venerdì 13 luglio 2018

ONG: Organizzazioni Non poco Governative, il braccio disarmante del potere transnazionale.- Gianfranco Pala

Da: la Contraddizione n. 84 (2001) https://rivistacontraddizione.wordpress.com/  - gianfrancopala è un economista italiano. 
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La “Casa” ovvero la Cosa dell’Altro mondo

Freedom house: questo è il nome, brillantissimo, di una delle più cospicue Ong [le cosiddette organizzazioni non governative!], segnalatasi per le sue ripetute operazioni a pro del grande capitale transnazionale – e a propaganda di esso – e delle istituzioni sovrastatuali che l’assecondano; essa dice di sé: “è una organizzazione non profit e non di parte, una voce chiara per la democrazia e la libertà nel mondo, che opera sull’in­tero pianeta per diffondere la libertà politica ed economica”. Quanto al suo carattere “governativo”, che invoca “libertà” e “de­mocrazia” per l’universo mondo, non c’è ombra di dubbio, dalla forma di governo nazionale a quella sovranazionale. Per quei pochi che ancora non sono avvezzi alla lingua inglese, è bene far osservare che “freedom house” sta a significare semplicemente “casa della libertà”! Si soppesi, perciò, quanta sia la fantasia con cui il prof. Buttiglione abbia suggerito al cav. Berlusconi il nome per il suo “polo” – in perfetto allineamento Cia.

Che la “n” di codeste organizzazioni stia per “non poco”, anziché per il preteso “non”, l’abbiamo già ripetutamente detto, ancorché non sistematicamente [cfr. nn. 46, 47, 60, 72-75, 77, 80, 81, 83]. Merita adesso con maggiore precisione riepilogare il tutto per fare il punto sulle loro caratteristiche “gove­rnative”; queste sono tese sia a procurare vantaggi economici al grande capitale, quello soprattutto che vola all’estero, sia a bieche operazioni di “copertura”, che in italiano convien chiamare di “spionaggio”, di propaganda, ovvero di filtro per attività illecite (finanziamenti neri, traffico di droga, fornitura di armi, ecc). La subordinazione che asseconda la falsa coscienza dell’“umanitario” apre una fetta di mercato, come si dirà più oltre, attraverso la formazione di varie O(n)g, banche etiche, isti­tuzioni (come Medici senza frontiere), fondazioni come quel­la “per una società aperta” di Soros, ecc., le quali agevolano la stratificazione di un mercato finanziario paral­lelo e funzionale alle grandi linee creditizie.

Quello “umanitario” è un mercato facile, redditizio e di sicura espansio­ne. Nell’era del capitale transnazionale, “aiuto” equivale a guadagno, e pertanto i gestori degli “aiuti” debbono azionare microimprenditori, anche individuali, per rispondere agli interessi della macroeconomia dominante. I movimenti di classe e il lo­ro sviluppo teorico non possono ignorare l’ampiezza e la portata mondiale di questa messinscena e aggressione antiproletaria, che non è solo menzogna o dispotismo ma soprattutto utile, profitto. Ma proprio per la complessità di tali funzioni “governative”, conviene procedere con ordine, cominciando da quelle economiche per finire con quelle maggiormente legate ai servizi segreti.

Una precisazione è opportuna prima di procedere. Va da sé – come è normale – che si può mandar salva dall’impostazione stessa delle critiche, che precede, e dal loro successivo sviluppo quella piccola minoranza di Ong che certamente c’è e che prosegue con relativa indipendenza nella sua lotta di classe antimperialistica. Non per nulla codeste organizzazioni antagoniste non ricevono fondi da Bm, Fmi o istituzioni “governati­ve” usamericane ed europee, e si sostengono solo assai limitatamente con l’autofinanziamento militante. Tut­tavia non li ricevono neppure organizzazioni “volontarie” minori che con la lotta di classe non hanno nulla a che fare, anzi; esse pretendono di diffondere l’ideolo­gia “buonista” e caritatevole, del soccorso ai diseredati, agli umili e ai poveri, secondo cui non ci sono “né buoni, né cattivi” [come sostengono, nettamente al contrario di noi, quelli di Emergency], ideologia che fa il paio con la sparizione “neo-revisionistica” delle differenze tra destra e sinistra

Ma, appunto per questo – cioè la loro scarsissima forza, ossia la loro disarmante debolezza – rispetto all’invadenza delle grandi O(n)g [paradossalmente, si può dire che tra queste la meno compromessa potrebbe essere proprio una delle più antiche organizzazioni, ricca di suo, Amnesty international, nonostante le sue frequenti “amnesie” filoamericane di contro alla sua ferrea memoria anticomunista] legate alle transnazionali e alle organizzazioni sovrastatuali, l’infima minoranza di quelle piccole e autonome può ben poco, oggi, sotto il predominio del modo capitalistico della produzione sociale: questa è esattamente la stessa cosa che si può dire a proposito degli “ec­toplasmi” delle esistenti organizzazioni politiche comuniste sparse nel mondo e nei singoli paesi.

Va anche premesso a scanso di equivoci – ma ciò dovrebbe spiegare molte cose ai “comunisti” – che mai le O(n)g hanno preteso di porsi in antitesi al modo di produzione capitalistico, e mai perciò hanno rivendicato la proprietà delle condizioni oggettive della produzione. Ma non sono neppure arrivate almeno ad “ac­cettare” negativamente il sistema capitalistico, a es. come i sindacati di classe i quali fanno della lotta economica sulle condizioni antagonistiche del lavoro salariato il loro fulcro. Molti nell’“asinistra” affrontano la questione solo nel suo aspetto esterno incombente [Bm e Fmi] e non nei suoi potenziali aspetti “dal basso”, accompagnando il pentimento degli ex marxisti e la loro conversione al “nuovismo”. Cosicché America latina, Europa dell’Est, Africa, possano essere portati dagli organismi sovrastatuali come “testimonianze” del trionfo del “libero mercato” e della “crisi del marxismo”.

Si può anche rammentare quanto ebbe a scrivere Marx [per le Istruzioni ai delegati Ail, nel 1864 – cfr. L’inchiesta operaia, la Città del Sole, Napoli 1994-2000], a proposito delle piccole cooperative. “Ristretto tuttavia alle forme insignificanti in cui i singoli schiavi salariati possono ela­borarlo con i loro sforzi individuali, il sistema cooperativo non trasformerà mai la società capita­listica. Per modificare la produzione sociale in un unico sistema vasto e armonioso di lavoro li­bero e cooperativo, si richiedono cambiamenti sociali generalicambiamenti delle condizioni generali della società che non saranno mai realizzati se non con il trasferimento delle forze or­ganizzate della società, cioè il potere dello stato, dai capitalisti e dai proprietari fondiari ai pro­duttori stessi”.

La magnifica invenzione 

La finzione della solidarietà fornita dalle O(n)g come “neoliberalismo dal basso”, a sostegno del vero liberalismo che procede sempre dall’alto del grande capitale, rappresenta l’ambiguità caratteristica di queste organizzazioni non governative. [Un buon riferimento di base è fornito dagli studi di James Petras, Progetti di solidarietà o “neoliberalismo dal basso”?: le pesanti ambiguità del­l’azione delle organizzazioni non governative; e L’ambiguità del ruolo delle Ong in America latina, parzialmente tradotti e pubblicati da Contropiano, rispettivamente nel 1996 e nel 1999]. Riferisce Petras che i governanti liberali, dagli anni 1980, cominciarono a finanziare e promuovere una strategia “dal basso”, parallela alla convergenza sul privato a séguito della destatizzazione diffusa, attraverso l’organizzazione delle O(n)g. Già questa origine la dice lunga sul supponente carattere “non governativo” di siffatte “organizzazioni”.

L’antistatalismo è stato il libretto ideologico di transito da una politica di classe a una politica di “svi­luppo comunitario”, dal marxismo alle Ong” – scrive Petras – in quanto si contrappone al potere “statale” lo pseudopotere “locale” del cosiddetto “comunitarismo”. Anche la terminologia usata è un chiaro sintomo di tutto ciò (a parte l’ampio uso di parole come “nord e sud del modo”, “glo­balizzazio­ne”, e via declassando il vocabolario): prevalgono pseudoconcetti quali “esclusione”, “povertà”, “discriminazione” (di etnìa, razza, religione, genere, ecc.). Nonostante la loro parvenza “socia­le”, le proteste movimentiste recenti si sono mostrate, pur nella loro vivacità folcloristica, vieppiù staccate dalla lotta di classe, favorendo in tal modo il liberismo del capitale imperialistico.

A dispetto di un precedente impegno “populista”, soprattutto negli anni 1970, quasi nessuna O(n)g denunciava la responsabilità dei governanti usamericani ed europei, proprio perché da essi ricevevano i finanziamenti; ciò, nel decennio successivo (soprattutto grazie alla Bm), ha portato sia a un aumento spaventoso del loro numero, sia a una sempre meglio mirata loro finalizzazione. Tutta questa strategia liberista del “pri­vato sociale” costruita intorno alle O(n)g è stata fin dall’inizio sostanzialmente finalizzata a prevenire l’anta­gonismo del­la classe lavoratrice. La funzione delle O(n)g è, perciò, prevista come compensazione degli alti costi che le popolazioni dei paesi dominati sono costrette a pagare attraverso lo “scambio ineguale” imposto dalle politiche di “aggiusta­mento strutturale” per pagare il servizio del debito estero, a sostegno degli interessi delle transnazionali [nei programmi sono coinvolte molte di tali grandi imprese private e banche varie, ecc.]. Ma ciò, dice la Bm, permetterà a quei paesi “di sfuggire alla trappola del debito”. Ma chi ha messo codesta “trappola”?

Intanto alcuni dabbenuomini cianciano sulla “cancellazione del debito” (quello “ufficiale” degli stati, lasciando intonso quello assai più cospicuo delle istituzioni finanziarie private), e mettono sù concerti della serie “Jovanotti & Bono with J.P.2’s Jubilee 2000”: chi da Seattle volesse sbarcare a Genova si troverebbe guidato da uno sfrenato consesso di “monache” (realmente!); ci sarà pure in mezzo qualche comunista, ma che ci sta a fare in quel raduno? Sicché le piccole imprese private (non) governative hanno provveduto a fornire aiuto alle popolazioni bisognose, per non farle cadere sotto l’egemonia di una lotta sistematica contro il sistema, sottraendole in toto all’antagonismo contro l’economia del capitale e contro la sua politica.

Non per caso sono stati “cooptati”, o quanto meno direttamente coinvolti, nell’attività “non” governativa diversi dirigenti di movimenti sociali “popolari” o “sindacali”. “L’apparenza della solidarietà e dell’azione sociale – scrive Petras – copre un conformismo conservatore con la struttura di potere nazionale ed internazionale”, così come accadde per l’azione dei “missionari” dal XVI secolo, o per i “poveri” inglesi dal XVII secolo, o ancòra per gli interventi del cosiddetto “stato sociale” dal finire del XIX secolo fino ai nostri giorni.

Via via che il tempo passava si vedeva con crescente chiarezza come il “non” governativo si traducesse in un’attività contro la spesa pubblica: “piccolo è bello, privato è meglio” – sembra essere il loro slogan. Il ricordato antistatalismo fu perciò l’elemento di base che favorì la crescita “privati­stica” di tali organizzazioni, le quali solo apparentemente si mostravano “di sinistra”. La Banca mondiale e diverse fondazioni imperialistiche usavano le O(n)g – precisa Petras – per sottrarre allo stato nazionale le funzioni di protezione e di prestazione di servizi sociali; ossia, perfino l’assistenzialismo keynesiano era insidiato. Tra tali fondazioni maggiormente in vista, oltre alla Rockefeller, una menzione speciale va alla cosiddetta “Fondazione per la società aperta” di Soros – il quale, tra l’altro, inventava e pagava la radio belgradese B.92 fatta conoscere nel mondo (anche dell’asinistra) come “indipenden­te”, per seguire una diversa tattica di dolce strangolamento finanziario e di “informazione”, complementare a quella della lobby militare aggressiva Usa-Nato: ecco la parvenza dell’“indi­pen­denza” e delle “voci della libertà”, nei residui brandelli dell’ex Ju­goslavia.

Le O(n)g si sono presentate sùbito, infatti, nella forma delle piccole imprese private. Conseguentemente, è l’attività privata “volonta­ria” che sta alla base dei servizi da esse resi, la qual cosa, pure questa, ha il duplice effetto di indebolire qualsiasi tipo di intervento pubblico e di sostituire alla coscienza di classe l’attività del “volontariato” come surrogato di impegno per la collettività. Il volontarismo solidaristico – profit o non profit? – è arma di seduzione per il populismo: “lo sviluppo può avere successo soltanto se è intrapreso dal popolo, dal governo e dalle istituzioni finanziarie internazionali congiuntamente” [sic!], cosicché a tale popolo, nei suoi “cittadini coscienti”, “sia dato “potere” e “pro­prietà” dei progetti locali” [attraverso le cosiddette Cbo – ossia le O(n)g minori vincolate alle “comunità di base locali”, che praticamente lavorano in subappalto per quelle più grandi] affinché “si attivi politicamente per far sì che i rispettivi governi influenzino le scelte di Bm e Fmi”. Beata ingenuità!

Si è fatta così strada nel senso comune – con l’ideologia della “sussidiarie­tà” – l’idea che il pubblico possa essere sia “privato” che “statale”; idea enormemente favorita dal demenziale comportamento di gran parte del sedicente “stato sociale” della borghesia, che è pur sempre lo stato liberale del capitale.

Incontri ravvicinati

Le Organizzazioni non governative sono associazioni volontarie e non profit, non appartenenti al settore pubblico, tra privati che, attraverso un legame transnazionale fra enti di nazionalità diversa, perseguono un fine di interesse generale (umanitario, religioso, politico, scientifico, sociale) che trascende l’ambito di un solo stato, per fungere da intermediazione con i governi: sulla base di questa definizione ufficiale sopra indicata, si precisa che le O(n)g sono nate come espressione della società civile, per “riempire uno spazio” lasciato vuoto dagli stati. Le grandi organizzazioni ricevono fondi da governi, entità sovranazionali [Onu, Bm, Fmi, ecc.], e si avvalgono della collaborazione, attraverso sub-progetti, delle organizzazioni più piccole [Cbo – oltre alle Cbo ci sono le Cso (organizzazioni per la società civile)], ciò permette di avere un riferimento istituzionale – ovverosia, un controllo – verso i “beneficiati” dei progetti.

Nella percezione italiana delle O(n)g – in Italia ne sono registrate circa 150 – è presente l’elemento della “coopera­zione” e della “solidarietà”. Esse presentano un fondamento “etico” comune: a differenza di “buona parte” [sic!] delle organizzazioni for profit e delle altre Onp – cioè, a prescindere dal profitto dell’“altra parte” delle imprese, per non parlare delle banche popolari “etiche” (vero ossimoro economico) di province come Padova e Bologna, quest’ultima attivata presso l’Arci [!]. Di una tale contraddizione già parlò abbondantemente Marx, riferendo le considerazioni di Lutero che, a proposito delle “sanguisu­ghe” – come li chiama Hardcastle – che “furono i nostri primi banchieri”, osservava come un qualunque “ladruncolo” che “sen­za nessun pericolo, senza lavorare, siede vicino alla stufa e fa cuocere le mele”, “potrebbe starsene a casa a divorare in dieci anni il mondo intero”. Sempre Lutero lamentava che anziché additato come “vizio, peccato, vergogna”, il prestito di denaro fosse “nobilitato” ed esaltato come “pura virtù e onore, proprio come se rendesse alla gente servizi caritatevoli e cristiani”.

Perciò, nulla di nuovo sotto il sole della “carità” e “solidarietà” coatta (e il cosiddetto commercio “equo e solidale” senza profitto ingiusto, à la Proudhon, rientra nella medesima incongruente rubrica economica). La chiesa cattolica – scriveva Büsch – proibiva di richiedere interessi sul denaro prestato, ma non di utilizzare a proprio utile le ricchezze date in ipoteca per il mutuo ricevuto: la cosa non sembra molto diversa dai cosiddetti “programmi di aggiustamento” strut­turale [lèggi: libera disponibilità delle risorse naturali e umane dei paesi debitori da parte delle grandi imprese transnazionali] imposti dal Fmi o dalla Bm, e portati a effettuazione tramite O(n)g e organizzazioni del genere. “La chiesa stessa o le comunità che le appartenevano e pia corpora trassero grandi benefici da questa interdizione. Senza l’interdizione dell’interesse la chiesa e i monasteri non avrebbero mai potuto diventare così ricchi”. Ecco qui la grande “novità”.

L’appello all’“eticità” è il riconoscimento del funzionamento imperfetto degli attuali meccanismi economici e delle relazioni internazionali. Conseguentemente si impone la volontà “sussidiaria” di lavorare per il superamento delle differenze tra “nord e sud del mondo” attraverso la ricerca di rapporti equi tra popoli, culture e sessi, la promozione di uno sviluppo autogestibile dall’in­terno che permetta di giungere ad una autonomia e indipendenza.

Tutta la costellazione non governativa, quindi, è un sottoinsieme del cosiddetto “terzo settore” che, oltre alla raccolta di fondi e al reclutamento di volontari, è vòlta alla sensibilizzazione dell’o­pinione pubblica e alla “contrattazione” con le autorità governative a vari livelli. Perfino la Bm (fin dal 1990) dice che le O(n)g sono “in gran parte [sic!] indipendenti dai governi”, specificando che “anche i gruppi di cittadini che influenzano [lobby] la politica e la consapevolezza sociale sono Ong”. Più chiaro di così! [cfr. in rete Ngo café].

L’invasione degli ultracorpi

La crescita numerica delle O(n)g, e della loro dimensione, è avvenuta esponenzialmente a partire dalla seconda metà degli anni 1970. Dal 1970 al 1985 gli “aiuti” distribuiti dalle O(n)g internazionali sono cresciuti di dieci volte. Nel 1992 hanno gestito 7,6 mrd $. Negli anni 1990, le O(n)g erano già migliaia, con riferimen­to a piccoli gruppi “comunitari”, ma che dovevano rendere conto dei loro programmi solo ai loro finanziatori; esse, allora, già ricevevano quasi 10 mmrd lire e continuavano così a proliferare, sollecitando la richiesta di ulteriori fondi, in reciproca competizione tra loro, nella misura in cui ciascuna sapesse prospettare lauti guadagni per i “donatori” esteri. Attraverso l’attività professionale di managers, più o meno corrotti o comunque gestiti nella lottizzazione dei posti, con l’incremento del finanziamento di tali O(n)g si sono approfondite contemporaneamente la povertà delle popolazioni dominate coinvolte e la polarizzazione mondiale di classe.

Oggi è stimato che il 15% del totale degli aiuti internazionali passi attraverso di loro. Le statistiche sul numero delle O(n)g sono notoriamente inaffidabili, ma si stima che il numero totale di quelle nazionali si avvicini alle 30.000 unità [le Cbo, sono centinaia di migliaia, peraltro in crescita quali “terminali” di un processo di decentramento congruo con la strategia centralistica delle grandi transnazionali e delle grandi O(n)g]. In siffatta temperie merita riguardo la posizione nei confronti delle O(n)g da parte della Bm. Dai documenti ufficiali di quest’ultima [cfr. http://www.worldbank.org/infoshop] si evince che la Bm riconosce il ruolo importante che rivestono le “organizzazioni non governative” nell’affrontare lo sviluppo e le questioni poste dalla società civile, formulando insieme a esse risoluzioni congiunte su vari temi.

La Bm ha lavorato con le O(n)g da molti anni, incrementando la propria interazione e collaborazione su scala mondiale negli ultimi anni. Appunto dagli anni 1970, la collaborazione con le O(n)g è diventata una delle principali attività finanziate dalla Bm. Nel 1973 solo il 6% dei progetti finanziati dalla Bm erano gestiti tramite O(n)g, nel 1993 erano un terzo, e nel 1994 la metà [ma occorre considerare anche la “qualità” della collaborazione Bm-O(n)g]. Perciò, al fine di “dialogare” con la “dura contestazione” delle O(n)g, la Bm ha pensato bene di istituire una propria divisione intitolata allo “sviluppo ambientalmente sostenibile”, affidandola peraltro a un esperto doc proveniente da quelle aree dominate. In occasione della conferenza di Madrid (ottobre 1994), le favolose O(n)g organizzarono, manco a dirlo, un “forum alternativo”. In un afflato di amorevoli sensi, entrambe le “parti” [ma sono realmente “due”?] hanno concordemente dichiarato: “le istituzioni finanziarie internazionali e le organizzazioni sociali rappresentate al forum alternativo hanno un obiettivo comune [sic!]: raggiungere un miglioramento permanente e sostenibile della condizione umana, specialmente quella dei poveri di tutto il mondo”. Non servono commenti.

Da parte sua, il dipartimento governativo Usa prevede una serie lunghissima di “punti focali” per le O(n)g: vecchiaia, disabili, disarmo, famiglia, diritti umani e umanitari, sviluppo sostenibile, popolazioni indigene, palestinesi [sic!], giovani, e inoltre alimentazione, habitat, energia atomica, lavoro, salute, cultura, popolazione, rifugiati politici, infanzia, donne, e chi più ne ha più ne metta.

Più di 1500 O(n)g, con programmi connessi agli obiettivi Onu, sono associate al Dipartimento di pubblica informazione [Dpi] dell’Onu stessa, con il quale cooperano regolarmente. In tale contesto le O(n)g sono considerate parte integrante delle attività di informazione dell’Onu (e in particolare del Dpi): una risoluzione dell’assemblea generale stabilisce di “assistere attivamente e incoraggiare i servizi informativi nazionali, le istituzioni scolastiche e tutte le altre organizzazioni governative e non governative di ogni genere interessate a diffondere informazioni relative all’Onu”.

Nel 1968, con ulteriori precisazioni formulate nel 1996, fu specificato che le O(n)g “avrebbero sostenuto il lavoro dell’Onu”, venendo in questa integrate – anche se non sono considerate come sua componente “uf­ficiale” – nel ruolo di “consultazione” entro il cosiddetto Ecosoc. Tale statuto è assicurato alle più grandi O(n)g internazionali, allineate con l’Ecosoc. L’accordo Dpi-O(n)g è gestito da una commissione esecutiva che indirizza le informazioni e rappresenta gli interessi comuni [sic!] delle due parti. A tal fine, il Dpi del­l’Onu organizza sessioni annuali per le principali O(n)g, con la partecipazione di alti funzionari della stessa Onu, accademici, opinionisti, ecc., oltre a svariate altre attività altrettanto “ufficiali” [cfr. l’indirizzo di rete <http://www.un.org>, dove il riferimento Dpi/Ngo sta sotto “informazioni generali”].

Le organizzazioni della società civile hanno già dato un importante contributo all’articolazione e alla difesa delle regole "globali". È chiaro che l’Onu avrà molto da guadagnare da un’ulteriore apertura a queste forze vitali” – dichiara l’Unctad [la commissione dell’Onu per lo sviluppo e il commercio] nel suo rapporto del millennio 2000, aggiungendo che “le Ong hanno giocato un ruolo molto attivo, importante e costruttivo, nel sostegno degli obiettivi e dei princìpi dell’Unctad, contribuendo al lavoro dell’istituzione”. La X conferenza di Bangkok ha riaffermato questi legàmi nel quadro dello sviluppo della “globa­lizzazione”. La stessa Unctad sceglie O(n)g considerate “qualificate” per le politiche di sviluppo economico: globalizzazione, investimenti e tecnologia, infrastrutture, commercio, servizi, con particolare attenzione ai paesi meno sviluppati, su temi che vanno dalla fame nel mondo, al petrolio, alle crisi finanziarie borsistiche [obiettivi previsti per il convegno di Bruxelles, 14-20 maggio 2001 – cfr. < http://www.unctad.org/iia/civil/index.htm>].

Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan in persona, ha osservato che “si deve raggiungere una nuova sintesi tra l’iniziativa privata e il bene pubblico”. Si tratta proprio di quella stessa Organizzazione delle nazioni unite che, per oltre mezzo secolo, ha disatteso ogni applicazione delle risoluzioni che imponevano allo stato di Israele di restare nei propri confini e di non esercitare la propria violenza sul popolo palestinese: tollerando anzi che gli israeliani da Golda Meir a Begin, da Shamir a Sharon aggrediscano i palestinesi imponendo al contempo che siano questi ultimi a ... sospendere ogni violenza. E le nostre “anime belle” dell’asi­nistra credono ancòra che l’Onu sia riformabile democraticamente! Questo è l’habitat in cui vegetano le organizzazioni non poco governative.

Ma anche l’Ue non è stata a guardare. Abbiamo già ricordato [sempre sul no.73] il ruolo del cosiddetto “ufficio europeo per gli aiuti umanitari d’urgen­za” detto Echo [già diretto dalla fantastica Emma Bonino], che è andato a far danni in Bosnia, ex Jugoslavia in genere, regione dei Grandi laghi in Africa, Ruanda in particolare, Afghanistan e Colombia; ha distribuito qualcosa come 7 mmrd lire con contratti che erano completamente fittizi “tramite organizzazioni partner”. Echo aveva completa libertà nella loro scelta, per collaborare con “or­ganizzazioni internazionali, governative e non governative o altri organismi operanti nel campo degli aiuti umanitari”; tali organizzazioni erano controllate, attraverso accordi fiduciari, da una O(n)g con sede in Lussemburgo che aveva relazioni consolidate con numerosi servizi della Commissione europea stessa.

Giochi di guerra

Quanto detto sulla privatizzazione della “sinistra”, negli ultimi venti anni circa, guidata dalle fondazioni Usa e dalle istituzioni sovrastatuali, se da un lato ha fatto sì che i movimenti di massa con obiettivi politici generali abbiano abbandonato il campo, dall’altro hanno prose­guito sia i movimenti monotematici (della serie “cuccioli di foca”, peraltro simpaticissimi), sia quelli confusamente protestatari e interclassisti (della serie “Seattle”). Attraverso questi nuovi movimenti “privatizzati” si sono sviluppate quelle peculiari O(n)g di “copertura” propagandistica, spionistica e militare le quali, per reperire i finanziamenti, han­no adattato la loro falsa “causa” all’ideologia domi­nante.

La “solidarietà sociale” è la formula ormai largamente introiettata, che legittima per incarico istituzionale la gestione da parte delle O(n)g delle truppe di “volontariato”, votate all’“assistenza umanitaria”. L’inte­rcapedine alla comprensione degli obiettivi reali della guerra è sta­ta realizzata dall’ormai demistificata falsificazione della “guerra umanitaria”, alla cui difesa, dunque, si ricollega la storia recente con il ruolo delle strutture “uma­nitarie”, religiose e laiche, le O(n)g, l’impiego “missionario” dell’esercito ecc. L’alternanza, pertanto, di eliminazione delle resistenze per via militare e l’opera “umanitaria” di O(n)g e strutture filan­tropiche varie in grado di offrire un’immagine di manovalanza dedita, generosa e competente, spiana ovunque la strada all’imprenditoria internazionale e particolarmente nei difficili paesi ex comunisti.

Come le “missioni civilizzatrici” che portavano il cristianesimo ai pagani offrirono in passato il pretesto per giustifi­care la conquista imperialistica di Asia e Africa, oggi la protezione dei “diritti umani” tramite le O(n)g può costituire la copertura per l’intervento militare di tipo im­perialistico in tutto il mondo. In questo campo dei “diritti umani” le ambiguità, dianzi denunciate, dell’asinistra – che reputa avventatamente le O(n)g come la sola alternativa possibile, di fronte al declino dei movi­menti di massa – portano diritto all’utilizzazione di simili organizzazioni per scopi del tutto contrari a quelli formalmente dichiarati.

In tale contesto, fin dal 1984 è in funzione negli Usa la Ned [National endowment for de­mocracy, fondazione nazionale per la democrazia – simili fondazioni sono “organizzazioni non governative senza fini di lucro”], creata e finanziata dal go­verno, ma diretta e amministrata autonomamente da uomini d’af­fari e sindacalisti, professori e politici. Sorta sotto la dirigenza rea­ganiana, tale struttura ha fatto da paravento alle operazioni occulte della Cia attraver­so altre quattro istituzioni parallele. In gergo, “democrazia” significa re­gime politico favorevole all’accettazione del dominio Usa, mentre “non democratici” [termine opposto a unamericans] sono tutti coloro che avversano i relativi interessi della classe dominante, posta al riparo dalla cortina politico-nazionalista di facciata.

La funzione internazionale di questa fondazione, come di altre simili, è di fare da filtro a finanziamenti politici in grado di garanti­re una copertura per il conseguimento di fini specifici. Fondi clandestini o neri del tipo di quelli oggi erogati dalla Ned erano impiegati dagli anni 1940, tramite la Cia, fino a una larvata denuncia, alla metà degli anni ’60, della corruzione o della deviazione po­litica dei movimenti d’e­mancipazione sociale, vòlta alla destabilizzazione politica contro la sinistra internazionale.

Tale strategia è proseguita nell’ex Jugoslavia fin dalla guerra di Bosnia (1994), dove sono emersi collegamenti tra alcune O(n)g e relativi finanziamenti governativi con la finalità, dietro copertura “umanitaria”, di trasferimento di armi per prepa­rativi militari [cfr. Michel Collon, Poker menteur, Epo, Bruxelles 1998]; la cosa riguardava anche voli di ricognizione di aerei Usa in preparazio­ne dei bombardamenti avvenuti qualche mese più tardi. Inoltre, utilizzando gli stessi canali, è stata attuata una strategia congiunta di militari e imprenditori per la realizzazione di contratti competitivi, di diverse provenienze di capitali occidentali, in vari settori produttivi.

Già dal 1992, anno di fondazione di Echo [la ricordata organizzazione “umanitaria” della comunità europea], la struttura dei “medici senza frontiere” in Georgia (Caucaso) informava sulla minaccia che gravava sui mercati potenziali dell’occidente nei paesi dell’est. Grazie alla me­diazione “umanitaria”, perciò, lì e altrove si sarebbe creata una domanda di prodotti occidentali, ren­dendo da questo momento in poi la regione interessante per investimenti sicuri [tra le ultime bravate di Kouchner, ex “medico senza frontiera” assunto direttamente dall’Onu, è il favoreggiamento della francese Alcatel per la telefonia kosovara], e per losche co­perture finalizzate a spionaggio e fornitura d’armi.

Quanto scritto sopra, circa la stretta connessione (di dipendenza) delle O(n)g da Bm, Fmi e Onu, si ripresenta qui, perciò, per gli aspetti militari rispetto alla Nato. Su una scala così allargata, prima la Bosnia e poi il Kosovo hanno fornito un vasto terreno di sperimentazione per la “cooperazione” tra le O(n)g e la Nato. Le O(n)g e la Nato vanno mano nella mano – scrive Diane Johnstone. Nella ex Jugoslavia, e specialmente in Bosnia Erzegovina, le O(n)g hanno finalmente trovato una giustificazione della loro collocazione accanto alla Nato. Hanno ottenuto finanziamenti e prestigio dalla situazione. Gli impiegati locali di tali organizzazioni occidentali hanno ottenuto vantaggi politici e finanziari rispetto al resto della popolazione locale: la “de­mocrazia” non dipende dalle scelte po­polari, ma da ciò che trova l’approvazione dei “donatori” esterni. Ciò nutre l’ar­roganza dei cosiddetti benefattori e il cinismo della popolazione locale, che de­ve scegliere tra opporsi a quelli venuti da fuori o cercare un qualche adattamento.

Tragicamente ridicolo, pertanto, è definire le O(n)g “a-politiche” e “neutra­li”. Questo “mito della neutralità”, in effetti, nasconde gli interessi di una “nuo­va classe media professionale transnazionale” (l’ideologia dominante direbbe “globalizzata”), pronta a esercitare il proprio “mestiere” nel “privato so­ciale” e nel “mercato del benessere” per l’“industria degli aiuti”. Le ambizioni istituzionali delle O(n)g legate ai governi più potenti, fomentano la loro concorrenza reciproca, per ottenere cospicui finanziamenti, fino a gonfia­re le denunce degli abusi sui quali ciascuna di esse è “specializzata” [così, a es., O(n)g croate ufficialmente operanti in campo psico-sociale hanno ottenuto fondi in mi­sura spropositata per la loro dichiarata attività].

Ricordammo [cfr. no.83] il ruolo peculiare ricoperto nell’ex Jugoslavia dal­l’Osservatorio Helsinki sui diritti umani, che fin dall’autunno 1997 prospettò minacciosamente un intervento della “comunità internazionale” – sub specie Osce – per riportare l’ordine nel paese qualora le elezioni fossero state turbate, a loro dire, da azioni “contro la libertà” e da brogli. A fini propagandistici preparatòri, tramite una O(n)g intitolata all’abanese “Madre Teresa”, fu creato un sistema sanitario parallelo kosovaro, sotto la protezione dell’Oms e dell’Unicef; successivamente si è appurato che tale organizzazione dalla Svizzera, attraverso l’Italia, per opera di mafiosi albanesi riforniva regolarmente di armi l’Uck.

Oltre a Médicins sans frontières (per tanta bontà premiati col Nobel), o Croce rossa o Missione Arcobaleno o Cooperazione e sviluppo (attraverso cui si usano le ambulanze per introdurre armi) o Caritas, e via soccorrendo, una menzione particolare merita Care – una O(n)g canadese al confine Usa, con una forte base in Australia – la quale, come abbiamo avuto modo di ricordare [cfr. no.77], mandò tre “verificatori” in missione (ossia, per spionaggio) al confine tra Croazia e Serbia. I responsabili della spedizione [cfr. humanitarian spies, in rete <http:// www.emperors-clothes.com>] avevano già operato – col nome Care, ma per conto Cia – chi in El Salvador e in Honduras in funzione contras antisandinista (per destabilizzare il confinante Nicaragua) [La strategia relativa all’organizzazione di “squadre della morte” è stata riportata pari pari dai paesi latinamericani nei Balcani], chi in Irak, Yemen, Ruanda, Zaire e Kenya

Se Freedhom house lo ha scelto Berlusconi, I care lo ha preferito Veltroni!

Il responsabile del già citato Ned – finanziato dal governo Usa per anni, in funzione degli interventi in Jugoslavia, con svariati miliardi, in un modo che è stato definito il migliore quanto al rapporto costo-prestazione – ha apprezzato l’opera delle O(n)g riunite a Belgrado nel 1998 per l’appoggio dato a organizzazioni e partiti di opposizione al “regime” di Milosevic – appoggio concretizzatosi in “una valigia piena di milioni di dollari”, come ha scritto l’insospetta­bile stampa Usa – consegnata a Vojislav Kostunica per il tramite di indefinibili O(n)g e della radio “libera-di-Soros” B2-92. Abbiamo altresì ricordato l’impie­go di truppe militari del progetto Alba per appoggiare l’opera “umanitaria” dei “volontari” ongisti in Albania; e in genere la simbiosi bellica umanitaria volontaria [Nato + Fmi + Ong] che ha caratterizzato sempre più gli eventi aggressivi militari politici sociali degli anni 1990.

Nel Kosovo, i miliardi erogati a favore delle associazioni “umanitarie” italiane dal governo (in primo luogo all’ufficiale “missione Arcobaleno” che ha gestito l’intero affare) arrivano a tutte le organizzazioni che si fregiano dell’at­tributo di non governativo, a cominciare dalle solite organizzazioni clericali “pacifiste” quali Caritas, per finire al consorzio laico Cocis. Dai Balcani (obiet­tivo primo: Kosovo) al sud America (Colombia in particolare): in Colombia, infatti, l’enorme proliferazione di migliaia di O(n)g ha il duplice obiettivo di vanificare la “nuova” militanza nelle piccole Ong meno pericolose da parte di ex “sinistri” e di costruire un’altra rete di O(n)g filoamericane per la gestione “formale” dei fondi dell’“assistenza” mondiale, al fine di preparare il terreno all’azione militare prevista dal piano Colombia e ridurre a “spettacolo” e folclore ogni potenziale antagonismo (secondo la moda “della serie Seattle”, con forum ed “eventi” vari). 

In generale, i “suggerimenti” di destinazione delle risorse a sani­tà (come, a es., per la prevenzione dell’Aids), istruzione e altre spese di pubblica utilità, diventa­no pertanto preziose indicazioni per investitori stranieri attraverso l’attività pionieristica svolta da O(n)g e strutture “umanitarie” varie, dietro la cui facciata, come accennato, si veicolano per lo più informazioni, spionaggio, traffici di droga, armi e schia­vi, finanziamenti, ecc. Naturalmente le O(n)g còlte in fallo si dichiarano “all’oscuro ed estranee ai fatti loro addebitati”. 

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