"Cosa possiamo ricavare dal rapido profilo, che abbiamo
tracciato? Varie considerazioni, che tuttavia non consentono di valutarlo come
qualcosa di definitivo, di conclusivo –al contrario, codesto profilo non può
essere giudicato, se non come il semplice inizio (parziale) di una riflessione,
che è tutta da svolgere. Quell’importante pensatore che certamente Lukàcs fu,
non è stato solo oggetto di censure e pressioni, che ne hanno ostacolato le
possibilità di espressione; né tanto meno è stato, solo, una sorta di ‘fiore
all’occhiello’ della cultura marxista in epoca staliniana. Perché in effetti
Lukàcs è stato, anche, oggetto di confronti critici, nello stesso campo
marxista, di notevole qualità teorica e, dunque, certamente attuali (dacché
<attuale> in ambito scientifico e filosofico non è ciò di cui si parla
con insistenza e larghezza in un momento dato, piuttosto lo è ciò che si
colloca a livelli teorici profondi e, quindi, in una certa misura, che si
sottrae alla rapidamente consumatesi ‘attualità’, nell’accezione comune del
termine).
Se la riflessione lukàcciana ha dato luogo a confronti critici di
grande qualità culturale, ciò significa che l’opera del filosofo ungherese ha
svolto un’effettiva funzione di stimolo, di creazione, di sviluppo del
pensiero, che nasce da Marx. Si noti il
modo assai più articolato, in cui Holz –a differenza di Lukàcs- motiva il
rapporto tra neopositivismo e tecniche organizzative (e, dunque, di
sfruttamento) della moderna industria: non è il neopositivismo, in quanto tale,
a riflettere sul piano teorico le esigenze e lo sviluppo della moderna
organizzazione capitalistica del lavoro, piuttosto il neopositivismo può
svolgere questo ruolo, per il fatto di inserirsi nella situazione culturale ed
etico-politica, che Holz ha già descritto.
Ma tutto questo non impedisce, è
chiaro, che la stessa elaborazione lukàcciana possa rivelarsi più densa di
contraddizioni e limiti, di quanto molti marxisti non siano ancora disposti a
riconoscere. Un punto che, a mio parere, dobbiamo certamente accogliere da
Lukàcs è la convinzione che la questione del rapporto tra filosofia e scienza
sia intimamente legata a ciò che si intende per <dialettica> e, dunque, a
come si risolve la questione non solo del rapporto di Marx ad Hegel, ma anche
quello dell’interpretazione di Hegel e del peso che la filosofia classica
tedesca in generale ha sulla formazione del pensiero di Marx. Ovviamente ciò
non significa che Marx appartenga alla tradizione culturale europeo-occidentale
in un senso limitativo dell’universalità del suo pensiero.
Ma significa, forse,
che trapiantare la lezione di Marx in un terreno diverso da quello
profondamente segnato dalla filosofia classica tedesca (si ricordi che Marx
sosteneva perfino –e forse con ragione- che Proudhon non era in grado di capire
la dialettica, perché non conosceva la lingua tedesca), implicita che, nello
stesso tempo questo terreno venga trasformato, nel senso di renderlo meno
sostanzialmente estraneo al quadro europeo occidentale (non solo in senso
culturale, ma anche economico e sociale). Non approfondisco la questione,
perché essa meriterebbe una trattazione specifica e non marginale, come ora sto
facendo, anche per evitare che il lettore cada in equivoci interpretativi.
Tornando a Lukàcs ed ai suoi critici, un punto voglio ancora una volta
sottolineare: c’è dello schematismo, della meccanicità nel modo di concepire la
dialettica, particolarmente nel Lukàcs maturo e, forse, ‘metafisico’ in un
senso pre-critico. Ed è questo –mi pare- il punto su cui si son concentrate le
riserve e le osservazioni di altri marxisti, come Adam Schaff e H.H. Holz, le
cui pagine mostrano un’ ‘attualtà’ (ma nel senso, che ho prima chiarito) di
grande interesse, nella prospettiva di uno sviluppo effettivo dell’eredità di
Marx e per rendere sensato qualunque discorso sul rapporto tra filosofia
(marxista) e scienze." (S. Garroni)
Leggi tutto: http://www.metabasis.it/articoli/2/2_Garroni.pdf
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