venerdì 16 gennaio 2015

Su Piketty e il “suo” capitale del nuovo secolo - Francesco Schettino

"... il fenomeno a cui si assiste e di cui si discute, ormai anche a livello colloquiale in qualsiasi bar di periferia, è che, quella parte della classe proletaria, spesso animata da ambizioni piccolo-borghesi, che fino alla fine del secolo scorso riusciva a strappare, senza troppa fatica, salari in grado di garantire una vita pressoché agiata – a scapito del proletariato meno specializzato che, seppur indirettamente, era costretto a sostenerne vizi e comodità (non a caso Engels, riferendosi al caso inglese, parlava di costoro come di quelli a cui lo stato regalava le briciole estorte dal proletariato indiano) – si è improvvisamente destata dal sogno di avvicinarsi al sole del potere del capitale e, in quanto non proprietaria delle condizioni di produzione, come Icaro, ha iniziato un precipitoso ammaraggio nelle torbide acque del proletariato, classe a cui ha sempre appartenuto al di là delle artificiose apparenze."
"...i processi di concentrazione e di centralizzazione del capitale, cresciuti sensibilmente dal 1970, hanno traghettato la disuguaglianza in termini di proprietà patrimoniale (e dunque non solamente delle condizioni oggettive di produzione) a livelli superiori rispetto a quelli individuabili nella distribuzione dei redditi da lavoro, nonostante la crescita e l’affermazione dei mostruosi salari dei supermanagers in stile Marchionne. Al 2010, infatti, se il 10% dei salariati più ricchi ottiene il 25% della massa salariale corrisposta in Europa, lo stesso decile della distribuzione ottiene il 35% del totale negli Usa, valore che dovrebbe giungere al 45% nel giro di meno di un ventennio. E tutto ciò viene calcolato non comprendendo chi viene liberato dal lavoro che, percependo salario nullo, non viene incluso nelle elaborazioni numeriche. Quindi, esprimendo il tutto in termini dell’indice di Gini, si osserva come nel 2010 la disuguaglianza tra i lavoratori europei fosse sufficientemente bassa (0,26), mentre quella statunitense già raggiungeva livelli più sostenuti (0,36) puntando per il 2030 a un pesantissimo 0,46, qualora non ci sia una decisa inversione di rotta."
"Per quanto riguarda, invece la distribuzione della proprietà patrimoniale (e dei redditi che ne derivano) che, appunto, oltre alle condizioni oggettive della produzione include immobili, terra ecc., la situazione è ben diversa. Se nei paesi storicamente con un basso livello di disparità, come quelli scandinavi degli anni 70-80, il 10% dei proprietari più ricchi detiene il 50% del patrimonio complessivo, in Europa tale coefficiente sale a 60%, mentre negli Usa addirittura al 70%. I corrispondenti indici di Gini raggiungono lo 0,58 (+0,29 rispetto all’in­dice calcolato sui soli redditi da lavoro), 0,67 (+0,41) e 0,73 (+0,37). È chiaro che incrociando dunque i dati, ossia effettuando il calcolo della disuguaglianza sui redditi complessivi, ossia di lavoro e “capitale” i risultati mostrano una disparità nettamente più pronunciata rispetto a quella dei soli redditi da lavoro, mostrando così come la struttura delle condizioni di proprietà (produzione) siano fondamentali nella determinazione della disuguaglianza complessiva."
"... porre, dunque, come fa Piketty, il discorso della conflittualità su un piano della “lotta di percentile” (centile struggle) come aggiornamento della più nota “lotta di classe” (class strugle): ma ciò, a differenza di quello che sostiene l’economista francese, non determina unicamente una “perdita di fascino” della stessa ma semplicemente un errore macroscopico che non è solo di natura statistica ma assume rilevanti connotati economici e politici."
"...In sostanza ciò che viene negato nell’analisi di Piketty, così come dalla totalità degli economisti, è la natura del profitto in quanto forma monetaria del plusvalore, entità che, al pari del salario – ossia il valore complessivo della forza-lavoro – viene determinato nella fase, distinta solo logicamente, della produzione di merce."

"I cosiddetti rapporti di distribuzione corrispondono, quindi, a forme storicamente determinate, specificamente sociali, del processo di produzione e dei rapporti in cui gli uomini entrano nel processo di riproduzione della loro vita e derivano da queste forme. Il carattere storico di questi rapporti di distribuzione è il carattere storico dei rapporti di produzione, dei quali essi esprimono soltanto un aspetto. La distribuzione capitalistica è distinta dalle forme di distribuzione che derivano da altri modi di produzione, ed ogni forma di distribuzione scompare insieme con la forma di produzione determinata a cui essa corrisponde e da cui deriva”.(K. Marx, III libro del Capitale)

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