uno
Appena entrato in casa, Gioel colpiva col dorso delle dita
le corde della chitarra appesa al muro.
Faceva questo tutte le sere. Non suonava più da tre anni,
però voleva che lo strumento fosse
sempre accordato. Ascoltava fino in fondo l'estinguersi del suono e se qualcosa
non lo convinceva si sedeva sul divano e
regolava la corda allentata. Quando tutto era a posto, rimetteva con attenzione
la chitarra al suo posto.
Poi si svestiva, si dava una sciacquata sotto le ascelle nel
lavandino di cucina e si infilava le pantofole.
Ada portava via i vestiti sporchi. La cena era pronta:
mangiavano loro due insieme seduti al tavolino, sfiorandosi i gomiti nel
maneggiare le posate.
Di solito erano le otto o le nove di sera quando cenavano.
Ada gli diceva "tutto a posto" oppure gli raccontava se nel palazzo
era successo qualcosa e se avevano portato via qualcun altro.
Col tempo, la loro paura era cresciuta a un punto tale da averli resi quasi insensibili.
Gioel ascoltava le notizie peggiori mentre masticava un
pezzetto di pane o si metteva fra le labbra un cucchiaio di minestra.
Nel palazzo c'era un enorme silenzio. Erano rimasti solo i
Meier al primo piano, e non c'era più
nessuno fino al quarto, dove abitavano Ada e Gioel. Da tre settimane avevano
svuotato anche l'ultimo piano. Al di sopra
c'era solo il terrazzo, e forse ci viveva qualcuno, nascosto nel
lavatoio abbandonato.
Parlavano spesso di questo, perché Ada faceva apposta a portare il discorso su
quell'argomento. Si sentiva addosso una smania che non poteva sopportare in
silenzio.
Gioel pensava che si trattasse di topi. Era impossibile che in quel buco ci fosse un uomo. Lasciando
perdere il freddo, come riusciva a procurarsi
da mangiare senza fare mai un passo fuori dal nascondiglio?
"Topi, sono topi. La città è tutta piena di topi."
Ada diceva che erano
i Meier a portargli da mangiare. Li sentiva ogni tanto salire le scale e
scendere di nuovo dopo qualche minuto. Non poteva trattarsi di nessun altro.
Anzi, una volta aveva aperto la porta e si era trovata
davanti la signora Meier che reggeva tra le cocche del grembiule una pentola
fumigante.
La Meier si era giustificata dicendo che andava a versare
l'acqua calda nel tubo della grondaia ostruita dal ghiaccio. Ma era senza
scarpe ed era impallidita quando Ada si era offerta di accompagnarla.
Sorridendo di forza, le aveva detto di non scomodarsi, era questione di un
momento e ce la faceva benissimo anche da sola, dopo di che si era messa a
salire le scale quasi di corsa.
"E sai cosa c'era nella pentola, Gioel? C'era minestra,
minestra di cavolo."
Gioel scuote la testa.
"E tu come fai a saperlo?" le chiede.
"Perché l'ho assaggiata, Gioel. La signora Meier era
così agitata che ha fatto oscillare la pentola e qualche goccia è finita sui
gradini. Io l'ho raccolta col dito e me
lo sono succhiato. Era proprio minestra di cavolo. E non era neanche
male."
Gioel non voleva credere a quella storia. Gli sembrava
inverosimile, qualcosa di romanzesco,
inventato di sana pianta.
Non voleva accusare Ada di essere una bugiarda. Pensava che
sua moglie avesse troppa fantasia e che interpretasse le cose in una maniera
eccessiva.
Non c'era ragione che i Meier li tenessero all'oscuro di
un'opera a dir poco meritoria. Al contrario, avrebbero dovuto chiedere
collaborazione. Era assurdo temere una denuncia da gente che si trovava nella
loro stessa situazione, più morti che vivi. Pensavano forse che si sarebbero
tirati indietro?
"Come mai noi due siamo ancora qui?" chiedeva Ada
"Perché non vengono a prenderci?"
Sembrava che si fossero dimenticati di loro. Era
impossibile, Ada e Gioel lo sapevano
perfettamente. Gli aguzzini avevano gli indirizzi di tutti, e
avrebbero potuto svuotare il palazzo con una sola retata. Ma per un
motivo incomprensibile sembravano agire col contagocce. Forse godevano nel
pensare al terrore di quelli che ancora aspettavano, forse li divertiva
immedesimarsi in loro cercando di figurasi come si dovevano sentire. Doveva
trattarsi di qualcosa del genere, senza dubbio.
"Ci sono rimasti anche i Meier" diceva Gioel
"credi forse che si siano dimenticati anche di loro? E perché mai? Non
dobbiamo sperare, Ada. Dobbiamo solo vivere fino all'ultimo. Ma senza sperare.
Noi non sappiamo perché le cose succedono e non sappiamo nemmeno perché non
succedono. Sappiamo solo che succederanno prima o poi. E ora andiamo a letto,
per favore, sono troppo stanco."
La notte dormivano profondamente e non sognavano.
Eppure capitava che Gioel aprisse gli occhi nel buio e
allora sentiva quei rumori. Arrivavano attutiti, perché fra il loro
appartamento e il terrazzo c'era il quinto piano senza nessuno, come un polmone
d'aria spenta.
Erano passi? a volte parevano colpi di tosse. Oppure era uno
sfregare, come se qualcuno tentasse di accendere un fiammifero. Certe volte
somigliavano a parole, ma pronunciate a pezzi o interrotte a metà.
I rumori dovevano scendere lungo il muro esterno del
palazzo, pensava Gioel, e appena incontravano le imposte cominciavano a
filtrare attraverso le fessure. Oppure il quinto piano deserto funzionava da
amplificatore, perché il silenzio che vi regnava dava modo ai suoni più
minuscoli di scendere per forza di gravità fino alla loro camera da letto.
Ma era mai possibile che un essere umano producesse suoni da
insetto? Ci voleva fantasia per convincersi che lassù ci fosse un uomo in carne
ed ossa che voleva sopravvivere, sopravvivere e basta. Senza avere altro da
fare che ingoiare un po' di minestra di cavolo di tanto in tanto. E che si ripiegava su se stesso come un guscio di carne per difendersi dal freddo
notturno nel lavatoio di calce. E che beveva l'acqua gelida dai tubi delle
vasche come un asino all'abbeveratoio.
Ma perché lo faceva? Prima o poi avrebbero svuotato il palazzo, questo era
sicuro. Cosa ne sarebbe stato di lui?
"Impossibile, impossibile. Si tratta di topi. La città
è tutta piena di topi. A forza di viverci insieme hanno imparato ad imitare la
nostra voce. E forse prenderanno il potere, alla fine".
Gioel si riaddormentava.
Spesso arrivavano gli aeroplani e allora scendevano nel
rifugio senza nemmeno vestirsi. Rimanevano due o tre ore sotto terra con le
mani sugli orecchi. Quando si sentiva la sirena tornavano a casa e si
rimettevano a letto pieni di sonno. Se davvero c'era un uomo nascosto sul
terrazzo, pensava Gioel, doveva trattarsi di un pazzo o di un sordo. O di un
topo, che ignora il senso della guerra. E si riaddormentava.
due
La mattina alle quattro
Gioel si presentava fra i primi alle squadre che spalavano la neve e le
macerie della città bombardata.
I sorveglianti in nero non andavano troppo per il sottile,
c'era un gran bisogno di braccia e Gioel, a cinquantanove anni, era ancora un
uomo robusto. Si mescolava agli altri e lavorava in silenzio e senza alzare la
testa.
Andavano avanti fino a quando faceva scuro e a volte anche oltre, illuminati dai fari
all'acetilene. Poi le guardie fischiavano e si poteva andar via.
E' vero che quel lavoro gli procurava una minestra e un
pezzo di pane a mezzogiorno, ma Gioel non aveva veramente bisogno di lavorare.
In casa, dietro una stampa raffigurante un cavallo arabo,
c'era un buco nel muro con i gioielli da
sposa di Ada e un fascio di banconote
legate con lo spago.
Ada comprava alla borsa nera quello che serviva a mettere
qualcosa in tavola per cena, e il modesto tesoro si assottigliava giorno per
giorno. Ma avrebbero potuto tirare avanti ancora per molto tempo, e Gioel si
sarebbe potuto risparmiare la fatica di
estrarre cadaveri con la vanga fino ad essere esausto. Ma era convinto che
lavorare nelle squadre lo proteggesse. Stare fuori casa il più a lungo
possibile era l'unica cosa sensata da farsi. Non sperava di salvarsi. Si
augurava solo che un crollo improvviso gli risparmiasse la deportazione, o di
non essere in casa quando sarebbe arrivato il peggio.
Ada non voleva saperne di lavorare. Per lei era ingiusto. O
la casa o niente, così la pensava.
"Il giorno che verranno" le aveva detto Gioel
"troveranno i Meier e te. E basta. Se verranno di giorno io non ci sarò. E
allora? Se tu vieni al lavoro con me, invece, potrebbero credere che nel palazzo non ci sia più nessuno."
"Oltre ai Meier" diceva Ada.
"Certo, oltre ai Meier. Ma perché anche loro non fanno
come me? Non si tratta di sperare, Ada, ma di sopravvivere il più a lungo
possibile. O di morire nel modo più umano possibile."
"E se venissero di notte?" chiedeva Ada " Lo
sai che spesso vengono di notte. Sono quasi sempre venuti di notte. Cosa
avresti risolto, col tuo lavoro, se verranno di notte?"
"Di notte bombardano " dice Gioel "hanno
altro da fare di notte. Ti dico che verranno di giorno."
Ada ribatte che sono venuti quasi sempre di notte, e quelle
discussioni proseguivano senza fine, a volte per ore, fino a quando andavano a
letto.
Parlavano sempre di quello o dell'uomo nel lavatoio. Quando
Gioel insisteva che si trattava di topi o di insetti, Ada gli ricordava la
storia della signora Meier.
"Anche oggi ho sentito salire le scale. Tutti i giorni
lo sento. Non apro più solo per non metterla in imbarazzo. Ma la sento. Va al
lavatoio, Gioel."
"E allora vacci anche tu" sbotta Gioel una sera
"abbiamo quanto basta per comprare un tacchino ripieno o dieci chili di
carne. Invece tu compri solo rape o cavoli e un po' di latte. Domani fallo
banchettare. Sono sicuro che la gradirebbe una bistecca di manzo. Che aspetti,
visto che sei così sicura? O è per avarizia?"
Ada si infuria "Come
ti permetti?" gli urla, e poi non gli rivolge più la parola.
Gioel le chiede perdono, non voleva dirlo, è solo stanco
perché ha scavato cadaveri tutto il giorno, non pensa affatto che sia per
avarizia, ci mancherebbe. Le chiede di
perdonarlo due, tre volte.
"A forza di stare con quelli"dice Ada "hai
cominciato a pensare come loro. Ti stai dimenticando chi sei, e quando ti porteranno via forse
penserai che è giusto. Un vecchio profittatore avaro ed egoista."
Gioel capisce che tutti e due stanno passando il segno e che
forse la colpa è sua. Chiede ancora scusa.
Però, aggiunge, è stato sincero nelle intenzioni. Desidera
veramente che, se sul terrazzo abita un uomo, egli abbia il meglio anche per
una sola volta.
Ada lo guarda triste.
"E allora" gli chiede"perché non le compriamo
per noi, quelle bistecche? Almeno per una volta, finché i soldi ci sono" e
a quel punto Gioel non aveva saputo cosa rispondere.
Quando erano già a letto ma ancora non dormivano, Gioel si
era rigirato su di lei e l'aveva presa.
Ada aveva detto no, ma poi si era lasciata andare e l'aveva
abbracciato stretto, mentre Gioel era dentro di lei, come quand'erano stati
giovani e avevano fatto l'amore dovunque ci
fosse spazio per stare cinque minuti uno sopra l'altro.
Quando Ada aveva già preso sonno e respirava con un ronzio,
Gioel si era messo a pensare. Aveva l'impressione che da un momento all'altro
sarebbe suonato l'allarme e, nel dormiveglia in cui scivolava senza volerlo,
confondeva il suono della sirena dei bombardamenti con quello che dava inizio
al lavoro della mattina, e non sapeva se provare paura o sollievo.
Ma davvero, pensava, se c'è un uomo nascosto in un vecchio
lavatoio vorrebbe per prima cosa mangiare una bistecca? Certo, quel tale la desiderava, Gioel ne era sicuro. Ma come
poteva essere che questo fosse ciò che desiderava di meglio ? Una bistecca di
manzo. Come faceva ad essere il meglio per un uomo chiuso in un lavatoio, una
bistecca di manzo? Non l'amore, e
nemmeno sapere che altri esseri umani
pensavano a lui e si preoccupavano di aiutarlo come potevano, non un'amicizia o una carezza o un bacio o un qualsiasi segno
di unione reciproca, ma un pezzo di
carne cotta di buon taglio da mettere sotto i denti. Era davvero in quel modo
che stavano le cose? Gioel si vergognava di quei pensieri, si sentiva umiliato e sciocco. Egli stesso,
che si poneva tante domande elevate, mangiava comunque due volte al giorno e
aveva una casa dove, anche se non c'era riscaldamento, poteva trovare calore
sotto le coperte o dentro sua moglie. E Ada, poco prima, aveva detto di
desiderare anche lei un po' di buona carne da mangiare, anzi, istintivamente
aveva dato la precedenza a loro due prima che a quell'altro nella fantasia di
trovarne al mercato nero.
"Gli uomini vogliono mangiare, proprio come i topi. Se
c'è un uomo nel lavatoio, gelato di freddo e che ingoia un po' di minestra di
cavolo una volta al giorno, vuole solo mangiare di più e non avere freddo.
Questo vuole soprattutto. E chiunque se ne scandalizza è uno stolto."
Sentì i rumori. Questa volta somigliavano allo sbattere di
persiane o a un graffiare su qualcosa di ruvido. Gioel cercava di non perdere
nulla. Adesso c'era un gocciolare d'acqua e un sospiro ansimante. Forse beveva
per ingannare la fame. Dicono che funzioni. Lo stomaco si dilata e per un po'
non si sente la fame. E per il freddo? Ecco, quei colpi sordi e sonori, come di
qualcuno che si batte le braccia con le mani, è un gesto istintivo, cammina su
e giù nel lavatoio e si colpisce per riattivare la circolazione, certo, e
sbatte forte i piedi sul pavimento ghiacciato.
Arrivarono anche pezzi di parole. A Gioel sembrò di
riconoscerne una. Possibile che l'uomo stesse pregando o bestemmiando?
Tutto si ripiegò su un confuso cigolare di legno fradicio,
che poteva provenire da un punto qualsiasi del vecchio palazzo. Ma chi è che
mangia del legno?
"Topi" pensò Gioel "sono soltanto topi.
Roditori. La città ne è piena e
cominciano ad assomigliarci. Ci imitano, forse, e con maggior successo di
noi."
Si addormentò per un minuto, fino a quando la sirena
cominciò a urlare prima del bombardamento.
Nel rifugio vide i Meier seduti accanto a loro nella luce
giallastra delle lanterne. La signora Meier gli sorrise e Gioel le fece una domanda. Ma il fragore delle
bombe era talmente forte che quella non capì e gli chiese di ripetere, ma
nemmeno Gioel riusciva a sentirla, non
sentiva nemmeno la sua stessa voce. Le
pareti del rifugio oscillarono, cadde una polvere gialla di calcinacci e
mattoni e tutti si coprirono gli orecchi con le mani mentre le lanterne si
oscuravano mandando vampate gialle e nere.
"Non è nulla" strillò Gioel "forse è meglio
così, avanti, continuate più forte" ma non sentiva quello che stava
dicendo.
Finì dopo mezz'ora e tornarono a letto con la voglia di riaddormentarsi al più presto.
tre
La sera dopo Gioel rientrò
a casa più tardi del solito.
"Ossignore" disse Ada "mi ero davvero
preoccupata. Spogliati che poi mangiamo."
Gioel colpì le corde della chitarra e si allontanò senza
sincerarsi dell'accordatura.
La mattina, al lavoro, aveva schiaffeggiato un uomo. Era la
prima volta che gli capitava.
Quel tale, stanco dopo ore di lavoro con la vanga, aveva
detto che la colpa di quello che capitava era di "quei topi maledetti che
volevano dominare il mondo."
"E' a causa loro che ci bombardano" aveva detto.
Allora Gioel aveva lasciato cadere il badile e l'aveva
colpito forte col dorso della mano destra.
Attorno era tutto pieno di morti.
Uno dei sorveglianti in divisa nera si era avvicinato.
Voleva sapere cosa era successo. Batteva il manganello nel palmo della mano
sinistra e li guardava. Ne era venuto anche un altro, col mitragliatore armato.
L'uomo si era rialzato asciugandosi il sangue dal naso.
Gioel era rimasto zitto. Aveva raccolto il badile puntandolo nelle macerie.
"E dunque?" aveva chiesto quello col
mitragliatore.
L'uomo aveva guardato Gioel
negli occhi e poi aveva detto:
"Niente. Stavo scherzando. Uno scherzo stupido. Gli ho
detto che mi ero portato a letto sua moglie e lui se l'è presa a male. Niente,
comandante. Una sciocchezza."
I sorveglianti si erano messi a ridere e poi erano tornati
seri.
"La moglie di questo qui" aveva detto la
guardia indicando Gioel col manganello
"sarà vecchia quanto lui. Te la fai con le vecchie, brutto
degenerato?"
L'aveva colpito in pieno volto. Subito dopo aveva sferrato
un colpo a Gioel nello stomaco.
"Non credere che non sappia chi sei" gli aveva
detto all'orecchio, mentre Gioel si piegava dal dolore.
"Ma non ti preoccupare " le dice Gioel " sto
bene. Non era un colpo troppo forte. Davvero, sto bene. Adesso mi lavo e poi mangiamo."
Mentre si sciacqua le ascelle sotto il lavandino, Gioel sente
uno strano profumo, che però gli piace e gli mette quasi allegria.
Quando si siede al tavola con addosso solo la canottiera,
vede due bistecche, una nel suo piatto e l'altra nel piatto di Ada che gli dice
"buon appetito" con gli occhi sorridenti e si mette a piangere mentre
taglia la carne.
"Ma non ti preoccupare" le dice Gioel "non è
nulla. Sto bene davvero. E' per quello che mi ha detto la guardia? Ma è chiaro
che lo sanno. Lo sanno fin dall'inizio. Mi tengono perché gli faccio comodo. E
forse nemmeno lo sanno. Ma certo, ha solo voluto minacciarmi. Che ne può sapere
quello? Voleva mettermi paura e basta. Lo fanno con tutti. Ada , tesoro, grazie per questa sorpresa. E
adesso mangiamo, prima che si raffreddi."
E si mette in bocca un pezzo di carne. E' veramente buona.
"I Meier" dice Ada.
Gioel sta masticando.
"I Meier cosa?"
Ada ingoia la carne e piange.
"I Meier. Non ci sono più. Stamattina. Avevi ragione
tu, stamattina. Tutti via."
Gioel si indurisce e continua a masticare. Il sapore della
carne gli piace e vuole sentirlo fino in fondo. Non capisce perché dovrebbe
negarsi un sollievo per via della sparizione dei Meier. Non si tratta di nulla
di nuovo. Ne sono spariti a milioni. Chi erano i Meier più degli altri?
" E tu come te la sei cavata? Sei scappata o cosa?
Insomma, sei ancora qui e hai addirittura cucinato la carne. Non è da tutti.
Come hai fatto?"
Ada si asciuga le lacrime e sorride.
"Non ho aperto la porta" dice.
"Non hai aperto la porta" dice Gioel "va
bene, ho capito. Non hai aperto. Ma loro? Hanno bussato, immagino. Hanno
picchiato. Sappiamo come si comportano.
Insomma, spiegati meglio."
"Non ho aperto la porta" ripete Ada "Certo
che hanno bussato, te lo puoi immaginare. Hanno picchiato con i pugni e con i
calci dei fucili. Forte, fortissimo. Urlavano. Sembrava che la porta dovesse
venire giù da un momento all'altro. Ma io non ho aperto. Sono stata zitta e non
ho aperto."
"Brava" dice Gioel " era l'unica cosa da
farsi e tu l'hai fatta. Brava. Questa carne" dice " è
straordinariamente buona."
"Sì" risponde Ada" è davvero di prima scelta.
Non ti immagini quanto l'ho pagata. Comunque non è stato solo merito mio. A un
certo punto, proprio mentre picchiavano più forte, ho sentito la signora Meier
che diceva 'è inutile fare tanto fracasso, quelli li hanno portati via tre mesi
fa, in casa non c'è più nessuno'. Hai capito? E loro le hanno creduto. Non ti
sembra incredibile? Le hanno creduto e se ne sono andati. E' finita così."
"Torneranno" dice Gioel "Non gli ci vuole
niente a controllare. Torneranno."
Ada e Gioel mangiano ancora un po' di carne, è la prima
volta dopo tanto tempo che mettono in bocca qualcosa di buono.
"E se invece si fossero proprio dimenticati di
noi?" dice Ada "Perché non potrebbero essersi dimenticati di
noi?"
Gioel dice di no, che è impossibile. Non bisogna sperare,
dice, ma solo vivere il più a lungo possibile. Sopravvivere, insiste.
"Però la signora Meier è stata proprio in gamba. Una
bella presenza di spirito. Con tutta la paura che aveva si è messa a raccontare
una bugia per difenderti. Non me lo sarei aspettato. Ho sempre pensato che
fosse...Invece era coraggiosa."
"Portava da mangiare a quello nel lavatoio" dice
Ada "certo che era coraggiosa. Coraggiosissima. Come pensavi che fosse? Il
fatto è che tu non ci hai mai voluto credere alla storia di quel tale nascosto
lassù, altrimenti avresti capito da un pezzo com'era fatta la signora
Meier."
Gioel pensa all'uomo che aveva preso a schiaffi quella
mattina. Anche quello avrebbe potuto denunciarlo alle guardie, gli sarebbe
bastato raccontare come erano andate le cose ed era fatta. Invece, lì su due
piedi, si era inventato una storia improbabile che gli era costata nuove
percosse.
C'era bisogno di provare gratitudine? A Gioel non piacevano
le storie edificanti e anche mentre apprezzava il comportamento della Meier si
era sentito a disagio. Gli sembrava che nel giudicare positivamente un'altra
persona ci fosse qualcosa di stolto ed offensivo.
"E' normale" disse.
Ada aveva finito la carne.
"Normale cosa?"
"Quello che ha fatto la signora Meier. E' normale. Lo
può fare chiunque. Anche l'uomo di stamattina ha fatto uguale. Non è da eroi.
E' come mangiare quando si ha fame. E' da eroi mangiare quando si ha
fame?"
"Secondo me" rispose Ada "non è affatto
normale. La gente di solito non si comporta così. Non si tratta di eroismo, è
un'altra cosa. Bisogna essere ispirati da Dio. Ecco, ne sono sicura, è Dio che ci
fa essere umani. E' Dio che ci fa essere esseri umani."
Gioel la guardò fissa.
"Dio?" chiese "E' Dio?"
Per un po' non
parlarono. Ada sparecchiava la tavola.
"Ma non la finisci la carne?" disse vedendo il
piatto di Gioel ancora pieno a metà.
"Ne voglio tenere qualche boccone per domani sera
" rispose Gioel "Sarà buona anche riscaldata. Coprila con un
piatto."
"E se vengono? Voglio dire, se arrivano prima di
cena?"
Gioel fece un gesto con la mano.
Si alzò da tavola e andò a colpire le corde della chitarra.
Ascoltò l'estinguersi del suono, la tirò giù e si mise ad accordarla
Ada lo guardava andando
su e giù dalla cucina. Si fermò con la tovaglia in mano.
"Senti Gioel, ti devo dire una cosa. Ma non ti arrabbiare. Se ci pensi bene vedrai
che non ce n'è motivo. Insomma, è inutile fare economie con la carne. Ne ho
comprato un pezzo da sei chili. Ce n'è quanta ne vuoi. Sei chili. Ho speso
un'enormità. Quello della borsa nera nemmeno voleva crederci. Era tutta quella
che aveva. E ho comprato anche del
ghiaccio secco per conservarla. Ho speso davvero un'enormità, Gioel. Ma non ti
arrabbiare, ti prego. Ho pensato che era meglio così."
Gioel sollevò la testa dallo strumento.
"Ma certo" disse "che importanza ha? Hai
fatto bene. E l'hai comprata per l'uomo che sta in terrazza, è vero?" Ada
fece segno di sì "perché sei chili per noi due soli mi sembrano troppi. Non credo nemmeno che avremo il tempo
di mangiarla tutta. Se poi quelli arrivano davvero prima di cena sono capaci di
fregarsela loro."
"Allora è meglio se gliela portiamo subito" disse
Ada "Ne ho cucinate altre due di bistecche. Ma possiamo anche portargliela
tutta. Col freddo che fa lassù si conserva meglio che in un frigorifero."
Gioel riappese al muro la chitarra.
"E se sul terrazzo non c'è davvero nessuno?"chiese.
"Allora la lasceremo ai topi"disse Ada "Anche
i topi devono mangiare, credo."
quattro
"E' vero" disse l'uomo "una notte mi sono
messo a masticare il legno delle vecchie tavole da lavare. Ma non era per fame,
era per rabbia. Anzi, nemmeno. Avevo solo voglia di distruggere qualcosa."
Stavano tutti e tre nella casupola del lavatoio. Faceva un
freddo incredibile e tirava vento dagli
interstizi.
L'uomo era veramente malridotto. Aveva alcuni mozziconi di
candela, tutti di altezza diversa come le canne di un organo, e ne aveva acceso
uno con uno zolfanello. Aveva fatto
colare un po' di cera e con quella
l'aveva fissato al bordo della vasca.
"E' per voi" disse "io di solito sto al
buio".
Era coperto dalle chiazze blu scuro dei geloni e aveva
addosso qualcosa che un tempo era stato un cappotto, forse di foggia militare.
"Eppure" disse Gioel "sono sicuro che qualche
notte fa lei abbia acceso una candela
pur essendo solo. Non è vero? Non dica bugie."
L'uomo sorrise. Aveva pochissimi denti.
"E' vero" disse "ma come fa a saperlo? L'ho
fatto per vedere l'ora. Signor Gioel e signora Ada, voi non ci crederete ma ho
ancora l'orologio. Guardate."
Si scoprì il polso magrissimo.
"Bello" disse Gioel "di prima delle guerra,
direi. Ottima meccanica. Complimenti, un vero gioiello."
Non appena l'uomo aveva visto la carne, aveva sollevato con le due mani il pezzo
ancora crudo e ne aveva staccato un morso.
"Aspetti" aveva detto Ada "le ho portato
anche due bistecche ben cotte. Il resto potrà tenerlo per dopo. Intanto mangi
queste."
Poi avevano parlato della signora Meier.
"Io da qui vedo tutto" disse l'uomo "ho
assistito a tutte le deportazioni. Li vedo arrivare da lontano, vengono sempre
dalla parte del fiume. Adesso è notte, ma vi assicuro che di giorno c'è una
vista magnifica sulle macerie. E durante i bombardamenti, quando non possono
vedermi, mi affaccio senza timore. Ma le bombe non bastano mai. Mi dico sempre:
ecco, questo è l'ultimo, non è possibile che
rimanga ancora in piedi qualcosa,
e invece il giorno dopo c'è ancora la città e ci sono loro. Ma vi
rendete conto che questo palazzo non è stato mai colpito?"
"E' vero" disse Gioel "è strano."
L'uomo aveva una teoria in proposito. Secondo lui, gli
aguzzini si erano messi d'accordo con i piloti delle fortezze volanti.
"Lasciatelo stare quel vecchio palazzo, per favore. Non
è altro che un vecchio palazzo. Non ce li ammazzate tutti in una volta. A
quelli ci vogliamo pensare noi, senza fretta. Sono gli ultimi rimasti in città
e vogliamo goderceli. Vogliamo farceli durare. Ecco, è così che è andata, mi
creda. Per questo non ci hanno mai colpiti."
"Ma adesso mangi, per favore" disse Ada "poi
le porterò su un paio di coperte. E domani cercherò una stufa a carbone e
gliela porterò. Fa troppo freddo qui."
L'uomo prese la forchetta e il coltello dalle mani di Ada e
cominciò a mangiare tenendo il piatto sulle ginocchia.
"Grazie" disse "grazie di cuore. Ma signora
Ada, oltre alla stufa porti anche un po' di carbone, mi raccomando. Così potrò
cucinarmi da solo."
E sorrise.
"Ci sarà il problema del fumo" disse Gioel
"dovrà usarla solo di notte."
"Voi siete gli ultimi rimasti" disse l'uomo
"perché non scappate? Sarà per domani, dopodomani al massimo. Cosa ci
rimettete a scappare? Tanto non c'e nessuno che possa aiutarvi."
Finì la prima bistecca, succhiò la carne vicino all'osso,
disse "scusate" e attaccò la seconda.
"Senza pane è meglio" disse "non ne posso più
di pane. Sono mesi che mangio pane e minestra di cavolo. Comunque, senza la
signora Meier sarei già morto da un pezzo. E anche senza di voi, ora. Vedete,
io mi ritengo un uomo fortunato. Ho trovato persone che mi hanno dato una mano.
Non è una cosa scontata."
"Io" disse Gioel "penso invece che sia
normale. Anche a me è successa la stessa cosa."
E gli raccontò quello che era capitato la mattina.
L'uomo annuì masticando.
"Capisco quello che vuole dire" rispose "e
sono in parte d'accordo con lei. Ma è un cosa difficile da mettere a fuoco.
Voglio dire che quando se ne parla è facile dire delle sciocchezze. Io, ad
esempio, non ho mai aiutato nessuno. Da quando è cominciata la persecuzione non
ho fatto che nascondermi. Però non mi sento in colpa. Guardi come mi sono
ridotto. Vivo facendo correre gravi rischi alle altre persone, come la signora
Meier e adesso voi. Eppure, non riesco a sentirmi in colpa."
"In realtà" disse
Gioel "nessuno di noi corre dei rischi aiutando lei. Nemmeno la
Meier ne correva. E' solo la paura. Ci pensi bene: com' è possibile che persone
nella nostra condizione possano davvero correre dei rischi? Siamo più morti che
vivi. E' una cosa che fa ridere, non trova? uno più morto che vivo che ha
ancora paura. Eppure succede."
"Ne è sicuro?" disse l'uomo "Ma pensi a quel
tale di cui mi ha raccontato. Per lui le cose stavano in un altro modo. Non si
trovava certo nella vostra situazione. Aveva ancora molte possibilità di
cavarsela. Invece ha rischiato grosso per proteggerla. Secondo lei chi gliel'ha
fatto fare?"
"Non lo so" rispose Gioel "ed è per questo
che penso che sia normale. Quel tipo ha fatto la cosa più semplice. Si poteva
mandare a morte un uomo solo per non prendere una bastonata? Io penso che
sarebbe stato assurdo."
"Mio marito" disse Ada "è convinto che
chiunque può fare cose del genere. Non crede agli eroi. Dice che la cosiddetta
vigliaccheria è solo pigrizia."
"E lei cosa pensa, invece?" chiese l'uomo.
Sembrava assai interessato a quel discorso, ma era educato e
discreto e non insistette quando fu evidente che Ada non avrebbe risposto.
"Sa una cosa?" disse Gioel "per molto tempo
ho pensato che lei fosse un topo. Cioè, non mi fraintenda, ma non volevo convincermi che qui ci vivesse un
uomo. Chissà perché, poi. E un'altra cosa che non mi spiego è perché la signora
Meier non ci abbia mai parlato di lei."
"A me invece ha parlato di voi" disse l'uomo
"Mi diceva che al momento opportuno avrei avuto su chi contare. Per questo
non voleva che veniste a sapere di me finché non ce ne fosse stato davvero
bisogno. Non poteva dirvi la verità e non voleva mentirvi. Diceva che almeno
questo toccava a me."
"Cosa?"chiese Gioel "cosa toccava a lei? Non
la capisco."
L'uomo smise di mangiare e guardò Gioel negli occhi.
"Io" disse "sono uno di loro. Mi ha capito?
Sono uno degli aguzzini. Ho disertato all'inizio della grande persecuzione,
quando hanno cominciato a fare le cose in grande. Ma non si trattava di un problema di coscienza. L'ho fatto perché
continuare era troppo faticoso. Stavano per assegnarmi a un campo. Un lavoro da
bestie, mi creda. Lei ha spalato cadaveri e quindi sa di cosa parlo. Non lo
sopporto quell'odore. Allora mi sono nascosto qui perché ho pensato che proprio fra voi non mi avrebbero
mai cercato. E ho avuto ragione, alla fine. Signor Gioel, lei aveva visto
giusto, io sono un topo. Troppo pigro anche per fare l'aguzzino."
Si fermò e mise da parte il piatto con la carne.
"La finirò domani" disse.
"Ma adesso cosa pensa" gli domandò Ada "cosa
pensa di se stesso? Cosa pensa di quello che ha fatto?"
"Adesso" rispose l'uomo "non penso nulla.
Adesso mangio."
Gioel si rese conto che ormai era troppo tardi per smettere
di aiutare quell'uomo. Era davvero un topo. Ma Ada non aveva detto che anche i
topi devono mangiare?
La candela si spense a un colpo di vento.
"Scusatemi se non la riaccendo" disse l'uomo
"ma ho quasi finito gli zolfanelli. La Meier me ne ha portato un
centinaio, all'inizio, ma ormai sono agli sgoccioli."
"Gliene porto io domani" disse Ada.
In quel momento suonò la sirena.
"Ah ecco" disse l'uomo "adesso le candele non
servono più"
Il cielo si riempì di traccianti. Le bombe cadevano ovunque
e cominciarono gli incendi. Ci si vedeva come di giorno.
"E' stato Dio" disse Ada.
"Cosa?" chiese l'uomo "Signora Ada, deve
alzare la voce. Non riesco a sentirla."
"E' stato Dio" strillò Ada "L'uomo di questa
mattina: è stato Dio. E anche la signora Meier. C’è Dio di mezzo. Altrimenti è
impossibile. Gli uomini da soli non ce la fanno ad essere esseri umani."
L'uomo si mise a ridere, ma il rumore era tale che sembrava
ridesse in silenzio.
"Dio? Signora Ada, ma si rende conto? Dio. In tutto
questo" stava urlando con tutto il fiato che aveva "Dio farebbe molto
meglio a non esistere. Non se lo può permettere. Mi ha sentito? Non se lo può
più permettere."
La prima ondata era finita. Si sentivano le sirene delle
autopompe e le raffiche della mitragliera.
"Fra poco ricominciano" disse l'uomo "Signora
Ada, le chiedo scusa. Non intendevo offenderla. "
"Non si preoccupi" disse Ada "non ho nemmeno
capito quello che ha detto. C'era troppo rumore."
"E lei, signor Gioel" disse ancora l'uomo
"anche lei pensa che c'entri Dio?"
Gioel fece un gesto nell'aria con la mano. Non si capiva
bene cosa intendeva esprimere, ma era probabile che si riferisse a una specie di noia per tutti quei discorsi.
"Gli uomini riescono ad essere infami anche senza dio”
disse alla fine.
Si fermò come se avesse altro da dire ma non la voglia di
dirlo. Guardo giù.
“Ma lei" aggiunse "lei, signore, ha mangiato
abbastanza?"
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