*Da: Annali
della Scuola Normale Superiore di Pisa, 1990,
n. 2. **Economista italiano, laureato in filosofia
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/totalitarismo-triste-storia-di-un-non.html
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1.
Premesse generali
Negli
ultimi anni, dopo decenni di preminente attenzione alle implicazioni
della filosofia hegeliana del diritto sul terreno delle dottrine
politiche e delle teorie della società, il panorama delle
interpretazioni è venuto gradatamente mutando. Volendo dare conto
delle principali novità interpretative, se ne possono indicare in
particolare due: da un lato l’accresciuto interesse per il rapporto
tra i Lineamenti di
filosofia del diritto
e la Scienza della
logica e nei confronti
di quelle che potremmo definire come le “costanti logiche” che
operano all’interno della filosofia hegeliana del diritto i;
dall’altro, il tentativo di leggere i Lineamenti
hegeliani sul metro di una filosofia dell’azione, cercando non di
rado di porre il pensiero di Hegel a confronto con i più recenti
indirizzi teorici, manifestatisi soprattutto in ambito
anglo-americanoii.
Per motivi in parte differenti, entrambe queste nuove e feconde
direzioni di lettura hanno portato con sé la necessità di fare i
conti, più seriamente che in passato, con i paragrafi introduttivi
dei Lineamenti
(§§ 1-32), nei quali Hegel ci offre, come recita l’indice
dell’opera, il “concetto della filosofia del diritto, del volere,
della libertà e del diritto”. Per chi voglia, più in particolare,
trattare la concezione hegeliana della libertà del volere,
l’esigenza di affrontare direttamente i nodi teorici e le
distinzioni di significato proposte nei primi paragrafi dei
Lineamenti
è sicuramente ineludibile. Nelle prossime pagine, dopo aver dedicato
qualche breve considerazione ad alcuni princìpi e postulati generali
di particolare rilievo per la trattazione hegeliana di questo
tradizionale tema metafisico, tenterò appunto di mostrare come
l’introduzione ai Lineamenti
definisca la cornice teorica all’interno della quale si situano le riflessioni dedicate al problema della libertà nel corso dell’opera.
Per
un primo avvicinamento alla trattazione hegeliana della libertà
appare utile rifarsi innanzitutto ad alcuni generali presupposti
metodici ed ontologici che caratterizzano la posizione del filosofo
tedesco:
1.1.
Il rifiuto del metodo
definitorio:
significato ed applicazioni di un concetto non possono dedursi
semplicemente da alcune definizioni iniziali; per quanto riguarda il
tema della “libertà”, questo rifiuto si traduce
nell’affermazione secondo la quale “che
la volontà è libera
e che cosa
è volontà e libertà - la deduzione di ciò può trovar luogo...
unicamente nella connessione dell’intero” (Lineamenti
§ 4 A; cf. § 2, A).
1.2.
A quel primo presupposto metodico ne va aggiunto uno di carattere
ontologico, consistente nel concepire il reale come ordinato secondo
una scala ascendente di
livelli di perfezione
(Hegel parla a questo proposito di “adeguatezza tra concetto e
realtà”, e di “verità”); tale assunto si traduce, sul piano
del metodo, in una sorta di
1.3.
principio di
retrospettività, per
il quale l’ultimo significato di un termine nell’ordine
dell’esposizione è primo per importanza, e ad esso vanno
commisurati i precedenti.
I
tre punti ora richiamati convergono nel conferire ai testi hegeliani
una delle loro caratteristiche più appariscenti: il mutamento di
significato delle nozioni decisive (facendo riferimento anche al
frequente utilizzo hegeliano di termini come soggettività, libertà,
infinità, verità, autofinalità in qualità di sinonimi si potrebbe
esprimere in forma paradossale questo aspetto dicendo che in Hegel
molti termini-chiave posseggono un solo significato, ed ognuno ne ha
molti).
1.4.
Un ultimo presupposto da menzionare è infine il monismo,
come esigenza di un
legame interno nello sviluppo delle determinazioni:
per esso è necessario che ogni determinazione fondamentale mantenga
un nucleo di significato comune a tutte le sue accezioni
(l’espressione più importante di questa esigenza consiste, come è
noto, nel tentativo di mostrare il “concetto” della Scienza
della logica come
sviluppo-arricchimento dell’“essere”).
Per
quanto riguarda il concetto di “libertà”, due problemi balzano
immediatamente agli occhi in relazione ai presupposti sopra
menzionati:
a) se termine di paragone della “libertà” è il suo compimento, il suo “concetto sviluppato”, qual è però questo realmente? La libertà quale si realizza all’interno dell’eticità (la libertà dello “spirito oggettivo”) o la libertà consistente nella contemplazione filosofica (ossia la libertà dello “spirito assoluto”)? E ancora: è possibile gettare un ponte tra questi due significati, evitando al contempo di identificare “Weltgeist” e “spirito assoluto”? Il tentativo di dare una risposta a questi interrogativi - altrimenti formulabili nel problema della priorità tra “Wissen” e “Wollen” - domina larghissima parte della letteratura critica e non potrà essere oggetto del presente lavoro.
b)
Un secondo problema riguarda il solo terreno dello “spirito
oggettivo”, ed è la domanda a cui queste pagine tentano di dare
una risposta: è possibile accertare, all’interno della Filosofia
del diritto, la
presenza di un nucleo unitario di significato della nozione di
“libertà”, oppure tale termine è sottoposto a tensioni
irresolubili nel mutarsi delle sue accezioni?
2.
I tre significati di “libertà”
nell’introduzione ai Lineamenti
È
possibile considerare i paragrafi introduttivi dei Lineamenti
come accesso privilegiato alla teoria hegeliana della libertà. In
essi, infatti, troviamo per un verso compendiati i risultati
principali dello “spirito soggettivo” in ordine alla questioneiii;
d’altra parte - questo è facilmente accertabile anche solo in base
ai riferimenti interni all’opera - l’introduzione contiene le
grandi linee di sviluppo di ciò che segue nel testo del 1821. Per
quanto riguarda la libertà, i suoi tre principali significati
costituiscono l’oggetto principale dell’introduzione. Possiamo
anticiparli in questi termini:
(1) Libertà
in sé (an sich)1:
autorelazione, universalità astratta dell’autocoscienza (essa
occupa una posizione ambigua, tra pensare e volere).
(2) Libertà
in sé2:
movimento di attuazione della volontà (infinito secondo la forma),
azione diretta ad un fine in generale. Da un punto di vista formale
la libertà in questo secondo significato ha come momenti, accanto
alla a) autoriflessione-indeterminatezza iniziale [=(1)], la b)
“Selbstbestimmung”
e c) il conseguimento del fine tramite l’appropriazione ed
elaborazione del mezzo. In relazione alla trattazione dei Lineamenti,
essa comprende il “Tun”
del diritto astratto e la “Handlung”
della moralità.
(3) Libertà
in sé e per sé (an und für sich):
ha attuazione nell’azione etica, è volontà infinita secondo forma
e contenuto, volontà che vuole se stessa in quanto sistema
razionale, seconda natura.
Essa culmina, non da
ultimo in base all’educazione all’universale ed all’affinamento
degli impulsi (“Triebe”)
che ha luogo nella “società civile”, nella “disposizione
d’animo politica” (“politische
Gesinnung”).
2.1.
La libertà in
sé1
(1)
Il primo significato di “libertà” coincide con la pura
indeterminatezza iniziale del volere, con la autorelazione astratta
dell’autocoscienza. Tale universalità iniziale dell’io secondo
Hegel può essere rinvenuta nell’autocoscienza personale di ognuno
nella forma della (a) possibilità di astrazione da ogni contenuto,
della (b) autodeterminabilità, capacità di porre in sé ogni
contenuto (la quale è pendant
positivo del momento precedente), della (c) possibilità di contenere
l’esempio per le ulteriori determinazioni (§ 4 A).
Nel
paragrafo seguente tale “pura
indeterminatezza o...
pura riflessione dell’io entro di sé” (§ 5) è definita in
termini negativi: come libertà “negativa”, “dell’intelletto”,
“del vuoto” (§ 5 A), e ancora come “determinazione
unilaterale assolutizzata dall’intelletto”iv.
Più avanti Hegel ci dirà che questo primo momento non coincide
propriamente con la volontà, la quale è unità di esso e della
“Selbstbestimmung”
(§ 7); anche nella trattazione dei momenti dell’azione offerta
nella Scienza della
logica essa è appena
menzionata per scomparire di fatto nel corso dell’argomentazionev.
Di
più: nella misura in cui Hegel pone l’accento sul secondo momento
del volere, quello della decisione e dell’autodeterminazione,
l’universalità iniziale sembra addirittura non far parte della
volontà in senso proprio; in particolare l’Annotazione al § 13 A
(corrispondente ad E § 469, A) ci offre uno schema parallelo ai tre
significati di libertà, ritagliato però sul rapporto tra “Denken”
e “Wollen”:
in esso ad (1) corrisponde l’universalità astratta del
pensiero, a (2) il volere, come particolarizzazione e decisione alla
finitezza, a (3) l’universalità concreta, “ricca”, ossia
la volontà elevatasi nuovamente al pensiero dando ai suoi scopi
“universalità immanente”, togliendo la differenza di forma
e contenuto, facendosi dunque “volontà oggettiva, infinita”vi.
Ma
a ben vedere, proprio questa corrispondenza del primo momento del
volere col pensare ci autorizza ad ammettere un suo significato
autonomo all’interno della teoria hegeliana della libertà;
l’autorelazione nella forma del pensiero, dell’universalità è
infatti il tratto che caratterizza inizialmente la libertà umana
rispetto all’autorelazione nell’ambito dell’organico, ove
essa non giunge oltre la forma del “Selbstgefühl”vii
e della “Empfindung”
del genereviii.
2.2.
La libertà in
sé2
(2)
La volontà in senso proprio comprende l’universalità iniziale più
il movimento della sua autodeterminazione (§ 7). Nel consueto schema
hegeliano essa è identificata con la “individualità” o
“soggettività”ix
consistente nel ritorno dell’universale in sé (1) dal (o nella sua
permanenza nel) particolare (ossia l’autodeterminazione
del volere).
Il
momento della particolarità risulta decisivo nel modello hegeliano;
esso è chiaramente distinto da (1), che ne è l’“in sé” (§ 6
A), e solo a partire da esso si può parlare di volontà in senso
proprio. Basti, al proposito, confrontare la nota autografa di Hegel
al § 6 (“io non voglio
semplicemente, ma voglio qualcosa”:
HW VII, 53), e la formulazione riportata nella Nachschrift
di H.G. Hotho: “una volontà che non decide nulla, non è realmente
tale [ist kein
wirklicher Wille]”x.
È interessante notare come ad Hegel sia del tutto indifferente che
il contenuto di questa “Unterscheidung”,
di questo “Bestimmen”
sia “dato dalla natura o prodotto dal concetto dello spirito” (§
6; cf. A)xi:
ciò che conta, infatti, è che esso, a questo livello della
“libertà”, sia comunque immediato (§ 35)xii.
Tentando
di riassumere in una formula il significato della libertà del volere
che è qui in gioco, si potrebbe parlare di “permanenza presso di
sé nella determinazione, a prescindere dai contenuti della
medesima”. L’indagine del movimento della volontà che viene
attuata in questi primi paragrafi dei Lineamenti
non differisce nella sostanza dallo schema dell’azione conforme a
un fine che ci viene offerta nella Scienza
della logicaxiii:
il volere ha la forma dello scopo (§ 8, Hb.), prima semplicemente
presente alla rappresentazione, poi realizzato nell’oggettività (§
9); la forma dello scopo rappresenta qui l’unità dell’io, della
coscienza, un’unità superiore alla astratta autoidentità
dell’universalità iniziale del volere (cf. § 109), benché ancora
formale.
In
questo paragrafo ho adoperato i termini “volontà” e “libertà”
come sinonimi: tale uso mi pare giustificato dal testo hegeliano, nel
quale la “libertà” non è un semplice attributo della “volontà”,
bensì la sua propria “sostanza e determinazione” (§ 4, cf. §
7), non qualcosa che essa abbia,
ma ciò che essa è xiv.
Potremmo parlare di un convergere dei due concetti verso un comune
significato, in quanto Hegel da un lato non considera la libertà una
determinazione di stato, dall’altro non ritiene la volontà
distinguibile dall’operare e dall’agire: ha così luogo la doppia
equivalenza: “libertà = (movimento di attuazione della) volontà =
movimento dell’azione”.
2.2.1.
I limiti della libertà
in sé2
Nei
§§ 10-15 Hegel sviluppa una critica serrata alle posizioni che
esaltano la semplice eccellenza formale del volere nella sua
distinzione dall’immediatezza del contenuto; proprio questa non
corrispondenza di forma e contenuto denuncia anzi, secondo Hegel,
l’imperfezione (Hegel dice “non verità”: § 10 A) della
volontà soltanto “in
sé, ovvero per
noi,...nel suo
concetto” (§ 10)xv.
Per
poter esaminare le argomentazioni di Hegel contro la volontà libera
in sé e l’arbitrio, è però necessario risolvere un problema
posto dalla partizione che troviamo in Rph § 21 A: qui, infatti,
Hegel ci offre una ulteriore suddivisione della (2) “libertà in
sé2”
in (a) “autocoscienza del volere” e (b) “volere riflettente”;
ad essa corrisponde la partizione contenuta nelle Nachschriften
di Hotho e Griesheim, in cui Hegel parla di (a) “volontà
naturale” (§§ 11-13) e (b) “volere riflettente” (§§ 14-20,
da “scelta” e “arbitrio” in poi)xvi.
La ragione di questa ulteriore divisione dell’ambito della “libertà
in sé” - meno chiara nel testo a stampa - è facile a
comprendersi: si tratta dell’esigenza di far corrispondere in
maniera precisa a questi paragrafi dell’introduzione le azioni che
si svolgono nell’ambito del diritto e della moralità. Con tutto
questo, i tratti in comune tra “volere del diritto” e “volere
della moralità” permettono di collocarli sotto una stessa
designazione generale: permane infatti, nello sviluppo dall’uno
all’altro, la esteriorità di forma e contenuto, cosicché il
massimo a cui si può giungere nel loro ambito è un criterio
estrinseco di scelta tra gli impulsi; oltre a ciò, nella stessa
“Kurzfassung”
che troviamo a margine della Nachschrift
di Hotho (basata forse su un Repetitorium
del von Henning) la “Willkür”
inizia al § 11 (III, 127), quasi ad indicare la impossibilità di
segnare un confine netto tra i due tipi di “libertà in sé2”,
e di assegnare l’arbitrio al solo “volere riflettente”.
Vediamo
ora le critiche di Hegel all’esaltazione della “libertà in sé2”,
a partire dalla lettura delle argomentazioni conclusive di Rph §
10 A:
“L’intelletto
si ferma al mero esser
in sé [Ansichsein]
e denomina così la libertà, secondo questo esser in sé, una
facoltà,
com’essa d’altronde, in tal modo, di fatto è soltanto la
possibilità.
Ma esso riguarda questa determinazione come assoluta e perenne e
assume la di lei relazione con quel ch’essa vuole, in genere con la
di lei realtà [Realität],
soltanto per un’applicazione
a un materiale dato, la quale non appartenga all’essenza della
libertà stessa; esso ha in questo modo a che fare soltanto con
l’astratto, non con l’idea e verità della libertà”.
Il
nucleo del ragionamento hegeliano è così esprimibile: la libertà
non consiste in una facoltà, da cui possa separarsi l’applicazione
come un elemento contingente: la libertà - sia essa (2) “an
sich” o (3) “für
sich” - è sempre
volontà che si porta ad effetto (si veda, nel testo sopra riportato,
in particolare l’equivalenza tra “quel ch’essa vuole” e “la
sua realtà”); forma e contenuto del volere non sono scindibili, né
sul piano normativo, né su quello descrittivo: in altre parole, non
solo non devono essere distinti, ma non lo sono mai.
Vediamo
i due aspetti di questa non separabilità:
a)
Forma e contenuto non devono essere distinti: alla base di questa
posizione normativa sta un assunto di valore, ossia che vera libertà
(“libertà in sé e per sé”) si ha soltanto ove il contenuto sia
degno della forma, ove la libertà abbia se stessa ad oggetto (il
compito precipuo della sezione “eticità” dei Lineamenti
consiste appunto nel precisare cosa questo significhi).
b)
Forma e contenuto del volere non sono mai (non possono essere)
distinti. Più precisamente, la volontà è inevitabilmente
determinata dal contenuto nel momento stesso in cui essa si
“autodetermina”, ossia comincia a darsi realtà. Nel momento
della scelta, infatti, i confini della stessa (ossia l’ambito di
ciò che può essere scelto) costituiscono l’universalità della
volontà-libertà, ne determinano il significato. Questa posizione è
condotta da Hegel alle sue estreme conseguenze in § 17 Z, ove
leggiamo che nel soddisfare un “Trieb”
(contro e invece di altri) ha luogo una “zerstörende
Beschränktheit” in
quanto è così abbandonata la “universalità, ...che
è un sistema di tutti gli impulsi”xvii.
Nel passo citato vediamo sovrapporsi sino
a coincidere
la universalità formale della volontà (la libertà di scegliere,
ossia la possibilità di “far
quel che si voglia”
di § 15 A) e la totalità, l’insieme dei contenuti effettuali,
presenti alla coscienza - e qui ancora naturali e immediati - tra i
quali la scelta può aver luogo. Questo aspetto del discorso
hegeliano permette di situare la teoria della libertà esposta nei
Lineamenti tra
quelle che non si limitano ad identificare “libertà” e
“spontaneità” (ossia “assenza di costrizione”), ma vi
affiancano la nozione positiva di “capacità”.
Con
ciò stesso, la nozione di libertà è portata sul terreno della
storia, e suo parametro non è più il criterio formale della
“libertà” di scelta - la possibilità di scegliere o meno un
certo contenuto (§§ 14, 15 A), col corollario della possibilità di
tornare sulle decisioni prese (§ 16) - ma la scelta effettivamente
compiuta, in base al metro di valutazione costituito dalla conformità
di forma e contenuto del volere. I contenuti di tale conformità sono
da Hegel precisati nella “dottrina dei doveri” costituita dalla
sezione “eticità”
dei Lineamenti (§
148, A): in termini generali, la libertà in questo senso più alto
consiste in un’attiva identificazione dell’individuo con
l’insieme etico, in un movimento in cui necessità del pensiero e
necessità esterna finiscono col convergere (o meglio: in cui la
necessità esterna non è più sentita come tale).
2.2.1.1.
Un problema: il rapporto difficile tra libertà di scelta e necessità
interna.
Più
avanti ci fermeremo sulle difficoltà che questa accezione di libertà
come “identificazione” comporta nell’economia del discorso
hegeliano. Si può intanto notare come il semplice accento sulla
“necessità interna” (comunque connotata) comporti notevoli
ambiguità. Infatti,
1)
da un lato l’“arbitrio”, la libertà
di scelta, pur essendo
accezione minima di libertà, è pur sempre, anche per Hegel, ciò
che garantisce la imputabilità delle azionixviii.
Questo
può accadere solo in quanto il “determinismo dell’intelligibilità”
hegelianoxix
convive con una distinzione di piani di discorso in corrispondenza
coi vari livelli del reale, e con una metodologia che nega la
riducibilità delle varie strutture alla loro genesi; espresso in
altri termini: la realtà è un edificio i cui piani superiori non
sono conoscibili - nella loro legalità di funzionamento attuale - in
base alle leggi che regolano gli inferiori (e questo a prescindere
dalla possibile genesi dei primi dai secondi)xx.
Le conseguenze di questi assunti generali per il problema della
libertà sono notevoli: in
primo luogo la
autodeterminazione umana è in certo senso un cominciamento; nel
mondo umano è possibile e necessario valutare l’azione in base ad
intenzioni, motivazioni pertinenti al soggetto, le quali, a loro
volta, sono relative ai particolari contesti etici entro cui hanno
luogo. In secondo luogo
la distinzione di piani sembra coinvolgere il rapporto stesso tra
agire e conoscere filosofico: il dualismo necessariamente inerente
all’azione non è “confutabile” in base al monismo e
determinismo retrospettivi del pensiero ed è con essi compatibile,
in quanto appunto agire e conoscere si trovano su piani differentixxi.
2)
D’altra parte, l’azione è valutata da Hegel in base alla sua
razionalità assoluta, ossia alla sua adeguazione alla “volontà in
sé e per sé”, la quale è necessità.
Non pare che questa posizione di Hegel possa interpretarsi
semplicemente facendo riferimento alla connessione di
necessità-razionalità di contro al nesso contingenza-naturalitàxxii.
Oltre a questo, infatti, l’eccellenza dell’azione “libera in sé
e per sé” rispetto alla volontà di fronte alla scelta sta proprio
nella chiara direzione razionale, necessità, cogenza della prima di
contro alla indeterminatezza della seconda: infatti nel § 15 dei
Lineamenti
l’“arbitrio” è definito come “l’accidentalità,
quand’essa è come volontà [die
Zufälligkeit,
wie sie als Wille ist]”,
e ciò in base al fatto che il contenuto del volere - in sé
necessario
in quanto fine - è soltanto
possibile in rapporto
alla “libera riflessione che astrae da tutto”xxiii.
La libertà vera, invece, è per Hegel movimento dotato di necessità:
il più delle azioni che hanno luogo in un insieme etico nel suo
funzionamento ordinario (a cui va l’attenzione privilegiata del
filosofo: cf. Rph § 268), infatti, non abbisogna a rigore neppure di
una scelta particolare e distinta dalla scelta di curare il proprio
interesse particolare (nella “società civile”), e di vedere il
proprio interesse sostanziale attuato nelle istituzioni dello stato.
Da questo punto di vista, l’indecisione stessa sarebbe segno di una
non compiuta interiorizzazione dell’eticitàxxiv.
Mi
sembra che la conciliabilità di (1) e (2) sia un problema effettivo
della teoria hegeliana della libertà; esso può essere così
formulato: (1) la esigenza di salvaguardare un significato minimo di
“libertà della scelta”, di “arbitrio” per garantire la
responsabilità morale e l’imputabilità giuridica non finisce per
cozzare contro (2) l’esigenza che la direzione dell’azione sia
garantita nel suo percorso deciso e necessario? A questa domanda non
sembra possibile trovare una risposta convincentexxv.
2.2.1.2.
Gli esiti ultimi della libertà
in sé2.
I
§§ 17-20 ci danno la misura dei limiti intrinseci allo sviluppo del
secondo significato di “libertà”, ed al tempo stesso indicano
l’esito estremo a cui questo livello di libertà può pervenire. Il
carattere formale della “libertà in sé2”
ha espressione in ciò, che nel suo ambito non è data una misura
della “subordinazione” o del “sacrificio” degli impulsi e del
loro appagamento (§ 17), e il problema stesso della loro
“purificazione” - “parola vuota
[unbestimmtes Wort]”
- non può essere risolto su questo terreno (§ 19, Hb.); in effetti,
una depurazione effettiva degli impulsi (benché, precisa Hegel
subito, soltanto “in modo esteriore”) può aversi soltanto con
l’ideale della “felicità”, come “totalità dell’appagamento”
tramite cui un’universalità formale, per la prima volta differente
dalla semplice presenza di sé nella scelta, è portata negli impulsi
(§ 20): ma anch’essa è “priva di contenuto in sé,
indeterminata”, e si riduce in fondo ad “una singola sensazione
piacevole,
[alla] soddisfazione di un singolo
impulso” (§ 20 Hb.), risultando così un universale soltanto
presunto. Per finire, è bene dare il giusto rilievo al parallelo,
stabilito in quest’ultimo paragrafo dedicato al secondo significato
di libertà, tra l’ideale universale della felicità e la
“universalità del pensiero” originata dalla “Bildung”:
qui Hegel fa esplicitamente riferimento ad una delle direzioni di
trasformazione dei “Triebe”
per cui solo è possibile giungere alla “libertà in sé e per sé”;
tali direzioni riceveranno la dovuta attenzione nel testo hegeliano a
proposito della “società civile”xxvi.
Ma già nell’introduzione l’accenno ad esse conferisce
plausibilità al “passaggio del principio [della] felicità nel
principio della libertà” (§ 21 Hb.).
2.2.2.
“Diritto
astratto” e
“moralità”
come sviluppi del secondo significato di libertà
2.2.2.1.
“Il diritto
astratto”
Per
poter svolgere questo punto è necessario chiarire una questione
importante, che investe direttamente il problema del significato da
assegnare alla partizione dei Lineamenti.
Dopo
essere pervenuto - negli ultimi paragrafi dell’introduzione (Rph §§
21 sgg.) - alla “libertà in sé e per sé”, Hegel ci propone la
trattazione del “diritto
astratto” come
avente ad oggetto “la volontà libera in sé e per sé, com’essa
è nel suo concetto astratto”
(§ 34); parrebbe dunque che la introduzione ai Lineamenti
giungesse soltanto a darci il punto di partenza della trattazione
vera e propria, anziché costituire una stringata ed efficace
anticipazione della sua intelaiatura. Le difficoltà di questa
lettura, però, non sembrano trascurabili: in particolare, essa
sembra dipendere dall’ipotesi di uno sviluppo storico del contenuto
del Diritto.
Ora,
in primo luogo Hegel esclude esplicitamente che l’esposizione dei
Lineamenti corrisponda
ad uno sviluppo storico: “è da notare che i momenti il cui
risultato è una forma ulteriormente determinata, vengono avanti di
esso come determinazioni del concetto nello sviluppo scientifico
dell’idea, ma non vengono prima di esso nello sviluppo temporale
come configurazioni” (Rph § 32 A)xxvii.
In secondo luogo, la stessa, annotazione piuttosto involuta ora
citata, termina accennando al fatto che soltanto all’interno di una
“civiltà più sviluppata [in
höher vollendeter Bildung]”
i vari momenti si presentano nel loro massimo dispiegamento; a questo
va aggiunto quel luogo in cui Hegel asserisce che “gli elementi
giuridico e morale non possono esistere per sé, ma hanno come
sostegno [Träger]
e base quello etico” (Hotho ad
Rph § 141: III, 478)xxviii,
che risulta così presupposto a tutta la trattazione.
Se
però si deve parlare della (moderna) eticità come base su cui solo
hanno luogo tutti i rapporti giuridici (nel senso del diritto
privato) e morali esposti nell’opera hegeliana, è necessario
attribuire ben altro significato alla citata affermazione del § 34:
tra le relazioni che hanno luogo nell’eticità, sede della
raggiunta “volontà libera libera in sé e per sé”, i rapporti
giuridici costituiscono il livello più “immediato” ed
“astratto”.
Proviamo
ora a seguire nell’essenziale il percorso del “diritto
astratto”. Si può
innanzitutto notare che, dal punto di vista individuale, si muove da
una sostanziale corrispondenza tra la volontà e l’“arbitrio”
(§ 35); l’immediatezza di cui parlava il § 34 origina dalla
carenza di un contenuto proprio (§ 34 Hb.), che come abbiamo visto è
caratteristica dell’arbitrio e più in generale della “volontà
libera in sé2”.
In conformità a quanto già osservato a proposito dell’introduzione
ai Lineamenti,
alla base dell’azione vi è l’universalità formale, il pensiero
di sé come io astratto universale, infinito nella sua
determinazione, (ossia la “libertà in sé1”):
è esso a specificare il “soggetto” (che in questa sua accezione
più generale comprende ogni essere vivente) in “persona” (§
35, A).
Carattere
comune alle tre principali determinazioni del “diritto
astratto” (la
proprietà, il contratto e l’illecito) è il fatto che la libertà
abbia un’“esistenza immediata” in una cosa (§ 40), cosicché
questa sezione è in realtà come “attraversata” dalla figura
della proprietà (§ 40 Hb, HW 7.101). Nel percorso della sezione
attraverso i suoi tre momenti ha luogo una progressiva perdita di
immediatezza, ed un primo conseguimento dell’universale (ibidem):
tale movimento è visibile anche soltanto ad un breve esame delle tre
determinazioni fondamentali del “diritto
astratto”.
a)
Nella proprietà la persona si dà una “sfera esterna” della
propria libertà (§ 41). Questa affermazione di Hegel può essere
facilmente compresa se posta in relazione con uno dei principali
significati Hegeliani di libertà, ossia la libertà come “creazione
di una realtà a sé conforme”. Ciò significa, non da ultimo,
perdita della semplice soggettività del volere; essa ha luogo in
particolare con il “dare forma
[Formierung]” alla
cosa (Rph § 56): essa è “la presa di possesso più adeguata
all’idea, in quanto unifica entro di sé il soggettivo e
l’oggettivo” (§ 56 A)xxix.
b)
Del contratto, relazione tra due volontà, Hegel afferma che è “il
peculiare e verace terreno nel quale la libertà ha esistenza
[Dasein]” (§ 71).
In questo caso la proprietà vede anche il rapporto tra volontà come
sua condizione; tale relazione, che sembra mezzo della proprietà, ne
è in realtà il risultato ed il fine: infatti per un verso ad esso
la proprietà perviene necessariamente (ibidem),
per l’altro è conforme alla ragione che ad esso si arrivixxx.
“Conforme alla ragione” non significa qui altro che “funzionale
allo sviluppo della libertà”, intesa come “volontà che vuole se
stessa”.
Però
il contratto è stipulato tra persone immediate, cosicché la
“volontà identica” che lo rende possibile è un volere soltanto
“comune”,
non ancora “universale in sé e per sé” (§ 75).
c)
Proprio da ciò deriva la possibilità che non vi sia accordo tra
“volontà particolare”
e volontà “essente
in sé”; tale
mancata corrispondenza costituisce l’illecito (§§ 40, 81). In
altre parole: nel contratto la volontà singola non ha rinunciato
“all’arbitrio e all’accidentalità della volontà stessa”
(ciò, come vedremo, è infatti possibile solo in base ad una
adesione consapevole al tutto etico), ma solo “all’arbitrio su
una cosa singola”
(§ 81 A). E la stessa, pur relativa validità del contratto, ha la
sua origine nel fatto che in esso è comunque presupposto “il
diritto in sé, ossia l’esistenza della libertà in generale”:
questo elemento, dunque, non solo travalica le volontà particolari,
ma è proprio ciò “che le lega od obbliga [das
Bindende]” (§ 81
Hb., HW VII, 171)xxxi.
Non
sarebbe difficile applicare a questi luoghi le note considerazioni
marxiane circa l’inversione del rapporto reale all’interno dei
Lineamenti.
Ma qui interessa piuttosto notare la presupposizione e introduzione,
ai vari livelli del procedere argomentativo, del punto d’arrivo del
processo, ossia della libertà come sistema dispiegato del diritto e
dell’eticità: qui si fa chiaro che la Filosofia
del diritto è, non da
ultimo, la cronaca (a scopo didascalico) delle varie tappe attraverso
cui la volontà singola conquista l’adeguazione soggettiva alla
realtà politica e sociale, realtà che la coscienza individuale si
trova dapprima di fronte come un che di estraneo; e
contemporaneamente ci si presenta in tutta la sua difficoltà il
compito ermeneutico principale per chiunque si accosti ai Lineamenti
Hegeliani: districare dal loro viluppo due tipi di libertà, ossia la
libertà del soggetto e la libertà oggettivamente presente - ma
all’inizio non consaputaxxxii.
L’illecito
contribuisce a profilare le distanze tra i due tipi di libertà ora
menzionati; i suoi due risultati sistematici, infatti, sono
compendiabili in: (1) comparsa esplicita della “volontà universale
in sé” del diritto,
e sua differenziazione dalla (2) “volontà singola
essente per sé”
(§ 104), in cui la libertà ha esistenza interiore (Hotho ad
§ 104: III, 327-328). La valutazione hegeliana di quest’ultimo
aspetto presenta subito ambiguità rilevanti, destinate a
proiettarsi sull’intera sezione “Moralità”:
per un verso essa sembra marcare un progresso, per l’altro essa non
è che “l’infinita accidentalità essente entro di sé della
volontà” (§ 104 A).
2.2.2.2.
“La moralità”
I
primi paragrafi della seconda sezione dei Lineamenti
sono dedicati ad una
definizione delle differenze tra “diritto
astratto” e
“moralità”:
in quest’ultima ha luogo una ulteriore riflessione della volontà
entro di sé, e su questo nuovo terreno la “persona” diventa
“soggetto” in senso stretto, perde immediatezza e non ha più la
realizzazione della sua libertà in una cosa (§§ 105 sgg.).
Al
di là e al di sopra di questo, è però essenziale notare come di
fatto non si esca, con la moralità, dall’ambito della
“volontà libera in sé2”:
a riprova di ciò è sufficiente richiamare l’accento hegeliano sul
lato formale della volontà e la distinzione di questa
dall’“oggettività” come un’“esistenza esteriore” (§
108)xxxiii.
Nel
§ 109 troviamo descritto il modo di operare del volere in generale
(non semplicemente morale), in termini che ripetono i §§ 8-9. Le
modalità specifiche dell’azione che ha luogo sul terreno della
“moralità”
sono poi esposte nel § 113:
“l’estrinsecazione
della volontà come volontà soggettiva
o
morale è
azione [Handlung]. L’azione
contiene le determinazioni indicate: a) di venir saputa da me nella
sua esteriorità come la mia, b) di esser la relazione essenziale con
il concetto come un dover essere e g) con la volontà di altri”.
Hegel
nell’annotazione al paragrafo ci dice che tra le caratteristiche
indicate non la prima (che rappresenta la riflessione in sé del
volere), ma solo le ultime due mancano nel “diritto astratto”
(per di più, l’ultima manca nel diritto solo in senso positivo). È
facile notare come i segni distintivi esibiti siano assai poco
caratterizzantixxxiv:
in ogni caso, essi non sembrano costituire una nozione specificamente
morale di libertà.
Una
prova importante della sostanziale pertinenza del contenuto della
“Moralità”
all’ambito del secondo significato di libertà, oltreché della
comprensività tematica dell’introduzione ai Lineamenti,
ci è poi offerta dalla riproposizione della “felicità”, ora
associata al “benessere” (§ 123, A)xxxv.
Nell’introduzione
non era presente “il bene” (§§ 129 sgg.). Esso è però di
pertinenza della “Moralità”
solo nel suo primo apparire, ossia come “soggettivo, o formale”
(§ 129); la ragione dell’interesse hegeliano per questa nozione
risiede nella stretta connessione del “bene” col “dovere
[Pflicht]”
(§ 133) - assente nella “felicità” -, dovere che poi consiste
nell’“attuare il diritto
e preoccuparsi del benessere”
proprio e altrui (§ 134). In altre parole, è l’interesse verso
una nozione preparatoria all’“Eticità”,
la quale sottrarrà il “bene” alla condizione di semplice
“dovere” come”essenzialità
universale astratta”
(§ 133) specificando la “Pflicht”
in doveri determinati.
Si
può osservare come dopo “bene” e “dovere” la parabola della
“Moralità”
entri nella sua curva discendente: infatti la successiva trattazione
della “coscienza morale [Gewissen]”
- definita come la particolarità in cui risiede l’universalità
del bene (§ 136) - è subito scissa in due: da una parte la vera
coscienza morale, che consiste nel volere ciò che è buono in sé e
per sé, e dunque secondo Hegel può prodursi solo nell’ambito
dell’eticità; dall’altro la coscienza morale della “moralità”,
che è semplice certezza formale di sé (§ 137), in quanto appunto
“il sistema dei doveri qui non è ancora dato” (§ 137 Hb., HW
VII, 257).
Esito
della moralità risulta così l’“autocoscienza” come
possibilità di prendere a principio sia ciò che è “universale
in sé e per sé”,
sia “l’arbitrio,
la propria
particolarità” (§
139).
2.3.
La libertà in
sé e per sé
Sino
al § 20 dell’introduzione ai Lineamenti,
ed all’interno di “Diritto
astratto” e
“Moralità”,
avevamo a che fare con la forma del volere libero, e col processo
della sua trasformazione interna. A partire dal § 21, e con
l’“Eticità”,
siamo invece trasportati sul terreno della “volontà libera in sé
e per sé”xxxvi,
libertà secondo la forma ed il contenuto. Che Hegel così definisce:
“la
volontà essente in sé e per sé è veracemente
infinita, poiché il
suo oggetto è essa stessa, quindi il medesimo per essa non è un che
di altro né
termine,
bensì essa in ciò piuttosto è soltanto ritornata entro di sé.
Essa è inoltre non mera possibilità, disposizione, facoltà
(potentia), bensì il
realmente-infinito
(infinitum actu),
poiché l’esserci del concetto, ovvero la sua esteriorità
oggettiva, è l’interiorità stessa” (§ 22).
L’opposizione
alla semplice “possibilità, disposizione, facoltà” non è
banalizzabile a semplice espressione della polemica contro la
cosiddetta “morale delle buone intenzioni”: “possibilità”
indica qui, in generale, la non ancora attualizzata corrispondenza di
forma e contenuto, di soggetto e oggetto, insomma la separazione tra
“libertà” del singolo e suo mondo che caratterizza tutte
le forme del secondo significato di libertà.
Infatti,
nella ripresa ideale di questo discorso contenuta nel primo paragrafo
della sezione “Eticità”,
troviamo che questa è definita come “il concetto della libertà
divenuto mondo sussistente [vorhanden]
e natura
dell’autocoscienza” (§ 142); in altri termini, nella
volontà libera in sé e per sé il mondo etico, che il soggetto
dapprima si trova semplicemente di fronte come “già fatto”, è
interiorizzato e voluto dalla coscienza: sostituisce, come contenuto
del volere, gli impulsi naturali e l’arbitrarietà dei contenuti
semplicemente soggettivi.
A
ben vedere, però, non si può parlare soltanto di sostituzione
degli impulsi, bensì anche di una loro trasformazione.
La questione, di importanza decisiva nei Lineamenti,
richiede qualche chiarimento ulteriore. A proposito dei “Triebe”
Hegel affermava già nell’importantissima annotazione ad E § 474 -
probabilmente la più chiara enunciazione hegeliana dei rapporti tra
“spirito soggettivo” e “spirito oggettivo” - quanto segue:
“è
la riflessione immanente dello spirito stesso di andar oltre la loro
particolarità come
oltre la loro immediatezza
naturale, e dare al
loro contenuto razionalità ed oggettività, in cui essi stanno come
rapporti necessari,
diritti e
doveri... La questione
dunque: quali siano le inclinazioni
buone e razionali e la
loro subordinazione, si converte nell’esposizione dei rapporti
[Darstellung, welche
Verhältnisse]xxxvii
che lo spirito produce quando si svolge come spirito oggettivo:
- uno svolgimento in cui il contenuto
dell’autodeterminazione
perde l’accidentalità e l’arbitrio. La trattazione degli
impulsi, inclinazioni e passioni [Triebe,
Neigungen und Leidenschaften] secondo
il loro contenuto [Gehalt]
vero è, perciò, essenzialmente, la dottrina
dei doveri giuridici,
morali ed etici” (HW X, 297 = tr. Croce 469).
Lo
stesso ordine di considerazioni torna in più luoghi dei Lineamenti,
ed in particolare nel § 19, in cui Hegel, facendo riferimento
alla purificazione degli impulsi, sostiene che “la verità di
questa esigenza indefinita è che gli impulsi siano come il sistema
razionale della determinazione della volontà”, e che comprenderli
così costituisce il “contenuto della scienza del diritto”;
l’annotazione a questo stesso paragrafo termina menzionando i
doveri come “un’altra forma del medesimo contenuto, il quale
appare qui in figura di impulsi”, e la nota autografa di Hegel sul
suo esemplare della Filosofia
del diritto a scanso
di equivoci precisa che “la forma diventa anche contenuto” (HW
VII, 70)xxxviii.
In altre parole: una valutazione concreta degli impulsi può darsi
solo nel contesto del sistema di relazioni ed obbligazioni che
costituiscono il tessuto dell’eticità; i doveri e diritti che in
essa hanno luogo permettono di incanalare impulsi ed inclinazioni,
offrono loro una forma sulla cui base soltanto è possibile giudicare
dei contenuti; di più: tali contenuti stessi, dal momento che in
questo modo perdono di immediatezza e vengono contestualizzati,
subiscono un mutamento qualitativo. Ecco perché si può parlare di
trasformazione
dei “Triebe”.
Tale trasformazione ha luogo secondo più direttrici:
1)
l’utilizzazione esterna degli impulsi che ha luogo all’interno
della “società civile”: essa, per un verso, su
un piano sovraindividuale,
dà luogo ad un risultato razionale; ma contemporaneamente comporta,
su un piano
individuale, un
affinamento delle facoltà;
2)
la trasformazione in senso più proprio di impulsi ed inclinazioni
consiste però nella consapevole
realizzazione (non più
soltanto strumentale, come nella “società civile”) dei
doveri, nella loro
assunzione a contenuto della volontàxxxix.
Questi
due tipi di trasformazione degli impulsi - a cui dedicherò i
prossimi due paragrafi - accompagnano i due movimenti di riconduzione
dell’“estremo
autonomo della
particolarità personale... nell’unità
sostanziale” a cui
Hegel fa riferimento nel § 260: da un lato (1) i particolari
interessi vedono riconosciuto il loro diritto e contemporaneamente
“trapassano di
per se stessi nell’interesse dell’universale”, dall’altro (2)
essi “con sapere e volontà lo riconoscono e anzi come loro proprio
spirito sostanziale
e sono attivi
per il medesimo come per loro fine
ultimo”.
2.3.1.
L’uso esterno dei Triebe nella “società civile”
L’utilizzo
“esterno” dei “Triebe”
ha luogo, per mezzo della “astuzia della ragione”xl,
all’interno della società civile. Secondo Hegel la scena della
società civile è dominata da due principi: da un lato la “persona
concreta, ...particolare”, dall’altro la “forma
dell’universalità” che media i singoli nei loro rapporti (§
182); si verifica così un sistema di reciproca dipendenza (non solo
nella produzione, ma anche nel consumo: cf. § 198), un intreccio di
“benessere e diritto” del singolo e di tutti (§ 183). In questo
contesto l’“idea”, ossia l’idea dello stato, è “relativa
totalità” e “necessità interna” (dunque lo stesso che
necessità esterna, in quanto non consaputa dal soggetto); in questo
contesto, in quanto l’idea è semplicemente scissa in
“particolarità” e “universalità” (§ 184), cioè priva del
ritorno nell’“individualità”xli,
non si può dare ancora la libertà nel suo senso più pieno, ed è
invece attuata la semplice necessità che il particolare si innalzi
alla forma dell’universale (§ 186).
Questo
innalzamento del particolare avviene tramite un capovolgimento del
rapporto tra mezzi e fini: gli individui credono di servirsi
dell’universale, ma accade il contrario (§ 187); questa inversione
è funzionale a due diversi risultati, non distinti con chiarezza da
Hegel, ma tuttavia ricostruibili in base alle sue argomentazioni:
1)
l’utilizzo dei bisogni e delle attività del singolo per il
benessere di tutti,
2)
la trasformazione della “singolarità e naturalità” individuale,
attraverso la “Bildung”,
in direzione della “libertà
formale” e della
“universalità
formale del sapere e
del volere” (§ 187,
A).
L’interesse
principale dell’utilizzo esterno dei “Triebe”,
in quanto ponte verso la “libertà in sé e per sé”, sembra
risiedere nella seconda tra le due direzioni menzionate, ossia nello
svilupparsi della capacità dell’universale e dell’adeguazione
cosciente del singolo (qui ancora incompleta, in quanto soltanto
strumentale per esso) all’oggettività: questo aspetto è infatti
assai importante per il passaggio all’azione etica propriamente
dettaxlii.
2.3.2.
L’adesione consapevole dell’individuo all’intero etico
La
formulazione più pregnante dei caratteri dell’azione etica si
trova probabilmente in Rph § 268:
“la
disposizione d’animo
[Gesinnung] politica,
il patriottismo
in genere, inteso come la certezza che sta nella verità
(una certezza meramente soggettiva non vien fuori dalla verità,
ed è soltanto opinione) e come il volere divenuto consuetudine,
è soltanto risultato delle istituzioni sussistenti nello stato, come
tale che in esso la razionalità c’è realmente,
così come riceve la sua attuazione [Betätigung]xliii
dall’agire conforme ad esse”.
È
nella “politische
Gesinnung”xliv,
come definita nel paragrafo ora citato, che Hegel ritiene di poter
rinvenire la conciliazione di soggetto ed oggetto - quale può aver
luogo nell’ambito dei rapporti etici. Nella lettura di questo
importante paragrafo un’attenzione particolare va dedicata
all’equivalenza dei due termini-chiave (“disposizione
d’animo politica” e “patriottismo”) rispetto alla “certezza
che sta nella verità”. Per intendere questo passo è necessario
fare riferimento ad uno schema adoperato spesso da Hegel: per esso,
ad esempio, la certezza della nullità dell’oggetto esterno sta
alla base dell’azione ed è confermata dalla effettiva distruzione
(o modificazione) dell’oggetto che costituisce il risultato
dell’azione; questa conferma è secondo Hegel la “verità” (il
“per sé”) di quella primitiva “certezza” (semplice “in
sé”)xlv.
Ora, se poniamo mente al fatto che l’“arbitrio” era stato
definito come “l’astratta
certezza della volontà
intorno alla sua libertà, ma non ...ancora la verità
della libertà” (§
15 A), ci è facile osservare come il “Patriotismus”
ne costituisca il
pendant
positivoxlvi.
Il
§ 268 ci offre anche la differentia
specifica dell’azione
propriamente etica rispetto all’agire pertinente all’ambito della
“società civile”: essa coincide infatti con la coscienza che non
solo l’“interesse particolare” dell’individuo, ma anche
quello “sostanziale” sia preservato nell’interesse e scopo
dello stato.
Il
contenuto più determinato della “Gesinnung”
proviene poi dai diversi lati (poteri e loro funzioni)
dell’organismo dello stato (§ 269). Ai fini del presente
lavoro non occorre addentrarsi in una analisi dei poteri dello stato.
È sufficiente porre in relazione i luoghi richiamati con uno dei
paragrafi introduttivi alla terza sezione dei Lineamenti,
quello
in cui Hegel afferma
che l’obbedienza ai doveri delle leggi dello stato - in quanto
contenuto che sostituisce gli “impulsi naturali”, la
“depressione” morale, l’indeterminatezza dell’arbitrio
- costituisce la libertà sostanziale (§ 149)xlvii.
Andrà ancora ricordato che per Hegel all’individuo non è concesso
di non riconoscersi in tali leggi: infatti, “con la pubblicità
delle leggi e i costumi universali lo Stato toglie al diritto
dell’intellezione il lato formale e l’accidentalità per il
soggetto”, che tale diritto ha ancora nel punto di vista morale (§
132 A, HW VII, 246).
3.
Conclusioni
3.1.
I criteri-significati di “libertà”
A
conclusione di questo rapido sguardo agli sviluppi del problema
“libertà” nella Filosofia
del diritto, è
possibile cercare di definire quali siano i principali criteri della
libertà rintracciabili in essa. A questo è utile anteporre, sulla
base di quanto si è visto, qualche considerazione generale. In
primo luogo,
all’interno del discorso hegeliano risulta di fatto impossibile
separare con una precisa linea di demarcazione gli aspetti
descrittivi da quelli normativi. Hegel prende le mosse
dall’assunzione che la “libertà” nel suo sigificato più pieno
sia non una caratteristica originaria del soggetto umano, bensì un
processo dotato di rilievo ontologico: più precisamente, un processo
che si realizza - sotto determinate condizioni oggettive e soggettive
- nella storia; egli propone esplicitamente una teoria anche
normativa della realizzazione della libertà: ossia non ci dice
soltanto in che senso l’uomo sia “libero”, ma che cosa possa e
debba fare per diventarloxlviii.
In secondo luogo, il
discorso hegeliano è certamente caratterizzabile come un tentativo
assai interessante di sottrarsi alle aporie derivanti da una
dicotomia tra forma della libertà e suo contenuto. Ma anche
all’interno del quadro da lui disegnato sembrano riproporsi
asimmetrie, se non tra significati di “libertà” formali
e non,
tra criteri più o meno
comprensivi.
Veniamo,
dunque, ai quattro principali criteri di “libertà” che è
possibile distinguere in Hegel:
1)
Criterio della semplice permanenza
di sé nell’altroxlix:
esso di per sé
ammetterebbe qualsiasi contenuto, ivi compreso il semplice
autoriferimento-autoidentità di partenza (vedi in proposito E 382 Z,
vero e proprio catalogo dei significati di “libertà”). Ma, come
abbiamo visto sopra, tale semplice autoriferimento non è ritenuto
sufficiente da Hegel. Solo specificandola in qualche maniera è
possibile porre la permanenza presso di sé nell’altro in
opposizione alla libertà formale (E § 24 Z 2). A questa necessità
rispondono alcuni criteri più particolari:
2)
innanzitutto la proiezione
esterna,
l’espressione-traduzione del proprio sé nell’altro, la
creazione - da parte dello “spirito” - di una realtà a sé
conforme (Rph §§ 31 A, 142 ecc.)l;
3)
un ulteriore, importante criterio della libertà consiste nella
denaturalizzazioneli
- al di là della distinzione di partenza dell’uomo dalla naturalii,
ed anche, per quel che riguarda le strutture sociali, dell’“eticità
naturale”.
4)
Movimento di interiorizzazione
delle norme e dei
moduli di comportamentoliii:
esso non è in contraddizione con la proiezione esterna dell’io
richiesta dal criterio (2), e procede in parallelo con la razionalità
come depurazione dalla naturalità (3). Ossia la “natura”, come
ciò che è esterno rispetto all’agire dell’individuo umano nei
suoi rapporti sociali, risulta infine essere un prodotto del
pensiero, dell’attività e razionalità umane, ed è
interiorizzato in quanto tale: divenendo così per il
soggetto una “seconda natura”, un sistema razionale delle
determinazioni del volereliv.
3.2.
Problemi:
I
criteri della libertà ora esposti costituiscono le coordinate in
base a cui la libertà individuale, soggettiva può realizzarsi nel
sistema oggettivo dell’eticità, ossia può - per l’appunto -
rendersi oggettiva. I limiti della proposta teorica hegeliana sono
compendiabili in due serie difficoltà, delle quali la prima concerne
la struttura argomentativa stessa del diritto,
l’altra il rapporto tra i diversi criteri-significati di libertà.
1)
In primo luogo: che la libertà quale si realizza nei rapporti etici
sia l’approdo del concetto di libertà è presupposto, ma non
dimostrato. Non si tratta semplicemente del fatto che ciò che
precede nell’esposizione è definito e valutato sulla base di ciò
che segue; questo è infatti un principio metodologico
coscientemente e regolarmente adottato da Hegel - e dunque di
per sé non costituirebbe una difficoltà. Inoltre, almeno a prima
vista, la sua applicazione nei Lineamenti
appare meno
problematica che in altre opere hegeliane: in fin dei conti,
l’“eticità” è presupposto fattuale
di tutto il diritto (come si è visto, “diritto
astratto” e
“moralità”
sono oggetto di quest’opera solo in quanto si tratta di diritto e
moralità quali si sviluppano entro l’”eticità”)lv.
È però necessario evitare di confondere la descrizione
dell’eticità come
sistema dei rapporti sociali con le
norme di comportamento etico:
insomma, il fatto che un determinato sistema di regole sussista non
si identifica con la necessità, da parte del soggetto, di
uniformarsi ad esse, né, tantomeno, comporta che l’individuo trovi
in esse realizzata la propria libertà. Ed è invece proprio la
normatività dei rapporti etici a venire costantemente introdotta
(mai fondata) nelle
fasi dell’esposizione precedenti l’”eticità”
stessa. A questo proposito è illuminante l’annotazione autografa
di Hegel in margine a Rph § 18, in cui è operata una decisa
distinzione tra due significati di “bene”: “buono [gut]”
è ciò che “si accorda con un fine”, con la mia sensazione ecc.,
ma “il bene [das
Gute]” è solo
“l’accordo della volontà con se stessa”; ove appunto in
questione non è, tautologicamente, l’accordo della volontà tout
court con sé, ma la
volontà come libertà realizzata in un sistema sovraindividuale. È
molto significativo che tale libertà sia già qui presente, come
ideale rispetto a cui solo è possibile la “valutazione degli
impulsi” (§ 18). Ed appare obbligato un parallelo tra il passo
citato ed il § 137, ove “buono in sé e per sé” è il “sistema
oggettivo "dei" princìpi e doveri” proprio dell’eticità.
La doppia equivalenza “azione buona” = “azione etica” =
“accordo della volontà con se stessa” (cioé realizzazione
della libertà) permette la valutazione ed il “superamento” di
ciò che non si conforma a questo modello, ma non è mai realmente
giustificatalvi.
2)
In secondo luogo:
l’equivalenza di “comportamento etico” e “realizzazione della
libertà”, comporta la non completa realizzazione, il non
completo adempimento di un essenziale significato-criterio di
libertà: la permanenza presso di sé come coscienza
del significato del proprio operare; infatti tale coscienza
a)
è quantomeno imperfetta nella società civile,
b)
nell’azione etica
in senso proprio ha appunto luogo soltanto sotto forma
di identificazione,
c)
sparisce addirittura nel contesto della storia universalelvii.
Tutto
questo sembra porre in serio dubbio la permanenza di un
nucleo di significato comune alle diverse accezioni del termine
“libertà”, permanenza che sarebbe in verità richiesta da uno
dei presupposti metodici hegeliani visti all’inizio, ossia
dall’esigenza di un legame interno nello sviluppo delle
determinazioni.
Ma
sarebbe sbagliato pensare a semplice incoerenza da parte di Hegel. Le
ragioni della posizione hegeliana possono invece essere almeno in
parte chiarite facendo riferimento a due caratteristiche del pensiero
del filosofo:
a)
l’uso del termine “coscienza” è segnato in Hegel da
un’ambiguità
fondamentale; questo aspetto risalta con estrema chiarezza nelle
Lezioni sulla filosofia
della storia, in cui è
facile notare un nesso strettissimo tra “coscienza” [Wissen,
Bewußtsein] da un
lato, e “produzione”, “effetto”, “realizzazione”
[Hervorbringung,
Wirkung, Verwirklichung] dall’altro.
Talora si tratta di semplice consecutività
di coscienza e realizzazione: “lo spirito produce, realizza se
stesso in conformità del suo sapere di sé: esso fa sì che ciò che
esso sa di sé, anche si realizzi” (VG 55-56=39)lviii.
Altrove, però, abbiamo invece a che fare con una vera e propria
identità
tra i due termini: “lo spirito deve giungere a coscienza di sé o
rendere il mondo conforme a sé. Le due determinazioni sono infatti
identiche” (VG 74=60)lix.
La portata del problema “coscienza” è dunque sdrammatizzata
sulla base di un notevole allargamento
del campo semantico di “Bewußtsein”lx;
b)
a ciò va aggiunto un altro elemento (connesso al precedente negli
stessi luoghi da noi richiamati): l’ampliamento
analogico del novero dei soggetti coscienti. La
coscienza, e la libertà, non sono attributo esclusivo degli
individui, che costituiscono soltanto uno tra i vari livelli in cui
si articola la storia universale; a fianco della libertà del singolo
nello
stato, nella storia ecc., vi é anche una libertà del
popolo, dello stato, del “Weltgeist”:
per Hegel
la libertà del
secondo tipo può darsi in assenza della prima (ossia di una
coscienza individuale di essa), ma non risulta perciò gravemente
dimidiata. Lo spostamento di accento su un concetto
sovraindividuale di libertà è caratteristica evidente anche
del diritto,
ed è all’origine di una critica che fu mossa ad Hegel già nel
1822 da un anonimo recensore e più volte ripetuta in seguito: per
essa, se Hegel meritava di essere lodato per aver fondato la sua
“deduzione del diritto sulla teoria della libertà”, egli andava
però criticato per aver posto al centro della propria considerazione
“la libertà di uno spirito assoluto”, e non invece “la libertà
dei singoli uomini, di cui è costituito il complesso dell’umanità”lxi.
Credo che a tutt’oggi una lettura attenta del problema “libertà”
nei Lineamenti debba
certamente evitare di valutare il discorso hegeliano in base a
criteri di individualismo metodologico, ma non possa in alcun modo
fare a meno di considerare limiti e pregi delle proposte hegeliane a
partire dal rapporto che di volta in volta si instaura
(esplicitamente o meno) (1) tra i vari significati del concetto di
“libertà” e di “coscienza”, e (2) tra i vari livelli di
significato (individui, strutture sovraindividuali) a proposito dei
quali questi termini sono adoperati.
i
Due significative testimonianze di questo indirizzo interpretativo
sono costituite dal volume, curato da D.
Henrich e
R.P.
Horstmann, Hegels
Philosophie des Rechts. Die
Theorie der Rechtsformen und ihre Logik,
Stuttgart 1983, e dal più recente testo di P.J. Steinberger,
Logic
and Politics. Hegel's
Philosophy of Right,
New Haven and London 1988.
ii
Il testo più importante sotto questo riguardo è Hegel's
Philosophy of Action,
a cura di L.S. Stepelevich
e D. Lamb,
New York 1983.
iii
Non mancano i riferimenti espliciti alla "fenomenologia"
e, soprattutto, alla "psicologia"
dell'Enciclopedia
(cf. ad es. Rph § 8), e, ciò che più conta, numerose sono le
corrispondenze testuali. Su questo parallelismo vedi, di A.
Peperzak,
Zur
Hegelschen Ethik nel
volume curato da D. Henrich
e R.P. Horstmann
Hegels
Philosophie des Rechts, Stuttgart
1983, 123; dello stesso autore cf. il più recente Philosophy
and Politics. A
Commentary on the Preface to Hegel's Philosophy of Right,
Dordrecht 1987, passim.
iv
Rph § 5 nella Nachschrift
di K.G. von Griesheim
1824/25: in G.W.F. Hegel,
Vorlesungen
über Rechtsphilosophie 1818-1831, a
cura di K.H. Ilting,
Stuttgart-Bad Cannstatt 1974, vol. IV,
112 (questa edizione d'ora in poi verrà citata riportando solo
numero del volume e delle pagine).
v
Cf. WL II, 446 = 842 sg.
vi
Ossia dotata di contenuto universale, che è mediante il pensiero:
E § 469 A.
vii
Cf. Phän. 200 = I, 218, WL 2.483=876.
viii
E § 381 Z, HW X, 20.
ix
Nella nota autografa di Hegel a Rph § 7 A quest'ultima espressione
è preferita alla prima: cf. HW VII, 55.
x
Hotho 1822/23 ad
§ 13: in G.W.F. Hegel,
Vorlesungen
über Rechtsphilosophie 1818-1831, a
cura di K.H. Ilting,
cit., 1974, vol. III,
130; cf. Griesheim ad
§ 6: IV, 115.
xi
L'affermazione è più volte ripetuta da Hegel: v. § 7 A; § 8
Hb. [=annotazione autografa di Hegel su copia del suo esemplare a
stampa dei Lineamenti],
HW VII, 58; § 15.
xii
Cf. § 10, su cui si tornerà più avanti.
xiii
Nella Scienza
della logica
si trovano, in verità, due trattazioni dell'argomento: in primo
luogo nel capitolo "Teleologia"
(WL II, 436-461=833-856; cf. E §§ 204-212), in secondo luogo (e
senza mutamenti di rilievo) nell'"Idea
del bene" (WL
II, 541-548=929-934; cf. E §§ 233-235, il cui titolo non a caso è
"Das
Wollen").
xiv
Per la identificazione di volontà e libertà v. Rph § 4 A e
soprattutto Hotho: III, 107; Griesheim: IV, 102. L'uso
interscambievole di "Wille",
"freier Wille", "Freiheit" è
rilevato da Ulrich Steinvorth,
Freiheitstheorien
in der Philosophie der Neuzeit,
Darmstadt 1987, 207, ed A. Peperzak,
Zur
Hegelschen Ethik, cit.,
108.
xv
Il "concetto" di cui Hegel fa parola nel brano ora citato
corrisponde alla prima delle due accezioni in cui il termine è
presentato in Rph § 33 A, ossia al "Begriff"
come "in sé", e va distinto dal concetto sviluppato, dal
"Begriff,
der in der Form
des Begriffs
für sich ist"
(ibid.).
xvi
Cf. E §§ 476 sgg.
xvii
E. Gans unì qui - rispettandone pienamente il senso - due passi
della Nachschrift
di Hotho (III, 138-139).
xviii
Infatti "la decisione dell'uomo è il fare suo proprio, il
fare della sua libertà e della sua colpa" (Hotho: III, 446;
cf. Griesheim: IV, 369).
xix
La definizione è di G.H. von
Wright,
Spiegazione
e comprensione [1971],
tr. it. Bologna 1977, 184-188.
xx
Esemplare a questo proposito un passo delle Lezioni
di storia della filosofia rivolto
contro le argomentazioni usate da Epicuro per dimostrare l'assenza
di finalità in natura, e in particolare contro quella secondo cui
dal fango sotto l'azione del calore solare nascerebbero a caso dei
vermi; la risposta di Hegel è che i vermi "possono certamente
essere accidentali come tutto [Ganzes]
in
rapporto ad altro; ma il loro in-sé, concetto ed essenza è ora
alcunché di organico: e il problema consiste appunto nel farsi un
concetto di esso [dieses
zu begreifen]"
(Gph II, 313 = II, 461-462). Questa posizione ha tra le sue
conseguenze il rifiuto della validità incondizionata del principio
di causalità in tutte le sfere del reale. Si noti però che questo
rifiuto non ha di
per sé
valenza antideterministica: esso infatti colpisce soltanto una
delle versioni del determinismo, e sia pure la più diffusa in età
moderna; un elenco delle accezioni di 'determinismo' si trova in U.
Pothast,
Die
Unzulänglichkeit der Freheitsbeweise2,
Frankfurt a.M. 1987, 39 sgg.
xxi
Ovviamente, in quanto il conoscere vede retrospettivamente la
necessità del processo, a Hegel non rimane che parlare di ciò che
sta alla base dell'azione, ossia la convinzione che il Bene non sia
attuato, come dell'"illusione in cui viviamo" e che
costituisce però, al tempo stesso, "la forza operante [das
Betätigende]
su cui riposa l'interesse del mondo" (E § 212 Z). Nella
distinzione di piani tra dualismo dell'azione e monismo del pensiero
si può trovare qualche elemento di contatto col cosiddetto
"indeterminismo epistemico", le cui più importanti
formulazioni in tempi recenti si trovano nel Popper
di Indeterminism
in Quantum Physics and in Classical Physics (British
Journal for the Philosophy of Science, 1950, I, 117-133 e 173-195) e
soprattutto in D.M. Mac
Kay
(Freedom
of Action in a Mechanistic Universe, Cambridge
1967): questi autori ritengono che la possibilità di una lettura
retrospettiva dell'azione come procedente secondo leggi dalla
situazione, ossia determinata, non contraddica l'impossibilità di
una previsione cogente nel momento dell'azione stessa. Mi sembra
però che rispetto alle posizioni menzionate siano accertabili
alcune differenze rilevanti del ragionamento hegeliano: la prima, e
più importante, consiste nel fatto che Hegel sottrae l'ambito
dell'organico e, a
fortiori,
quello dello spirito all'esclusivo dominio della causalità; in
secondo luogo, l''indeterminismo epistemico' hegeliano si basa meno
sulla imprevedibilità dell'azione che su una separazione tra io e
mondo, separazione che chi agisce (a differenza di colui che conosce
in senso filosofico) si trova inevitabilmente di fronte: anzi, in
base al nesso razionalità-libertà che Hegel riafferma con forza,
il dominio dei risultati dell'azione da parte del soggetto è segno
non secondario di libertà.
xxii
Anche se questo elemento è certamente presente: in Rph § 139 A,
ad es., dove leggiamo della "necessità di uscire dalla
naturalità della volontà", il termine 'necessità' andrà
inteso nel significato di 'conforme a razionalità', 'necessità
teleologica', 'bene' (cf. anche le hegeliane lezioni sulla filosofia
della storia:
VG
29 = 8).
xxiii
Si veda anche la "Handbemerkung"
di Hegel al testo a stampa: "un esistente [Seiendes],
determinato come soltanto possibile, è accidentale - può essere
come non essere".
xxiv
Per questo secondo aspetto ci si può certamente riferire
all'accezione di libertà come necessità interna, che è per Hegel
anche necessità esterna che si interiorizza: nel duplice senso di
progressiva eliminazione dell'esteriorità naturale, e di
riconoscimento della razionalità della 'seconda natura' umana,
dell'ordinamento civile, ossia di ciò che dapprima all'individuo
appare come necessità esteriore (cf. WL II, 246=652, oltreché E §§
35 Z, 48 Z, 158 Z e §§ sgg., § 182 Z, § 381 Z). Ma su questo
vedi oltre.
xxv
Una soluzione radicale di questa difficoltà potrebbe consistere
nello spostare il problema dalle azioni singole alle azioni
fondative del rapporto del soggetto con l'oggettività etica, ossia
traducendo il problema della scelta razionale esclusivamente nella
scelta di vivere nella società (moderna): da questa scelta
seguirebbe per Hegel, senza soluzione di continuità, la necessità
di accettare le regole ed i doveri imposti dalla società stessa.
Questa soluzione 'contrattualistica' pone però più problemi di
quanti ne risolva. Un ulteriore difficoltà concerne la
compatibilità di una prospettiva deterministica - sia pure a
posteriori - con l'accettazione di un concetto tradizionale di
responsabilità; è opinione di U. Pothast
che questo non possa essere difeso né in base all'indeterminismo
epistemico, né in base alle posizioni compatibilistiche (cf. Die
Unzulänglichkeit... cit.,
rispettivamente 187 sgg. e 171 sgg., 416 sgg.). Nel quadro del
sistema hegeliano sarebbe possibile dare risposta a questa obiezione
soltanto mantenendo decisamente distinti i piani dello "spirito
oggettivo" e dello "spirito assoluto", ossia
considerando il problema dell'assegnazione di responsabilità e pena
come del tutto interno alla sfera (dualistica, come s'è visto) del
volere e dell'azione.
xxvii
Cf. Hotho: III, 168.
xxviii
Cf. E § 408 Z, HW X, 170-171, in cui, dopo essersi diffuso
sull'impossibilità di iniziare la trattazione del Diritto
con lo stato (in quanto forma più concreta), Hegel giunge a
definire la moralità come "una malattia all'interno
dell'eticità".
xxix
Circa la superiorità della "Formierung"
rispetto al semplice consumo cf., oltre alle notissime pagine della
Fenomenologia
(Phän 153 sgg.= I, 162 sgg.), il § 434 dell'Enciclopedia.
xxx
Significativamente, ha qui luogo la seconda introduzione
dell'"astuzia della ragione" nel contesto dei
Lineamenti
(Rph § 71 A, Hotho: III, 262-3; Griesheim: IV, 246). Questo modello
aveva fatto la sua prima comparsa a proposito della proprietà (Rph
§ 45 A, Griesheim: IV, 186-187).
xxxi
Cf. § 104 Hb., HW VII, 200-202, partic. 201,
ove il "diritto" è appunto definito come "esistenza
della volontà in
sé
universale, del...volere verace, ...idea",
e ancora "la cosa
stessa, sostanza";
la 'volontà universale' è presente, in questa stessa accezione,
nella Rechtslehre
für die Unterklasse
del 1810, § 18 dei "Chiarimenti all'introduzione", HW IV,
225; tr. it. di G. Radetti,
Propedeutica
filosofica,
Firenze 1951, 25.
xxxii
Potremmo definire quest'ultima specie di libertà, per sé presa,
come 'semplice contenuto', mentre l'altra è dapprima 'solo forma',
o meglio 'forma priva del contenuto a lei adeguato'.
xxxiii
Assai significativo, da questo punto di vista, anche l'esplicito
riferimento hegeliano alla "coscienza" nella sua
separazione di soggetto ed oggetto (vedi il richiamo a Rph § 8
contenuto nel § 108).
xxxiv
Per le difficoltà di caratterizzare la "Handlung"
cf.
anche § 119 Hb., ove, una volta distinta dall'"operare [Tun]
meccanico" - cioè semplicemente riflesso - degli animali, e
dal "Tun
rechtlich",
essa è definita solo da un accenno alla "sfera della mia
personalità" (HW VII, 224); poco oltre gli appunti hegeliani
recitano: "Handlung
Tun des denkenden
Menschen - also eine Allgemeinheit in ihr - dies das Wesentliche"
(HW VII, 225): ma questa universalità, così connessa al pensiero,
è una conquista progressiva nella
moralità più che un suo tratto distintivo; oppure consiste
nell'universalità iniziale del volere, la quale però è propria di
ogni azione umana.
xxxv
In questi luoghi troviamo anche un riferimento esplicito ai §§
395 sgg. dell'Enciclopedia
del 1817 (corrispondenti ad E §§ 478 sgg.), ove il tema aveva
ricevuto una prima trattazione. E ancora di recente è stato
sottolineato con ragione, a proposito dei paragrafi
dell'Enciclopedia
dedicati
alla moralità, che molto in essi "è solo un ulteriore
sviluppo dei paragrafi sullo spirito pratico soggettivo" (A.
Peperzak,
Autoconoscenza
dell'assoluto. Lineamenti della filosofia dello spirito hegeliana,
tr. it. Napoli 1988, 72.
xxxvi
L'adozione di questa terminologia da parte di Hegel non è
costante: talora, ad es. nel § 35, troviamo soltanto "für
sich"
ad indicare quest'ultimo significato di libertà, ciò che può
ingenerare qualche confusione rispetto ai casi in cui 'per sé' ha
connotazione negativa (cf. per tutti i §§ 81 e 104).
xxxvii
Non convince la traduzione crociana di queste parole: "espansione
dei rapporti".
xxxix
Non è forse improprio, a proposito di questi due livelli di
accettazione delle norme, riferirsi alla distinzione kantiana
tra imperativo ipotetico ed imperativo categorico.
xl
Ma a questo proposito Hegel adopera indifferentemente i termini
"idea", "ragione", "intelletto": cf.
le locuzioni "interesse dell'idea" (§ 187), "scopo
della ragione" (§ 187 A), "intelletto che governa la
cosa" (§ 189 A). Di "astuzia della ragione", al di
fuori della società civile, Hegel aveva parlato a proposito di
"proprietà" e "contratto" (cf. supra, nota 33),
il cui contenuto è del resto affine a quello della seconda sezione
dell'"Eticità".
Come è noto, questo modello ha inoltre un rilievo notevole nelle
Lezioni
sulla filosofia della storia,
e dunque anche nei paragrafi dei Lineamenti
dedicati
alla "Weltgeschichte"
(cf. ad es. Rph § 344).
xli
Ci sembra che in tal senso vada interpretato, integrando le
esplicite affermazioni hegeliane, il ragionamento svolto in Rph §
184.
xlii
A questo riguardo possono essere significativi alcuni rilievi di
carattere lessicale: infatti nei paragrafi dedicati al "sistema
dei bisogni" la "Bildung"
è definita come "livellamento [Glättung]
della particolarità, per cui essa si comporta secondo la natura
della cosa [Sache]"
(Hotho ad
§ 187: 3.583), altrove come "ciò che fa
valere
un universale" (Hotho ad
§ 2O: III, 144-145); e queste due definizioni le troviamo
compendiate proprio in un famoso luogo ove Hegel introduce i suoi
uditori all'"azione etica" come a ciò in cui "io
faccio
valere
non me stesso, bensì la
cosa"
(Hotho ad
§ 15: III, 135; tutti i corsivi sono miei).
xliii
Su questo punto è parso opportuno seguire il testo della prima
edizione dei Lineamenti,
anziché
rifarsi alla
"Bestätigung" proposta
dall'Hoffmeister
(Grundlinien
der Philosophie des Rechts5,
Hamburg 1955); "Betätigung",
infatti,
oltre ad inserirsi perfettamente nel contesto del § 268, è termine
largamente testimoniato in contesti analoghi delle Lezioni
sulla filosofia della storia: vedi
ad esempio, sulla "Betätigung"
e "Verwirklichung"
dell'universale, VG 81=69, cf. 112=105); poco oltre le passioni sono
definite "das
Betätigende"
(VG 84=73; cf. inoltre 95,96=86, 102=94, 105=97, 106=98; E § 212 Z
cit.). Per quanto riguarda la traduzione del termine, credo che
questo possa essere reso (anche se non perfettamente) con
"attuazione" - che ha il pregio di mantenere il
significato dinamico proprio dell'originale tedesco - anziché con
la formulazione di "conferma nei fatti" proposta dal
Marini.
xlv
Per altri usi, in differenti contesti, di questo modello, si
vedano: Phän 185 = I, 201; WL II, 460=855, II, 480=873-874, II
498=889-890, II, 542=929; E §§ 204 A, 224, 233, 417, 570.
xlvi
Per la doppia equivalenza di arbitrio-certezza e libertà-verità
cf. anche E §§ 413 Z, 416 sgg.
xlvii
Poco prima Hegel aveva considerato "la dottrina
etica dei
doveri"
come semplicemente consistente nello sviluppo dei rapporti dello
stato (Rph § 148 A).
xlviii
Non convince il tentativo di K.H. Ilting
di considerare gli aspetti normativi come assolutamente secondari
rispetto al contenuto "fenomenologico" della Filosofia
del diritto, ed
in ultima analisi niente più che residui della Rechts-
und Pflichtenlehre di
Norimberga (cf. in proposito il suo importante saggio sulla
Rechtsphilosophie
als Phänomenologie des Bewußtseins der Freiheit in
Hegels
Philosophie des Rechts..., cit.,
225 e ivi nota 2. D'altronde lo stesso Ilting è poi costretto a
fare più volte riferimento alle "proposizioni normative"
presenti nei Lineamenti
(oltre
al luogo cit. cf. pp. 240, 242, 243 e passim).
Volendo
tentare di distinguere le componenti della Filosofia
del diritto, è
possibile separare: (1) una componente descrittivo-dialettica,
a sua volta distinguibile in (a) descrizione di strutture sociali e
(b) esposizione del percorso che la soggettività compie sino a
riconoscersi nell'effettualità (a questo
livello è pertinente il discorso dello Ilting); (2) una componente
normativa,
ossia l'indicazione di doveri e regole a cui il soggetto deve
conformarsi per realizzare la propria libertà; quest'ultimo
aspetto, però, è sempre strettamente intrecciato ai precedenti.
xlix
Cf. ad es. E §§ 381 Z, 382 Z, 413, Rph §§ 5 sgg.
l
E ancora: E §§ 382, 384, 444 Z (HW X, 240), 469 (soprattutto Z).
Sull'insufficienza, per Hegel, di un "autoriferimento circolare
della coscienza nell'interiorità" cf. R. Bodei,
Scomposizioni.
Forme dell' individuo moderno,
Torino 1987, 219 sgg. Per questo aspetto si può inoltre fare
riferimento alla efficace espressione, coniata da A. Peperzak,
di "Vergeistigung
des Vorgefundenen" (Zur
Hegelschen Ethik,
cit., 129).
li
Cf. per tutti Rph § 18, Hb.; Hotho: III, 141-142, Griesheim: IV,
134.
lii
Tale distinzione di base si esprime nella capacità umana di
sostenere la contraddizione nel pensiero di sé, ossia nella
capacità dell'universale: su questo Rph § 5, Hb., ed E §§ 403,
A, 407. La centralità dell'opposizione tra natura e libertà
all'interno dei Lineamenti
è
stata opportunamente sottolineata da Manfred Riedel,
Natura
e libertà nella 'Filosofia del diritto' di Hegel,
1971, la cui traduzione italiana è raccolta ne Il
pensiero politico di Hegel. Guida storica e critica, a
cura di C. Cesa,
Roma-Bari
1979, 37-56 (e partic. 52).
liv
Cf. anche VG 256-257=290. Sulla "consuetudine
[Gewohnheit]
dell'ethos come una seconda
natura,
che è posta in luogo della prima volontà meramente naturale",
v. Rph § 151. Si noti però che il rapporto tra "abitudine"
e "libertà" è tutt'altro che lineare in Hegel: se
infatti la "Gewohnheit"
comporta
la "liberazione" dell'uomo dalle singole determinazioni
del sentire, questi però nell'abitudine è pur sempre "nella
guisa dell'esistenza naturale, e perciò in essa non è libero"
(E § 410, A); in questa ambivalenza del giudizio è facile scorgere
i due contradditori aspetti della presenza
non immediata della coscienza all'operare:
da un lato, in quanto essenziale all'"Erinnerung",
essa è positiva, dall'altro a causa dell'automaticità-meccanicità
dell'azione così prodotta, è elemento negativo; anche se Hegel poi
- confondendo le tracce - limita la portata della "mancanza di
libertà" alle "abitudini cattive", contrapponendole
alla "Gewohnheit
del diritto in generale", che "ha il contenuto della
libertà" (ibid.;
v. anche E § 396, in cui Hegel aveva parlato dell'"inattività
dell'abitudine che ottunde" come caratteristica della
vecchiaia; cf. E § 396 Z, HW X, 86, ove si parla di "prozeßlose
Gewohnheit", con
ripresa testuale di un'espressione adoperata in E § 375 a proposito
della morte dell'individuo animale). Quanto al rapporto tra sistema
e razionalità nell'eticità cf. infine Rph § 145.
lv
Al punto che lo Steinvorth,
con paradossalità solo apparente, ha potuto parlare di "deduzione
di diritto e moralità...dall'eticità" (Freiheitstheorien...,
cit., 212).
lvi
Un ulteriore esempio di presupposizione della libertà realizzata
ci è offerto dal § 40, ove "illecito e delitto" sono
definiti come differenziazione (e contraddizione) della volontà
"entro se stessa" in "volontà particolare" e
volontà "essente in sé e per sé"; quest'ultima è
appunto libertà che si attua conformandosi alle determinazioni del
diritto in senso ampio (cf. anche la definizione del "diritto
in sé" come "esistenza della volontà", ed il
contesto di questa affermazione, in Rph § 81 Hb., HW VII, 171). La
coscienza di questa possibile realizzazione della volontà,
consapevolezza presente in
nuce
in ogni uomo, è poi presupposto essenziale dell'imputabilità della
sua azione: "l'uomo, inteso come spirito secondo
il suo concetto [corsivo
di Hegel], è entità razionale [Vernünftiges]
in
genere, ed ha semplicemente entro di sé la determinazione
dell'universalità che sa se stessa. Perciò significherebbe
trattarlo non secondo l'onore del suo concetto, se il lato del bene
e quindi la determinazione della sua cattiva azione come cattiva
venisse separata da lui, ed essa non venisse a lui imputata come
cattiva" (Rph § 140 A, HW VII, 267=121).
lvii
Basti pensare a Rph § 344: "stati, popoli e individui...sono
inconsci strumenti e membra" del "travaglio dello spirito
del mondo". Nell'ambito della "Weltgeschichte",
come nella società civile, il problema è dichiarato dalla presenza
stessa del modello dell'"astuzia della ragione"; né,
riguardo al processo storico, pare possibile cavarsi d'impaccio
facendo riferimento alla progressiva attuazione nel mondo del
principio della libertà personale: non sembra infatti che si possa
sostenere, in base al testo delle Lezioni
sulla filosofia della storia,
che nel corso della storia abbia luogo un progresso nel rapporto tra
individuo e processo storico, salvo la diversa consapevolezza che
l'individuo moderno (educato filosoficamente) ha di ciò.
lviii
Oppure: "supremo impulso" dello spirito di un popolo "è
quello di comprendersi, e di tradurre ovunque in realtà questo suo
concetto" (VG 134=132).
lix
E ancora, a proposito degli individui cosmico-storici: "lo
stato del mondo non è ancora conosciuto [gewußt];
si tratta di produrlo" (VG 98=90).
lx
Che questo non risolva i problemi è cosa facilmente constatabile:
basti pensare all'opposizione che de
facto ha
luogo, all'interno dello sviluppo dei popoli, tra una "coscienza
di sé" come principio del popolo, "forza efficiente nella
sorte" di esso (VG 59=43, 65=50, 122=117), dunque attiva
e produttiva dei rapporti etici, e
la coscienza come "suprema attività" del pensare, che
distrugge il principio particolare
di cui conclude il percorso nel momento stesso in cui acquista piena
consapevolezza di esso (VG 65=50, 70=56, 177-178=182-184).
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