greci"

Da: AccademiaIISF


Prima giornata - Sessione I - Presiede Fiorinda Li Vigni.
Paolo Vinci: “Gigantomachia” intorno all’Uno. Hegel e Platone.Massimiliano Biscuso: Hegel e lo scetticismo antico.

                                                                            


Prima giornata - Sessione II - Presiede Dario Giugliano. - https://www.youtube.com/watch?v=m9-llcjC6rw 
Francesca Iannelli: L’estraneo più proprio. Hegel, i Greci e noi. - Paolo D’Angelo Hegel di fronte all’arte greca. 


Seconda giornata - Sessione I - Presiede Gianluca Garelli. - https://www.youtube.com/watch?v=HVsMA7WdbJk 
Enrico Berti: Hegel e il libro Lambda della Metafisica di Aristotele. - Alfredo Ferrarin: Hegel e Aristotele sul pensare.

Seconda giornata - Sessione II - Presiede Dario Giugliano. - https://www.youtube.com/watch?v=ZVmp9SFP_NI
Giuseppe Cantillo: Il giovane Hegel e il mondo greco.

lunedì 16 dicembre 2019

Hugo Chávez, così è cominciata - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it/ - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.
Leggi anche: Il buco nero dell’informazione globale - Geraldina Colotti


In questo momento critico e di ebollizione in America Latina mi sembra quanto mai opportuno un libro in cui si raccolgono alcuni documenti, che ci fanno conoscere come è sorto in Venezuela il chavismo, quali sono le sue basi e i suoi programmi politici. Gli autori sono lo stesso Chávez e i suoi collaboratori e seguaci (Rangel, Duno, Vadell) con lettere, interviste, discorsi. 

Penso che non si possa comprendere il chavismo se non si fa riferimento al ruolo che le forze armate hanno avuto sempre in America Latina e in particolare a partire dal 900, quando non sono mai state impegnate in guerre significative contro nemici esterni. Sicuramente ciò si deve al contributo che gli eserciti, diretti dalle élite creole, hanno dato al raggiungimento dell’indipendenza con l’aiuto dell’Inghilterra da parte dell’America Latina, che avrebbe dovuto costituire un unico paese, secondo la volontà di Simón Bolívar, governata dal codice boliviano ispirato a quello napoleonico. L’unificazione non si è realizzata anche per le lotte intestine, ma costituisce ancora oggi un obiettivo politico, che va sotto il nome di Patria grande, contrapposta per la sua peculiarità                                                                                                                                                                                      culturale, religiosa, politica all’America anglosassone. 

Tuttavia, come è noto, benché si siano sempre ritenute le guardiane della sicurezza e dell’identità nazionali, in America Latina le forze armate non hanno giocato sempre nella stessa prospettiva: vi sono stati eserciti che hanno dato vita a brutali dittature militari, sostenute in funzione anticomunista dagli USA, ed eserciti che hanno sostenuto governi di tutt’altro segno, come quello di Velasco Alvarado in Perù, che attuò significative nazionalizzazioni, e di Torrijos a Panama, che cercò di mettere sotto la sua giurisdizione l’omonimo canale (siamo negli anni ‘70). A differenza dei primi, preoccupati di distruggere il nemico interno annichilendolo (come si fece in Cile, Brasile, Argentina), questi ultimi si preoccuparono di affrontare, non in maniera conseguente, i problemi strutturali della società latinoamericana: la povertà generalizzata, l’informalità, l’esclusione sociale (questioni ancora attuali come mostrano le proteste di questi giorni in molti paesi, e che sono certamente scaturite dalla dipendenza economica e finanziaria di quella regione dal capitale internazionale). Proteste ferocemente represse, cosa non certo sottolineata dai nostri media [1]. 

D’altra parte, dopo la fuga di Batista, la Rivoluzione cubana non avrebbe potuto avanzare se non fosse stata sostenuta dall’Esercito rebelde, la cui presenza e forza ne favorirono la radicalizzazione. 

domenica 15 dicembre 2019

Calabresi, Pinelli e tutta un'altra storia - Adriano Sofri

Da: https://www.facebook.com/Conversazione-con-Adriano-Sofri - Adriano_Sofri è uno scrittore, giornalista e attivista italiano, ex leader di Lotta Continua, condannato a ventidue anni di carcere – dopo un lungo iter giudiziario – quale mandante, assieme a Giorgio Pietrostefani, dell'omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, avvenuto nel 1972. Come esecutori materiali furono condannati invece i militanti di LC Leonardo Marino e Ovidio Bompressi.



Calabresi, Pinelli: ancora? 

Ancora, e ricominciando daccapo. Intanto comincerò da una cronaca. Roma, un’aula della Sapienza, mercoledì 4 dicembre. Non c’ero, ma come se ci fossi. Ne ho ascoltato la registrazione nella notte tra il 10 e l’11, a Radio Radicale. Teneva svegli. Il giorno dopo ho riascoltato e guardato il filmato. Era una “Giornata di studi sulla strage di piazza Fontana”, titolo: “Noi sappiamo, e abbiamo le prove”, organizzata dall’Archivio Flamigni e dall’Università. Il titolo calcato su Pasolini, con quel di più di certezza, segnava la differenza fra l’intellettuale e poeta – io so, ma non ho le prove – e le storiche e gli storici convenuti, insieme a magistrati, giornalisti e testimoni.

Oggetto della mia cronaca è un episodio occorso alla fine della mattina, dopo le relazioni di Paolo Morando, sul tema del suo libro, “Prima di Piazza Fontana. La prova generale” (Laterza), di Benedetta Tobagi, sui processi tra Roma, Milano e Catanzaro (il suo libro, “Piazza Fontana. Il processo impossibile”, Einaudi), e Francesco Lisanti, sul processo a Ordine Nuovo (sua “La storia di piazza Fontana nei documenti processuali”, La Vita Felice). A questo punto una voce dal pubblico – in radio si sentiva meno, lontana dal microfono – ha chiesto compitamente di fare una domanda. L’ha fatta. Vorrei sapere, ha detto, come fate a sostenere che Calabresi era uscito dalla stanza. C’è stata una breve consultazione fra la coordinatrice, Ilaria Moroni, e Benedetta Tobagi, mentre l’interlocutore ripeteva la sua questione e, interrotto, aggiungeva: “Vorrei sapere se posso parlare, se non posso parlare sto zitto”. Tobagi gli ha detto che poteva, certo, e ha chiesto: “Lei chi è, scusi?” “Sono Valitutti”. 

Pasquale “Lello” Valitutti ha 70 anni, è stato spesso prediletto dalle cronache perché, “anarchico in carrozzina”, prende il suo posto avanzato nelle manifestazioni di strada anche quando dimostranti e polizia si scontrano. Valitutti è anche l’anarchico ventenne che aspettò il suo turno seduto accanto a Pino Pinelli nel salone comune al quarto piano della questura milanese, quando già tutti gli altri fermati erano stati mandati a casa. Ed era seduto nel salone comune ad aspettare che Pinelli uscisse dalla stanza del commissario Calabresi, la notte che Pinelli ne uscì dalla finestra.

sabato 14 dicembre 2019

"NATO" Breve storia dell’alleanza - Manlio Dinucci

Da: https://www.patriaindipendente.it/ - https://www.marx21.it/ - manlio-dinucci è un pacifista, giornalista e geografo italiano.
Vedi anche: "L' arte della Guerra"* - Manlio Dinucci 
                       AFFOSSAMENTO USA DEL TRATTATO INF E COMPLICITA’ EUROPEE - Manlio Dinucci

Manlio Dinucci

Le origini 

Gli eventi che preparano la nascita della NATO iniziano con la Seconda guerra mondiale. Nel giugno 1941 la Germania nazista invade l’URSS con 5,5 milioni di soldati, 3.500 carrarmati e 5.000 aerei, concentrando in territorio sovietico 201 divisioni, equivalenti al 75% di tutte le sue truppe, cui si aggiungono 37 divisioni dei satelliti tra cui l’Italia. L’URSS chiede ripetutamente agli Alleati di aprire un secondo fronte in Europa, ma Stati Uniti e Gran Bretagna lo ritardano, mirando a scaricare la potenza nazista sull’URSS per indebolirla e avere così una posizione dominante al termine della guerra. Il secondo fronte viene aperto con lo sbarco anglo-statunitense in Normandia nel giugno 1944, quando ormai l’Armata Rossa e i partigiani sovietici hanno sconfitto le truppe tedesche assestando il colpo decisivo alla Germania nazista.
Il prezzo pagato dall’Unione Sovietica è altissimo: circa 27 milioni di morti, per oltre la metà civili, corrispondenti al 15% della popolazione, in rapporto allo 0,3% degli USA in tutta la Seconda guerra mondiale; circa 5 milioni di deportati in Germania; oltre 1.700 città e grossi abitati, 70mila piccoli villaggi, 30 mila fabbriche distrutte.

La guerra fredda, che divide di nuovo l’Europa subito dopo la Seconda guerra mondiale, non viene provocata da un atteggiamento aggressivo dell’URSS, uscita in gran parte distrutta dalla guerra, ma dal piano di Washington di imporre il dominio statunitense nel dopoguerra. Anche qui parlano i fatti storici. Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki viene effettuato dagli Stati Uniti nell’agosto 1945 non tanto per sconfiggere il Giappone, ormai allo stremo, quanto per uscire dalla Seconda guerra mondiale con il massimo vantaggio possibile soprattutto sull’Unione Sovietica. Ciò è reso possibile dal fatto che, in quel momento, gli Stati Uniti sono gli unici a possedere l’arma nucleare.

Appena un mese dopo il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki, nel settembre 1945, al Pentagono già calcolano che occorrono oltre 200 bombe nucleari per attaccare l’URSS. Nel 1946, quando il discorso di Churchill sulla «cortina di ferro» apre ufficialmente la guerra fredda, gli USA hanno 11 bombe nucleari, che nel 1949 salgono a 235, mentre l’URSS ancora non ne possiede. Ma in quell’anno l’URSS effettua la prima esplosione sperimentale, cominciando a costruire il proprio arsenale nucleare. In quello stesso anno, il 4 aprile 1949, gli Stati Uniti creano la NATO.

L’Alleanza sotto comando USA comprende durante la guerra fredda 16 paesi: Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Repubblica Federale Tedesca, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Turchia. Sei anni dopo la NATO, il 14 maggio 1955, nasce il Patto di Varsavia, comprendente Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Repubblica Democratica Tedesca, Romania, Ungheria, Albania (questa dal 1955 al 1968). 

giovedì 12 dicembre 2019

Intervista al Presidente siriano Bashar Al-Assad - Monica Maggioni

Da: DAMASCO - Monica_Maggioni è una giornalista, dirigente pubblica e conduttrice televisiva italiana.

                                                                       

            il testo completo (tradotto) dell'intervista realizzata dalla giornalista Rai Monica Maggioni: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-

mercoledì 11 dicembre 2019

CHE FARE? - Antonio Gramsci

Da: https://www.marxismo-oggi.it/ - Da “La voce della gioventù”,  1° novembre 1923, firmato Giovanni Masci, poi in A. Gramsci, Sul fascismo, a cura di E. Santarelli, Roma, Editori Riuniti, 1973.

Cari amici della Voce, 
Ho letto nel n. 10 (15 settembre) della Voce la interessante discussione tra il compagno G.P. di Torino e il compagno S.V. È chiusa la discussione? Si può domandare che ancora per molti numeri la discussione rimanga aperta e invitare tutti i giovani operai di buona volontà a parteciparvi, esprimendo, con sincerità e onestà intellettuale, la loro opinione in proposito? 

Come va posto il problema 
Incomincio io, e affermo senz’altro che mi pare almeno, il compagno S.V. non ha impostato bene il problema ed è caduto in qualche errore, gravissimo dal suo stesso punto di vista. 

Perché è stata sconfitta la classe operaia italiana? Perché essa non aveva una unità? Perché il fascismo è riuscito a sconfiggere, oltre che fisicamente, anche ideologicamente, il partito socialista che era il partito tradizionale del popolo lavoratore italiano? Perché il partito comunista non si è rapidamente sviluppato negli anni 1921-22 e non è riuscito a raggruppare intorno a sé la maggioranza del proletariato e delle masse contadine? 

martedì 10 dicembre 2019

Populismo, punti di partenza - Roberto Fineschi

Da:  https://www.lacittafutura.it/ Approfondimenti teorici (Unigramsci) - https://marxdialecticalstudies.blogspot.com/ - 
Roberto Fineschi è un filosofo italiano. (Marx. Dialectical Studies) -
Vedi anche: OFFICINA MARX 
Il populismo è uno degli anelli della catena degenerativa che confondendo la rivolta romantica anticapitalistica con la critica del modo di produzione capitalistico produce il fascismo. 


1. Populismo ha significato - e significa - varie cose, anche di segno se non opposto, almeno contrastante. Solo guardando al passato se ne riscontrano accezioni potenzialmente progressiste - come nel caso del Populismo russo -, conservatrici - per es. l’americano People’s Party -,ambigue, ambivalenti e problematiche come ad es. il peronismo che in Sudamerica si ritiene di poter coniugare sia da destra che da sinistra. Con il tempo, nel lessico novecentesco, ha sicuramente prevalso un’accezione negativa. Ciò è dovuto assai probabilmente anche al consolidarsi, dopo la seconda guerra mondiale, di organizzazioni politico-istituzionali che valutavano negativamente alcune delle sue caratteristiche salienti: le democrazie parlamentari per un verso, il socialismo reale per un altro consideravano la mancanza di mediazione tra istanze del “popolo” e l’esercizio della funzione politica come un aspetto da evitare, e il ruolo dei partiti come organizzatori, educatori, anello nella catena della pratica e partecipazione politica era qui centrale.

Nel caso del cosiddetto socialismo reale, anche il soggetto cui ci si riferiva presentava probabilmente aspetti problematici, in quanto meglio del popolo, la classe, o i blocchi storici di classi, esprimevano le soggettualità in gioco in maniera più adeguata. Anche i “fronti popolari” erano tali in quanto organizzati, fronti appunto. Aspetti populistici - non popolari - venivano d’altra parte chiaramente individuati nei vari fascismi che, pur non dichiarandosi populisti, sicuramente si sentivano e si autoproclamavano emanazione diretta di un fantomatico “popolo”. Tornano qui alla mente i vari miti millenari, improbabili revival imperiali, il concetto nazionalsocialista di “völkisch” e via dicendo. 

lunedì 9 dicembre 2019

Per un’altra Università - Riccardo Bellofiore, Giovanna Vertova

Da: Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova https://www.riccardobellofiore.info -
Giovanna Vertova, Università di Bergamo, Dipartimento di Scienze Aziendali, Economiche e Metodi Quantitativi. -
Riccardo Bellofiore, Università di Bergamo, Professore ordinario di Economia politica. -
Leggi anche: Ai confini della docenza. Per la critica dell’Università - Alessandra Ciattini 

Negli ultimi anni una serie di riforme ha portato l’università italiana a una profonda crisi.

La sfida odierna è quella di restituirle il suo ruolo di luogo di formazione culturale ed educazione al pensiero critico.


Di critiche dell’Università se ne sprecano. Ne abbiamo scritta una pure noi, dal titolo ambiguo quant’altrimai: Ai confini della docenza, sottotitolo Per una critica dell’Università. Il volume lo abbiamo voluto scaricabile gratuitamente dal sito della Accademia University Press. (https://www.aaccademia.it/scheda-libro?aaref=1223

Ambiguo perché il titolo potrebbe essere scambiato per una lamentela giocata sull’assonanza docenza/decenza; e il sottotitolo potrebbe parimenti apparire al lettore distratto un’aggiunta alla sempre più lunga lista di cahiers de doléances contro l’istruzione superiore. Le cose non stanno proprio così. Il titolo rimanda a una serie televisiva famosa, in originale The Twilight Zone, che uno dei curatori non propriaente giovane vide nella sua prima stagione, introdotta così:

C’è una quinta dimensione oltre quelle che l’uomo già conosce; è senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità. È la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere. È la regione dell’immaginazione, una regione che potrebbe trovarsi ai confini della realtà.


Il sottotitolo gioca sul significato che Marx dà al termine ‘critica’: non limitarsi a rilevare errori, ma individuarne le condizioni di possibilità, e dunque la necessità e i modi di un cambiamento. 



L’alleggerimento dei programmi e la compressione degli apprendimenti 

L’università è in stato di grave crisi, pure la coscienza di quanto sia grave questa crisi manca. Manca in primo luogo al suo interno, dove invece abbondano le strategie difensive, del tipo ‘ha da passare la nottata’. La serie di riforme dai primi anni duemila in poi si è succeduta ininterrotta, in una logica autodistruttiva anche dal punto di vista di chi quelle riforme ha pensato. Ogni risultato è stato cancellato dalla furia dissolvente di una riforma successiva. La logica iniziale è stata quella di sostituire alla conoscenza le competenze, e di accelerare un apprendimento reso sempre più scheletrico. I problemi cui intendeva rispondere la riforma Berlinguer erano ben reali. Gli studenti italiani si laureavano tardi, e trovavano impiego in occupazioni non corrispondenti agli studi. Il primo triennio avrebbe dovuto fornire tanto le conoscenze di base quanto una prima professionalizzazione, affinché si potesse entrare prima nel mercato del lavoro.