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http://www.tubechop.com/watch/5506720
Se prolunghiamo il trend che abbiamo visto in opera in questi ultimi anni, lo scenario praticamente obbligato per la nostra economia è quello di una deindustrializzazione irrecuperabile, o la sua trasformazione in una “economia di filiali” (Filialökonomie), con conseguente scivolamento verso il basso nella divisione internazionale del lavoro. In Europa esiste un precedente piuttosto recente: quanto accadde ai territori della ex-Repubblica Democratica Tedesca a seguito dell’unificazione della Germania 25 . Circa la possibilità di un’estensione continentale di questo modello va però osservato che in quel caso la trasformazione morfologica del panorama industriale del paese (sostanziale deindustrializzazione, distruzione della grande industria, acquisizione delle parti maggiormente fungibili dei Kombinate dell’Est e loro utilizzo quali filiali/succursali di imprese dell’Ovest) ha comportato la necessità di ingenti trasferimenti dall’Ovest – tuttora in corso – per finanziare consumi e investimenti. E, anche al di là del fatto che a distanza di un quarto di secolo questi trasferimenti non sono stati in grado di colmare il gap di reddito pro capite e produttività del lavoro tra le due parti della Germania, poche cose sono chiare come l’indisponibilità del governo tedesco a replicare questa seconda parte del “modello-Rdt” nel caso dell’Europa.
http://www.tubechop.com/watch/5506720
Se prolunghiamo il trend che abbiamo visto in opera in questi ultimi anni, lo scenario praticamente obbligato per la nostra economia è quello di una deindustrializzazione irrecuperabile, o la sua trasformazione in una “economia di filiali” (Filialökonomie), con conseguente scivolamento verso il basso nella divisione internazionale del lavoro. In Europa esiste un precedente piuttosto recente: quanto accadde ai territori della ex-Repubblica Democratica Tedesca a seguito dell’unificazione della Germania 25 . Circa la possibilità di un’estensione continentale di questo modello va però osservato che in quel caso la trasformazione morfologica del panorama industriale del paese (sostanziale deindustrializzazione, distruzione della grande industria, acquisizione delle parti maggiormente fungibili dei Kombinate dell’Est e loro utilizzo quali filiali/succursali di imprese dell’Ovest) ha comportato la necessità di ingenti trasferimenti dall’Ovest – tuttora in corso – per finanziare consumi e investimenti. E, anche al di là del fatto che a distanza di un quarto di secolo questi trasferimenti non sono stati in grado di colmare il gap di reddito pro capite e produttività del lavoro tra le due parti della Germania, poche cose sono chiare come l’indisponibilità del governo tedesco a replicare questa seconda parte del “modello-Rdt” nel caso dell’Europa.
Esistono scenari alternativi a questo
sbocco? A questo riguardo le ipotesi possibili sono tre:
1) un recupero della nostra economia
trainato dal commercio estero extra-Ue. Sono in molti oggi a sperare che
l’effetto combinato del calo del prezzo dei prodotti petroliferi, della
svalutazione dell’euro rispetto al dollaro e delle politiche antideflazioniste
della Bce possano fare questo miracolo. È lecito dubitarne, e per diversi
motivi. Il primo è che quei tre elementi positivi del quadro attuale sono
contingenti. In particolare, è possibile una ripresa almeno a medio termine del
prezzo dei prodotti petroliferi, e una ripresa di valore dell’euro è
addirittura probabile: è difficile infatti che il resto del mondo tolleri una
svalutazione nel lungo periodo dell’euro, che – è bene non dimenticarlo - è la
moneta adottata da paesi che nel loro insieme vantano già un significativo
surplus commerciale nei confronti del resto del mondo. Il secondo è che anche
quegli elementi positivi hanno effetti collaterali non piacevoli: il calo del
prezzo dei prodotti petroliferi, ad es., porta con sé un calo dell’export nei
confronti dei paesi produttori di petrolio. Il terzo è che in particolare le
politiche della Bce sono senz’altro tardive, e comunque di efficacia limitata.
2) La fine del vincolo fiscale,
ossia delle politiche di austerity. Neanche questa soluzione sembra di per sé
sufficiente a risolvere i problemi. Al contrario, se essa avviene in assenza di
reflazione in Germania, l’effetto sarà un miglioramento di breve periodo della
domanda interna, ma al prezzo di tornare ad alimentare squilibri della bilancia
commerciale (perché il maggiore denaro disponibile sarà speso per comprare
prodotti più competitivi importati dall’estero). La stessa proposta di De
Grauwe di effettuare investimenti infrastrutturali in Germania (una sorta di
surrogato della reflazione salariale che la Germania in questi anni non ha
voluto fare) viene incontro solo apparentemente e nel breve periodo al nostro
problema: infatti, sebbene questi investimenti rilancerebbero la domanda
interna tedesca lasciando spazio per maggiori esportazioni verso quel paese,
d’altro lato nel lungo periodo essi determinerebbero un ampliamento del gap
competitivo di cui gode la Germania e per questa via una ripresa e
consolidamento degli squilibri della bilancia commerciale nell’eurozona.
3) Il terzo scenario possibile è
rappresentato dalla fine del vincolo monetario. Essa determinerebbe il
riacquisto immediato della flessibilità del cambio, e per questa via un rapido
riequilibrio delle bilance commerciali in Europa. La necessità di distruggere
capacità produttiva in eccesso in Europa, evidenziata dalla crisi, non verrebbe
meno: ma tale distruzione sarebbe meno concentrata geograficamente
leggi tutto:
http://www.marx21.it/documenti/giacche_AusteritySecularStagnation.pdf
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