lunedì 2 marzo 2015

Il capitale «apre» i confini: accumulazione e crisi del globale in Rosa Luxemburg - MICHELE CENTO e ROBERTA FERRARI


Un’estrazione che non cessa di affermarsi anche quando il capitalismo sembra ormai privo di un «fuori», di un «non-capitale» da piegare alla sua logica. Nel momento in cui il capitale esercita un dominio esclusivo sul globo, l’accumulazione deve dunque riuscire nella funambolica impresa di creare un «fuori» all’interno del sistema capitalistico.

Non si tratta più un dentro e un fuori geografico, o di un dentro e un fuori temporale, ma di spazi di accumulazione creati sulle possibilità ulteriori di sfruttamento. Una volta diventato globale, il capitale si ritrova infatti con lo stesso problema che segnala Luxemburg: il suo fuori oggi è necessariamente un dentro ma la dinamica di devastazione necessaria per la sua accumulazione rimane la stessa. Ciò di cui Luxemburg sembra consapevole è il fatto che il capitale crea il suo “fuori” innanzitutto impoverendo e immiserendo spazi ulteriori.

Non si tratta qui di una questione geografica, ma di rapporti sociali che il capitale è costretto a riprodurre al suo interno per accumulare. Possiamo dire che l’impoverimento è oggi il nome dell’accumulazione capitalistica, così come lo è la coazione al lavoro di fabbrica in ampie regioni del pianeta.

La violenza politica è qui il veicolo del processo economico: è nel continuo rimando tra queste due facce che si compie il ciclo storico del capitale.

Portare dentro il «fuori» non capitalistico non significa quindi per Luxemburg solamente valorizzarlo, ma piuttosto spremerlo, usarlo: è proprio la devastazione e l’impoverimento il modo di valorizzazione del capitale.

Questo meccanismo perfetto, oliato di sangue e fango, incontra un ostacolo proprio nelle condizioni che esso stesso ha determinato, proprio nel suo processo di valorizzazione distruttiva.

Un campo di battaglia, un luogo di conflitto, dove le resistenze all’introduzione dello sfruttamento capitalistico nei paesi non capitalistici possono saldarsi alle lotte contro gli oliati meccanismi dell’accumulazione nei paesi pienamente capitalistici.

Se la forza del capitalismo risiede nella sua mutevole fenomenologia, la sua debolezza sta nell’inflessibile ostinazione della sua logica. Ed è in questa crepa che nuovi spazi di soggettivazione potranno mettere in crisi la realizzazione dello sfruttamento.

E' anche in questo senso che la rivoluzione è sempre un problema dell’oggi o, se non altro, di quel presente assoluto che la narrazione neoliberale ha estorto alla storia.
(Michele Cento e Roberta Ferrari)

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