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Il
mondo non è ancora entrato nel 2020, quando si celebreranno 75 anni
dalla fine della Seconda guerra mondiale, che già si infuocano le
discussioni – accese peraltro da molti mesi – sulle
responsabilità per il suo scatenamento. O meglio: si infittiscono le
grida dell’intera democrazia liberale sulle presunte “colpe di
Stalin e dell’URSS”, per cercare di coprire le proprie,
autentiche e verificate, collusioni col nazismo.
Nella marcia a tappe forzate per la messa al bando del comunismo,
la famigerata “risoluzione” settembrina del cosiddetto parlamento
europeo è, per ora, il più raffinato capolavoro di menzogne su
quelle responsabilità. Ma, nei prossimi mesi, con l’avvicinarsi
del 9 maggio e dell’anniversario della capitolazione nazista, ci
saranno infinite occasioni e necessità di tornare sul tema, che
sicuramente farà il paio con quello di chi siano stati gli artefici
della vittoria sul nazismo.
Andrà ancora bene se la Wehrmacht e Casa Savoia non saranno
associate agli Alleati nell’aver contribuito alla
disfatta degli hitleriani: tutti, ovvio, dalla parte dei “buoni”;
meno chi ha sopportato il 90% del peso della guerra, cioè l’Esercito
Rosso e i popoli dell’URSS.
Per il momento, è sufficiente ricordare come le blasfemie di
Bruxelles ricalchino uno stampo forgiato da decenni dalla
“storiografia” liberale e come qualche lingua lungimirante,
non altrettanto elegante degli eurodeputati, già cinque anni fa si
fosse spinta oltre la “eguale responsabilità”, parlando
addirittura di invasione
sovietica dell’Ucraina e della Germania. Era il 2015 e quel
fine dialettico altri non era che l’allora primo ministro
dell’Ucraina golpista, Arsenij Jatsenjuk.
Nei giorni scorsi, l’atmosfera si è nuovamente riscaldata dopo
che Vladimir Putin, nel corso di una riunione ufficiosa dei leader
del SNG (gli Stati dell’ex Unione Sovietica), ha definito Józef
Lipski, ambasciatore polacco in Germania dal 1934 al 1939,
“canaglia e porco antisemita”, per aver proposto
all’allora Ministro degli esteri Józef Beck (tra gli
artefici, nel 1934, col presidente Józef Piłsudski,
del patto
di non aggressione polacco-tedesco) di erigere a Varsavia un
monumento a Adolf Hitler, per le sue parole, precedenti la guerra, di
voler deportare in Africa tutti gli ebrei.
Ora, in generale Vladimir Putin non si distingue certo per giudizi
onorevoli su Lenin (ha “posto una mina sotto la statualità
russa”) o l’URSS (“non produceva che galosce, che si
potevano esportare solo in Africa”); ma, in questo caso, non
ha fatto altro che citare documenti polacchi incontrovertibili,
consapevole anche del fatto che la demonizzazione della storia
sovietica rappresenta una via per l’attacco alla Russia odierna,
che il solito europarlamento definisce “principale fonte di
minacce ibride e comuni alla sicurezza”, quantunque sia
difficile equiparare le strutture sociali dell’URSS e della Russia.
In Polonia, naturalmente, ci si guarda bene dall’ammettere la
realtà della collaborazione tra Varsavia e Berlino negli anni ’30
e si ricorre invece allo stile “europarlamentare”, secondo cui
Mosca “cerca di riscrivere la storia della Seconda guerra
mondiale e assolvere la Russia (URSS)”.
Stesso atteggiamento della leadership polacca anche in Lituania –
che pure ebbe Vilnius occupata dalla Polonia sin dal 1922 e ne
rientrò in possesso solo nel 1939 grazie all’Armata Rossa – con
il Presidente Gitanas Nauseda che blatera di non “permettere
che la verità venga sostituita da falsi segnali menzogneri”,
in riferimento alle parole di Putin che non fu il patto
Molotov-Ribbentrop del 1939, a liberare le mani alla Germania
nazista, bensì il complotto di Monaco delle potenze occidentali con
Hitler nel 1938.
Non
una parola, a Varsavia, ad esempio, su come tra ottobre 1938 e marzo
1939, con la “crisi dei Sudeti”, la Polonia avesse partecipato
insieme all’Ungheria e alla Germania hitleriana allo smembramento
della Cecoslovacchia – scatenando in tal modo, di fatto, la Seconda
guerra mondiale – in base al patto di Monaco tra Hitler, Mussolini,
Daladier e Chamberlain.
Varsavia tenta di giustificare il filo-nazismo polacco degli anni
’30, balbettando che “non ci fu invasione come tale”
della Cecoslovacchia (considerata all’epoca anello di congiunzione
per un possibile asse franco-sovietico) ma solo una “risposta
alle azioni militari ceche nel 1919, quando essi invasero la Slesia”.
Ma, proprio secondo tale logica, crolla in modo naturale ogni
speculazione liberale sulla “spartizione tedesco-sovietica
della Polonia” nel 1939: il 17 settembre di quell’anno,
infatti, l’Armata Rossa non fece altro che liberare i territori
occidentali di Ucraina e Bielorussia, occupati dalla Polonia nel
1919; occupazione sancita dal protocollo di Riga del 1921.
Il blogger russo La voce di Mordor ricorda come, negli
anni ’30, una buona metà degli stati europei fosse amica o alleata
della Germania hitleriana – Romania, Ungheria, Bulgaria, Finlandia
– e un’altra metà si sentisse a proprio agio sotto il tallone
nazista o manifestasse una resistenza di facciata. In tutti, il
sogno di “soffocare il bolscevismo” guidava l’obiettivo
di indirizzare le armate naziste contro l’Unione Sovietica.
Nello specifico della Polonia, che ancora oggi non smette di
sognare una rinata Rzeczpospolita Polska che domini
(Międzymorze) dal Baltico al mar Nero, in quell’epoca Varsavia non
faceva mistero di volere uno “smembramento della Russia”,
di mirare “all’Ucraina sovietica e a uno sbocco sul mar Nero,
da raggiungere insieme al Reich e alla Romania” e, già a
marzo 1939, d’accordo con Berlino, aveva messo a punto il piano
“Orientale”, per “attacchi congiunti tedesco-polacchi
contro Minsk, Gomel, Žitomir e Kiev”.
Vladimir Putin, nella succitata riunione dei leader del SNG, ha
enumerato anche tutti gli accordi stipulati con la Germania
hitleriana, ben prima del cosiddetto patto Molotov-Ribbentrop che, a
detta di Bruxelles, avrebbe “diviso l’Europa e i territori di
stati indipendenti tra due regimi totalitari e spianò la strada
all’inizio della Seconda guerra mondiale“.
Tra
quegli accordi: il già ricordato patto Hitler-Piłsudski del 1934;
l’accordo marittimo anglo-tedesco del 1935; la dichiarazione
Chamberlain-Hitler del 30 settembre 1938; quella franco-tedesca del 6
dicembre 1938 Bonnet-Ribbentrop; l’accordo lituano-tedesco del 22
marzo 1939; il patto di non aggressione tedesco-lettone del 7 giugno
1939.
Igor Šumejko scrive su news-front.info che il patto di
Monaco non è soltanto un accordo che viene “un anno prima del
patto di non aggressione sovietico-germanico. Monaco realizzò di
fatto quella Germania hitleriana che univa l’Europa su una base
antisovietica”. Concretamente, Monaco regalava ai nazisti,
senza combattere, un’area, quella dei Sudeti appunto, consolidata
da una linea di fortificazioni al cui confronto scomparivano tanto la
Maginot, quanto la Sigfrid.
Al processo di Norimberga, ricorda ancora Šumejko, il Capo di
stato maggiore del Oberkommando der Wehrmacht, feldmaresciallo
Wilhelm Keitel, testimoniò che “fummo insolitamente felici che
non si fosse arrivati a un’operazione militare, poiché avevamo
sempre ritenuto di non avere i mezzi sufficienti per un assalto alle
fortificazioni di confine cecoslovacche”.
La verità sullo scatenamento della guerra, insieme ai fatti, e
non alla propaganda liberale, su chi abbia sconfitto il nazismo:
tutto ciò è storia. Ma non solo. Oggi, il travisamento di quella
storia, da un lato offende le vittime del nazifascismo e gli artefici
della liberazione e, dall’altro, apre la strada al bando
“istituzionale” dei comunisti; la preparazione delle coscienze a
un simile passo è iniziata da molti anni, manca solo l’atto
formale. L’unico argine non può venire che dai comunisti stessi.
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