A parte il fatto che Agave era ubriaca fradicia, non furono trovate altre cause. Qualcuno se ne uscì con la pazzia o con la “pura e semplice” cattiveria.
‘Ma signori miei’ disse il pubblico ministero davanti ai giurati ‘che cos’è la pura e semplice cattiveria? Nient’altro che una comoda e indecorosa scappatoia pseudo-filosofica.’
Si stava infatti diffondendo l’opinione che non si potesse essere puniti solo perché si era cattivi.
‘Nessuno ha colpa di essere fatto in un certo modo’ così si esprimevano in molti.
Ciononostante, i buoni e gli onesti continuavano ad essere elogiati e premiati, e questo costituiva una contraddizione dalla quale era sempre più difficile liberarsi.
In ogni caso, gli uomini di legge, senza differenze fra accusatori e difensori, non ci stavano.
‘Sarebbe bello ’ dicevano con ironia ‘che un assassino se la cavasse solo perché “è fatto così”. Che fine farebbe la responsabilità personale?’
E riguardo la pazzia, fu chiaro da subito che Agave non era pazza. Era perfettamente orientata nel tempo e nello spazio e ricordava nel dettaglio ciò che aveva fatto. Non fu necessaria alcuna pressione per indurla a confessare.
‘Ho ucciso mio figlio stanotte alle quattro e mezza ’ disse al funzionario di polizia che la interrogò la mattina dopo ‘Avevo bevuto moltissimo, è vero, ma questo lo faccio da anni tutte le sere. Non credo che il vino abbia qualcosa a che vedere con quello che è successo.’
‘E allora perché è successo?’ voleva chiederle il funzionario. Ma lasciò perdere e le fece quest’altra domanda:
‘Signora Agave, posso fare qualcosa per lei?’
‘Sissignore’ ripose Agave ‘trovi il motivo per cui ho ucciso Quinto. Io non lo so. Ma se lei arriva a capirlo, gliene sarò grata per sempre.’
Queste furono le uniche parole agli atti. Si lasciò condurre alle carceri, si sottopose alle ispezioni di rito e quando la misero in isolamento rimase per circa un’ora seduta sulla branda e poi si addormentò.
Durante il processo non ci furono colpi si scena. I giurati impallidirono davanti alle fotografie del corpo di Quinto sgozzato e decapitato e si domandarono seriamente se quell’orrore aveva un significato che a loro sfuggiva.
Agave accettò di deporre, anche se il suo avvocato aveva fatto di tutto per dissuaderla.
‘Ho ucciso mio figlio mentre dormiva ‘ disse in aula ‘usando il coltello per la carne. Gli ho tagliato il collo, poi ho staccato la testa e l’ho poggiata sul letto accanto al cuscino.’
Qualcuno del pubblico urlò ‘basta!’ e il giudice minacciò di far continuare il processo a porte chiuse.
Quando tornò il silenzio, il pubblico ministero le domandò perché l’aveva ucciso.
‘Non lo so ‘ rispose Agave ‘però mi sembrava che non ci fosse altro da fare. Mi è venuto spontaneo.’
Ci fu rumore fra il pubblico e il giudice minacciò un’altra volta.
‘E adesso la pensa ancora allo stesso modo?’ le chiese il magistrato ‘E’ ancora convinta che “non ci fosse altro da fare”?’
Ci teneva ad apparire il più distaccato possibile, ma non riuscì ad evitare che una tonalità di rimprovero e quasi di disgusto si insinuasse nel suono della voce.
‘Sissignore’ ripose Agave ‘Io ricordo tutto di quella notte, anche se ero ubriaca fino a un punto dove prima non ero mai arrivata. Glielo ripeto, non c’era altro da fare. Ne sono assolutamente sicura.’
‘Suo figlio aveva quarantacinque anni ’ disse ancora il magistrato ‘ perché ha aspettato tanto tempo prima di ucciderlo?’
Ma poi si rese conto dell’assurdità della domanda e chiese al giudice di toglierla dal verbale.
Ancora prima che iniziasse il processo, i giornalisti cominciarono a fare quello che nel loro gergo si chiama “scavare” nella vita di una persona.
Decisero di intervistare i genitori di Agave, che vivevano in una minuscola frazione nel nord del paese.
Ma il padre era ricoverato da mesi nell’ospedale del capoluogo per un cancro degli occhi, e i medici si opposero a qualsiasi colloquio.
‘E poi non sa nulla ‘ dissero ‘Mica penserete che nelle condizioni in cui si trova qualcuno lo abbia informato di questo disastro?’
La madre, invece, accettò di rilasciare un’intervista. Viveva in una casa isolata e aveva ottantaquattro anni. Ma stava bene, e sembrava più giovane.
Offrì ai giornalisti un liquore fatto in casa.
‘Non vedo Agave da più di vent’anni’ disse ‘Ci sentiamo ogni tanto per telefono. Quinto invece era venuto a trovarmi sei mesi fa. Si era appena separato dalla moglie. Per fortuna, non avevano figli.’
Pareva non avesse altro da dire.
Il giornalista le domandò cosa provava davanti a quello che era successo.
‘Agave aveva solo quindici anni quando rimase incinta ’ rispose la donna ‘Voglio dire, era come se non fosse veramente sua madre. Lui la chiamava per nome come una sorella maggiore o una vecchia amica. Qualcosa del genere, insomma. ’
‘Ho capito ’ disse il giornalista ‘Agave era stata una ragazza madre. Ma questo secondo lei ha qualcosa a che vedere con quello che è successo?’
La vecchia si versò un bicchierino di liquore.
‘Agave beveva troppo ’ disse ‘Qui da noi tutti bevono un po’, è una specie di tradizione , ma lei esagerava. Ogni volta che mi telefonava capivo che era ubriaca. Quinto invece era completamente astemio. Si vede che aveva preso dal padre, anche se io non l’ho mai conosciuto.’
Per tutta la durata dell’intervista, la donna non si mise a piangere e non fece nessuna delle cose che i giornalisti si aspettavano. Dava l’idea di una tranquillità impossibile, che confinava con l’indifferenza e le sue risposte non avevano nulla a che vedere con le domande.
Solo alla fine disse una cosa strana.
‘Agave è una santa. Credetemi, è proprio così. Agave è una santa.’
Ma prima di mandare l’intervista in televisione, il capo-redattore decise di tagliare quest’ultima frase perché, disse, “ci manca solo il delirio religioso e poi siamo al completo”.
Un’opinione diffusa era che Agave, dietro i suoi “non lo so”, nascondesse il vero motivo dell’uccisione del figlio.
‘Qui c’è qualcosa sotto ’ si sosteneva ‘ci deve essere per forza. Quella gioca a fare la misteriosa, ecco tutto. Si dovrebbe provare col siero della verità. O magari con la maniera forte.’
Molti annuivano, dando ragione a chi parlava così.
‘Ma se ha già confessato ’ protestavano altri ‘ che cosa andiamo cercando? No, bisogna finirla qui. E’ un’assassina, giusto? E allora all’ergastolo e chiuso. Questa storia è durata fin troppo.’
‘E il movente? Dove lo metti il movente? Se davvero non è pazza – ma io ci credo poco – deve pur aver avuto una ragione per fare quello che ha fatto. Non è che una si alza di notte e tanto per ingannare il tempo ammazza il figlio.’
‘E infatti. Vedo che mi dai ragione. Ci deve essere qualcosa sotto. Per forza, signori miei. Da qui non si scappa. Qualcosa sotto. ’
Discorsi di questo tipo si tenevano dappertutto, nei bar, nelle case e alla fermata degli autobus.
Si sentivano però anche discorsi molto diversi.
Il partito di quelli che pensavano che non si potesse essere puniti “solo perché si era cattivi” rimaneva il più forte.
Si tennero varie assemblee in tutta la città.
Un famoso intellettuale, antropologo, psicoanalista e studioso di criminologia si schierò apertamente.
‘Il caso di Agave e di suo figlio Quinto ’ scrisse su una prestigiosa rivista ‘rappresenta una svolta le cui conseguenze non sono ancora calcolabili. Per la prima volta dopo tanto tempo, ci troviamo al cospetto di un mistero che non può essere sciolto con gli strumenti della scienza e del diritto positivo. Illudersi di chiudere la vicenda con una semplice condanna penale sarebbe deleterio. Questo non è un qualsiasi omicidio. E Agave non è una qualsiasi colpevole. Nascondersi dietro la paura e le certezze convenzionali è inutile e pericoloso. C’è una sola cosa che bisogna fare: parlare con Agave.’
Questo articolo, e in particolare la sua conclusione, ebbero un’eco inimmaginabile.
Dopo due settimane, un gruppo di medici, psicologi, giornalisti e comuni cittadini, diedero vita a un’associazione che chiamarono “Parlare con Agave”.
In pochissimo tempo, migliaia di persone da ogni parte del paese si iscrissero e fondarono sezioni locali dell’associazione.
L’intellettuale che aveva scritto l’articolo fu eletto presidente.
In una riunione che si tenne nella capitale, pronunciò un discorso che restò famoso per l’entusiasmo che suscitò fra gli aderenti a “Parlare con Agave” e per il senso di gelo e di indecifrabile paura che invase quelli che la pensavano diversamente.
‘ Amici ’ affermò con passione ‘Agave ha ucciso e non pretendiamo che venga assolta. Questo sarebbe impossibile e forse la stessa Agave non lo vorrebbe. Ma quello che assolutamente rivendichiamo – e in merito ho già scritto una lettera al Ministro della giustizia – è che il carcere venga aperto a chiunque esprima il desiderio di incontrarla. Agave è patrimonio di tutti, e noi chiediamo che a tutti venga riconosciuto il diritto di parlare con Agave.’
Il presidente pronunciò le ultime tre parole a voce più alta e stavano già per esplodere gli applausi quando:
‘Bastarda, ubriacona, assassina” gridò un uomo alzandosi in piedi ‘E voi altri siete peggio di lei”.
Il servizio d’ordine lo individuò rapidamente e lo accompagnò alla porta. L’uomo non oppose resistenza e si mise a piangere. Era di mezza età, quasi calvo e vestito in giacca e cravatta.
Quando tornò la calma, qualcuno disse che forse era solo un infiltrato mandato dai preti a seminare zizzania.
Un pomeriggio, il funzionario di polizia che l’aveva interrogata per primo andò a visitare Agave in carcere.
Si misero seduti in parlatorio ai due lati del cristallo. L’agente di guardia leggeva il giornale nel suo gabbiotto.
‘Come sta?’ le chiese il poliziotto.
‘Io sto bene ’ rispose Agave ‘Solo, non vedo l’ora che finisca. Ma perché ci mettono tanto?’
‘Lei ha un buon avvocato ’ disse il poliziotto ‘Se il processo va per le lunghe, il merito è suo. Oppure la colpa. Dipende.’
‘Quell’avvocato non l’ho neanche scelto io ’ disse Agave ‘è solo un avvocato d’ufficio. Chi glielo fa fare di prendersela così a cuore, mi chiedo.’
Il poliziotto sorrise.
‘E’ proprio per questo ’ rispose ‘Finora quello lì era un signor nessuno. Ora, di colpo, si trova fra le mani un caso che fa notizia. E’ la sua grande occasione. Comunque vadano le cose, diventerà famoso e la sua vita cambierà da così a così.’
E fece ruotare il palmo di una mano verso il basso e poi verso l’alto.
Agave si avvicinò al cristallo, come se così facendo quello che stava per dire potesse rimanere una confidenza.
‘Io non volevo proprio nessun avvocato ’ disse ‘pensavo che fosse sufficiente confessare. Non mi aspettavo tutto questo. ’
‘Purtroppo’ disse il poliziotto ‘ le cose non sono così semplici. Senza avvocato il processo non può nemmeno iniziare. La legge è fatta così. Difendersi è obbligatorio. ’
Agave lo guardò.
‘E già ’ disse.
‘E lei ?’ gli chiese poi ‘ Ha fatto qualche passo avanti?’
Il poliziotto fece segno di no.
‘Agave’ disse ‘lei chiede qualcosa di impossibile. Nemmeno Sherlock Holmes riuscirebbe a scoprire perché lei ha ucciso Quinto. Se non lo sa lei, non lo sa nessuno.’
Agave si passò le mani sugli occhi.
‘Ma lei almeno mi crede quando dico che non lo so?’
Il poliziotto sorrise di nuovo, con tristezza.
‘Sì’ rispose ‘io le credo, Agave, ma non è questo il punto. Se fossi l’unico a crederle, sarebbe niente. Il fatto è che sono in molti, in moltissimi a crederle. Per questo hanno tanta paura e tanta curiosità. Non so, a volte mi sembra che sentano una specie di ammirazione. Lei li incanta. Ha saputo cosa sta succedendo fuori?’
Agave fece segno di sì.
‘Mio padre ha un cancro degli occhi ’ disse ‘l’ho sentito alla televisione. Non lo sapevo. Non lo vedo da vent’anni. ’
‘Mi dispiace ’disse il poliziotto ‘Sua madre però sta bene. L’ho visto anch’io quel servizio.’
L’agente di guardia fece segno che il tempo stava per scadere.
Il poliziotto si alzò.
‘Se posso, torno a trovarla ‘ disse ‘Sempre che le faccia piacere, è chiaro.’
Agave fece un gesto con le mani.
‘Io non voglio che quelli vengano qui. Non ho voglia di parlare con nessuno. Non possono costringermi, vero? Se io dico di no, non possono mica farli entrare. Questo è un carcere. ’
‘Certo’ disse il poliziotto ‘non possono costringerla. Questo è un carcere.’
‘Lei’ chiese il pubblico ministero guardando le carte ‘beveva abitualmente da molto tempo. E’ così?’
‘Sissignore’ rispose Agave ‘ho cominciato da ragazza. Almeno due litri al giorno.’
‘Tutti i giorni?’
‘Tutti i giorni ’ rispose Agave ‘La sera ero sempre molto ubriaca.’
‘Lo era anche la sera della morte di suo figlio Quinto?’
‘Sissignore. Anche di più. Ma non c’entra nulla. Quello era il mio stato abituale.’
Il pubblico ministero annuì.
‘E perché beveva così tanto? Voglio dire, era solo per il piacere del vino o c’era qualcosa che in qualche modo la costringeva? Voglio dire…’
‘Mi perdoni ’ disse Agave ‘so che non dovrei interromperla, ma ho capito cosa vuole sapere. No, non sono un alcolizzata. Bevevo solo per il piacere del vino. Da quando sono in carcere bevo solo acqua. Per un’alcolizzata sarebbe impossibile.’
‘Questo è vero ’ concesse il magistrato ‘ma ammetterà che è un po’ strano. Insomma, il vino non le manca per nulla?’
Agave sorrise.
‘Non nego che ne berrei volentieri, se ce ne fosse. Ma sto bene anche senza.’
Il pubblico ministero prese in mano un fascicolo e lo scorse.
‘Le perizie mediche ’ riprese ‘sostengono che le sue analisi sono perfette. Lei non ha malattie di fegato né segni di intossicazione alcolica. La glicemia è in ordine e anche gli altri valori del sangue. E’ una cosa sorprendente per una persona che beveva quello che lei sostiene di aver bevuto per quasi quarant’anni. Insomma, in base a che cosa dovremmo crederle? Può darsi benissimo che lei non bevesse affatto.’
‘E questo cambierebbe qualcosa?’ disse Agave.
Il presidente alzò una mano.
‘Signora’ disse ‘lei ha accettato di deporre. Ma non può rivolgere domande. E non deve interrompere i giudici.’
Agave si scusò nuovamente.
Poi disse:
‘Signor presidente, posso fare una dichiarazione?’
‘Va bene ’ disse il giudice ‘Ma cerchi di essere breve, se può.’
‘Sissignore ’ disse Agave ‘voglio solo chiarire una volta per tutte che il vino non ha niente a che vedere con quello che ho fatto. Mi dispiace per il mio avvocato, ma così stanno le cose. Per tanti anni della mia vita, ho bevuto due litri di vino tutti i giorni. Ci sono testimonianze in merito: i commercianti da cui mi servivo e le persone che molto spesso mi hanno vista ubriaca. Mia madre stessa ne ha parlato in televisione. Per quanto riguarda le mie analisi, non so perché siano ancora normali. Sorprende anche me. Ma se non sanno spiegarselo i medici, come potrei farlo io? In ogni caso, sono perfettamente sobria da molti mesi e dichiaro in piena lucidità di aver ucciso mio figlio Quinto perché non potevo fare altrimenti. Mi è venuto spontaneo, come ho già detto. E sono sicura che se mi trovassi nelle stesse circostanze di quella notte, e in stato di sobrietà, rifarei esattamente la stessa cosa. Ho già spiegato che ignoro i motivi che mi hanno spinto a compiere quel gesto. Lo ribadisco. E nego ancora che il vino abbia qualsiasi relazione con ciò che è avvenuto. Grazie, signor giudice.’
La dichiarazione di Agave fu riportata dai giornali in prima pagina e suscitò una grande emozione.
Il vescovo della città invocò perdono, espiazione e preghiera.
‘Sono i segni dei tempi ’ disse in un’omelia ‘ ma non dimentichiamo che l’uomo perde la strada solo per ritrovarla ’ o qualcosa del genere, che c’entrava e non c’entrava.
L’avvocato dichiarò al telegiornale che la sua cliente era in stato di evidente “sofferenza psichica” e che era impossibile che il tribunale non ne tenesse conto.
‘Ovviamente’ disse ‘rispetteremo il verdetto dei giudici. Ma siamo già pronti all’appello. ’
L’avvocato sapeva perfettamente che non ci sarebbe stato nessun appello, perché Agave non aveva intenzione di continuare il processo. Però gli era sembrato opportuno rilasciare lo stesso una dichiarazione battagliera. Durante il processo era apparso più volte in televisione ed era stato intervistato da vari quotidiani e settimanali, sostenendo in ogni occasione la tesi della parziale infermità di mente causata dalla “dipendenza alcolica” di Agave. Il fatto che adesso la sua cliente avesse demolito in quattro parole la tesi difensiva era una cosa che, in un certo senso, rafforzava la tesi stessa. Solo un pazzo si sarebbe accusato in quel modo folle. In ogni caso, l’effetto pubblicitario sul piano personale era stato notevole e per l’avvocato questo contava sopra ogni altra cosa.
Quelli di “Parlare con Agave” videro nelle parole di Agave una straordinaria conferma delle proprie ragioni.
Da lì a tre giorni, alla vigilia della sentenza, organizzarono una manifestazione nazionale in un grande teatro della città. Venne tanta di quella gente da riempire il teatro e la piazza davanti. La folla sembrava crescere a vista d’occhio. Alla fine, anche le vie che arrivavano alla piazza erano stipate di persone di ogni età e provenienza, che portavano sul petto il distintivo dell’associazione col simbolo e le tre lettere “PCA” scritte in rosso.
La polizia organizzò un formidabile servizio d’ordine per evitare provocazioni, e gli organizzatori spesero un patrimonio per comprare gli altoparlanti necessari a far giungere ad ogni settore della folla sterminata le parole del presidente.
Il discorso cominciò alle cinque in punto, mentre i giudici entravano in camera di consiglio.
‘Non siamo interessati alla sentenza ’ scandì il famoso intellettuale ‘non è per questo che siamo qui. Tre giorni fa, con la sua dichiarazione, Agave ha già emesso una sentenza. Quella del tribunale non potrà che ribadirla. ‘
La folla applaudì. Qualcuno gridò “parlare con Agave” a voce altissima.
Sembrò che il presidente lo avesse sentito, anche se era impossibile perché quello che aveva strillato era fuori dal teatro e a quasi un chilometro di distanza.
‘Parlare con Agave ’ disse subito dopo il presidente-intellettuale ‘rimane la nostra unica richiesta. Che sia in un carcere o in riva al mare non fa nessuna differenza. Anzi, il carcere è forse il luogo simbolicamente più adatto. Se Agave resta in carcere – e ci resterà, questo è sicuro – noi tutti vogliamo condividere con lei minuti di carcere. Perché Agave è nostra. Quello che ha fatto è nostro. Non ce la lasceremo portare via dal codice penale.’
Ci furono altri applausi. Dalle vie circostanti la folla premeva verso la piazza. I poliziotti, sotto i caschi, si guardarono attorno nervosamente.
‘Noi’ riprese l’intellettuale ‘non vogliamo assolvere e non vogliamo punire. Non siamo qui per condannare o perdonare. Non ci interessa il significato morale di quello che Agave ha fatto. Ci sono altri, nel paese, che si sentono in diritto di esprimere giudizi. E non parlo dei giudici, che in fondo non fanno che il loro mestiere. Parlo dei sorveglianti delle coscienze, parlo del vescovo di questa città che proprio ieri ha cercato di riportare questa straordinaria vicenda nei limiti angusti del lecito e dell’illecito. Il vescovo ha usato la vecchia metafora della strada piegandola a un paradosso edificante: l’uomo perde la strada solo per ritrovarla. Bene, amici, è il momento di dire con forza che noi non ci stiamo più a queste chiacchiere da sacrestia, a queste minestrine riscaldate. Ma quale strada! Agave ha ucciso suo figlio senza avere un solo motivo al mondo. E’ questo ciò che afferma, e noi le crediamo.’
‘Sì, le crediamo, le crediamo ’ strillò la folla.
Quelli che stavano sulla via principale, proprio di faccia al teatro ma lontani, fecero un passo in direzione della piazza. Nelle file più avanti qualcuno cadde addosso agli altri, si rialzò e reagì di malo modo.
Un gruppo di poliziotti si dispiegò sulla destra, verso una delle uscite della piazza.
‘Agave’ diceva il presidente ‘ ci ha fatto fare un incredibile passo in avanti. Questo ha cambiato tutto e per sempre. Ha rotto ogni lentezza, ogni pigro indugiare nelle antiche credenze. Adesso noi vogliamo solo una cosa: parlare con Agave. Resteremo qui fino a quando il Ministro della giustizia non autorizzerà chiunque lo desideri a ottenere un colloquio di almeno un quarto d’ora con Agave in carcere. Senza distinzioni di sorta e in base a una sola richiesta così formulata: parlare con Agave. Ne abbiamo diritto e, soprattutto, ne abbiamo bisogno. Agave non sa qualcosa che tutti noi non sappiamo. Non sa come si fa ad uccidere il proprio figlio restando innocenti. Perché Agave è soprattutto innocente, su questo non ci possono essere dubbi. Non si è mai pentita di ciò che ha fatto perché non aveva alcun motivo per farlo. Se si fosse pentita, tutto sarebbe più chiaro e quasi banale. Ma è impossibile pentirsi di qualcosa che è avvenuto senza motivo. Per questo Agave è innocente senza conoscere la causa della sua innocenza. Agave ci dice che siamo governati da qualcosa che è più forte e più grande di noi. Noi non abbiamo ancora un nome per tutto questo. Anzi: non abbiamo più un nome per tutto questo. Lo abbiamo dimenticato, questo nome. Ecco la verità. Per questo motivo Agave è nostra, perché anche lei lo ha dimenticato e poi, in una notte santificata dal delitto, lo ha nuovamente incontrato senza riconoscerlo. Signor Ministro, so che mi ascolta: chi è lei per opporsi a questa verità? Prenda sul serio queste mie, queste nostre parole: noi resteremo qui fino a quando non saremo sicuri che ci sarà concesso, una volta per sempre e senza limiti, di “Parlare con Agave”.
La folla rispose con un urlo e, in blocco, si spinse verso il teatro. Volevano vedere il presidente.
La polizia cercò di contenerla. Ci furono scontri, arresti, ma la gente era così tanta che era impensabile un’azione di forza.
Il prefetto, dopo essersi consultato col capo della Questura, raccomandò la calma e ordinò ai responsabili dei reparti di non fare nulla di troppo fino a quando non fosse arrivata una presa di posizione ufficiale da parte del Ministro della giustizia.
I telegiornali della sera riportarono insieme la notizia degli scontri avvenuti in città e della condanna di Agave a cinque anni.
‘Benissimo’ dissero alcuni ‘da adesso in poi basterà essere degli ubriaconi per cavarsela dal rotto della cuffia. Bisogna che mi metto a bere pure io.’
Sugli schermi a colori, l’avvocato di Agave era raggiante.
‘Non dubitavo della saggezza della corte ’ disse ‘ questa sentenza fa onore alla magistratura.’
Quelli contrari al “nessuno è responsabile di essere cattivo se lo è” sostennero che quella sentenza non provava nulla.
‘Ha preso solo cinque anni perché l’hanno giudicata incapace di intendere e di volere. Una pazza, insomma. Ma che i pazzi non sono responsabili di quello che fanno lo sapevamo già. Nulla di nuovo sotto il sole.’
‘Ma quale pazza ’ dissero altri ‘se tutte le perizie avevano negato la follia? E hanno mobilitato fior di psichiatri, altrochè. No, qui c’è qualcosa sotto, lo dicevo io. Come no. Sentite a me, questa qui l’hanno praticamente assolta per non scoprire gli altarini. Ci sarà di mezzo la politica, come sempre. Avete visto che casino ha combinato oggi quell’idiota di professore? Comunque, è un gran porcheria.’
Quelli più esperti in questioni legali, spiegarono che prima di pronunciarsi bisognava aspettare il dispositivo della sentenza.
‘E che è ?’ chiese uno che di legge non se ne intendeva ‘un nuovo tipo di antifurto?’
Poi molti cambiarono canale.
Agave tornò in cella accompagnata da un agente di sorveglianza che ormai conosceva bene.
Era un uomo di una cinquantina d’anni che si comportava sempre con gentilezza.
Sembrava che gli dispiacesse fare quel mestiere.
‘E adesso che succede?’ gli chiese Agave.
L’agente aveva un’aria imbarazzata. Le tolse le manette senza guardarla negli occhi.
Poi disse:
‘Signora, posso darle un consiglio? Per tutto il tempo che resterà qui, cerchi di farsi mettere il più possibile in infermeria. Tanto, non sarà per molto. Faccia finta di stare male. Mi dia retta, signora Agave, è la cosa migliore.’
‘Ma perché ’ chiese Agave ‘che succede?’
E poi disse:
‘Mica verranno qui? Non è possibile. Com’è possibile? Questo è un carcere.’
‘Mi ascolti ‘ disse l’agente ‘ in infermeria è più sicuro. Se lei dice di sentirsi male, nessuno verrà a disturbarla.’
‘Va bene ’ disse Agave ‘ma quando esco? Non posso mica essere malata per sempre.’
‘E perché no?’ replicò l’agente ‘Quando una persona ha ucciso il proprio figlio può ben permettersi di stare male per il resto della sua vita. Vedrà che col tempo mi darà ragione.’
Il direttore del carcere fu convocato d’urgenza dal Sottosegretario.
Arrivò di corsa e si mise seduto davanti alla scrivania. Entrambi accesero una sigaretta.
‘Faccio a meno dei preliminari ’ disse il sottosegretario ‘volevo informarla che il Ministro sta per prendere una decisione importante. Quel pazzo di professore sta facendo il diavolo a quattro.’
Il direttore se l’aspettava. Aspirò dalla sigaretta.
‘Questo significa che dovremo organizzarci ’ disse ‘e non sarà una cosa facile. Avete preso in considerazione le reazioni degli altri detenuti? Quelli vedono la famiglia si e no una volta al mese.’
Il Sottosegretario annuì.
‘Certo ’ disse ‘ma di questo non deve preoccuparsi. Sarà un’operazione ben condotta. Ora non sono autorizzato ad anticiparle tutto, perché il Ministro sta ancora studiando i dettagli. Ma vedrà che non ci saranno problemi.’
Il direttore aprì le braccia.
‘Se lo dice lei.’
Poi aggiunse:
‘Chi se l’aspettava una cosa simile. A me, quella donna mette i brividi. Ha sessant’anni e lo sguardo di una ragazzina. Abbiamo dovuto prendere delle misure speciali. Lo sa come sono i detenuti. La considerano un’infame.’
Il Sottosegretario ebbe un mezzo sorriso.
‘Cos’è, direttore, è caduto anche lei sotto il fascino del delitto? Non le nascondo però che anch’io sarei curioso di incontrare questa Agave. Agave, poi : che nome è?’
‘Non lo so ’ rispose il direttore ‘Ma, confidenza per confidenza, non le nascondo che sarei molto più contento se venisse trasferita in un penitenziario. Quando sto nel mio ufficio e penso a quella lì nella sua cella mi sento mancare l’aria. Non ci si capisce nulla. Secondo il personale di custodia è una detenuta modello. Sembra che il fatto si stare rinchiusa non le faccia né caldo né freddo.’
Il Sottosegretario si alzò.
‘Non voglio trattenerla oltre ’ disse ‘Direttore, abbia solo un po’ di pazienza. Andrà tutto a posto,mi creda.’
Il direttore guardò negli occhi il Sottosegretario.
‘Non lo so ’ disse.
L’altro fece un’espressione perplessa e vagamente risentita.
‘Cosa significa “non lo so”? Se glielo dico io, può credermi.’
‘A crederle, le credo ’ rispose il direttore ‘ma non lo so. Per fortuna, non mi manca molto alla pensione.’
Si strinsero la mano.
Agave uscì dal carcere due mesi dopo alle quattro del mattino. Avevano scelto quell’orario assurdo per motivi di sicurezza.
Doveva passare tre anni al domicilio coatto e scelse la casa della madre su al nord.
Alloggiava nella sua camera da bambina e si sentiva quasi come in carcere.
Non usciva mai perché sapeva che quelli di “Parlare con Agave” la stavano cercando.
Il Ministro aveva concesso l’autorizzazione alle visite il giorno stesso della scarcerazione.
Attorno alla prigione si era raccolta subito una grande folla.
Alla notizia della liberazione di Agave c’erano stati disordini. Poi l’intellettuale aveva detto che ora la parla d’ordine era “Trovare Agave”.
‘Nessuno ha il diritto di portarcela via ’ aveva proclamato in un’assemblea all’aperto ‘questo squallido inganno non servirà a nulla.’
E aveva dichiarata aperta la caccia.
Qualcuno pensò che fra l’intellettuale e il Ministro ci fosse stato un accordo per evitare il peggio.
In sostanza, si diceva, l’intellettuale aveva imposto la scarcerazione di Agave in cambio dello scioglimento della manifestazione permanente che da ormai due mesi aveva praticamente bloccato il centro della capitale.
‘Lei conceda pure le visite in carcere ’ avrebbe detto l’intellettuale al Ministro ‘ e la faccia scarcerare il giorno stesso. Così salva capra e cavoli.’
Sta di fatto che ormai la situazione si era fatta troppo pesante per tutti e bisognava pur uscirne in qualche modo.
‘In questo modo ’avrebbe risposto il Ministro all’intellettuale ‘anche lei ne esce bene. Si salva il culo, per dirla com’è. Certo che ha portato avanti questa storia fin troppo a lungo. Ma perché lo ha fatto? Me lo dica, ormai non ci rimette nulla.’
La risposta dell’intellettuale sarebbe stata questa:
‘Non immaginavo che la gente mi avrebbe preso tanto sul serio.’
In ogni caso, si trattava di voci.
Alla fine di aprile, il poliziotto che aveva interrogato Agave la prima volta si presentò a casa della madre.
Lì per lì, la vecchia si spaventò moltissimo. Pensava che volessero riportare Agave in carcere.
‘Ma no ’ disse il poliziotto ‘io sono ormai quasi un amico per Agave. Voglio solo salutarla e sapere come sta.’
Agave lo fece salire in camera sua.
‘Come ha fatto a trovarmi?’ gli chiese.
Il poliziotto sorrise.
‘Sa ’ disse ‘sono pur sempre della polizia.’
Poi disse:
‘Sono venuto per salutarla e per sapere come sta. Ma soprattutto per darle questa.’
Le consegnò una videocassetta.
‘E’ quell’intervista di sua madre alla televisione. Ricorda?’
Agave prese la cassetta e lo ringraziò.
‘Però ’ disse ‘l’ho già vista quando ero in carcere.’
‘Sì, ma non tutta ’ disse il poliziotto ‘qui c’è qualcosa in più. E’ poca roba, solo una frase, ma sono sicuro che la troverà interessante. Mi creda, non è stato semplice procurarmela.’
Prese un caffè insieme a Agave e a sua madre chiacchierando del più e del meno e poi se ne andò.
‘Però è un brav’uomo’ disse la vecchia.
La sera tardi, quando la madre dormiva da un pezzo, Agave scese in soggiorno e mise la cassetta nel videoregistratore.
Guardò l’intervista dall’inizio. La ricordava bene. Solo alla fine sua madre disse qualcosa che Agave non si aspettava e che le sembrò strana. Stava lì come un oggetto impossibile, deforme e meraviglioso, era difficile credere che fosse vero.
Allora fece scorrere il nastro all’indietro e guardò e ascoltò ancora.
E poi di nuovo e di nuovo, fino a quando fu assolutamente sicura che la parola che sua madre aveva detto parlando di lei era proprio “santa”.
Così rimase a pensare a lungo senza sentire il sonno né la stanchezza. E appena fra le imposte si fece chiaro, le venne voglia di uscire e di mettersi a saltare e a cantare all’aperto come una matta.
Quando aprì la porta, l’aria era fresca e tutto era molto bello e grande.
L’alba stava per esplodere da un momento all’altro dietro ai monti.
E lì fuori, all’improvviso, provò una grande nostalgia di Quinto quand’era piccolo e un terribile dolore per quello che aveva fatto.
Era la prima volta che le capitava.
Qualcosa nel suo corpo si fermò e Agave sentì una pietra dura salirle dai piedi fino al petto.
Faceva male in un modo strano e per lei completamente nuovo.
Allora pensò:
‘Ciao Agave, adesso muoio.’
Ma dopo un minuto passò, e stava quasi bene.
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