martedì 3 luglio 2018

Conflittualità intercapitalistica (anarchia della produzione) - Gianfranco Pala


Da: L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole  la Contraddizione 


Un segno distintivo e caratteristico del modo di produzione capitalistico è dato dalla molteplicità dei capitali in reciproca conflittualità. Senza tale molteplicità conflittuale – come un’illusoria compatta unicità – esso neppu­re sarebbe concepibile. Da codeste contraddizioni promana la caducità, sia ricorrente che tendenziale, del siste­ma e lo stesso antagonismo di classe tra borghesia e proletariato che è l’altro, e il più esteriore e apparente, segno distintivo.

Con lo sviluppo del mercato mondiale – nell’epoca dell’imperialismo – il capitale (che Marx definiva “indu­striale” in generale) si presenta in misura crescente “fuso” con la sua forma monetaria (e pure con la sua forma merce) nella figura di capitale finanziario. Per tale motivo, sempre più compiutamente il capitale complessivo sociale è determinato duplicemente e contraddittoriamente, nel senso anzidetto: da un lato, di contro al proleta­riato, esso deve essere concepito come classe, come capitale collettivo, entità unica e intera; ma dall’altro, en­tro la formazione economica sociale capitalistica in tutta la sua complessità e articolazione, esso non può che essere costituito dalle  singole individualità dei molteplici capitali particolari, tra loro contrapposti nelle diver­se forme funzionali.

Questo duplicità contraddittoria caratterizza l’anarchia del modo di produzione capitalisti­co, fondato appunto sulla molteplicità e individualità dei capitali.

La divisione sociale del lavoro presuppone la dispersione dei mezzi di produzione fra molti produttori di merci indipendenti l’uno dall’altro, e ciò permane e si accresce anche con il passaggio al capitalismo monopolistico finanziario su scala mondiale. La distribuzione tra le differenti attività sociali di lavoro di codesti produttori capitalistici di merci e dei loro mezzi di produzione è piuttosto arbitraria e casuale, e acuisce le difficoltà del sistema ogni volta che tale casualità moltiplica le interruzioni del ciclo complessivo del capitale. Perciò, pro­prio contro questa dispersione del capitale complessivo sociale in molti capitali individuali agisce l’attrazione di questi ultimi, la concentrazione di capitali già formati – il processo di fusioni e acquisizioni – che cerca di su­perare la loro autonomia individuale. Codesta è una vera lotta attraverso l’espropriazione del capitalista da par­te del capitalista, la trasformazione di molti capitali minori in molti capitali più grossi, la centralizzazione del capitale.

I differenti settori della produzione cercano costantemente di mettersi in equilibrio. Ma questa tendenza costan­te della produzione a equilibrarsi si attua soltanto come reazione contro la costante distruzione di questo equili­brio. La regola opera soltanto a posteriori nella divisione del lavoro all’interno della società, come necessità naturale interiore, muta – sostiene Marx – percepibile negli sbalzi dei prezzi del mercato, che sopraffà l’arbitrio sregolato dei produttori di merci. La divisione sociale del lavoro contrappone gli uni agli altri i capitalisti in quanto produttori indipendenti di merci, i quali non riconoscono altra autorità che quella della concorrenza, cioè la costrizione esercitata su di essi dalla pressione dei loro interessi reciproci: “come anche nel regno ani­male il bellum omnium contra omnes preserva più o meno le condizioni di esistenza di tutte le specie” [Marx].

Ma le semplici metamorfosi della circolazione delle merci, che i processi della circolazione del capitale hanno in comune con ogni altra circolazione delle merci, non spiegano come le differenti parti costitutive del capitale sociale complessivo – di cui i singoli capitali sono soltanto parti costitutive che operano in modo autonomo – si sostituiscano reciprocamente nel processo di circolazione specificamente capitalistico. Poiché l’accumulazione di capitale e la concentrazione che a essa corrisponde sono disseminate su molti punti, l’aumento dei capitali operanti s’incrocia con la formazione di capitali nuovi e con la scissione di capitali vecchi. Se quindi da un lato l’accumulazione si presenta appunto come concentrazione crescente dei mezzi di produzione e del comando sul lavoro, dall’altro si presenta come repulsione reciproca dei capitali molteplici individuali.

Ogni capi­tale particolare, infatti, conformemente all’essenza della produzione capitalistica, non è condizionato primaria­mente dalla necessità di soddisfare la domanda (ordinazioni produttive o bisogno privato), ma innanzitutto dal­la tendenza a realizzare il lavoro, e quindi il pluslavoro, più grande possibile e a fornire con un capitale dato la maggior massa possibile  di merci.
Ogni singolo capitale cerca così di occupare sul mercato il posto più grande possibile e di eliminare, di scaccia­re i suoi concorrenti.

La conflittualità tra i capitali implica la separazione individualistica dei capitali (l’esisten­za di capitali individuali realmente separati) e la contrapposizione essenziale, immanente, tra loro nelle rispetti­ve sfere di influenza sul mercato mondiale, Sono i “fratelli nemici” della massoneria del capitale – afferma Marx – ossia quei capitalisti che si comportano come dei falsi fratelli quando si fanno concorrenza, anche se costituiscono una “vera massoneria” nei confronti della classe operaia nel suo complesso.

L’intera questione – con le parole di Marx – è posta in questi termini.

“Il capitale non include solo dei rapporti di classe – un determinato carattere sociale che si fonda sull’esistenza del lavoro come lavoro salariato – ma è un movimento, un processo ciclico attraverso stadi differenti; perciò può essere concepito soltanto come movi­mento e non come cosa in riposo. Coloro che considerano questo autonomizzarsi del valore come pura e sem­plice astrazione, dimenticano che il movimento del capitale industriale è questa astrazione in atto. Il valore per­corre qui forme differenti, differenti movimenti, nei quali si conserva e contemporaneamente si valorizza, si ingrandisce.
Nonostante tutte le rivoluzioni di valore, la produzione capitalistica esiste e può continuare a esistere soltanto finché il valore capitale venga valorizzato, cioè finché le rivoluzioni di valore in un modo qualsiasi vengono superate e composte. I movimenti del capitale appaiono come azioni del singolo capitalista industriale. Se il va­lore capitale sociale subisce una rivoluzione di valore, può avvenire che il suo capitale individuale le soccom­ba e perisca, poiché non può adempiere le condizioni di questo movimento di valore. Quanto più acute e frequenti diventano le rivoluzioni di valore, tanto più il movimento del valore autonomizza­to, automatico, operante con la violenza di un processo elementare di natura, si fa valere contro la previsione e il calcolo del singolo capitalista, tanto più il corso della produzione normale viene ad assoggettarsi alla specu­lazione anormale, tanto più grande diviene il pericolo per l’esistenza dei capitali singoli.
Il processo continua del tutto normalmente solo finché le perturbazioni nella ripetizione del ciclo si compensa­no; quanto maggiori sono le perturbazioni, tanto maggiore capitale monetario deve possedere il capitalista in­dustriale per essere in grado di attendere la compensazione; poiché col procedere della produzione capitalistica si allarga la scala di ogni processo individuale di produzione e con essa la grandezza minima del capitale da an­ticipare, quella circostanza si aggiunge alle altre che sempre più trasformano la funzione del capitalista indu­striale in un monopolio di grandi capitalisti monetari, isolati o associati. L’esistenza del mercato come merca­to mondiale contrassegna il processo di circolazione del capitale industriale”.

Le premesse marxiane per l’affermazione del capitale monopolistico finanziario dell’imperialismo sono chia­rissime, così come ne sono evidenti le cause e le forme della crisi. Nella considerazione congiunta del processo complessivo di produzione e circolazione, Marx opera infatti con la coppia anarchia del capitale / crisi da so­vraproduzione.

La molteplicità dei capitali si manifesta compiutamente nel passaggio dalla produzione alla cir­colazione. Mentre per l’analisi della produzione si può provvisoriamente partire dalla considerazione di un uni­co capitale opposto a un’unica forza-lavoro, per la circolazione è essenziale che un capitale intrattenga rapporti di compera e vendita con un altro capitale almeno (molteplicità dei produttori capitalistici).

Né la produzione da sola (incapace di verificare la realizzazione del plusvalore), né la circolazione da sola (incapace di spiegare da dove provenga quel plusvalore, ossia la sua origine) permettono di comprendere la crisi. Per questa ragione la crisi non è mai posta, se non incidentalmente, da Marx con riguardo al capitale collettivo come intero. Dunque, è solo la conflittualità tra i capitali molteplici che pone la crisi da sovraproduzione.

Senonché, per es­serci tale conflittualità tra capitali occorre, ma non basta, che vi siano capitali individuali realmente separati (ossia la molteplicità dei capitali); occorre altresì che oltre alla semplice separazione tra le singole individuali­tà indipendenti, si consideri anche la ricordata loro essenziale conflittualità, come  contrapposizione immanen­te. La stessa interpretazione delle crisi – e tanto più ciò vale per le lunghe crisi irrisolte dell’imperialismo – di­pende da questa determinazione centrale del modo di produzione capitalistico, ossia dal suo carattere anarchico fondato sulla molteplicità e individualità dei capitali contrapposti.

-----------------
(i testi, integrali e riferiti, di Marx sono tratti principalmente dal Capitale, I.23, II.3 e 4, oltre pochi altri punti da C.III e TP.II)


Nessun commento:

Posta un commento