domenica 27 agosto 2017

La scienza moderna fra Bacon e Galilei*- Enrico Bellone**

*Società.filosofica.italiana.Bergamo
**Enrico_Bellone è stato un fisico e storico della scienza italiano.
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Galileo lesse il verdetto e un monacello venne a trovarlo.                                
Era figlio di poveri contadini, voleva sapere come acquistare il sapere, voleva saperlo,
voleva saperlo.

Palazzo dell’ambasciata fiorentina a Roma. Galileo sta parlando con frate Fulgenzio.

GALILEO Parlate pure: il vostro abito vi dà diritto di dire tutto quel che volete.

FULGENZIO  Ho studiato matematica, signor Galilei.

GALILEO Questo può tornarci utile, se vi induce ad ammettere che due e due
possono anche fare quattro.

FULGENZIO Signor Galilei, non ho chiuso occhio da tre notti per tentar
di conciliare il decreto, che ho letto, con le lune di Giove, che ho viste.
Stamattina ho deciso di dire la messa e poi di venirvi a trovare.

GALILEO    Per dirmi che le lune di Giove non esistono?

FULGENZIO No. Sono riuscito a convincermi che il decreto è stato
saggio. È servito a rivelarmi quanto possa essere rischiosa per l’umanità
un’indagine libera da ogni freno: tanto, che ho preso la decisione di
abbandonare l’astronomia. Ma ho pure sentito il bisogno di esporvi alcuni
motivi che possono spingere anche un astronomo, quale ero io, a interrompere lo
studio delle scienze esatte.

GALILEO So benissimo quali sono questi motivi.

FULGENZIO Capisco la vostra amarezza.  Alludete a certi poteri
straordinari di cui dispone la Chiesa.

GALILEO Chiamateli pure strumenti di tortura.

FULGENZIO Ma non si tratta solo di questo. Permettete che vi parli di me? Sono
cresciuto in campagna, figlio di genitori contadini: gente semplice, che sa
tutto della coltivazione dell’ulivo, ma del resto ben poco istruita. Quando
osservo le fasi di Venere, ho sempre loro dinanzi agli occhi. Li vedo seduti,
insieme a mia sorella, sulla pietra del focolare, mentre consumano il loro
magro pasto. Sopra le loro teste stanno le travi del soffitto, annerite
dal fumo dei secoli, e le loro mani spossate dal  lavoro reggono un
coltelluccio. Certo, non vivono bene; ma nella loro miseria esiste una
sorta di ordine riposto,  una serie  di  scadenze:
il  pavimento  della  casa  da lavare,  le
stagioni  che variano nell’uliveto,  le decime  da pagare…
Le sventure  piovono loro addosso con regolarità, quasi seguendo un ciclo. La
schiena di mio padre non s’è incurvata tutta in una volta, ma un poco più ogni
primavera, lavorando nell’uliveto: allo stesso modo che i parti, succedendosi a
intervalli sempre uguali, sempre più facevano di mia madre una creatura senza
sesso. Donde traggono la forza necessaria per la loro faticosa esistenza? per
salire i sentieri petrosi con le gerle colme sul dorso, per far figli, per
mangiare perfino? Dal senso di continuità, di necessità, che
infonde in loro lo spettacolo degli alberi  che  rinverdiscono
ogni  anno,  la  vista  del  campicello  e
della  chiesetta,  la spiegazione del Vangelo che ascoltano la
domenica. Si son sentiti dire e ripetere che l’occhio di Dio è su
di loro, indagatore e quasi  ansioso; che intorno a loro è stato costruito
il  grande  teatro  del  mondo  perché  vi
facciano  buona  prova  recitando ciascuno la grande o piccola
parte che gli è assegnata… Come la prenderebbero ora, se
andassi  a dirgli  che vivono su un frammento di roccia che rotola
ininterrottamente attraverso lo spazio vuoto e gira intorno a un astro, uno fra
tanti,  e neppure molto importante? Che scopo avrebbe tutta la loro
pazienza,  la loro sopportazione di tanta infelicità? Quella Sacra
Scrittura,  che tutto spiega e di tutto mostra  la necessità:  il
sudore,  la  pazienza,  la  fame,
l’oppressione,  a  che  potrebbe  ancora
servire  se scoprissero che è piena di errori? No: vedo i  loro
sguardi velarsi  di sgomento, e il coltelluccio cadere sulla pietra del
focolare; vedo come si sentono traditi,  ingannati. Dunque,
dicono,  non  c’è  nessun  occhio  sopra
di  noi?  Siamo  noi  che  dobbiamo provvedere a noi
stessi, ignoranti, vecchi, logori come siamo? Non ci è stata assegnata altra parte
che di vivere cosi,  da miserabili  abitanti  di un minuscolo
astro, privo di ogni autonomia e niente affatto al centro di tutte le cose?
Dunque, la nostra miseria non ha alcun senso, la fame non è una prova di
forza,  è semplicemente non aver mangiato!  E la  fatica è
piegar la schiena e trascinar pesi, non un merito!  Così
direbbero;  ed  ecco  perché  nel  decreto
del  Sant’Uffizio  ho  scorto  una  nobile
misericordia materna, una grande bontà d’animo.

GALILEI: O Bontà d’animo! Forse intendete dire che,
dal momento che non c’è più niente, che tutto il vino è bevuto e che le loro
labbra sono secche, non gli resta che baciare la tonaca! Ma perché
non c’è più niente? Perché mai l’ordine che regna in questo paese è l’ordine
che esiste in un magazzino vuoto? Perché non v’è altra necessità che quella di
lavorare fino a crepare? In mezzo a vigneti carichi di grappoli, ai campi folti
di grano! Sono i vostri parenti contadini quelli che pagano le guerre scatenate
dal vicario del pio Gesù in Spagna e in Germania! Perché Gesù ha posto la terra
al centro dell’universo? Ma perché la cattedra di Pietro possa essere il centro
della terra! È solo di questo che si tratta. Avete ragione voi: non si
tratta dei pianeti, ma dei contadini dell’Agro Romano.E non venite a parlarmi
dell’alone di bellezza che emana dalla vecchiaia! Sapete come si sviluppa la
perla nell’ostrica? Un corpo estraneo insopportabile, per esempio un granello
di sabbia, penetra dentro al guscio, e l’ostrica, per seppellire quel granello,
secerne calce; e in questo processo rischia la morte. Allora, dico io, al diavolo
la perla, purché l’ostrica resti sana! Le virtù non sono appannaggio
unicamente della miseria, caro mio. Se i vostri genitori vivessero prosperi e
felici, potrebbero sviluppare le virtù della prosperità e della felicità.
Oggi, invece, i campi esausti producono coteste virtù di esaurimento, ed io le
rifiuto. Amico, le mie nuove pompe idrauliche potrebbero operare miracoli ben
maggiori di tutto quel grottesco affaccendarsi oltre l’umana capacità…
Crescete e moltiplicatevi!  perché le guerre spopolano i territori e i
nostri campi sono sterili. Bisogna dunque proprio mentire alla tua gente?

FULGENZIO: (con grande agitazione)   Dobbiamo
tacere  per  il  più nobile dei  motivi:  la pace
spirituale dei diseredati!

GALILEO: Vuoi che ti mostri una pendola del Cellini? Me l’ha portata
stamane il cocchiere del cardinale Bellarmino. Caro mio, come
contentino per non turbare la pace spirituale dei tuoi genitori, le autorità mi
offrono la mia porzione del vino che hanno vendemmiato dal sudore dei loro
volti, i quali, come tu ben sai, sono fatti a immagine e somiglianza di Dio. Se
mi adattassi a tacere, potrei anche ricavarne qualche utilità: vita facile,
niente persecuzioni e via dicendo.

FULGENZIO:  Signor Galilei, io sono un ecclesiastico.

GALILEI:  Sei anche un fisico. E che le fasi di Venere esistono, lo vedi.
Guarda! (Indica oltre la finestra) Vedi là il piccolo Priapo,
alla fonte vicino al lauro? Il dio degli orti, degli uccelli  e dei
ladri,  l’osceno idolo contadino, vecchio di duemil’anni? Ha detto meno
bugie di loro! Va bene, non ne parliamo, anch’io sono un figlio della Chiesa.
Ma non avete mai letto l’ottava satira di Orazio? Proprio in questi giorni me
la sto rileggendo, per ritrovare un po’ d’equilibrio.  (Afferra un
libriccino)  Sentite come fa parlare una statuetta di Priapo che
si trovava negli orti Esquilini. Comincia cosi:
Ero un ceppo di fico, un legno poco servibile
quando il mio falegname, incerto se fare di me
Priapo od uno sgabello, finì col scegliere il dio…
Credete  che  Orazio,  se  per
esempio  gli  avessero  imposto  di  non
parlare  di  uno sgabello, ma di mettere nella poesia un tavolo, lo
avrebbe tollerato? Messere, il pretendere che, nel mio quadro dell’universo,
Venere debba essere senza fasi, è recare offesa al mio senso estetico! Come
possiamo scoprire le macchine che regolano il corso dei fiumi, se ci si fa
divieto di studiare la più grande macchina che sta innanzi ai nostri occhi,
quella del firmamento! E La somma degli angoli di un triangolo non può
variare a seconda degli  interessi  della Curia. E non posso
calcolare  le traiettorie dei  corpi volanti in maniera da spiegare
anche i voli delle streghe sui manici di scopa!

FULGENZIO Ma non credete che la verità – se verità è
– si farà strada anche senza di noi?

GALILEI  No, no, no! La verità riesce ad imporsi solo nella misura in
cui noi la imponiamo; la vittoria della ragione non può essere che la vittoria
di coloro che ragionano. Tu parli dei contadini dell’Agro come se fossero
il muschio che alligna sulle loro capanne! A chi mai può passare per la
mente che ciò che a loro interessa, non vada d’accordo con la
somma degli angoli di un triangolo? Certo che, se non si agitano,
se non imparano a pensare, poco può aiutarli anche il più efficace sistema
d’irrigazione. Per tutti i diavoli, vedo bene che sono ricchi di divina
pazienza; ma la loro divina furia, dov’è?

FULGENZIO  Sono stanchi.

GALILEI  (gettandogli  un fascio di manoscritti)  Sei
o non sei un fisico, figlio mio? Qui sta scritto com’è che negli oceani
avvengono le alte e le basse maree. Non lo puoi leggere, hai
capito?  To’,  e  invece  lo  leggi?  Sei
un  fisico, allora? (Frate  Fulgenzio è sprofondato nella
lettura). Il frutto dell’albero della conoscenza! Ecco, lo azzanna
subito. Sarà dannato in eterno, ma  non può far  a meno di
azzannarlo, sciagurato ghiottone! A volte penso che mi lascerei rinchiudere in
una prigione dieci tese sotterra, dove non penetrasse un filo di luce, purché
in cambio potessi scoprire di che cosa la luce è fatta. E il peggio è che,
tutto quello che scopro, devo gridarlo intorno: come un amante, come un
ubriaco, come un traditore. È un vizio maledetto, mi trascinerà alla rovina.
Quanto potrò resistere a parlare solo coi muri? Questo è il problema.

FULGENZIO (indicando un passo del manoscritto)  C’è una
frase che non capisco.

GALILEI  Te la spiegherò. Te la spiegherò.

(Bertolt Brecht, Vita di Galileo)


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